ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  1,  commi
732  e  733,  della  legge  27  dicembre  2013,   n.   147,   recante
«Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato (legge  di  stabilita'  2014)»,  promosso  dalla  Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia con ricorso notificato il 25  febbraio
2014, depositato in cancelleria il 3 marzo 2014 ed iscritto al n.  10
del registro ricorsi 2014. 
    Visto l'atto di costituzione del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nell'udienza pubblica  del  20  febbraio  2018  il  Giudice
relatore Aldo Carosi; 
    uditi l'avvocato Giandomenico  Falcon  per  la  Regione  autonoma
Friuli-Venezia Giulia e l'avvocato dello Stato Wally Ferrante per  il
Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 25 febbraio 2014  e  depositato  il
successivo 3 marzo, la  Regione  autonoma  Friuli-Venezia  Giulia  ha
promosso, tra le  altre,  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 1, commi 732 e 733, della legge 27 dicembre 2013,  n.  147,
recante «Disposizioni  per  la  formazione  del  bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato (Legge di  stabilita'  2014)»,  deducendo  la
violazione dell'art. 3 della Costituzione e degli artt. 48 e seguenti
della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n.  1  (Statuto  speciale
della Regione Friuli-Venezia Giulia). 
    La ricorrente rileva che le disposizioni impugnate introducono un
meccanismo  di  definizione  agevolata  dei  procedimenti  giudiziari
pendenti in tema di canoni di  concessioni  demaniali  marittime.  In
particolare, il comma 732 dell'art. 1 della legge  n.  147  del  2013
stabilisce che i giudizi pendenti al 30 settembre  2013  «concernenti
il pagamento in favore dello Stato dei canoni e degli indennizzi  per
l'utilizzo dei beni demaniali marittimi e delle relative  pertinenze»
possono essere integralmente  definiti  -  «previa  domanda  all'ente
gestore e all'Agenzia del demanio da parte del  soggetto  interessato
ovvero del destinatario della richiesta di pagamento» -  mediante  il
versamento di una percentuale delle somme dovute (30 o 60 per  cento,
a seconda delle modalita' di pagamento).  Il  comma  733  disciplina,
poi, le modalita' della definizione, prevedendo la  presentazione  di
una   domanda   da   parte   dell'interessato   ed   il    successivo
perfezionamento tramite il versamento dell'importo. 
    Cio' premesso, la ricorrente rimarca come le norme  in  questione
vengano impugnate non gia' al fine di ottenerne la rimozione, ma,  al
contrario, per ottenere - ove ve  ne  fosse  bisogno  -  l'estensione
della loro applicazione  ai  corrispondenti  beni  demaniali  gestiti
dalla Regione o di proprieta' di questa. 
    Nel  caso  del  Friuli-Venezia  Giulia,  lo  Stato  ha,  infatti,
delegato alla Regione autonoma le  funzioni  in  materia  di  demanio
marittimo,  compresa  l'attribuzione  del  canone  per  le   relative
concessioni. Cio',  in  forza  dell'art.  9,  comma  2,  del  decreto
legislativo 1° aprile 2004, n. 111 (Norme di attuazione dello statuto
speciale  della  regione   Friuli-Venezia   Giulia   concernenti   il
trasferimento di funzioni in  materia  di  viabilita'  e  trasporti),
secondo  il  quale  sono  trasferite   alla   Regione   le   funzioni
amministrative «relative alla concessione dei beni [...] del  demanio
marittimo». Il successivo comma 5 precisa, poi, che «i proventi e  le
spese derivanti dalla gestione del demanio marittimo  [...]  spettano
alla Regione». 
