ha pronunciato la seguente 
 
                              ORDINANZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  30  della
legge della Regione  Emilia-Romagna  30  maggio  2016,  n.  9  (Legge
comunitaria regionale per il 2016), promosso dal Consiglio di  Stato,
sezione quarta, nel procedimento vertente tra la Provincia di  Reggio
Emilia e altro e Marisa Davoli e altri, con ordinanza del 25  gennaio
2017, iscritta al n. 48 del  registro  ordinanze  2017  e  pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  14,  prima   serie
speciale, dell'anno 2017. 
    Visti gli atti di costituzione di Marisa Davoli e altri, e  della
Regione Emilia-Romagna; 
    udito nella udienza  pubblica  del  20  giugno  2018  il  Giudice
relatore Daria de Pretis; 
    uditi gli avvocati  Giovan  Ludovico  della  Fontana  per  Marisa
Davoli e altri, e Giandomenico Falcon e Andrea Manzi per  la  Regione
Emilia-Romagna. 
    Ritenuto che con «sentenza» del 25 gennaio 2017, iscritta  al  n.
48 reg.  ord.  2017,  il  Consiglio  di  Stato,  sezione  quarta,  ha
sollevato questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 30 della
legge della Regione  Emilia-Romagna  30  maggio  2016,  n.  9  (Legge
comunitaria regionale per il 2016); 
    che le questioni sono sorte nel corso del giudizio sugli  appelli
proposti dalla Provincia di Reggio Emilia e dal Comune  di  Novellara
contro la sentenza del 29 febbraio 2016, con la  quale  il  Tribunale
amministrativo regionale per l'Emilia-Romagna,  sezione  staccata  di
Parma, ha  annullato  le  deliberazioni  del  Consiglio  comunale  di
Novellara dell'11  dicembre  2014  e  del  29  aprile  2015,  recanti
rispettivamente  l'adozione  e  l'approvazione  del  piano  operativo
comunale (POC) finalizzato alla realizzazione del "secondo  stralcio"
dell'opera  pubblica  consistente   nella   "Tangenziale   Nord"   di
Novellara, che erano stati impugnati dai proprietari di alcune  delle
aree interessate; 
    che secondo il TAR tali  provvedimenti,  avendo  rinnovato  sulle
aree un vincolo preordinato  all'espropriazione  gia'  reiterato  una
prima volta con una variante al piano regolatore generale e  decaduto
per decorso del termine quinquennale di durata,  violano  l'art.  13,
comma 3, della legge della Regione Emilia-Romagna 19  dicembre  2002,
n. 37 (Disposizioni regionali  in  materia  di  espropri),  alla  cui
stregua «[i]l vincolo decaduto puo' essere  motivatamente  reiterato,
per una sola volta [...]»; 
    che ad avviso del Consiglio di Stato, tuttavia, sulla definizione
del giudizio d'appello influisce la disposizione dell'art.  30  legge
reg. Emilia-Romagna n. 9 del 2016, sopravvenuta alla pronuncia  della
sentenza  impugnata,  la  quale,   sotto   la   rubrica   «Norma   di
interpretazione autentica dell'articolo  13,  comma  3,  della  legge
regionale n. 37 del 2002», prevede  quanto  segue:  «1.  Il  comma  3
dell'articolo 13 della  legge  regionale  19  dicembre  2002,  n.  37
(Disposizioni regionali in materia di  espropri)  si  interpreta  nel
senso che, fermo restando l'obbligo di puntuale motivazione,  nonche'
della  corresponsione  al   proprietario   dell'indennita'   di   cui
all'articolo 39 del decreto del Presidente della Repubblica 8  giugno
2001,  n.  327  (Testo  unico  delle   disposizioni   legislative   e
regolamentari in materia di  espropriazione  per  pubblica  utilita'.
