ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  degli  artt.  4;  7,
commi da 5 a 14 e 18; e 11 della legge della Regione Molise 24 maggio
2022, n. 8 (Legge di stabilita' regionale anno  2022),  promosso  dal
Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso  notificato  il  25
luglio 2022, depositato in cancelleria il 28 luglio 2022, iscritto al
n. 51 del registro ricorsi 2022 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale
della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 2022. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione Molise; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  18  aprile  2023  il  Giudice
relatore Francesco Vigano'; 
    uditi l'avvocato dello Stato Alfonso Peluso per il Presidente del
Consiglio dei ministri e l'avvocato Claudia Angiolini per la  Regione
Molise; 
    deliberato nella camera di consiglio del 18 aprile 2023. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato il 25 luglio 2022 e depositato  il  28
luglio 2022 (reg. ric. n. 51 del 2022), il Presidente  del  Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, ha impugnato gli artt. 4; 7, commi da 5 a 14 e 18; e 11  della
legge della Regione Molise 24 maggio 2022, n. 8 (Legge di  stabilita'
regionale anno 2022). 
    1.1.- Il ricorrente lamenta  in  primo  luogo  il  contrasto  fra
l'art. 4 della legge regionale impugnata e gli artt. 97 e 117,  terzo
comma, della Costituzione, quest'ultimo  in  relazione  all'art.  14,
comma 5, del decreto legislativo 19  agosto  2016,  n.  175,  recante
«Testo unico in materia di societa' a  partecipazione  pubblica»  (di
seguito: TUSP), assunto quale norma interposta in  quanto  espressivo
di un  principio  fondamentale  della  materia  «coordinamento  della
finanza pubblica». 
    Ad avviso del ricorrente, la disposizione impugnata, autorizzando
lo stanziamento di 100.000 euro per il completamento della  procedura
di scioglimento della societa' Sviluppo della Montagna Molisana  spa,
di cui la Regione e'  unico  socio,  determinerebbe  da  parte  della
Regione stessa «un sostanziale accollo dei debiti» della procedura di
liquidazione della societa', violando cosi' il principio del  divieto
di soccorso finanziario di cui all'art. 14, comma 5, TUSP, nonche' il
principio di buon andamento della  pubblica  amministrazione  di  cui
all'art. 97 Cost. 
    Dopo aver ricordato che l'art.  2325,  primo  comma,  del  codice
civile dispone che «[n]ella societa' per azioni per  le  obbligazioni
sociali risponde soltanto la societa' con il suo patrimonio»,  e  che
la scelta della pubblica amministrazione di acquisire  partecipazioni
in societa'  private  implica  il  suo  assoggettamento  alle  regole
proprie  della  forma  giuridica  prescelta  (e'  citata   Corte   di
cassazione, sezioni  unite  civili,  sentenza  27  ottobre  2009,  n.
26806), il ricorrente svolge un esteso esame degli orientamenti della
Corte dei conti in materia di divieto di "soccorso finanziario". 
    Rammenta innanzi tutto l'Avvocatura generale dello Stato  che  la
ratio del principio di cui all'art.  14,  comma  5,  TUSP,  e'  stata
individuata dai giudici contabili nella necessita' di abbandonare  la
logica del «salvataggio a tutti i costi» di societa' che  versano  in
situazione  di  dissesto,  ponendo  «un  freno  alla  prassi,   ormai
consolidata, seguita dagli enti pubblici e in particolare dagli  enti
locali, di procedere a ricapitalizzazioni e  ad  altri  trasferimenti
straordinari per coprire le perdite strutturali (tali  da  minacciare
la continuita' aziendale)» (e' citata, sul punto,  Corte  dei  conti,
sezione regionale di controllo per l'Abruzzo,  deliberazione  del  21
ottobre 2015, n. 279/2015/PAR). La disposizione in esame stabilirebbe
dunque  «un  generale  divieto  di  disporre,  a  qualsiasi   titolo,
erogazioni finanziarie "a fondo perduto" in  favore  di  societa'  in
grave   situazione   deficitaria,   relegando   l'ammissibilita'   di
trasferimenti  straordinari  ad  ipotesi  derogatoria  e   residuale,
percorribile con finalita' di risanamento aziendale  e  per  il  solo
perseguimento di esigenze pubblicistiche di  conclamato  rilievo,  in
quanto sottendenti  prestazioni  di  servizi  di  interesse  generale
ovvero la realizzazione  di  programmi  di  investimenti  affidati  e
regolati convenzionalmente, secondo prospettive di  continuita'»  (e'
citata Corte dei conti, sezione regionale di controllo per il  Lazio,
deliberazione del 17 ottobre 2018, n. 66/2018/PAR). 
    Nei confronti delle societa'  in  liquidazione,  in  particolare,
sussisterebbe,  un  «divieto  assoluto  di  "soccorso  finanziario"»,
poiche' «[t]enuto conto della particolare fase della vita sociale che
la liquidazione rappresenta, infatti, l'apporto finanziario richiesto
al socio e' in re ipsa destituito delle finalita' proprie di duraturo
riequilibrio strutturale, venendo  piuttosto  a  tradursi  sul  piano
sostanziale in un accollo delle passivita' societarie,  con  rinuncia
implicita al beneficio della ordinaria limitazione di responsabilita'
connessa alla separazione patrimoniale, al solo e  circoscritto  fine
di consentire il fisiologico espletamento della fase di chiusura». La
Corte dei conti ha infatti piu' volte affermato che  «il  divieto  di
soccorso  finanziario  opera  anche  per   le   societa'   poste   in
liquidazione, le quali, proprio perche' rimangono in  vita  senza  la
possibilita'   di   intraprendere   nuove    operazioni    rientranti
nell'oggetto sociale,  ma  al  solo  fine  di  risolvere  i  rapporti
finanziari e patrimoniali pendenti,  compresi  quelli  relativi  alla
ripartizione proporzionale tra i soci dell'eventuale patrimonio netto
risultante all'esito della procedura, non possono,  per  definizione,
prospettare alcuna possibilita'  di  recupero  o  risanamento»  (sono
richiamate numerose deliberazioni, tra  cui,  fra  le  piu'  recenti,
Corte dei  conti,  sezione  regionale  di  controllo  per  il  Lazio,
deliberazione del 28 febbraio 2019, n. 1/2019/PAR). 
    Ritiene   peraltro   il   ricorrente   che,   «[n]ella   medesima
prospettiva», secondo la Corte dei conti,  «un  intervento  volto  ad
assumere debiti della  partecipata  in  liquidazione  [debba]  essere
supportato da una congrua e  analitica  motivazione  in  ordine  alle
sottostanti  ragioni  di  razionalita',   convenienza   economica   e
sostenibilita'  finanziaria   che   lo   possano   eventualmente   ed
esaustivamente giustificare» (e'  citata  Corte  dei  conti,  sezione
regionale di controllo per la  Puglia,  deliberazione  del  9  maggio
2019, n. 47/2019/PAR). 
    L'Avvocatura generale dello  Stato  ritiene  conclusivamente  che
l'assunzione di debiti di una societa' partecipata da parte dell'ente
pubblico  sarebbe  possibile  «solo  in  presenza  di  un  prevalente
interesse pubblico». Nel caso di specie, un simile interesse pubblico
non sarebbe ravvisabile, atteso che l'art. 4 della legge reg.  Molise
n. 8 del 2022 «si  limita  a  prevedere  uno  stanziamento  utile  al
soddisfo dei creditori della gestione liquidatoria e  alla  riduzione
del numero degli  organismi  partecipati»,  cio'  che  determinerebbe
l'illegittimita' costituzionale della disposizione impugnata. 
    1.2.- Sono poi impugnati i commi da  5  a  14  dell'art.  7,  per
contrasto con l'art. 81, comma terzo, Cost. 
    La disposizione, dopo aver stabilito al comma 5  che  la  Regione
«promuove, organizza e indirizza la formazione e la diffusione  della
cultura di protezione civile in tutto  il  territorio  regionale  con
l'aggiornamento  continuo  del  personale  tecnico  e  amministrativo
impegnato istituzionalmente  nel  settore  della  protezione  civile,
degli   amministratori   locali,   nonche'   dei   volontari    delle
organizzazioni  iscritte  nell'Elenco  territoriale   regionale   del
volontariato di protezione civile», istituisce, al comma 6, la Scuola
regionale di protezione civile. 
    I commi successivi prevedono che  la  Scuola  svolga  le  proprie
attivita'  formative  presso  la  sede  del  Servizio  regionale   di
protezione civile di Campochiaro e  presso  i  locali  del  Consiglio
regionale (comma 7), disciplinano  il  comitato  tecnico  scientifico
della Scuola (commi da 8 a 12) e individuano i compiti  della  stessa
(commi 13 e 14). In particolare, il comma 13 dell'art.  7  stabilisce
che  la  Scuola  regionale  di  protezione  civile  «a)  promuove   e
organizza, anche mediante l'eventuale coinvolgimento, previa intesa e
a titolo gratuito, del corpo nazionale dei vigili del fuoco  o  anche
delle  strutture  operative  e  dei  soggetti  concorrenti   di   cui
all'articolo 13 del decreto legislativo n. 1/2018, percorsi formativi
per la preparazione, l'aggiornamento, l'addestramento, la  formazione
specialistica   nelle   materie    della    protezione    civile    e
dell'emergenza», nonche' «b) promuove la diffusione della cultura  di
protezione civile, la  sensibilizzazione  e  l'educazione  civica  in
materia  di  protezione   civile,   portando   a   conoscenza   della
collettivita',  degli  enti  pubblici  e  privati   e   dei   tecnici
interessati,  i  comportamenti  necessari  per  mitigare  i   rischi,
affrontare i medesimi, porre in essere  misure  di  autoprotezione  e
ridurne gli effetti dannosi». 