    Inoltre,  lo  Stato  ha  direttamente  trasferito  alla   Regione
determinati beni del demanio marittimo  statale,  che  sono  divenuti
cosi' di proprieta' pubblica regionale. In  particolare,  il  decreto
legislativo 25 maggio 2001, n. 265 (Norme di attuazione dello Statuto
speciale della regione Friuli-Venezia Giulia per il trasferimento dei
beni del demanio idrico e marittimo, nonche' di funzioni  in  materia
di risorse idriche e di difesa del  suolo)  stabilisce,  all'art.  1,
comma 2, che «sono trasferiti alla regione tutti i beni dello Stato e
relative pertinenze, di cui all'articolo 30, comma 2, della  legge  5
marzo 1963, n. 366, situati nella laguna di Marano-Grado»; mentre  il
successivo  comma  3  dispone  che  «la  regione  esercita  tutte  le
attribuzioni inerenti alla titolarita' dei beni trasferiti». 
    In tale  contesto,  non  sarebbe,  peraltro,  chiaro  se  i  beni
demaniali ora indicati rientrino nel campo  applicativo  delle  norme
impugnate. 
    Ad avviso della ricorrente, il dubbio dovrebbe essere sciolto  in
senso affermativo. 
    Sul piano sostanziale, sarebbe infatti ragionevole che situazioni
di  identica  natura  (controversie  sull'uso  di  beni  del  demanio
marittimo  appartenenti  al  medesimo  titolare,  cioe'  allo  Stato)
trovino analoga regolamentazione, a prescindere dalla  circostanza  -
insignificante ai fini considerati - che la gestione  di  detti  beni
sia attribuita allo Stato  medesimo,  ovvero  alla  Regione  autonoma
Friuli-Venezia Giulia. 
    Sul piano formale, d'altro  canto,  il  richiamo,  contenuto  nel
comma 732 dell'art. 1 della legge n. 147 del 2013, al  pagamento  «in
favore dello Stato» potrebbe essere ritenuto un modo «ellittico»  per
indicare ogni amministrazione che sia titolare  o  comunque  gestisca
beni del demanio marittimo,  compresa  la  Regione  ricorrente.  Tale
interpretazione estensiva troverebbe  ulteriore  conforto  nel  comma
733, che fa riferimento agli effetti della definizione agevolata  sui
procedimenti  avviati  -  con  nozione   onnicomprensiva   -   «dalle
amministrazioni competenti». 
    Ove, al contrario, si  dovesse  ritenere  che  la  disciplina  in
questione non riguardi i beni del  demanio  marittimo  di  proprieta'
della Regione o  da  essa  gestiti,  la  ricorrente  ne  denuncia  il
contrasto con il principio di eguaglianza (art. 3  Cost.).  Le  norme
impugnate  determinerebbero,  infatti  -  per  quanto  detto  -   una
irragionevole differenziazione di situazioni analoghe, precludendo la
definizione agevolata dei contenziosi relativi  a  beni  del  demanio
marittimo per la sola ragione che  essi  siano  di  proprieta'  della
Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia o da questa gestiti. 
    La denunciata violazione del principio di  eguaglianza,  privando
la Regione della possibilita' di  beneficiare  degli  introiti  certi
assicurati dal meccanismo di definizione agevolata in  questione,  si
riverbererebbe, compromettendola,  anche  sull'autonomia  finanziaria
regionale prevista dagli artt. 48 e seguenti dello Statuto,  oltre  a
ledere le stesse norme di  attuazione,  precedentemente  citate,  che
hanno attribuito alla Regione la proprieta' o la gestione di beni del
demanio marittimo. D'altra parte, trattandosi di procedure  che  -  a
parere della ricorrente - incidono sulla funzione giurisdizionale, la
Regione non potrebbe dettare  autonomamente  norme  corrispondenti  a
quelle stabilite dallo Stato. 
    Alla  luce  del  canone  dell'interpretazione  costituzionalmente
conforme, la ricorrente auspica, pertanto, una pronuncia che  attesti
la riferibilita' delle norme impugnate - con i necessari  adattamenti
- anche  ai  beni  demaniali  marittimi  regionali  o  gestiti  dalla
Regione.   In   caso   contrario,   chiede   che   venga   dichiarata
l'illegittimita' costituzionale di dette norme, nella  parte  in  cui
non includono i beni in parola nel loro campo di applicazione. 
    2.- Si e' costituito il Presidente del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o,  comunque,
infondata. 