(Testo A)), il divieto di reiterare piu'  di  una  volta  il  vincolo
espropriativo decaduto non trova applicazione per il completamento di
opere pubbliche o di interesse pubblico lineari la cui  progettazione
preveda la realizzazione per lotti o stralci funzionali,  secondo  la
normativa vigente»; 
    che, ai fini della rilevanza, il giudice a quo respinge tutte  le
eccezioni di rito sollevate dall'appellante, attinenti alla  nullita'
o inesistenza delle notificazioni dei motivi aggiunti di primo grado,
alla mancata integrazione del  contraddittorio  nei  confronti  della
Provincia di Reggio Emilia, alla violazione del principio ne  bis  in
idem con riferimento a una precedente sentenza del TAR, alla  mancata
notifica  del  ricorso  introduttivo  a  un  controinteressato,  alla
nullita'  della  medesima  notifica  per  carenza   di   potere   del
procuratore dei ricorrenti e, infine, alla tardivita' sia del ricorso
che dei motivi aggiunti di primo grado; 
    che, sempre ai fini della rilevanza, il rimettente esamina  anche
le ragioni addotte dagli appellati sull'inapplicabilita' della  norma
censurata alla fattispecie in giudizio per la  mancanza  sia  di  una
«progettazione» alla base della suddivisione in lotti  del  tracciato
dell'opera, che sarebbe stabilita invece dal POC, sia, in ogni  caso,
di «lotti o stralci funzionali, secondo  la  normativa  vigente»,  in
quanto la suddivisione sarebbe stata imposta da  ragioni  pratiche  e
contingenti, senza stralci dotati di autonomia funzionale rispetto  a
un'opera concepita e da realizzare unitariamente; 
    che, ad avviso del rimettente, il primo  rilievo  non  troverebbe
conferma nei documenti prodotti in giudizio,  dai  quali  emergerebbe
invece che la suddivisione in stralci funzionali fu approvata da  una
specifica deliberazione della Giunta  comunale;  quanto  al  secondo,
l'autonomia funzionale dei  singoli  stralci  nei  quali  per  prassi
diffusa vengono  frazionate  le  opere  stradali  sarebbe  assicurata
dall'immediata fruibilita' per l'utenza di quelli gia' realizzati,  a
prescindere  dalle  ragioni  piu'  o  meno  contingenti  che  possano
determinare il frazionamento; 
    che l'art. 30 legge reg. Emilia-Romagna n. 9 del 2016 violerebbe,
secondo il Consiglio di Stato, gli artt. 3, 24 e  117,  primo  comma,
della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art.  6,  paragrafo
1, della Convenzione per la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e
delle liberta' fondamentali (CEDU), firmata  a  Roma  il  4  novembre
1950, ratificata e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848; 
    che la disposizione censurata, pur qualificandosi come  norma  di
interpretazione  autentica  dell'art.  13,  comma   3,   legge   reg.
Emilia-Romagna n. 37 del 2002, non avrebbe  tale  natura,  in  quanto
sull'ampiezza  del  divieto  di  reiterazione  plurima  dei   vincoli
espropriativi decaduti posto dal citato art. 13, comma 3, non sarebbe
mai esistita oggettiva incertezza; 
    che, in particolare, nessun dubbio o contrasto  sarebbe  insorto,
ne' durante il giudizio a quo, ne' «in altre sedi applicative», sulla
riferibilita' del divieto anche alle  opere  pubbliche  suddivise  in
lotti o stralci funzionali: per un verso, infatti,  non  si  potrebbe
sostenere che la deroga al divieto di reiterazione esistesse in  nuce
gia' nella norma anteriore solo perche' nel suo testo legislativo  si
parla di «un'opera», dal momento  che  anche  un  «lotto  funzionale»
costituirebbe un oggetto unitario dell'appalto; ne', per altro verso,
il «problema ermeneutico»  deriverebbe  dall'impossibilita',  ove  si
applicasse il divieto, di realizzare opere  suddivise  in  stralci  o
lotti, «essendo  banale  osservare  che  e'  sufficiente  un'adeguata
programmazione degli interventi per rispettare i tempi  (dieci  anni)
imposti dal divieto di reiterazione dei vincoli [...]»; 
    che,   sulla   base    di    un'interpretazione    letterale    e
logico-sistematica, dunque, la decisione di escludere dal divieto  le
opere  suddivise  in  lotti  o  stralci,  «se  anche  ragionevole   e
giustificata»,   sarebbe   da   ricondurre   per   la   prima   volta
all'intervento legislativo del 2016 e non alla norma anteriore; 