    Ai  sensi  del  comma  14,  infine,  «[i]  compiti  della  Scuola
regionale di protezione civile e  del  Comitato  tecnico  scientifico
sono  specificati  con  delibera  dell'Ufficio  di   Presidenza   del
Consiglio regionale entro  novanta  giorni  dall'entrata  in  vigore»
della legge. 
    Il ricorrente ritiene che le  disposizioni  in  esame  comportino
nuovi e maggiori oneri non  quantificati,  a  fronte  dei  quali  non
sarebbe indicata la correlata fonte di finanziamento. 
    Le disposizioni impugnate si porrebbero pertanto in contrasto con
l'art. 81, terzo comma, Cost.,  che,  ricorda  l'Avvocatura  generale
dello Stato, richiede che la copertura di nuove spese sia «credibile,
sufficientemente  sicura,  non  arbitraria   o   irrazionale   e   in
equilibrato rapporto con  la  spesa  che  si  intende  effettuare  in
esercizi futuri». 
    1.3.- Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna,  inoltre,
l'art. 7, comma 18, «per violazione dell'art. 3 della Costituzione  e
del principio di  ragionevolezza»,  nonche'  degli  artt.  9  e  117,
secondo comma, lettera s),  Cost.,  quest'ultimo  in  relazione  agli
artt. 135, 143 e 145 del decreto legislativo 22 gennaio 2004,  n.  42
(Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10
della legge 6 luglio 2002, n. 137). 
    La disposizione impugnata testualmente recita: «[n]elle fasce  di
rispetto di tutte le zone e di tutte le aree di piano, in presenza di
opere  gia'  realizzate  e  ubicate  tra  l'elemento  da  tutelare  e
l'intervento da realizzare, quest'ultimo e' ammissibile previa V.  A.
per il tematismo che ha prodotto la fascia di  rispetto,  purche'  lo
stesso intervento non ecceda, in proiezione ortogonale, le dimensioni
delle opere preesistenti o sia compreso in un'area  circoscritta  nel
raggio  di  mt.  50  dal  baricentro  di   insediamenti   consolidati
preesistenti». 
    Il ricorrente riferisce che alla  Regione  sono  stati  richiesti
chiarimenti circa il significato da attribuire ad alcune  espressioni
contenute nella disposizione, attesa  la  formulazione  oscura  della
stessa. Nello specifico veniva chiesto alla  Regione  di  chiarire  a
quale tipologia di «piano» la norma  facesse  riferimento,  che  cosa
dovesse  intendersi  per  «opere  gia'  realizzate  e   ubicate   tra
l'elemento  da  tutelare  e  l'intervento   da   realizzare»,   quale
significato dovesse attribuirsi al termine  «tematismo»,  nonche'  se
«V. A.» dovesse essere inteso come  «acronimo  della  valutazione  di
impatto ambientale o della valutazione  ambientale  strategica  o  di
entrambe». 
    A tali richieste - prosegue il ricorrente - la Regione rispondeva
che «le  novita'  legislative  si  riferiscono  al  Piano  Paesistico
Regionale e che le opere ritenute ammissibili sono quelle che vanno a
collocarsi in territori gia' "contaminati" da fabbricati, in presenza
di opere gia' realizzate. Nello specifico, le opere di cui si intende
consentire la realizzazione sono quelle che, seppur previste nelle cd
"fasce  di  rispetto",  sono  progettate  in  maniera  tale  che   la
percezione visiva e di impatto  delle  stesse  siano  mitigate  dalla
proiezione ortogonale  del  manufatto:  ove,  cioe',  tra  l'elemento
oggetto di tutela e il nuovo fabbricato vi siano gia'  dei  manufatti
allineati sulla medesima proiezione e che comunque l'area oggetto  di
intervento ospiti gia' degli insediamenti consolidati. In ogni  caso,
e' sempre fatta salva la Valutazione Ambientale riferita  al  vincolo
esistente sul lotto, che ha originato l'applicazione della fascia  di
rispetto». 
    Cio'  premesso,  ritiene  il  ricorrente  che   la   disposizione
impugnata   «introduca   nell'ordinamento   una   disposizione    dal
significato non intellegibile, in  aperto  contrasto  con  il  canone
della ragionevolezza, imposto  dal  rispetto  dell'articolo  3  della
Costituzione»,  a  causa  del  ricorso   a   «espressioni   vaghe   e
suscettibili di  varie  interpretazioni»,  senza  che  i  chiarimenti
offerti  dalla  Regione  consentano  di  superare   tali   incertezze
interpretative. 
    Sottolinea in particolare l'Avvocatura generale dello  Stato  che
la disposizione in esame definisce il proprio ambito di  applicazione
con riferimento alle «fasce di rispetto di tutte le zone e  di  tutte
le aree di piano», senza chiarire ne' di quali piani  si  tratti  (se
territoriali, urbanistici  o  di  settore),  ne'  a  quali  fasce  di
rispetto si sia inteso fare riferimento, essendo le  stesse  poste  a
tutela di beni della piu' varia natura. In tale non meglio  precisato
ambito applicativo, la disposizione sottoporrebbe l'ammissibilita' di
imprecisati  «interventi»  a  una  condizione  ritenuta   del   tutto
inintelligibile. Sarebbe  infatti  impossibile  comprendere  cosa  il
legislatore regionale  abbia  voluto  intendere  facendo  riferimento
all'acronimo «V. A.», al «tematismo che  ha  prodotto  la  fascia  di
rispetto», nonche' alla condizione  che  «lo  stesso  intervento  non
ecceda,  in  proiezione  ortogonale,  le   dimensioni   delle   opere
preesistenti o sia compreso in un'area circoscritta nel raggio di mt.
50 dal baricentro di insediamenti consolidati preesistenti». 
    Dalla  norma  impugnata  non  scaturirebbe,   dunque,   la   mera
«possibilita' obiettiva di piu' interpretazioni diverse, in un  certo
senso equivalenti l'una  all'altra,  e  tutte  ugualmente  plausibili
secondo il canone dell'interpretazione costituzionalmente orientata»,
bensi'  una  situazione  di  «assoluta  inconoscibilita'  del   testo
normativo», di per se' in contrasto con il canone  di  ragionevolezza
di cui all'art. 3 Cost. 
    Qualora poi, sulla base delle spiegazioni offerte dalla  Regione,
si dovesse assegnare alla disposizione il significato  di  consentire
la realizzazione di non  meglio  precisate  opere  all'interno  delle
fasce di rispetto del piano paesistico regionale, essa si porrebbe in
contrasto con gli artt. 9 e 117, secondo comma,  lettera  s),  Cost.,
quest'ultimo in relazione agli artt. 135, 143 e 145 del d.lgs. n.  42
del 2004, introducendo nell'ordinamento regionale  «una  disposizione
derogatoria in tema di pianificazione paesaggistica, che  agevola  la
trasformazione edificatoria del territorio, con il conseguente  grave
abbassamento del livello della tutela del paesaggio». Richiamando  la
giurisprudenza di questa Corte, e in particolare la sentenza  n.  261
del 2021, l'Avvocatura generale dello Stato afferma infatti  che  gli
artt. 143, comma 9, e 145,  comma  3,  del  d.lgs.  n.  42  del  2004
sancirebbero  l'inderogabilita'  del  piano  paesaggistico,  la   sua
«cogenza»  rispetto  agli  strumenti  urbanistici,  nonche'  la   sua
prevalenza su ogni altro atto  della  pianificazione  territoriale  e
urbanistica. 
    1.4.- E' infine impugnato l'art. 11 per contrasto: 
    - con l'art. 81, terzo comma, Cost., anche in relazione  all'art.
17 della legge 31 dicembre 2009, n.  196  (Legge  di  contabilita'  e
finanza pubblica); 
    - con l'art. 97, primo e quarto comma, Cost.; 
    - con l'art. 117, secondo comma,  lettera  e),  Cost.,  anche  in
relazione all'art. 38 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n.  118
(Disposizioni in materia di armonizzazione dei  sistemi  contabili  e
degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei  loro
organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n.
42); 
    - con l'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.; nonche' 
    - con l'art. 119, primo comma, Cost. 
    La  disposizione  impugnata  autorizza  la  Giunta  regionale   a
«procedere alla stabilizzazione del personale attualmente in servizio
presso il Centro funzionale e presso la Sala operativa  del  servizio
regionale di protezione civile, ovvero all'avvio  di  ogni  procedura
utile alla valorizzazione della professionalita'  specifica  maturata
dal suddetto personale». 
    Secondo  il  ricorrente,  un  primo  profilo  di   illegittimita'
costituzionale  della  disposizione  impugnata  consisterebbe   nella
mancanza di qualsiasi «disposizione di carattere finanziario  recante
la  quantificazione  degli  oneri   assunzionali   conseguenti   alla
previsione  in  esame  e  l'indicazione  della   relativa   copertura
finanziaria». Cio' determinerebbe il contrasto con l'art.  81,  terzo
comma, Cost., anche in relazione all'art. 17 della legge n.  196  del
2009, che  elencherebbe  in  modo  tassativo  le  modalita'  con  cui
assicurare la copertura finanziaria delle leggi che comportano  nuove
o maggiori spese, ma anche con gli artt. 97, primo comma, Cost., 119,
primo comma, Cost., nonche' 117, secondo comma, lettera e), Cost., in
relazione all'art. 38 del d.lgs. n. 118 del 2011. 
