ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art.  552,  comma
1, lettera f), del codice di procedura penale, promossi dal Tribunale
ordinario di Spoleto, nel procedimento penale a carico  di  M.  S.  e
altri, con ordinanza del 23 febbraio 2016, e dal Tribunale  ordinario
di Pistoia, nel procedimento penale a carico di K. Z.  e  altro,  con
ordinanza del 4 novembre 2016, rispettivamente iscritte al n. 204 del
registro ordinanze 2016 e al n. 28  del  registro  ordinanze  2017  e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  42,  prima
serie speciale,  dell'anno  2016  e  n.  10,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2017. 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 22 novembre 2017  il  Giudice
relatore Giorgio Lattanzi. 
    Ritenuto che il Tribunale ordinario di Spoleto,  in  composizione
monocratica, con ordinanza del 23 febbraio  2016  (r.o.  n.  204  del
2016), ha sollevato, in riferimento agli artt.  3,  24  e  111  della
Costituzione, questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 552,
comma 1, lettera f), del codice di procedura penale, «nella parte  in
cui non prevede che all'[i]mputato venga dato  [a]vviso  anche  della
facolta'   di   richiedere   tempestivamente   la   sospensione   del
procedimento con messa alla prova ex art. 464 bis C.p.p.»; 
    che  il  giudice  a  quo  premette  di   essere   investito   del
procedimento penale nei confronti di tre persone imputate  dei  reati
di cui agli artt. 44, comma 1, lettera b),  71  e  95  del  d.P.R.  6
giugno 2001, n. 380 (Testo unico  delle  disposizioni  legislative  e
regolamentari in materia edilizia - Testo A) «come meglio descritti e
circostanziati nel Decreto di citazione a giudizio del 13.8.2015»; 
    che nell'udienza del 2 febbraio 2016 il difensore  di  uno  degli
imputati ha chiesto che fossero sollevate questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 552, comma 1, lettera f), cod.  proc.  pen.,
in relazione agli artt. 3, 24 e 111 Cost., «nella parte in cui  [...]
non prevede che nel  Decreto  di  citazione  a  giudizio  venga  dato
[a]vviso all'imputato della facolta' di richiedere, fra  l'altro,  di
avvalersi dell'istituto della [m]essa alla [p]rova ex  art.  464  bis
cpp prima della dichiarazione di apertura del dibattimento»; 
    che secondo il giudice a quo le  questioni  sarebbero  rilevanti,
perche', se accolte, comporterebbero la declaratoria di nullita'  del
decreto di citazione a giudizio, e non manifestamente infondate; 
    che l'istituto della  messa  alla  prova  integrerebbe  un  nuovo
procedimento speciale, alternativo al dibattimento, la cui  richiesta
deve essere formulata  «entro  limiti  temporali  e  processuali  ben
definiti e tali da rendere immediatamente inammissibile la stessa ove
tardivamente proposta»; 
    che l'art. 552, comma 1, lettera f), cod. proc. pen. prescrive, a
pena di nullita', che il decreto di  citazione  a  giudizio  contenga
«l'avviso che, qualora ne ricorrano i presupposti, l'imputato,  prima
della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, puo'
presentare le richieste previste dagli  articoli  438  e  444  ovvero
presentare domanda di oblazione»; 
    che tale avviso dovrebbe «necessariamente far  riferimento  anche
alla facolta' di formulare richiesta di sospensione del  procedimento
con messa alla prova sulla base del nuovo art. 464 bis Cpp»; 
    che, in caso contrario, sarebbe  «menomata  [...]  l'effettivita'
del  diritto   alla   [d]ifesa   dell'[i]mputato   costituzionalmente
garantito»; 
    che e' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, e ha chiesto che le questioni siano  dichiarate  inammissibili
e, comunque, non fondate; 
    che le questioni sarebbero inammissibili, in quanto «non e'  dato
sapere, dal tenore del provvedimento del Giudice,  se  l'udienza  del
2.2.2016 fosse la prima udienza e  se  fosse  stato  gia'  dichiarato
aperto il dibattimento»; 
    che inoltre secondo l'Avvocatura dello Stato «la  fattispecie  di
cui e' questione [...] e' [...] sostanzialmente  diversa»  da  quella
oggetto della sentenza n. 201 del 2016 di questa  Corte,  perche'  il
termine  ultimo  per  presentare  la  richiesta  di  sospensione  del
procedimento con messa alla prova coincide con  la  dichiarazione  di
apertura del dibattimento di primo  grado,  «cadendo,  pertanto,  nei
preliminari   della   udienza   dibattimentale,   a    partecipazione
necessaria, nel corso della  quale  l'imputato  e'  obbligatoriamente
assistito dal difensore»; 
    che  il  Tribunale  ordinario   di   Pistoia,   in   composizione
monocratica, con ordinanza del 4 novembre 2016 (r.o. n. 28 del 2017),
ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24  Cost.,  questioni  di
legittimita' costituzionale dell'art. 552, comma 1, lettera f),  cod.