    che la natura innovativa dell'art. 30 legge  reg.  Emilia-Romagna
n. 9 del 2016 renderebbe peraltro inapplicabile la disposizione  alla
fattispecie, sorta in precedenza, dedotta nel giudizio a quo, sicche'
l'autoqualificazione della norma come  di  interpretazione  autentica
darebbe  evidenza  alla  volonta'  del  legislatore   di   assegnarle
nondimeno portata retroattiva; 
    che, cio' premesso,  il  rimettente  richiama  la  giurisprudenza
della Corte europea dei diritti  dell'uomo  e  di  questa  Corte  sui
limiti  all'introduzione  di  disposizioni  retroattive  in   materia
civile, rilevando che i principi della preminenza del diritto  e  del
processo equo ex art. 6,  paragrafo  1,  CEDU  ostano,  salvi  motivi
imperativi  di   interesse   generale,   all'ingerenza   del   potere
legislativo  nell'amministrazione  della   giustizia   al   fine   di
influenzare l'esito giudiziario di una controversia;  e  ricorda,  in
particolare, la giurisprudenza costituzionale sull'illegittimita'  di
disposizioni  che,  pur  qualificandosi   come   di   interpretazione
autentica,  introducono  con  valore  retroattivo  regole  innovative
destinate a incidere su rapporti giuridici maturati e consolidati  da
tempo o a influenzare situazioni processuali  altrimenti  indirizzate
in modo diverso; 
    che,  ad  avviso  del  rimettente,  pur  essendo   «evidente   il
potenziale e irriducibile conflitto» fra il diritto di proprieta' dei
ricorrenti in primo grado («a sua volta oggetto di incisiva tutela  a
livello CEDU») e l'interesse  pubblico  al  completamento  dell'opera
(alla cui cura chiaramente si ispirerebbe la disposizione censurata),
sarebbe «arduo pero' ricavare l'evidente  sussistenza  di  un  motivo
imperativo di interesse generale che autorizzi il varo di  una  norma
destinata a incidere, con effetto ex tunc, su un  giudizio  in  corso
come   quello   presente»,   dovendo   pertanto    «essere    rimessa
esclusivamente alla Corte costituzionale la valutazione in ordine non
solo  alla  compatibilita'»  tra  la  norma  censurata  e  l'art.  6,
paragrafo 1, CEDU, «ma anche - una volta verificato il conflitto  tra
le due fonti - a  quale  delle  due  debba  effettivamente  prevalere
[...]»; 
    che con atto depositato in cancelleria il 12 aprile 2017 si  sono
costituiti  in  giudizio  gli  appellati  nel  processo   principale,
proprietari delle aree interessate dal vincolo,  concludendo  per  la
dichiarazione di illegittimita' della  norma  censurata,  sempre  che
essa «non si interpreti nel senso di escludere dal divieto di  doppia
reiterazione del vincolo espropriativo decaduto,  previsto  dall'art.
13 della L.R. n. 37/2001 [recte: n. 37/2002], gli stralci  dell'opera
su cui il vincolo non venga in effetti reiterato piu' di una volta»; 
    che,  secondo  le   parti   private,   l'art.   30   legge   reg.
Emilia-Romagna n. 9 del 2016  avrebbe  inteso  chiarire  che,  quando
l'amministrazione reitera per la prima volta il vincolo espropriativo
solo per uno o solo per alcuni degli  stralci  in  cui  e'  suddivisa
l'opera lineare, il  divieto  di  reiterazione  ulteriore  non  trova
applicazione per il  completamento  dell'opera  negli  altri  stralci
funzionali; 
    che qualora invece il vincolo  fosse  gia'  stato  rinnovato  una
prima volta su tutto il tracciato  dell'opera  lineare  suddivisa  in
stralci, non potrebbe essere reiterato una seconda  volta  su  alcune
delle  aree  ricomprese  nel  tracciato:  questa  sarebbe   l'ipotesi
verificatasi nel caso concreto, in violazione  dunque  dell'art.  13,
comma 3, legge  reg.  Emilia-Romagna  n.  37  del  2002,  anche  come
interpretato dalla norma sopravvenuta; 
    che, diversamente, la norma censurata violerebbe, in primo luogo,
il principio di uguaglianza ex art. 3 Cost., in quanto  introdurrebbe
un'illogica disparita' di trattamento fra i proprietari a seconda che
le loro aree siano interessate da opere destinate a una realizzazione
unitaria, che beneficerebbero del divieto di reiterazione plurima del
vincolo espropriativo decaduto, o opere progettate  per  stralci,  in
relazione alle quali il divieto non sarebbe applicabile; 
    che, nel resto, le parti  private  aderiscono  alle  ragioni  del