    La disposizione violerebbe poi l'art. 97,  quarto  comma,  Cost.,
dal momento che la formulazione della disposizione non  chiarisce  se
le  stabilizzazioni  ivi  previste  avverranno  nel  rispetto   della
normativa statale in materia,  e  in  particolare  nel  rispetto  del
principio del pubblico concorso. 
    Un terzo  profilo  di  illegittimita'  costituzionale  e'  infine
ravvisato dal ricorrente in riferimento all'art. 117, secondo  comma,
lettera l), Cost., dal momento che  la  norma  regionale  inciderebbe
«sulla regolamentazione del rapporto precario (in particolare,  sugli
aspetti connessi alla sua durata)» e determinerebbe, al contempo, «la
costituzione di altro rapporto giuridico (il  rapporto  di  lavoro  a
tempo indeterminato, destinato a sorgere proprio  per  effetto  della
stabilizzazione)»,  cosi'   invadendo   la   competenza   legislativa
esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile. 
    Peraltro, l'Avvocatura generale dello  Stato  ricorda  anche  che
questa Corte ha piu' volte qualificato le norme statali in materia di
stabilizzazione del personale "precario" come  principi  fondamentali
della materia di  competenza  legislativa  concorrente  coordinamento
della finanza pubblica (sono citate  diverse  pronunce,  fra  cui  la
sentenza n. 194 del 2020). 
    2.- Si e' costituita in giudizio  la  Regione  Molise,  svolgendo
difese limitatamente alle questioni aventi a oggetto gli artt. 4,  7,
commi da 5 a 14, e 7, comma 18, della legge regionale impugnata. 
    2.1.- Con riferimento all'art. 4 della legge reg. Molise n. 8 del
2022, la Regione sottolinea che la disposizione e' stata approvata in
ragione del «prevalente interesse pubblico» allo  scioglimento  della
societa'  Sviluppo  della  Montagna  Molisana  spa,  «in  quanto  non
funzionale   alle   strategie   regionali   di    programmazione    e
valorizzazione del comparto montano», dal momento che le sue funzioni
sarebbero state assegnate ad altra societa' pubblica, Funivie  Molise
spa. Sarebbe pertanto possibile ricondurre la  fattispecie  a  quelle
ipotesi, contemplate dal TUSP, «in cui, nonostante  la  registrazione
di perdite da parte di organismi di diritto privato a  partecipazione
pubblica, alle amministrazioni che vi detengono  partecipazioni  sono
consentiti trasferimenti straordinari di liquidita'  in  presenza  di
determinate condizioni». 
    In particolare, secondo la Regione, la  giurisprudenza  contabile
consentirebbe a un ente pubblico di «assorbire a carico  del  proprio
bilancio i  debiti  della  gestione  di  un  organismo  partecipato»,
purche' dimostri «la sussistenza di un prevalente interesse pubblico,
adeguatamente motivato alla luce degli scopi istituzionali». 
    Nel caso in esame, premesso che lo stanziamento di cui all'art. 4
della legge regionale impugnata e' finalizzato esclusivamente  a  far
fronte  alle  residuali   pendenze   della   gestione   liquidatoria,
sussisterebbe  in  primo  luogo  un  interesse  della  Regione   alla
conclusione della procedura di  liquidazione  della  societa',  quale
emergerebbe dalla deliberazione della Giunta regionale del 30  giugno
2022, n. 210, con cui si e'  preso  atto  della  sussistenza  di  «un
concreto  rischio  di  crisi  aziendale   e   della   necessita'   di
consequenziali decisioni civilistiche ex articolo  2447  c.c.  ed  ex
articolo 14 del d.lgs. n. 175/2016». 
    In secondo luogo, la  fuoriuscita  dalla  societa'  in  questione
rappresenterebbe anche il presupposto essenziale  per  una  riduzione
numerica  delle  partecipazioni  non  ritenute  strategiche  per   la
Regione, soprattutto ai fini del contenimento della  spesa  pubblica.
Precisa sul punto la Regione che «lo scioglimento della  societa'  e'
avvenuto a seguito anche di una operazione straordinaria  di  fusione
per incorporazione avviata in forza della l.rg.  n.  2/2019,  con  la
quale la "Korai S.r.l." e la "Consorzio Campitello  Matese  S.c.p.A."
sono  state  incorporate  nella  nuova  costituita  "Funivie   Molise
S.p.A.", che di  fatto  ha  assunto  gran  parte  delle  funzioni  di
programmazione  e  sviluppo  del  territorio  montano  molisano   che
precedentemente afferivano alla  "Sviluppo  della  Montagna  Molisana
S.p.A."». Sarebbe stato pertanto improcrastinabile lo scioglimento di
un organismo ormai inutile rispetto agli  obiettivi  regionali  e  da
tempo inattivo. 
    Il mancato completamento della liquidazione della  societa',  non
solo  avrebbe  pregiudicato  la  razionalizzazione  degli   organismi
partecipati dalla Regione, ma avrebbe determinato anche «una  perdita
di credibilita' da parte della Regione Molise in termini di capacita'
di governo e programmazione del comparto montano, nonche' di  perdita
di affidabilita' operativa della societa' Funivie  che  di  fatto  ha
sostituito la Sviluppo della Montagna nelle attivita'  che  le  erano
proprie». 
    Il trasferimento delle risorse necessarie a estinguere le residue
pendenze della gestione liquidatoria risponderebbe  inoltre,  secondo
la Regione, al «primario interesse  pubblico»  di  «impedire  che  un
inutile decorso del  tempo  possa  generare  oneri  di  funzionamento
ulteriori rispetto alla suddetta strategia dismissoria regionale». 
    Infine, la Regione sottolinea che, alla data del 30 giugno  2022,
il debito societario era «rappresentato esclusivamente  da  spese  di
natura  ordinaria   strettamente   funzionali   alle   attivita'   di
scioglimento  della  societa'  -  obbligatorie  per  legge  (compensi
amministratori,  sindaci,  tenuta  contabilita',  oneri  di  chiusura
liquidazione)». Sarebbe cosi' esclusa qualsiasi violazione della  par
condicio creditorum, cosi' come la natura di «intervento tampone  con
dispendio di risorse pubbliche a fondo perduto» della disposizione in
esame. 
    2.2.- Rispetto  alla  questione  di  legittimita'  costituzionale
dell'art. 7, commi da 5 a 14, la Regione afferma  che  la  disciplina
impugnata non prevede costi aggiuntivi per  la  sua  attuazione,  dal
momento che «non contiene automatismi di spesa, neanche astrattamente
ipotizzabili, per cui e' priva di impatto sul bilancio regionale,  in
termini di quantificazione costi, ne' richiede  l'individuazione  dei
mezzi finanziari su cui far gravare gli oneri». In  particolare,  non
si determinerebbero costi per l'acquisizione di locali  da  destinare
alla sede della istituenda scuola, poiche' il  legislatore  regionale
ha disposto che le sue attivita'  si  svolgano  presso  la  sede  del
Servizio regionale di protezione civile di  Campochiaro  e  presso  i
locali del Consiglio regionale,  ne'  per  l'attivita'  del  comitato
tecnico  scientifico,  poiche'  l'art.  7,  comma  10,  espressamente
dispone che  i  membri  di  tale  comitato  «non  percepiscono  alcun
compenso». Inoltre, ai sensi del comma  13  del  menzionato  art.  7,
l'attivita' formativa della scuola sarebbe «promossa  ed  organizzata
con il coinvolgimento di diversi attori preposti,  istituzionalmente,
alla gestione della materia» «previa intesa e a titolo gratuito». 
    2.3.- Quanto infine alla censura mossa nei confronti dell'art. 7,
comma 18, la difesa regionale  riprende  testualmente  i  chiarimenti
gia' forniti dalla Regione e sopra richiamati, affermando  che,  alla
luce degli stessi, dovrebbe escludersi «l'ipotizzata  difficolta'  di
lettura della norma, la quale, comunque, non costituirebbe motivo  di
illegittimita' costituzionale,  bensi'  presupposto  per  l'attivita'
dell'interprete nell'applicazione della legge». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con il ricorso di cui in epigrafe (reg. ric. n. 51 del 2022),
il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato gli  artt.  4;  7,
commi da 5 a 14 e 18; e 11 della legge reg. Molise n. 8 del 2022. 
    2.- E' impugnato, anzitutto, l'art. 4 della legge regionale,  che
autorizza lo stanziamento di 100.000 euro, individuandone la relativa
copertura nel  bilancio  regionale,  «[p]er  il  completamento  della
procedura di scioglimento  della  societa'  Sviluppo  della  Montagna
molisana spa», interamente partecipata dalla Regione. 
    2.1.- Secondo il ricorrente, la disposizione impugnata violerebbe
l'art. 117, terzo  comma,  Cost.,  per  contrasto  con  il  principio
fondamentale  della  materia  coordinamento  della  finanza  pubblica
espresso dall'art. 14, comma 5,  TUSP,  che  stabilisce  un  generale
divieto di "soccorso finanziario" delle societa' partecipate da parte
degli enti  pubblici  partecipanti,  nonche'  il  principio  di  buon
andamento della pubblica amministrazione di cui all'art. 97 Cost. 