    Ad  avviso  della  difesa  dello  Stato,  la  questione   sarebbe
inammissibile, giacche' la Regione si sarebbe limitata  a  denunciare
la  violazione  del  principio  di  eguaglianza,   senza   contestare
invasioni della propria sfera di competenza. 
    Nel merito, la censura sarebbe comunque infondata. 
    Le disposizioni impugnate, infatti, non potrebbero che  riferirsi
ai soli beni demaniali marittimi di proprieta' dello  Stato,  sebbene
gestiti in via amministrativa dalla Regione  autonoma  Friuli-Venezia
Giulia. Quanto, invece, ai beni del demanio marittimo  trasferiti  in
proprieta' alla Regione, spetterebbe alla Regione stessa,  in  quanto
titolare di detti beni, disciplinare in via autonoma  la  definizione
dei contenziosi pendenti. La normativa statale censurata, proprio per
non  invadere  le  competenze  legislative  e  amministrative   della
Regione, non avrebbe introdotto le preclusioni paventate nel ricorso,
ma,  al  contrario,  avrebbe  legittimato  la  Regione   a   regolare
autonomamente la materia ad essa riservata. 
    3.-  Con  successiva  memoria,  la  Regione  ha  replicato   alle
deduzioni  dell'Avvocatura  generale  dello  Stato,  contestando,  in
particolare, l'eccezione di inammissibilita' del ricorso. 
    Come gia'  rimarcato  nell'atto  introduttivo  del  giudizio,  la
dedotta  violazione  del  principio  di   eguaglianza   ridonderebbe,
infatti, negativamente sia sull'autonomia finanziaria della  Regione,
garantita dalle norme statutarie, privandola  della  possibilita'  di
beneficiare anticipatamente di entrate certe; sia sulle potesta'  che
la Regione autonoma  Friuli-Venezia  Giulia  esercita  sui  beni  del
demanio marittimo che le sono stati trasferiti  in  proprieta'  o  in
gestione.  L'interesse  della  ricorrente  all'impugnativa   sarebbe,
dunque, palese, trattandosi di normativa che incide in via  immediata
su posizioni soggettive e funzioni regionali. 
    Quanto al merito, la  ricorrente  rileva  come  l'interpretazione
delle norme  impugnate  ipotizzata  in  via  principale  nel  ricorso
risulti condivisa dall'Avvocatura generale dello Stato, limitatamente
ai beni del demanio  marittimo  la  cui  gestione  e'  delegata  alla
Regione.  Peraltro,   anche   l'interpretazione   prospettata   dalla
Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri  con  riguardo  al  demanio
marittimo di proprieta' della Regione - stando alla  quale  le  norme
impugnate  non  sarebbero  applicabili  al  contenzioso  sui   canoni
relativi a detti beni, ma autorizzerebbero comunque una  legislazione
regionale che ricalchi quella  statale  -  risulterebbe  satisfattiva
dell'interesse della ricorrente e consentirebbe di superare  i  dubbi
di costituzionalita' prospettati nel ricorso. Tale soluzione, d'altra
parte, non risulterebbe preclusa dalla  spettanza  in  via  esclusiva
allo Stato della competenza legislativa in materia di  «giurisdizione
e norme processuali», ai sensi dell'art. 117, secondo comma,  lettera
l), Cost.: la legge regionale non avrebbe,  infatti,  ad  oggetto  la
vicenda del processo, ma si limiterebbe  a  stabilire  le  condizioni
alle quali viene meno la  pretesa  finanziaria  regionale,  operando,
dunque, soltanto sul terreno del diritto sostanziale. 
    Per  l'ipotesi  in  cui  non  fosse  ritenuta   praticabile   ne'
l'interpretazione suggerita nel ricorso, ne'  quella  proposta  dalla
difesa dello Stato, la Regione ha insistito per la  dichiarazione  di
illegittimita'  costituzionale  delle  disposizioni  impugnate,   nei
termini indicati nell'atto introduttivo del giudizio. 