rimettente in ordine sia alla natura innovativa e non  interpretativa
della  norma,  sia  alla  sua  interferenza  con  l'esercizio   della
giurisdizione; 
    che con atto depositato in cancelleria il 26 aprile  2017  si  e'
costituita in giudizio la Regione Emilia-Romagna, che ha concluso per
l'inammissibilita' o l'infondatezza delle questioni; 
    che,  in  primo  luogo,  la  Regione  osserva  che  le  questioni
dovrebbero essere circoscritte alla parte della  norma  censurata  in
cui essa, qualificandosi in  termini  di  interpretazione  autentica,
opera retroattivamente, restando salvo il suo contenuto precettivo di
carattere generale, applicabile per il futuro  a  tutti  i  possibili
casi che dovessero verificarsi: sarebbero dunque esclusi  dall'ambito
delle questioni i profili relativi al conflitto  tra  il  diritto  di
proprieta'  dei  singoli  e  l'interesse  pubblico  al  completamento
dell'opera, ai quali il rimettente accennerebbe «quasi di  sfuggita»,
omettendo  di  indicare  quali  parametri  costituzionali   sarebbero
violati e per quali ragioni; 
    che, in  secondo  luogo,  sarebbero  inammissibili  le  questioni
sollevate in riferimento agli artt. 3 e  24  Cost.,  in  mancanza  di
censure articolate sulla base di tali parametri,  la  cui  violazione
appare invocata genericamente; 
    che  sarebbe  inammissibile  anche  la  questione  sollevata   in
riferimento  all'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  in  relazione  al
parametro interposto dell'art. 6 CEDU, per non avere il giudice a quo
analizzato il bilanciamento operato in concreto dalla norma censurata
e per non aver adeguatamente motivato in ordine agli asseriti profili
di illegittimita'; 
    che il rimettente si sarebbe limitato ad affermare  il  principio
astratto, ovvio e condivisibile, in base al  quale  la  verifica  del
bilanciamento di ragionevolezza delle scelte legislative  spetta,  da
ultimo, alla Corte costituzionale, e avrebbe omesso  di  indicare  le
ragioni che in concreto lo avrebbero indotto a ritenere irragionevole
la scelta  normativa  nel  caso  specifico;  avrebbe  cosi'  delegato
l'intera valutazione alla Corte, senza prendere posizione nemmeno  su
quella che, a suo avviso, dovrebbe essere la soluzione prima facie di
tale bilanciamento; 
    che, nel merito, la norma censurata non  avrebbe  natura  di  ius
singulare,  non  riferendosi  a  una  specifica  controversia   o   a
controversie in corso e  neppure  nominando  la  vicenda  processuale
pendente davanti al Consiglio di Stato: si tratterebbe,  come  visto,
di una norma generale e astratta, destinata a  ulteriori  e  numerose
applicazioni, avendo ad oggetto  tutte  le  opere  pubbliche  lineari
realizzabili a stralci, come strade, autostrade e ferrovie; 
    che  il  fatto  che  la  disposizione,  per  il   suo   carattere
interpretativo, sia applicabile anche nel giudizio in  corso  davanti
al rimettente non violerebbe il principio del processo equo ex art. 6
CEDU, in quanto la parte che la "subisce" avrebbe la  piena  facolta'
di eccepirne l'eventuale lesivita'  sotto  il  profilo  della  tutela
apprestata dall'art. 42 Cost. e dal Protocollo addizionale alla  CEDU
al diritto sostanziale di proprieta', mentre il giudice  chiamato  ad
applicarla  avrebbe  il   potere   di   valutarne   la   legittimita'
costituzionale sotto il  medesimo  profilo,  sollevando  la  relativa
questione (sono citate le sentenze n. 214 del 2016, n. 15 del 2012  e
n. 419 del 2000); 
    che la Regione Emilia-Romagna ritiene inoltre di non essere parte
del giudizio a quo, in cui, come rilevato  dallo  stesso  rimettente,
non si controverte di provvedimenti amministrativi regionali, sicche'
il  richiamo  al  principio  di  "parita'  delle  armi"  non  sarebbe
pertinente;  anche  sotto  questo   aspetto,   dunque,   l'intervento
legislativo  regionale  non  costituirebbe   una   interferenza   nel
processo; 
    che gli appellati nel processo principale  hanno  depositato  una
memoria in prossimita' dell'udienza, chiedendo che, alla  luce  della
sopravvenuta abrogazione della norma censurata ad opera dell'art.  7,
comma 1, della legge della Regione Emilia-Romagna 1° agosto 2017,  n.