    La disposizione in esame determinerebbe  infatti  un  sostanziale
accollo «a fondo perduto» dei debiti della procedura di  liquidazione
della  societa'  da  parte  della  Regione,  senza   che   cio'   sia
giustificato  da  alcun  prevalente  interesse  pubblico,  secondo  i
criteri elaborati dalla Corte dei conti in materia. 
    2.2.- La Regione sostiene, invece, che lo  stanziamento  previsto
dalla disposizione impugnata risponderebbe  al  prevalente  interesse
pubblico allo scioglimento e alla liquidazione  della  societa',  non
piu'  funzionale  alle  strategie  regionali  di   programmazione   e
valorizzazione del comparto montano e da tempo inattiva. 
    L'intervento  in  parola  sarebbe,   d'altronde,   esclusivamente
finalizzato a far  fronte  alle  residuali  pendenze  della  gestione
liquidatoria, che sarebbero rappresentate  essenzialmente  da  debiti
per spese funzionali all'attivita' di scioglimento della societa';  e
cio' anche per evitare una possibile «perdita di credibilita'»  della
Regione e di «affidabilita' operativa» della societa' Funivie  Molise
spa, che avrebbe nel frattempo assunto le funzioni gia' svolte  dalla
societa' in liquidazione. 
    Tale intervento, infine, sarebbe funzionale a  evitare  ulteriori
oneri per la Regione connessi alla liquidazione della societa'. 
    2.3.- La questione e' fondata. 
    Le parti danno atto che la societa' Sviluppo della  montagna  spa
era in liquidazione all'epoca  dello  stanziamento  di  100.000  euro
previsto dalla disposizione impugnata. La deliberazione della  Giunta
regionale del 30 giugno 2022, n. 210, citata dalla difesa  regionale,
ha poi dato concreta attuazione a tale stanziamento, autorizzando  il
trasferimento alla societa' della relativa provvista finanziaria «per
far  fronte  alle  residuali  pendenze  scaturenti   dalla   gestione
liquidatoria di cui trattasi», in modo da «impedire  che  un  inutile
decorso del tempo possa generare  oneri  di  funzionamento  ulteriori
rispetto alla strategia  dismissoria  regionale»;  e  cio'  a  fronte
dell'affermata necessita'  di  scongiurare  un  «impatto  finanziario
ulteriormente negativo per l'Ente controllante [...] anche in ragione
della naturale traslazione dei debiti residuali della societa'  sulle
casse regionali», stimati in 100.198,50 euro alla data del 14  giugno
2022. 
    Il ricorrente assume che  tale  trasferimento  violi  l'art.  14,
comma 5, TUSP, il quale vieta in via  generale  alle  amministrazioni
pubbliche di effettuare, tra l'altro,  trasferimenti  straordinari  a
favore delle societa' partecipate «che  abbiano  registrato  per  tre
esercizi consecutivi, perdite di esercizio», salvo che non  ricorrano
le  speciali   condizioni   indicate   nel   secondo   periodo,   che
presuppongono l'esistenza di un piano di risanamento della societa'. 
    Su tale disposizione del TUSP si fonda il principio  del  divieto
di soccorso finanziario invocato dal  ricorrente,  la  cui  ratio  e'
stata  illustrata  da  numerose  concordi  pronunce   delle   sezioni
regionali di controllo della Corte dei conti: da un lato,  quella  di
tutelare la  concorrenza  tra  le  societa',  e  assieme  di  evitare
situazioni di ingiustificato favor per  i  creditori  della  societa'
partecipata; e dall'altro, quella di  limitare  «l'ammissibilita'  di
interventi a sostegno di organismi partecipati mediante erogazione o,
comunque, dispendio di disponibilita' finanziarie  a  fondo  perduto,
che  appaiano  privi  quantomeno  di  una  prospettiva  di   recupero
dell'economicita'  e  dell'efficienza  della  gestione  dei  soggetti
beneficiari» (Corte dei conti, sezione regionale di controllo per  la
Liguria, deliberazione 20 aprile 2018, n.  84/2018/PAR).  L'art.  14,
comma 5, TUSP rifiuta, in particolare, la «logica del salvataggio  "a
tutti  i  costi"  degli  Organismi  a  partecipazione   pubblica   in
condizioni di precarieta' economico-finanziaria di dissesto o perdita
strutturale»,  ed  esprime  un  «generale  divieto  di  disporre,   a
qualsiasi titolo, erogazioni finanziarie "a fondo perduto" o prestare
garanzie in favore  di  societa'  in  grave  situazione  deficitaria»
(Corte   dei   conti,   sezione   regionale    di    controllo    per
l'Emilia-Romagna, deliberazione 14 giugno 2022, n. 67/2022/PAR). 
    Secondo il  costante  orientamento  delle  sezioni  regionali  di
controllo della Corte dei conti, il divieto di cui all'art. 14, comma
5,  TUSP  vale  a  maggior  ragione  rispetto  a  societa'  poste  in
liquidazione,  come  quella  oggetto  della  disposizione  impugnata,
essendo in tal caso di  per  se'  esclusa  qualsiasi  prospettiva  di
recupero dell'economicita' e dell'efficienza  della  gestione  (Corte
dei  conti,  sezione  regionale  di  controllo   per   la   Campania,
deliberazione 9 maggio 2022,  n.  24/2022/PAR),  a  meno  che  l'ente
pubblico sia in grado di dimostrare la sussistenza di  un  prevalente
interesse  pubblico  tale  da  giustificare  l'operazione.   Ipotesi,
quest'ultima,  eccezionalmente   ravvisata   dalle   stesse   sezioni
regionali di controllo  «solo  con  riferimento  a  poche  situazioni
concrete, in particolare nell'ipotesi della necessita' di  recuperare
al  patrimonio  comunale  beni  societari   indispensabili   per   la
prosecuzione dell'erogazione di servizi pubblici fondamentali, o  nel
caso di pregresso rilascio di garanzia  dell'Ente  per  l'adempimento
delle  obbligazioni  della  societa'»  (Corte  dei   conti,   sezione
regionale di controllo per la Liguria, deliberazione 8 marzo 2017, n.
24/2017/PAR). 
    Nessuna  delle  ragioni  addotte  dalla  Regione  Molise  appare,
tuttavia, idonea a dimostrare la sussistenza di un simile  prevalente
interesse pubblico in  relazione  al  trasferimento  operato  con  la
disposizione impugnata. 
    Non pare anzitutto a questa Corte che la finalita' di  consentire
una sollecita  conclusione  della  procedura  di  liquidazione  della
societa', con conseguente dismissione delle partecipazioni  non  piu'
strategiche della Regione, integri di per se' un prevalente interesse
pubblico. Attraverso  il  trasferimento  contestato,  la  Regione  ha
inteso in sostanza farsi carico dei debiti  della  societa'  verso  i
creditori, in gran parte rappresentati - come chiarito  dalla  difesa
regionale in udienza - da compensi non  pagati  ad  amministratori  e
sindaci, nonche' a professionisti  in  relazione  alle  attivita'  di
contabilita' o assistenza legale prestate in favore  della  societa'.
Accollandosi tali debiti, la legge regionale si  e'  pero'  posta  in
contrasto con le  precipue  finalita'  -  tutela  della  concorrenza,
divieto di creazione di un ingiustificato favor per i creditori delle
societa' partecipate, garanzia di un  uso  efficiente  delle  risorse
pubbliche - sottese al divieto di cui all'art. 14, comma 5, TUSP. 
    Ne' si comprende in che senso il soccorso finanziario  realizzato
in favore della procedura  di  liquidazione  della  societa'  sarebbe
stato necessario al  fine  di  salvaguardare  la  credibilita'  della
Regione, anche rispetto all'operativita' della  societa'  partecipata
che ha di fatto ereditato le funzioni della societa'  ormai  cessata.
Nel concludere un contratto con una societa'  partecipata  avente  la
forma giuridica di una societa' di capitali, ogni contraente non puo'
non essere consapevole che la societa' rispondera' dei propri  debiti
secondo le regole ordinarie del  codice  civile,  e  dunque  entro  i
limiti del proprio patrimonio sociale, senza poter contare, in  linea
di  principio,  sul   soccorso   finanziario   da   parte   dell'ente
partecipante. 
    Essenzialmente per la stessa ragione e' destituita di  fondamento
anche l'ulteriore allegazione difensiva, che allude a possibili oneri
finanziari  derivanti  alla  Regione  dalla   stessa   procedura   di
liquidazione;  oneri   invocati,   peraltro,   anche   dalla   citata
deliberazione della Giunta regionale n. 210 del 2022, in  cui  si  fa
riferimento  ad  una  presunta  «naturale  traslazione   dei   debiti
residuali della societa' sulle casse regionali».  In  realta'  -  non
risultando dagli atti di causa alcuna garanzia prestata dalla Regione
a favore della societa', e in  assenza  di  alcuna  illustrazione  da
parte della difesa della resistente  delle  ragioni  di  fatto  e  di
diritto  per  le  quali  si  sarebbe  dovuta  ipotizzare  una  simile
traslazione, nonostante lo specifico quesito formulato  in  proposito
dalla Corte ai sensi dell'art. 10, comma 3, delle  Norme  integrative
per i giudizi davanti alla Corte costituzionale -  si  deve  ritenere
che  l'ulteriore   corso   della   procedura   di   liquidazione   ed
eventualmente lo stesso fallimento  della  societa'  partecipata  non
avrebbero comportato alcun onere  finanziario  supplementare  per  la
Regione. Cio' stante il disposto dell'art. 2325,  primo  comma,  cod.
civ., a  tenore  del  quale  «[n]elle  societa'  per  azioni  per  le
obbligazioni  sociali  risponde  soltanto  la  societa'  con  il  suo
patrimonio»: principio, quest'ultimo, che vale altresi' nella fase di
liquidazione della societa', ai sensi dell'art.  2495,  terzo  comma,
cod. civ. 