proc. pen.; 
    che il giudice a quo premette che gli imputati sono stati  citati
a giudizio per rispondere del reato di cui all'art. 6, comma  3,  del
decreto legislativo  25  luglio  1998,  n.  286  (Testo  unico  delle
disposizioni concernenti  la  disciplina  dell'immigrazione  e  norme
sulla condizione dello straniero), «per non aver fornito documenti ad
un controllo dei CC nell'ottobre 2013»; 
    che il difensore degli imputati ha chiesto che fossero  sollevate
questioni di legittimita'  costituzionale  dell'art.  552,  comma  1,
lettera f), cod. proc. pen., in relazione agli artt. 3  e  24  Cost.,
nella parte in cui non prevede che il decreto di citazione a giudizio
«contenga  anche  il  richiamo  alla  possibilita'  di  aderire  alla
richiesta di messa alla prova»; 
    che secondo il giudice a quo  le  questioni  sarebbero  rilevanti
perche' «dal decreto di citazione a giudizio contenuto nel  fascicolo
emerge l'assenza, nel caso di specie, dell'avviso di poter richiedere
il nuovo  istituto  della  messa  alla  prova,  istituto  ammissibile
perche' si verte in uno dei casi di cui all'art. 168 bis cp.»; 
    che, insomma, «a fronte dell'astratta possibilita' per l'imputato
di accedere all'istituto della messa alla prova», non  gli  e'  stato
dato alcun avviso in tal senso, in violazione del diritto  di  difesa
costituzionalmente garantito; 
    che le questioni sarebbero altresi' non manifestamente  infondate
in riferimento al principio di uguaglianza sancito dall'art. 3 Cost.; 
    che  l'art.  168-bis  del  codice  penale  ha   riconosciuto   la
possibilita' di sospensione del procedimento con  messa  alla  prova,
«con possibile esito positivo di estinzione  del  reato,  esattamente
come nel caso di oblazione»; 
    che nel rispetto del principio di uguaglianza  dovrebbe  pertanto
essere previsto «che all'imputato sia dato avviso della  possibilita'
di chiedere la messa alla prova esattamente allo stesso modo  in  cui
gli e' dato, dalla  legge  nell'attuale  formulazione,  avviso  della
possibilita' di accedere all'oblazione», anche perche'  per  entrambi
gli istituti sono previsti «lo stesso termine di  decadenza  e  [...]
una serie di  attivita'  extra-processuali  effettuate  personalmente
dall'imputato o a mezzo di Procuratore speciale»; 
    che la norma censurata violerebbe, inoltre, l'art. 24  Cost.,  in
quanto  «il  diritto  di  difesa  impone  la  conoscenza,  da   parte
dell'imputato, delle sanzioni in cui puo'  incorrere  e  di  tutti  i
mezzi processuali di cui puo' disporre, conoscenza [...] impossibile,
mancando appunto  l'avviso  su  uno  degli  istituti  che  permettono
l'estinzione del reato»; 
    che e' intervenuto in giudizio il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, e ha chiesto che le questioni siano  dichiarate  inammissibili
e, comunque, non fondate; 
    che le questioni sarebbero inammissibili, in quanto «non e'  dato
sapere, dal tenore del provvedimento del Giudice, se nel  momento  in
cui ha adottato l'ordinanza di cui e' questione si fosse nella  prima
udienza e se fosse stato gia' dichiarato aperto il dibattimento»; 
    che il giudice rimettente, inoltre, avrebbe  potuto  interpretare
«la normativa ritenendo eventualmente sussistente  la  necessita'  di
una rimessione degli atti al P.M. [...] anche  in  considerazione  di
quanto previsto dall'art. 141 bis, disp. att. c.p.p.»; 
    che  «la  fattispecie  di  cui  e'  questione  [...]   e'   [...]