18  (Disposizioni  collegate  alla  legge  di  assestamento  e  prima
variazione  generale  al  bilancio  di   previsione   della   Regione
Emilia-Romagna 2017-2019), venga disposta la restituzione degli  atti
al giudice rimettente per una nuova valutazione sulla rilevanza delle
questioni; 
    che gli stessi deducono, per il caso in cui non venisse  disposta
la restituzione degli atti, che la disposizione censurata non sarebbe
piu' applicabile nel giudizio a quo, avente ad oggetto  provvedimenti
amministrativi adottati prima della sua entrata in vigore, e cio'  in
osservanza dell'orientamento della Corte di cassazione secondo cui la
norma che abroga una norma interpretativa assolverebbe a una funzione
«latamente interpretativa», sicche' presenterebbe  anch'essa  analogo
effetto retroattivo; 
    che, inoltre, la stessa legge reg. Emilia-Romagna n. 18 del 2017,
all'art. 5, modificherebbe con effetto ex nunc il testo dell'art.  13
legge reg. Emilia-Romagna n. 37 del 2002, inserendo dopo il comma 3 i
nuovi commi 3-bis e 3-ter, che  disciplinano  ora  la  materia  della
reiterazione  plurima  dei  vincoli  espropriativi  decaduti  per  il
completamento delle  opere  lineari  suddivise  in  stralci  o  lotti
funzionali,  ma  la  disposizione,  non  essendo  di  interpretazione
autentica del citato art. 13, non sarebbe applicabile nel giudizio  a
quo, in base al principio tempus regit actum; 
    che,  replicando  alle  eccezioni  e  deduzioni  difensive  della
Regione Emilia-Romagna, gli  appellati  osservano  che  le  questioni
appaiono ben motivate dal rimettente e che il  thema  decidendum  del
giudizio  costituzionale   non   sarebbe   circoscritto   alla   sola
retroattivita' della norma censurata;  nel  merito,  ribadiscono  che
quest'ultima dovrebbe essere interpretata  nel  senso  da  essi  gia'
proposto in via principale  e  in  subordine  richiamano  le  ragioni
svolte a  sostegno  della  fondatezza  delle  questioni,  contestando
l'assunto dell'interveniente secondo il  quale  la  norma  censurata,
avendo natura generale e astratta, non interferirebbe  nell'esercizio
della giurisdizione,  trattandosi  invece  di  disposizione  ad  hoc,
confezionata per un solo giudizio; 
    che anche la Regione Emilia-Romagna ha depositato una memoria  in
prossimita' dell'udienza, in cui chiede a  sua  volta  che  gli  atti
siano restituiti al giudice rimettente, dando atto della sopravvenuta
abrogazione  della  norma  censurata  e  del  mutamento  del   quadro
normativo e osservando che la restituzione degli atti per  una  nuova
valutazione sulla rilevanza delle questioni dovrebbe essere  disposta
in quanto il vincolo interpretativo non opererebbe piu'  nemmeno  nel
processo   principale,   ratione   temporis,   considerato   che    i
provvedimenti impugnati di  fronte  al  giudice  amministrativo  sono
stati adottati prima della legge reg. Emilia-Romagna n. 9  del  2016;
nel merito, contesta ancora la fondatezza dell'interpretazione  della
norma  censurata   offerta   dagli   appellati,   soffermandosi   sui
paradossali risultati cui essa condurrebbe, consentendo che,  durante
l'esecuzione dell'opera lineare, per una parte del tracciato  possano
essere assunte scelte incompatibili con le altre parti  dello  stesso
tracciato. 
    Considerato che il Consiglio di  Stato,  sezione  quarta,  dubita
della legittimita' costituzionale  dell'art.  30  della  legge  della
Regione Emilia-Romagna  30  maggio  2016,  n.  9  (Legge  comunitaria
regionale  per  il  2016),  che,   sotto   la   rubrica   «Norma   di
interpretazione autentica dell'articolo  13,  comma  3,  della  legge
regionale n. 37 del 2002», prevede  quanto  segue:  «1.  Il  comma  3
dell'articolo 13 della  legge  regionale  19  dicembre  2002,  n.  37
(Disposizioni regionali in materia di  espropri)  si  interpreta  nel
senso che, fermo restando l'obbligo di puntuale motivazione,  nonche'
della  corresponsione  al   proprietario   dell'indennita'   di   cui
all'articolo 39 del decreto del Presidente della Repubblica 8  giugno
2001,  n.  327  (Testo  unico  delle   disposizioni   legislative   e
regolamentari in materia di  espropriazione  per  pubblica  utilita'.