    In assenza dunque di alcun prevalente interesse pubblico idoneo a
giustificare   il   trasferimento   straordinario   previsto    dalla
disposizione impugnata, quest'ultima deve ritenersi in contrasto  con
l'art. 14, comma 5, TUSP. 
    Questa Corte ha  gia'  affermato  che  il  TUSP  stabilisce,  tra
l'altro, principi fondamentali  in  materia  di  coordinamento  della
finanza  pubblica,  «trattandosi  di  norme  che,  in  linea  con  le
disposizioni  in  materia  di  riduzione  del  costo  della  pubblica
amministrazione  (cosiddetta   spending   review),   pongono   misure
finalizzate alla previsione  e  al  contenimento  delle  spese  della
societa' a controllo pubblico per il loro funzionamento» (sentenza n.
194 del 2020, punto 13.1. del  Considerato  in  diritto).  Cio'  vale
certamente anche per l'art. 14, comma  5,  TUSP,  che  mira  a  porre
stringenti limiti ai trasferimenti che le  amministrazioni  pubbliche
possono effettuare a favore delle societa' partecipate. 
    Ne consegue che la  disposizione  impugnata  viola  un  principio
fondamentale della materia del coordinamento della finanza  pubblica,
e deve pertanto essere dichiarata costituzionalmente illegittima  per
violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., con assorbimento  della
questione formulata in riferimento all'art. 97 Cost. 
    3.- Sono poi impugnati i commi da 5 a 14 dell'art. 7, con i quali
si stabilisce che la Regione  «promuove,  organizza  e  indirizza  la
formazione e la diffusione della cultura di  protezione  civile»  nel
territorio regionale (comma 5), e - in particolare - si istituisce la
«Scuola regionale  di  protezione  civile»  (comma  6),  della  quale
vengono  disciplinate  la  sede  (comma  7),  il   comitato   tecnico
scientifico (commi da 8 a 12) e  i  compiti  (commi  13  e  14),  nei
termini piu' estesamente riferiti al punto 3 del Ritenuto in fatto. 
    3.1.- Ad avviso del ricorrente, tali disposizioni  si  porrebbero
in contrasto con l'art. 81, terzo comma,  Cost.,  introducendo  nuovi
oneri non quantificati, e senza che ne  siano  indicate  le  relative
coperture nel bilancio regionale. 
    3.2.- La difesa regionale eccepisce che le disposizioni impugnate
non prevederebbero alcuna  spesa  e  sarebbero,  pertanto,  prive  di
impatto sul bilancio regionale,  come  dimostrerebbe  in  particolare
l'espressa previsione della gratuita' dell'attivita' dei  membri  del
comitato tecnico  scientifico  e  dell'eventuale  coinvolgimento  del
Corpo nazionale dei vigili del fuoco e del servizio della  protezione
civile. 
    3.3.- La questione e' fondata. 
    La giurisprudenza di questa Corte, anche  di  recente  ripercorsa
(sentenze n. 84 del 2023, punto 9 del Considerato in diritto;  n.  64
del 2023, punto 5.1. del Considerato in  diritto;  n.  57  del  2023,
punto 6.2.1. del Considerato in diritto; n. 48 del 2023,  punto  8.3.
del Considerato in diritto), e' costante nell'affermare che «le leggi
istitutive di nuove spese devono contenere  un'esplicita  indicazione
del relativo mezzo di copertura e che a tale obbligo non sfuggono  le
norme  regionali»  (sentenza  n.  244  del  2020,  punto  5.4.1.  del
Considerato in diritto), sottolineando che «il legislatore  regionale
non puo' sottrarsi a quella  fondamentale  esigenza  di  chiarezza  e
solidita' del bilancio cui l'art. 81 Cost. si  ispira»  (sentenza  n.
307 del 2013, punto 9.2. del Considerato in diritto). 
    Ora, le disposizioni  impugnate  non  sono  corredate  da  alcuna
clausola  di  invarianza  finanziaria,  e   al   tempo   stesso   non
quantificano  gli  eventuali  oneri  da  esse  derivanti.  La  difesa
regionale sostiene invero che tali disposizioni  non  comporterebbero
alcun onere finanziario, facendo leva su quelle specifiche previsioni
che stabiliscono  espressamente  la  gratuita'  di  talune  attivita'
previste nell'ambito della Scuola regionale della protezione  civile,
nonche' della partecipazione al comitato tecnico scientifico  di  cui
si prevede la creazione. Che, tuttavia, l'intero spettro dei  compiti
affidati alla Scuola - effettivamente «istituita»,  e  non  meramente
programmata, dall'impugnato comma 6 - possa essere  svolto  a  "costo
zero" per la Regione  appare  del  tutto  inverosimile,  sol  che  si
esamini, ad esempio, la disposizione di cui al comma 13,  in  cui  si
prevede l'organizzazione di «percorsi formativi per la  preparazione,
l'aggiornamento, l'addestramento, la formazione  specialistica  nelle
materie della protezione civile e dell'emergenza»: attivita',  tutte,
che presuppongono impegni  di  docenza  e  assieme  di  coordinamento
amministrativo e logistico, i quali «non poss[o]no realizzarsi se non
per mezzo di una spesa» (sentenza n. 10  del  2016,  punto  6.1.  del
Considerato in  diritto,  e  precedenti  ivi  richiamati).  Cio'  che
determina l'obbligo, cui il legislatore regionale e' venuto meno,  di
indicare i mezzi finanziari per farvi fronte. 
    Ne consegue che i commi da 5 a  14  dell'art.  7  debbono  essere
dichiarati costituzionalmente illegittimi, per contrasto  con  l'art.
81, terzo comma, Cost. 
    4.- Il ricorrente  impugna  altresi'  l'art.  7,  comma  18,  che
testualmente recita: «[n]elle fasce di rispetto di tutte le zone e di
tutte le aree di piano,  in  presenza  di  opere  gia'  realizzate  e
ubicate tra l'elemento da  tutelare  e  l'intervento  da  realizzare,
quest'ultimo e' ammissibile previa V. A.  per  il  tematismo  che  ha
prodotto la fascia di rispetto,  purche'  lo  stesso  intervento  non
ecceda,  in  proiezione  ortogonale,  le   dimensioni   delle   opere
preesistenti o sia compreso in un'area circoscritta nel raggio di mt.
50 dal baricentro di insediamenti consolidati preesistenti». 
    4.1.-  A  parere  del  ricorrente,  la  disposizione   violerebbe
anzitutto il principio di ragionevolezza di  cui  all'art.  3  Cost.,
nonche' gli  artt.  9  e  117,  secondo  comma,  lettera  s),  Cost.,
quest'ultimo in relazione  agli  artt.  135,  143  e  145  cod.  beni
culturali. 
    La violazione dell'art.  3  Cost.  discenderebbe  dalla  radicale
inintelligibilita' della disposizione  impugnata,  che  utilizzerebbe
espressioni vaghe e suscettibili delle piu' diverse  interpretazioni;
inintelligibilita' che le spiegazioni offerte  dalla  stessa  Regione
alle richieste di chiarimenti non sarebbero riuscite a dipanare. 
    Nell'ipotesi,  poi,  in  cui  fosse  possibile   assegnare   alla
disposizione il significato di consentire  la  realizzazione  di  non
meglio precisate opere all'interno delle fasce di rispetto del  piano
paesistico  regionale,  essa   determinerebbe   un   non   consentito
abbassamento del livello di  tutela  del  paesaggio,  derogando  allo
stesso piano  paesaggistico,  con  conseguente  violazione  congiunta
dell'art. 9 e  dell'art.  117,  secondo  comma,  lettera  s),  Cost.,
quest'ultimo in relazione alle menzionate disposizioni del codice dei
beni culturali e del paesaggio. 
    4.2.- La difesa regionale  ha  osservato,  nel  proprio  atto  di
costituzione, che la disposizione impugnata si riferirebbe al  «piano
paesistico regionale», consentendo  la  realizzazione  di  opere  che
dovrebbero andare a collocarsi in territori  gia'  «"contaminati"  da
fabbricati»,  essendo  pero'  «progettate  in  maniera  tale  che  la
percezione visiva e di impatto  delle  stesse  siano  mitigate  dalla
proiezione  ortogonale  del  manufatto»;  restando   poi   salva   la
«Valutazione Ambientale riferita al vincolo esistente sul lotto,  che
ha originato l'applicazione della fascia di rispetto». In ogni  caso,
la difesa sostiene che «l'ipotizzata  difficolta'  di  lettura  della
norma   [...]   non   costituirebbe    motivo    di    illegittimita'
costituzionale, bensi' presupposto  per  l'attivita'  dell'interprete
nell'applicazione della legge». 
    In udienza, la difesa regionale  ha  fornito  ulteriori  elementi
finalizzati a chiarire la  portata  applicativa  della  disposizione,
affermando che  essa  si  inserirebbe  nella  disciplina  dei  «piani
territoriali paesistico ambientali di area vasta» istituititi con  la
legge della Regione Molise 1° dicembre 1989, n.  24  (Disciplina  dei
piani territoriali paesistico-ambientali),  consentendo  nuove  opere
nelle fasce di rispetto sancite da tali piani subordinatamente a  una
«verifica di ammissibilita'» in relazione allo specifico  «tematismo»
che  caratterizzerebbe  la  fascia  di  rispetto,   alle   condizioni
stabilite nel dettaglio dalla disposizione medesima. 