    4.- Dopo che il ricorso e'  stato  rinviato  a  nuovo  ruolo,  la
ricorrente  ha,  nell'imminenza   della   nuova   udienza   pubblica,
depositato una ulteriore memoria in cui  ha  ribadito  le  precedenti
deduzioni,    illustrando    ulteriori     ragioni     a     sostegno
dell'interpretazione adeguatrice proposta. 
    Anche l'Avvocatura generale dello  Stato  ha  depositato  memoria
insistendo nelle rassegnate conclusioni. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Regione autonoma Friuli-Venezia  Giulia  propone,  tra  le
altre, questione di legittimita' costituzionale delle disposizioni di
cui all'art. 1, commi 732 e 733, della legge  27  dicembre  2013,  n.
147, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e
pluriennale dello Stato (Legge di stabilita' 2014)», che  introducono
un meccanismo di definizione agevolata  dei  procedimenti  giudiziari
pendenti alla data del 30 settembre 2013 concernenti «il pagamento in
favore dello Stato dei canoni e degli indennizzi per  l'utilizzo  dei
beni demaniali marittimi e delle relative  pertinenze»,  mediante  il
versamento di una percentuale delle somme dovute (30 o 60 per  cento,
a seconda che il versamento  sia  effettuato  in  unica  soluzione  o
ratealmente). 
    Ad  avviso  della  ricorrente,  dette   disposizioni   dovrebbero
ritenersi applicabili anche alle controversie relative  ai  beni  del
demanio marittimo ad essa trasferiti o dati in gestione. 
    Ove tale  interpretazione  non  fosse  ritenuta  praticabile,  la
ricorrente denuncia la violazione del principio di eguaglianza  (art.
3  della  Costituzione),  sotto  il   profilo   della   irragionevole
differenziazione  di  situazioni   analoghe.   Le   norme   impugnate
precluderebbero, infatti, la definizione  agevolata  dei  contenziosi
relativi a beni del demanio marittimo per la sola  ragione  che  essi
siano  di  proprieta'   o   in   gestione   alla   Regione   autonoma
Friuli-Venezia Giulia: elemento da ritenere «insignificante» ai  fini
che rilevano. 
    L'evidenziata violazione del principio di eguaglianza -  privando
la Regione della possibilita' di beneficiare delle  entrate  certe  e
anticipate assicurate dalla procedura di definizione  -  ridonderebbe
anche in una lesione dell'autonomia finanziaria regionale,  garantita
dagli artt. 48 e seguenti della legge costituzionale 31 gennaio 1963,
n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), oltre  a
porsi in contrasto con le stesse norme di  attuazione  dello  statuto
speciale che  hanno  attribuito  alla  Regione  la  proprieta'  o  la
gestione di beni del demanio marittimo  (in  particolare,  l'art.  9,
commi 2 e 5, del decreto legislativo 1° aprile 2004, n. 111,  recante
«Norme  di  attuazione   dello   statuto   speciale   della   regione
Friuli-Venezia Giulia concernenti il  trasferimento  di  funzioni  in
materia di viabilita' e trasporti», e l'art. 1,  commi  2  e  3,  del
decreto legislativo  25  maggio  2001,  n.  265,  recante  «Norme  di
attuazione dello Statuto speciale della regione Friuli-Venezia Giulia
per il trasferimento dei beni del demanio idrico e marittimo, nonche'
di funzioni in materia di risorse idriche e di difesa del suolo»). 