(Testo A)), il divieto di reiterare piu'  di  una  volta  il  vincolo
espropriativo decaduto non trova applicazione per il completamento di
opere pubbliche o di interesse pubblico lineari la cui  progettazione
preveda la realizzazione per lotti o stralci funzionali,  secondo  la
normativa vigente»; 
    che le questioni sono sorte nel corso del giudizio sugli  appelli
proposti dalla Provincia di Reggio Emilia e dal Comune  di  Novellara
contro la sentenza con la quale il Tribunale amministrativo regionale
per l'Emilia-Romagna, sezione staccata  di  Parma,  ha  annullato  le
deliberazioni del Consiglio comunale di Novellara recanti  l'adozione
e l'approvazione del piano operativo comunale (POC) finalizzato  alla
realizzazione del "secondo stralcio" dell'opera pubblica  consistente
nella "Tangenziale Nord" di Novellara, che erano stati impugnati  dai
proprietari di alcune delle aree interessate; 
    che secondo il TAR tali  provvedimenti,  avendo  rinnovato  sulle
aree un vincolo preordinato  all'espropriazione  gia'  reiterato  una
prima volta con una variante al piano regolatore generale e  decaduto
per decorso del termine quinquennale di durata,  violano  l'art.  13,
comma 3, della legge della Regione Emilia-Romagna 19  dicembre  2002,
n. 37 (Disposizioni regionali  in  materia  di  espropri),  alla  cui
stregua «[i]l vincolo decaduto puo' essere  motivatamente  reiterato,
per una sola volta [...]»; 
    che, ad avviso del Consiglio  di  Stato,  sulla  definizione  del
giudizio d'appello influisce  la  citata  disposizione  dell'art.  30
legge reg. Emilia-Romagna n. 9 del 2016, sopravvenuta alla  pronuncia
della sentenza impugnata, la quale violerebbe, tuttavia, gli artt. 3,
24 e 117, primo comma, della Costituzione, quest'ultimo in  relazione
all'art. 6, paragrafo 1, della Convenzione per  la  salvaguardia  dei
diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali  (CEDU),  firmata  a
Roma il 4 novembre 1950, ratificata e  resa  esecutiva  con  legge  4
agosto 1955, n. 848, in quanto,  pur  qualificandosi  come  norma  di
interpretazione autentica, sarebbe una norma innovativa con efficacia
retroattiva destinata a influenzare, in assenza di motivi  imperativi
di interesse generale, l'esito giudiziario di  una  controversia,  in
violazione dei principi della preminenza del diritto e  del  processo
equo; 
    che sull'ampiezza del divieto di reiterazione plurima dei vincoli
espropriativi decaduti, posto dal citato art. 13, comma 3, legge reg.
Emilia-Romagna n. 37 del 2002, non  sarebbe  mai  esistita  oggettiva
incertezza, nessun dubbio o contrasto essendo insorto, ne' durante il
giudizio a quo, ne' «in altre sedi applicative», sulla  riferibilita'
del divieto anche alle opere pubbliche suddivise in lotti  o  stralci
funzionali; 
    che la norma censurata, pertanto, avrebbe introdotto  una  regola
retroattiva destinata a influenzare l'esito di un giudizio in  corso,
determinando     un'ingerenza     della     funzione      legislativa
nell'amministrazione della  giustizia  che  non  troverebbe  adeguata
giustificazione nell'esigenza di tutelare principi, diritti e beni di
rilievo costituzionale, costituenti altrettanti motivi imperativi  di
interesse generale ai sensi della giurisprudenza della Corte  europea
dei diritti dell'uomo; 
    che, in pendenza del giudizio  costituzionale,  l'art.  30  legge
reg. Emilia-Romagna n. 9 del 2016  e'  stato  espressamente  abrogato
dall'art. 7, comma 1, della legge  della  stessa  Regione  1°  agosto
2017, n. 18 (Disposizioni collegate  alla  legge  di  assestamento  e
prima variazione generale al bilancio  di  previsione  della  Regione
Emilia-Romagna 2017-2019); 
    che la legge reg. Emilia-Romagna n. 18 del 2017, all'art.  5,  ha
anche modificato l'art. 13 legge reg. Emilia Romagna n. 37  del  2002
(il cui comma 3, sul divieto  di  reiterazione  plurima  del  vincolo
espropriativo decaduto, e' la  disposizione  interpretata  da  quella
censurata), aggiungendovi i commi 3-bis e 3-ter, del seguente tenore:
«3-bis. Il  divieto  di  reiterare  piu'  di  una  volta  il  vincolo
espropriativo decaduto non trova applicazione per il completamento di
opere pubbliche o di interesse pubblico lineari la cui  progettazione
preveda la realizzazione per lotti o stralci funzionali,  secondo  la
normativa vigente, fermo restando l'obbligo di  puntuale  motivazione
del provvedimento che dispone la reiterazione del vincolo, nonche' la
corresponsione al proprietario dell'indennita' di cui all'articolo 39
del decreto del Presidente della Repubblica 8  giugno  2001,  n.  327
(Testo  unico  delle  disposizioni  legislative  e  regolamentari  in
materia di espropriazione per pubblica utilita' (Testo A))»;  «3-ter.