    4.3.- La questione e' fondata in riferimento all'art. 3 Cost. 
    4.3.1.- La disposizione impugnata e'  contenuta  nell'ultimo  dei
diciotto commi dell'art. 7,  genericamente  rubricato  «Modifiche  di
leggi regionali». I commi da 1 a 4, cosi' come i successivi commi  da
15 a 17 intervengono in  effetti  a  modificare  o  abrogare  singole
disposizioni di sette diverse leggi regionali, mentre i commi da 5  a
14  concernono  le  attivita'  di  promozione  della  cultura   della
protezione  civile  e  l'istituzione  della  relativa   Scuola,   che
costituiscono l'oggetto della questione esaminata supra (punto 3). Il
comma 18, qui scrutinato, non modifica ne'  si  inserisce  in  alcuna
legge regionale preesistente,  dettando  una  disciplina  che  appare
consentire nuovi interventi edilizi in deroga a piani esistenti. 
    Come rileva esattamente l'Avvocatura  generale  dello  Stato,  la
disposizione abbonda  di  termini  imprecisi,  o  comunque  di  ardua
intelligibilita', in difetto di  qualsiasi  riferimento  al  contesto
normativo nel quale essa aspirerebbe ad inserirsi. Cosi', la menzione
delle «fasce di rispetto di tutte le zone  e  di  tutte  le  aree  di
piano»  e'   del   tutto   equivoca,   laddove   non   si   chiarisca
preliminarmente a quali piani la disposizione faccia riferimento: se,
ad esempio,  ai  piani  urbanistici  territoriali,  ovvero  ai  piani
funzionali alla tutela del paesaggio, tra i  quali  il  futuro  piano
paesaggistico previsto dall'art. 143 del d.lgs. n. 42 del  2004,  che
la Regione ha l'obbligo di elaborare congiuntamente con il  Ministero
della cultura (art. 135 del d.lgs.  n.  42  del  2004).  Analogamente
imprecise sono, poi, le nozioni  di  «opere  gia'  realizzate»  e  di
«intervento  da  realizzare»,  cosi'  come  la   stessa   espressione
«tematismo che ha prodotto la fascia di  rispetto»,  che  non  appare
ancorata alla disciplina di una specifica tipologia di piano. 
    Ancora, la disposizione utilizza l'acronimo «V. A.» per  indicare
un   procedimento   che   dovrebbe   condizionare    l'ammissibilita'
dell'intervento,  senza  fornire  alcuna   previa   definizione   del
significato dell'acronimo stesso. 
    La disposizione era stata,  peraltro,  oggetto  di  vari  rilievi
critici proprio per la sua oscurita'  durante  il  dibattito  che  ne
aveva  preceduto  l'approvazione  (in  questo  senso,  si  vedano  in
particolare le pagine da 13 a 15 del resoconto integrale della seduta
del Consiglio regionale del Molise del 13 maggio 2022, ore 9:30). 
    D'altra parte, ne' le spiegazioni  fornite  dalla  Regione  delle
quali da' atto l'Avvocatura generale dello Stato nel proprio  ricorso
e che sono riprese testualmente dalla difesa regionale nella  propria
memoria di costituzione, ne' quelle  piu'  articolate  fornite  dalla
stessa difesa regionale all'udienza, riescono a  fornire  convincenti
chiavi  di  lettura  del  contenuto  precettivo  della   disposizione
impugnata. La Regione sostiene  invero  che  il  comma  18  impugnato
intenda  riferirsi  al   «Piano   Paesistico   Regionale»,   e   piu'
precisamente - come chiarito per la prima volta  in  udienza  -  alla
disciplina dei «piani  territoriali  paesistico  ambientali  di  area
vasta»  istituititi  con  la  legge  reg.  Molise  n.  24  del  1989,
consentendo la realizzazione di nuove  «opere»  dal  ridotto  impatto
visivo sul paesaggio. Tuttavia, nelle  citate  spiegazioni,  e  nella
stessa memoria di costituzione, l'acronimo «V. A.» viene sciolto  con
l'espressione «Valutazione Ambientale»  -  espressione  a  sua  volta
ambigua, come non a torto osserva l'Avvocatura generale dello  Stato,
potendo riferirsi tanto alla valutazione di impatto ambientale  (VIA)
o alla valutazione ambientale  strategica  (VAS),  o  a  entrambe  -;
mentre, in udienza, la difesa regionale ha sostenuto  che  l'acronimo
alluderebbe   semplicemente   alla   «verifica   di   ammissibilita'»
dell'opera da realizzare nelle fasce di rispetto previste  dai  piani
menzionati. 
    Fermo restando l'ovvio principio che il contenuto  precettivo  di
una legge deve anzitutto evincersi  dal  «significato  proprio  delle
parole secondo la connessione di esse», anche alla  luce  dei  lavori
preparatori,  in  quanto  utili  a  ricostruire   l'«intenzione   del
legislatore» (art. 11 Preleggi), le spiegazioni fornite dalla Regione
sul significato della  disposizione  impugnata,  anche  a  mezzo  del
proprio  difensore  in  udienza,  confermano  il  carattere  criptico
dell'acronimo utilizzato, nonche' la vaghezza di molte espressioni in
esse contenute: a  cominciare  dal  sostantivo  «tematismo»,  il  cui
significato  puo'   ragionevolmente   cogliersi   soltanto   ove   la
disposizione venga letta alla luce della disciplina di cui alla legge
reg. Molise n. 24 del 1989, che e' stata invero evocata  in  udienza,
ma non e' in alcun modo richiamata dal testo normativo in esame. 
    4.3.2.- Occorre a questo punto stabilire se una disposizione  dal
significato cosi' radicalmente  inintelligibile  si  ponga  per  cio'
stesso in contrasto, come sostenuto dal ricorrente, con il  principio
di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. 
    4.3.2.1.- In materia penale, questa Corte esercita  da  tempo  un
controllo sui requisiti minimi di chiarezza e precisione che  debbono
possedere le norme incriminatrici, in forza - in  particolare  -  del
principio di legalita' e tassativita' di  cui  all'art.  25,  secondo
comma, Cost. 
    Gia' nella sentenza n. 96 del 1981 si e' affermato, in proposito,
che  il  legislatore  penale  «ha  l'obbligo   di   formulare   norme
concettualmente precise sotto il profilo semantico della chiarezza  e
della  intelleggibilita'  dei  termini  impiegati»   (punto   2   del
Considerato in diritto). Sulla base di tale criterio, la pronuncia ha
ritenuto    costituzionalmente    illegittima     la     disposizione
incriminatrice del plagio (art. 603 del codice penale),  che  vietava
di «sottopo[rre] una persona al proprio potere, in modo da ridurla in
totale stato di soggezione»: situazione considerata da  questa  Corte
del  tutto  oscura  nei  suoi  contorni,  e  per  tale  ragione  «non
verificabile nella sua effettuazione e nel suo risultato non  essendo
ne'  individuabili  ne'  accertabili  le  attivita'  che   potrebbero
concretamente esplicarsi per ridurre una persona in totale  stato  di
soggezione» (punto 14 del Considerato in diritto). 
    In una successiva  occasione,  relativa  a  un  rinvio  normativo
erroneo contenuto in una disposizione incriminatrice, questa Corte ha
affermato che «vi sono requisiti  minimi  di  riconoscibilita'  e  di
intellegibilita' del  precetto  penale  -  che  rappresentano  anche,
peraltro, requisiti minimi di razionalita' dell'azione legislativa  -
in difetto dei  quali  la  liberta'  e  la  sicurezza  giuridica  dei
cittadini sarebbero pregiudicate». Il che, ha  proseguito  la  Corte,
«e' quanto si verifica nel caso in esame, in cui  l'errore  materiale
di redazione del testo legislativo [...] costituisce per il cittadino
una vera e propria  insidia,  palesemente  idonea  ad  impedirgli  la
comprensione del precetto  penale,  o,  quanto  meno,  a  fuorviarlo.
L'errore stesso, peraltro,  introduce  nella  formulazione  letterale
della  disposizione  un  elemento  certo,  pur  se  involontario,  di
irrazionalita' e di contraddittorieta' rispetto al contesto normativo
in cui la disposizione e' inserita e come tale  determina  anche  una
violazione di quel canone di coerenza delle norme che e'  espressione
del principio di uguaglianza di cui all'art.  3  della  Costituzione»
(sentenza n. 185 del 1992, punto 2 del Considerato in diritto). 
    In un altro caso, questa Corte ha  dichiarato  costituzionalmente
illegittima una disposizione penale che incriminava  il  fatto  dello
straniero destinatario di un provvedimento di espulsione «che non  si
adopera  per  ottenere  dalla  competente  autorita'  diplomatica   o
consolare il rilascio del documento  di  viaggio  occorrente».  Nella
pronuncia si e' osservato che  l'indeterminatezza  del  precetto  non
solo poneva il  suo  destinatario  «nell'impossibilita'  di  rendersi
conto  del  comportamento  doveroso  cui  attenersi  per  evitare  di
soggiacere  alle  conseguenze  della  sua   inosservanza»,   ma   non
consentiva, altresi', «all'interprete di  esprimere  un  giudizio  di
corrispondenza  sorretto  da  un   fondamento   controllabile   nella
operazione ermeneutica di  riconduzione  della  fattispecie  concreta
alla previsione normativa» (sentenza n. 34  del  1995,  punto  2  del
Considerato in diritto. Per un'ulteriore e piu'  recente  ipotesi  in
cui la Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimo un precetto
penale per l'assoluta  indeterminatezza  dei  suoi  contorni,  questa
volta per contrasto con gli artt. 7 CEDU e  2  del  Protocollo  n.  4
CEDU, entrambi rilevanti nell'ordinamento italiano in forza dell'art.