    2.- La questione  sottoposta  all'esame  della  Corte  ha  -  per
espressa indicazione della ricorrente - una finalita'  interpretativa
o  "cautelativa",  essendo  stata  promossa   sulla   base   di   una
interpretazione delle  norme  impugnate  prospettata  come  "soltanto
possibile" (quella per cui la definizione agevolata  del  contenzioso
giudiziario,  da  esse  regolata,  non  troverebbe  applicazione   in
rapporto ai  beni  del  demanio  marittimo  trasferiti  alla  Regione
autonoma Friuli-Venezia Giulia, o da essa gestiti).  Cosi'  formulata
la questione e' comunque ammissibile, in quanto proposta  nell'ambito
di un ricorso in via principale. Quest'ultimo puo' contenere  censure
di tal genere, purche'  le  interpretazioni  prospettate  «non  siano
implausibili  e  irragionevolmente  scollegate   dalle   disposizioni
impugnate, cosi' da far ritenere le questioni del  tutto  astratte  e
pretestuose» (ex  plurimis,  sentenza  n.  298  del  2012;  in  senso
conforme sentenze n. 249 del 2005 e n. 412  del  2004),  ipotesi  non
ravvisabili nella specie. 
    3.- L'eccezione della difesa statale  di  inammissibilita'  della
censura proposta con riferimento  all'art.  3  Cost.,  parametro  non
attinente al riparto delle competenze tra Stato  e  Regioni,  non  e'
fondata. 
    I commi 732 e 733 sono cosi' formulati: «732. [...]  al  fine  di
ridurre il contenzioso derivante dall'applicazione dei criteri per il
calcolo dei canoni delle concessioni  demaniali  marittime  ai  sensi
dell'articolo 03, comma 1, lettera b), numero 2.1), del decreto-legge
5 ottobre 1993, n. 400, convertito, con modificazioni, dalla legge  4
dicembre 1993, n. 494, e  successive  modificazioni,  i  procedimenti
giudiziari pendenti alla data del 30 settembre  2013  concernenti  il
pagamento in favore dello Stato dei canoni  e  degli  indennizzi  per
l'utilizzo dei beni demaniali marittimi e delle relative  pertinenze,
possono  essere  integralmente  definiti,  previa  domanda   all'ente
gestore e all'Agenzia del demanio da parte del  soggetto  interessato
ovvero del destinatario della richiesta  di  pagamento,  mediante  il
versamento: a) in un'unica soluzione, di un importo, pari al  30  per
cento delle somme dovute; b) rateizzato fino a un massimo di sei rate
annuali, di un importo pari al 60 per cento delle somme dovute, oltre
agli interessi legali, secondo un piano approvato dall'ente  gestore.
733. La domanda di definizione, ai sensi del comma 732,  nella  quale
il richiedente dichiara  se  intende  avvalersi  delle  modalita'  di
pagamento di cui alla lettera a) o di quelle di cui alla  lettera  b)
del medesimo comma, e' presentata  entro  il  28  febbraio  2014.  La
definizione si  perfeziona  con  il  versamento  dell'intero  importo
dovuto,  entro  il  termine  di  sessanta  giorni   dalla   data   di
presentazione della domanda di definizione;  in  caso  di  versamento
rateizzato, entro il predetto termine deve essere  versata  la  prima
rata, la definizione resta sospesa sino al completo versamento  delle
ulteriori rate e  il  mancato  pagamento  di  una  di  queste,  entro
sessanta giorni dalla scadenza, comporta la decadenza dal  beneficio.
La definizione del contenzioso con le modalita' di cui al comma 732 e
al presente comma sospende gli eventuali procedimenti amministrativi,
nonche' i relativi effetti, avviati dalle amministrazioni competenti,
concernenti il rilascio  nonche'  la  sospensione,  la  revoca  o  la
decadenza della concessione demaniale marittima derivanti dal mancato
versamento del canone». 
    Se  e'  vero  che  il  contenuto  delle  disposizioni  ne  denota
inequivocabilmente  la  ratio  e  la  conseguente  appartenenza  alla
materia di  cui  all'art.  117,  secondo  comma,  lettera  l),  Cost.