Resta salva la possibilita' di una nuova programmazione che  assicuri
il completamento delle opere di cui al comma 3-bis»; 
    che, inoltre, l'art. 6 della stessa legge regionale sopravvenuta,
rubricato  «Disposizioni  in  materia  di  reiterazione  dei  vincoli
espropriativi decaduti», ha disposto, al comma  1,  che  «[i]l  comma
3-bis dell'articolo 13 della legge regionale n.  37  del  2002  trova
immediata  applicazione  ai  procedimenti  espropriativi  non  ancora
definiti alla data di entrata in vigore della presente legge»; 
    che, dunque, lo ius superveniens, da  un  lato,  ha  abrogato  la
censurata norma di interpretazione autentica dell'art. 13,  comma  3,
legge reg. Emilia-Romagna n. 37  del  2002  e,  dall'altro  lato,  ha
introdotto nello stesso art. 13 una deroga alla regola  generale  del
comma  3,  sul  divieto   di   reiterazione   plurima   del   vincolo
espropriativo decaduto, avente un  contenuto  precettivo  identico  a
quello che il legislatore regionale aveva voluto imporre  in  via  di
interpretazione della regola generale,  consentendo  la  reiterazione
plurima del  vincolo  solo  «[...]  per  il  completamento  di  opere
pubbliche o  di  interesse  pubblico  lineari  la  cui  progettazione
preveda la realizzazione per lotti o stralci funzionali,  secondo  la
normativa vigente, fermo restando l'obbligo di  puntuale  motivazione
del provvedimento che dispone la reiterazione del vincolo, nonche' la
corresponsione al proprietario dell'indennita' di cui all'articolo 39
del decreto del Presidente della Repubblica 8  giugno  2001,  n.  327
[...]»; 
    che,  nel  contempo,   la   norma   derogatoria   e'   dichiarata
immediatamente applicabile «ai procedimenti espropriativi non  ancora
definiti» alla data di entrata in  vigore  della  stessa  legge  reg.
Emilia-Romagna n. 18 del  2017,  ma  tale  previsione  di  «immediata
applicazione», pur consentendo di  reiterare  piu'  di  una  volta  i
vincoli decaduti anche nei procedimenti espropriativi  in  corso,  al
fine di completare opere pubbliche o di interesse pubblico lineari la
cui progettazione  preveda  la  realizzazione  per  lotti  o  stralci
funzionali, opera  solo  per  l'avvenire  in  ossequio  al  principio
generale di cui all'art. 11 delle preleggi; 
    che, a fronte di questo ius superveniens, si  impone  il  riesame
della perdurante rilevanza delle questioni da parte  del  rimettente,
al quale compete di valutare se la fattispecie dedotta nel giudizio a
quo continui a essere regolata dalla norma che,  a  suo  avviso,  gli
prescrive  di  considerare  legittima  la  reiterazione  plurima  del
vincolo espropriativo decaduto; 
    che  va  disposta,  pertanto,  la  restituzione  degli  atti   al
rimettente per una nuova valutazione della rilevanza delle  questioni
sollevate, alla  luce  del  mutato  quadro  normativo  (ex  plurimis,
ordinanze n. 266 del 2015, n. 253 del 2014, n. 316 del 2012, n. 268 e
n. 12 del 2011, n. 458 del 2006).