117, primo comma, Cost., sentenza n. 25 del 2019). 
    4.3.2.2.- In materia di misure di prevenzione,  criteri  analoghi
hanno   condotto   questa   Corte   a   dichiarare   l'illegittimita'
costituzionale,   per   contrasto   con    vari    altri    parametri
costituzionali,   di   disposizioni   che   enunciavano   presupposti
eccessivamente vaghi e imprecisi, come tali inidonei ad assicurare al
destinatario la riconoscibilita' del  precetto  e  la  prevedibilita'
delle sue conseguenze (sentenza n. 24 del 2019, in particolare  punto
12.3.  del  Considerato  in  diritto),  e  ancor  prima  a  vincolare
ragionevolmente  la  discrezionalita'  delle  autorita'  chiamate  ad
applicarle (sentenza n. 177 del 1980,  punto  6  del  Considerato  in
diritto). 
    4.3.2.3.- Con specifico riferimento a  leggi  regionali,  infine,
questa Corte ha avuto occasione di  ritenere  fondata  una  questione
relativa  a  una  complessa   vicenda   normativa   in   materia   di
installazione  di  impianti  eolici,  con  la  quale  il  legislatore
regionale  aveva  inteso  far  rivivere,  per  un  periodo  di  tempo
limitato, una  disposizione  gia'  abrogata.  La  Corte  ha  ritenuto
censurabile,  al  metro  dell'allora  evocato  parametro   del   buon
andamento della pubblica amministrazione di cui all'art. 97 Cost., la
tecnica normativa adottata, che rendeva  difficilmente  ricostruibile
da parte dell'amministrazione la disciplina  effettivamente  vigente,
giudicando tale tecnica «"foriera  di  incertezza",  posto  che  essa
"puo' tradursi in cattivo esercizio delle funzioni affidate alla cura
della pubblica amministrazione" (sentenza n. 364 del 2010)» (sentenza
n. 70 del 2013, punto 4 del Considerato in diritto). 
    4.3.3.- Anche alla luce dei precedenti  appena  rammentati,  deve
piu' in generale ritenersi che disposizioni irrimediabilmente oscure,
e  pertanto  foriere   di   intollerabile   incertezza   nella   loro
applicazione concreta, si pongano  in  contrasto  con  il  canone  di
ragionevolezza della legge di cui all'art. 3 Cost. 
    L'esigenza di rispetto di standard minimi di intelligibilita' del
significato  delle  proposizioni  normative,  e  conseguentemente  di
ragionevole  prevedibilita'  della  loro   applicazione,   va   certo
assicurata con particolare rigore nella materia penale,  dove  e'  in
gioco la liberta' personale del consociato, nonche' piu' in  generale
allorche' la legge conferisca all'autorita'  pubblica  il  potere  di
limitare i suoi diritti fondamentali, come nella materia delle misure
di prevenzione. Ma sarebbe errato  ritenere  che  tale  esigenza  non
sussista affatto rispetto alle norme che regolano la generalita'  dei
rapporti tra la pubblica amministrazione  e  i  cittadini,  ovvero  i
rapporti reciproci tra questi ultimi. Anche in questi ambiti, ciascun
consociato ha un'ovvia aspettativa a che la legge definisca ex  ante,
e in maniera ragionevolmente affidabile, i limiti  entro  i  quali  i
suoi diritti e interessi legittimi potranno trovare  tutela,  si'  da
poter compiere su quelle basi le proprie libere scelte d'azione. 
    Una norma radicalmente oscura, d'altra parte, vincola in  maniera
soltanto  apparente  il  potere  amministrativo  e  giudiziario,   in
violazione del principio di legalita' e della stessa separazione  dei
poteri; e crea  inevitabilmente  le  condizioni  per  un'applicazione
diseguale della legge, in violazione di quel principio di parita'  di
trattamento tra i consociati, che costituisce il cuore della garanzia
consacrata nell'art. 3 Cost. 
    4.3.4.- Ogni enunciato  normativo,  beninteso,  presenta  margini
piu' o meno ampi di incertezza circa il suo ambito  di  applicazione,
senza che cio' comporti la sua illegittimita' costituzionale. Compito
essenziale della giurisprudenza e' quello di  dipanare  gradualmente,
attraverso   gli   strumenti   dell'esegesi   normativa,   i    dubbi
interpretativi che ciascuna disposizione inevitabilmente solleva, nel
costante confronto con  la  concretezza  dei  casi  in  cui  essa  e'
suscettibile di trovare applicazione; cio' che contribuisce a rendere
piu' uniforme e prevedibile la legge per i consociati. 
    Ne' certamente potrebbe ritenersi contrario all'art. 3  Cost.  il
ricorso da parte della legge a clausole generali,  programmaticamente
aperte  a  «processi  di   specificazione   e   di   concretizzazione
giurisprudenziale»  (sentenza  n.  8  del  2023,  punto   12.1.   del
Considerato in diritto, con riferimento alla clausola di  buona  fede
di cui all'art. 1337 cod. civ.). 
    Ne', ancora, potrebbe ritenersi precluso  alla  legge  utilizzare
concetti tecnici o di difficile comprensione  per  chi  non  possieda
speciali competenze tecniche: la complessita' delle  materie  che  il
legislatore si trova a regolare spesso esige una disciplina normativa
a sua volta complessa. Sempre  piu'  frequentemente,  del  resto,  le
leggi fanno uso di definizioni normative, collocate  in  disposizioni
di carattere generale, che consentono  all'interprete  di  attribuire
significati precisi alle espressioni tecniche, a  volte  lontane  dal
linguaggio comune, utilizzate in un dato corpus normativo. 
    Diverso  e',  pero',  il  caso  in  cui  il   significato   delle
espressioni utilizzate in una disposizione - nonostante  ogni  sforzo
interpretativo,  compiuto  sulla  base  di  tutti  i  comuni   canoni
ermeneutici - rimanga del tutto oscuro, con il risultato  di  rendere
impossibile all'interprete identificare anche solo un nucleo centrale
di ipotesi riconducibili con ragionevole  certezza  alla  fattispecie
normativa astratta. Una tale disposizione non potra' che ritenersi in
contrasto con quei  «requisiti  minimi  di  razionalita'  dell'azione
legislativa» che la poc'anzi menzionata sentenza n. 185 del 1992  ha,
in via generale, evocato in funzione della tutela della  «liberta'  e
della sicurezza dei cittadini». 
    4.3.5.- A identiche conclusioni sono, del resto, pervenute  altre
giurisdizioni costituzionali affini a quella italiana per  tradizioni
e premesse culturali. 
    Secondo la costante giurisprudenza  del  Conseil  constitutionnel
francese,   l'accessibilita'   e   l'intellegibilita'   della   legge
rappresentano principi di  rango  costituzionale,  che  impongono  al
legislatore di adottare disposizioni sufficientemente precise al fine
di proteggere gli individui dal rischio  di  applicazioni  arbitrarie
delle leggi, evitando di addossare alle  autorita'  amministrative  e
giurisdizionali il compito di stabilire regole che spettano invece al
legislatore (decisione 27 luglio 2006, n. 2006-540 DC, considerato n.
9). I principi in questione sono dedotti, tra l'altro,  dallo  stesso
principio di eguaglianza dinanzi alla legge, proclamato  dall'art.  6
della Dichiarazione  dei  diritti  dell'uomo  e  del  cittadino,  non
potendo esservi effettiva eguaglianza - ad avviso del  Conseil  -  se
non quando i cittadini  abbiano  una  «conoscenza  sufficiente  delle
norme loro applicabili» (decisione 16 dicembre 1999,  n.  99-421  DC,
considerato n. 13; per una recente  dichiarazione  di  illegittimita'
costituzionale di una disposizione di  legge  in  ragione  della  sua
inintelligibilita',  decisione  30  luglio  2021,  n.  2021-822   DC,
paragrafi 29 e 30). 
    Parimenti il Tribunale costituzionale federale tedesco  da  molti
decenni ormai riconosce l'esistenza di un mandato  costituzionale  di
«precisione»  e  «chiarezza  normativa»,  in   base   al   quale   le
disposizioni di legge debbono essere formulate in modo  tale  da:  a)
consentire ai loro destinatari di comprendere il loro  significato  e
di regolare di  conseguenza  la  loro  condotta,  b)  disciplinare  e
limitare efficacemente l'attivita' della pubblica amministrazione,  e
c) consentire all'autorita'  giudiziaria  di  esercitare  il  proprio
potere di controllo sull'attivita' dell'amministrazione sulla base di
criteri giuridici prestabiliti (pronuncia 3 marzo 2004, BVerfGE  110,
33, pagine 53 e 54, e ivi ulteriori riferimenti). Tale mandato, a sua
volta derivato dal principio dello Stato di diritto di  cui  all'art.