«giurisdizione e norme processuali»  (il  meccanismo  introdotto  dal
legislatore  statale  si  articola,   infatti,   in   un'offerta   di
composizione  transattiva  del  contenzioso  esplicante  un   effetto
estintivo dei processi in corso), la Regione ha tuttavia motivato  in
modo esauriente la pretesa ridondanza della  violazione  dell'art.  3
Cost. sull'autonomia finanziaria regionale, garantita  dallo  statuto
speciale  e  dalle  norme  di  attuazione.  Il  legislatore  statale,
differenziando i beni demaniali regionali rispetto a quelli  statali,
avrebbe compromesso l'autonomia finanziaria della  Regione  autonoma,
privandola  della  possibilita'  di  beneficiare  del  meccanismo  di
definizione agevolata in esame e di conseguirne i  relativi  introiti
(ex plurimis, sentenze n. 13 del 2017 e n. 79 del 2014). 
    4.- Ai fini dello scrutinio di costituzionalita',  occorre,  poi,
distinguere,  nella  questione  sollevata,  due  diversi  profili  di
censura: il primo inerente ai beni demaniali  statali  gestiti  dalla
Regione; il secondo relativo a quelli di cui  la  Regione  stessa  e'
invece titolare. 
    In tale contesto e' utile ricordare come questa Corte abbia  gia'
chiarito che le potesta' di determinazione e riscossione  del  canone
per  la  concessione  di  aree  del  demanio  marittimo  seguono   la
titolarita' del bene e non quella della gestione (sentenze n. 94  del
2008 e  n.  286  del  2004).  Le  anzidette  potesta'  costituiscono,
infatti, espressione del potere di disporre (nei  limiti  in  cui  lo
consente la  natura  demaniale)  dei  propri  beni;  esse  «precedono
logicamente la  ripartizione  delle  competenze  ed  ineriscono  alla
capacita' giuridica dell'ente  secondo  i  principi  dell'ordinamento
civile» (sentenza n. 427 del 2004). Tale regola risulta con  evidenza
estensibile anche al diritto di credito e al potere  di  definire  il
giudizio concernente l'indennizzo per l'occupazione delle aree. 
    4.1.- Tanto premesso, la prima censura non e' fondata. 
    La norma impugnata, infatti, consente ai soggetti interessati  di
definire i procedimenti giudiziari pendenti,  relativi  al  pagamento
«in favore dello Stato» di canoni e indennizzi di  beni  del  demanio
marittimo statale - ivi  compresi  quelli  gestiti  dalla  Regione  -
tramite il versamento di una frazione della somma in contestazione. 
    Pertanto, con riguardo alla categoria dei beni demaniali  statali
gestiti dalla Regione la norma vigente  gia'  comprende  la  facolta'
degli interessati di pervenire alla definizione agevolata  in  favore
dello Stato: dal che  consegue  la  non  fondatezza  delle  doglianze
regionali anche in termini di rivendicazione dei pertinenti introiti. 
    4.2.- E' invece fondata, per contrasto con  l'art.  3  Cost.,  la
censura nei confronti  della  disposizione  suddetta  in  quanto  non
prevede  che  possano   essere   integralmente   definiti   anche   i
procedimenti giudiziari pendenti alla  data  del  30  settembre  2013
concernenti il pagamento in favore degli enti titolari diversi  dallo
Stato dei canoni e degli indennizzi per l'utilizzo dei beni demaniali
marittimi e delle relative pertinenze. 
    Proprio  la  natura  civilistica  e   processuale   della   norma
contestata ne comporta la necessaria uniformita' di applicazione alle
analoghe situazioni pendenti: cio' anche in ragione della sostanziale
omogeneita' degli interessi inerenti ai  concessionari  e  agli  enti
pubblici   potenziali   beneficiari   del   meccanismo    transattivo
precedentemente descritto. 
    Per quanto riguarda  il  nuovo  termine  di  presentazione  della
domanda di definizione, gia' fissato per  il  demanio  statale,  come
dianzi illustrato, al 28 febbraio 2014, e dunque pari  a  59  giorni,
esso deve intendersi - fermo restando il  requisito  temporale  della
pendenza della lite al 30 settembre 2013  -  di  uguale  durata,  con
decorrenza a far data dalla  pubblicazione  della  presente  sentenza
nella Gazzetta Ufficiale. 
    Rimane assorbita l'ulteriore questione sollevata  in  riferimento
agli artt. 48 e seguenti dello statuto speciale.