sostanzialmente diversa» da quella oggetto della sentenza n. 201  del
2016 di questa Corte, perche' il termine  ultimo  per  presentare  la
richiesta di  sospensione  del  procedimento  con  messa  alla  prova
coincide con la dichiarazione di apertura del dibattimento  di  primo
grado,   «cadendo,   pertanto,   nei   preliminari   della    udienza
dibattimentale, a partecipazione necessaria, nel  corso  della  quale
l'imputato e' obbligatoriamente assistito dal difensore». 
    Considerato che il Tribunale ordinario di Spoleto e il  Tribunale
ordinario di Pistoia hanno sollevato, in riferimento complessivamente
agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione, questioni di  legittimita'
costituzionale dell'art. 552, comma 1,  lettera  f),  del  codice  di
procedura penale, nella parte in cui  non  prevede  che  all'imputato
venga dato avviso anche della facolta' di richiedere  tempestivamente
la sospensione del procedimento con messa alla prova ex art.  464-bis
cod. proc. pen.; 
    che le  questioni  sollevate  dai  due  indicati  tribunali  sono
analoghe e devono percio' essere riunite; 
    che l'ordinanza di rimessione del Tribunale ordinario di  Spoleto
non contiene alcuna descrizione dei fatti oggetto del giudizio a quo,
limitandosi ad indicare, con il  solo  numero,  le  disposizioni  che
prevedono i reati contestati agli imputati, «come meglio descritti  e
circostanziati nel Decreto di citazione a  giudizio  del  13.8.2015»,
senza neppure riportare i relativi capi di imputazione; 
    che sotto questo aspetto le questioni sollevate da  tale  giudice
sono  manifestamente  inammissibili  per  omessa  descrizione   della
fattispecie concreta  e  conseguente  difetto  di  motivazione  sulla
rilevanza (ex multis, ordinanze n. 210 e n. 46 del 2017); 
    che, inoltre, come e' stato rilevato dall'Avvocatura dello Stato,
entrambe  le  ordinanze  di  rimessione  non  hanno  specificato   se
nell'udienza in cui sono state sollevate le questioni di legittimita'
costituzionale   fosse   gia'   stata   dichiarata   l'apertura   del
dibattimento e se gli imputati avessero manifestato  la  volonta'  di
richiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova; 
    che ai sensi dell'art. 182, comma 1, cod. proc. pen. la  nullita'
del decreto di citazione a giudizio non puo' essere eccepita  da  chi
non ha interesse all'osservanza della disposizione violata; 
    che i rimettenti  avrebbero  dovuto  precisare  se  era  avvenuta
l'apertura del dibattimento, che avrebbe precluso  agli  imputati  la
possibilita' di chiedere la sospensione del  procedimento  con  messa
alla prova; 
    che vi sono elementi per ritenere che in  entrambi  i  casi  tale
apertura non fosse ancora avvenuta; 
    che solo l'imputato  nei  cui  confronti  si  sia  verificata  la
preclusione conseguente all'apertura del dibattimento,  e  che  abbia
l'intenzione di chiedere la sospensione del  procedimento  con  messa
alla prova, puo' aver interesse alla  declaratoria  di  nullita'  del
decreto di citazione  a  giudizio  che  non  contenga  l'avvertimento
relativo a tale facolta'; 
    che l'insufficiente descrizione della fattispecie processuale,  e
in particolare dello stato in cui si trovava il  giudizio,  impedisce
il necessario controllo in punto di rilevanza e  rende  le  questioni
manifestamente inammissibili (ex multis, ordinanze n. 210 del 2017  e
n. 237 del 2016). 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 1, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.