20, comma 3, della Legge  fondamentale  (pronuncia  22  giugno  1977,
BVerfGE 45, 400, pagina 420), non osta  ovviamente  a  che  la  norma
possa presentare ambiguita' di significato destinate a essere sciolte
attraverso  i  tradizionali  metodi  interpretativi   (pronuncia   27
novembre 1990, BVerfGE 83, 130,  pagina  145),  ma  implica  standard
minimi  di  comprensibilita'  e  di  non  contraddizione  dei   testi
normativi, il cui mancato rispetto determina la  loro  illegittimita'
costituzionale (per recenti applicazioni di tale principio, pronuncia
28 settembre 2022, 1 BvR 2354/13, paragrafi 106 e  seguenti,  nonche'
pronuncia 20 luglio 2021, BVerfGE 159,  40,  pagine  68  e  seguenti,
entrambe con estese ricostruzioni della giurisprudenza costituzionale
in materia). 
    4.3.6.- La disposizione  in  questa  sede  all'esame  costituisce
esempio paradigmatico di un enunciato normativo affetto  da  radicale
oscurita': un enunciato che, da un lato, condiziona  l'ammissibilita'
di non meglio precisati «interventi» all'interno di altrettanto vaghe
«fasce di rispetto» a una  procedura  identificata  con  un  acronimo
incomprensibile, e in effetti oggetto di due diverse letture da parte
della stessa difesa regionale; e che, dall'altro, non si  collega  ad
alcun corpo normativo preesistente e rimane, per cosi' dire,  sospeso
nel  vuoto,  precludendo  cosi'  la  possibilita'  di  utilizzare  il
prezioso strumento dell'interpretazione sistematica,  che  presuppone
l'inserimento della singola disposizione in un contesto normativo che
si assume connotato da interna coerenza. 
    Una disposizione siffatta, in ragione  dell'indeterminatezza  dei
suoi presupposti applicativi, non rimediabile tramite  gli  strumenti
dell'interpretazione, non fornisce alcun  affidabile  criterio  guida
alla pubblica amministrazione nella valutazione se assentire  o  meno
un dato  intervento  richiesto  dal  privato,  in  contrasto  con  il
principio di legalita'  dell'azione  amministrativa  e  con  esigenze
minime di eguaglianza di trattamento tra i consociati; e rende  arduo
al privato lo stesso esercizio  del  proprio  diritto  di  difesa  in
giudizio contro l'eventuale  provvedimento  negativo  della  pubblica
amministrazione,  proprio  in   ragione   dell'indeterminatezza   dei
presupposti della legge che dovrebbe assicurargli tutela contro l'uso
arbitrario della discrezionalita' amministrativa. 
    4.4.- La disposizione impugnata deve, pertanto, essere dichiarata
costituzionalmente illegittima per contrasto con l'art. 3 Cost. 
    Restano assorbite le  questioni  formulate  in  riferimento  agli
artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., il vaglio della  cui
fondatezza presupporrebbe d'altronde  un  chiarimento  interpretativo
circa la portata della disposizione, che e' pero' impossibile per  le
ragioni sin qui enunziate. 
    5.- E' infine impugnato l'art. 11 della legge reg.  Molise  n.  8
del  2022,  che   testualmente   recita:   «[i]n   virtu'   dell'alta
specializzazione, viene autorizzata la Giunta regionale  a  procedere
alla stabilizzazione del personale attualmente in servizio presso  il
Centro funzionale e presso la Sala operativa del  servizio  regionale
di protezione civile, ovvero all'avvio di ogni procedura  utile  alla
valorizzazione della professionalita' specifica maturata dal suddetto
personale». 
    5.1.-  Secondo  il  ricorrente,  tale  disposizione  ometterebbe,
anzitutto,  di  quantificare  gli  oneri  conseguenti  alla  prevista
stabilizzazione e di prevederne la  relativa  copertura  finanziaria.
Cio' determinerebbe  la  violazione,  assieme:  dell'art.  81,  terzo
comma, Cost., anche in relazione all'art. 17 della legge n.  196  del
2009; dell'art. 97, primo comma, Cost.; dell'art. 119,  primo  comma,
Cost.; e dell'art. 117, secondo comma, lettera e), anche in relazione
all'art. 38 del d.lgs. n. 118 del 2011. 
    Inoltre, la disposizione impugnata violerebbe l'art.  97,  quarto
comma, Cost., omettendo  di  chiarire  se  la  stabilizzazione  debba
avvenire nel rispetto del principio del pubblico concorso. 
    La disposizione - incidendo sulla regolamentazione  del  rapporto
"precario" e prevedendo la sua conversione in rapporto  di  lavoro  a
tempo indeterminato  -  invaderebbe  poi  la  competenza  legislativa
esclusiva in materia di ordinamento  civile,  di  cui  all'art.  117,
secondo comma, lettera l). 
    Infine, il ricorrente rammenta come la  Corte  abbia  piu'  volte
qualificato le norme statali in tema di stabilizzazione del personale
"precario" come principi  fondamentali  della  materia  coordinamento
della finanza pubblica. 
    5.2.-   La   Regione   non   ha   articolato   difese    rispetto
all'impugnazione ora all'esame. 
    5.3.- E' fondata, anzitutto, la questione promossa in riferimento
all'art. 97, quarto comma, Cost. 
    Questa Corte ha costantemente affermato che il pubblico  concorso
costituisce «la forma generale ed ordinaria di  reclutamento  per  il
pubblico impiego, in  quanto  meccanismo  strumentale  al  canone  di
efficienza dell'amministrazione (sentenze n. 194 del 2002, n.  1  del
1999, n. 333 del 1993, n. 453 del 1990 e  n.  81  del  1983),  ed  ha
ritenuto che possa derogarsi  a  tale  regola  solo  in  presenza  di
peculiari   situazioni   giustificatrici,   nell'esercizio   di   una
discrezionalita'  che  trova  il  suo  limite  nella  necessita'   di
garantire il buon andamento della pubblica amministrazione (art.  97,
primo   comma,   della   Costituzione)   ed   il   cui   vaglio    di
costituzionalita' non puo' che passare attraverso una valutazione  di
ragionevolezza della scelta operata dal legislatore» (sentenza n.  34
del 2004, punto 4.2. del Considerato  in  diritto).  Le  deroghe,  e'
stato parimenti da tempo precisato,  debbono  essere  delimitate  «in
modo rigoroso» (sentenza n. 363 del 2006, punto 3 del Considerato  in
diritto), con riferimento a «peculiari  e  straordinarie  ragioni  di
interesse pubblico» idonee a giustificarle (sentenza n. 81 del  2006,
punto 4 del Considerato in diritto). 
    A tali criteri - anche di recente ribaditi (ex  multis,  sentenza
199 del 2020, punto 8.2. del Considerato in diritto, e ivi  ulteriori
precedenti) - non si conforma la disposizione impugnata. 
    Quest'ultima  non  chiarisce  con  quali  modalita'  e  a   quali
condizioni la Giunta regionale debba procedere alla  «stabilizzazione
del personale attualmente in servizio» presso  la  protezione  civile
regionale, nonche' ad ogni altra «procedura utile alla valorizzazione
della professionalita' specifica maturata  dal  suddetto  personale».
Peraltro, in assenza di ogni richiamo alla legislazione statale che -
al  ricorrere  di  rigorose  condizioni  -  consente  alle  pubbliche
amministrazioni di assumere a tempo indeterminato personale  gia'  in
servizio a tempo determinato, ovvero di bandire procedure concorsuali
con riserva di percentuali massime per  personale  gia'  titolare  di
contratti di lavoro flessibile con la  pubblica  amministrazione,  e'
giocoforza concludere che le procedure indicate  genericamente  dalla
disposizione impugnata siano finalizzate a  immettere  personale  nei
ranghi dell'amministrazione regionale senza richiedere il superamento
di alcuna prova concorsuale, in  ragione  soltanto  della  esperienza
acquisita per  mezzo  di  precedenti  incarichi  contrattuali,  senza
neppure alcuna indicazione sul periodo minimo di servizio espletato. 
    Un simile esito si pone in  evidente  contrasto  con  i  principi
desumibili dalla giurisprudenza di questa Corte, poc'anzi richiamati.
La disposizione impugnata introduce,  infatti,  una  deroga  rispetto
alla regola generale del pubblico concorso, senza  disciplinarla  «in
modo rigoroso», secondo  quanto  richiesto  dalla  giurisprudenza  di
questa Corte,  ed  anzi  omettendo  di  articolare  una  qualsivoglia
disciplina, rinviando integralmente  a  un  successivo  provvedimento
della Giunta. Cio' impedisce, in radice, di  valutare  se  e  in  che
misura una tale deroga, alla luce di un criterio  di  ragionevolezza,
possa essere giustificata in quanto funzionale alla  salvaguardia  di
quelle «peculiari e straordinarie ragioni di interesse pubblico»,  le
quali  sole  -  a  prescindere  qui  dalla  diversa  questione  della
compatibilita' di una siffatta disciplina derogatoria  con  i  limiti
della  stessa   competenza   legislativa   regionale   -   potrebbero
assicurarne la compatibilita' con l'art. 97, quarto comma, Cost. 
    5.4.- E' altresi' fondata la questione  promossa  in  riferimento
all'art. 81, terzo comma, Cost. 
    La disposizione impugnata comporta infatti,  all'evidenza,  oneri
finanziari per la Regione, che non sono in alcun modo quantificati, e
per i quali non e' prevista  conseguentemente  alcuna  copertura.  Il
che, per le  stesse  ragioni  gia'  sopra  menzionate  (punto  3.3.),
integra la violazione del parametro costituzionale in esame. 
    5.5.- Da  cio'  discende  l'illegittimita'  costituzionale  della
disposizione impugnata, per contrasto con gli artt. 97, quarto comma,
e 81, terzo comma, Cost. 
    Restano assorbite tutte le ulteriori censure.