ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 4; 7, commi da 5 a 14 e 18; e 11 della legge della Regione Molise 24 maggio 2022, n. 8 (Legge di stabilita' regionale anno 2022), promosso dal Presidente del Consiglio dei ministri con ricorso notificato il 25 luglio 2022, depositato in cancelleria il 28 luglio 2022, iscritto al n. 51 del registro ricorsi 2022 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 39, prima serie speciale, dell'anno 2022. Visto l'atto di costituzione della Regione Molise; udito nell'udienza pubblica del 18 aprile 2023 il Giudice relatore Francesco Vigano'; uditi l'avvocato dello Stato Alfonso Peluso per il Presidente del Consiglio dei ministri e l'avvocato Claudia Angiolini per la Regione Molise; deliberato nella camera di consiglio del 18 aprile 2023. Ritenuto in fatto 1.- Con ricorso notificato il 25 luglio 2022 e depositato il 28 luglio 2022 (reg. ric. n. 51 del 2022), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato gli artt. 4; 7, commi da 5 a 14 e 18; e 11 della legge della Regione Molise 24 maggio 2022, n. 8 (Legge di stabilita' regionale anno 2022). 1.1.- Il ricorrente lamenta in primo luogo il contrasto fra l'art. 4 della legge regionale impugnata e gli artt. 97 e 117, terzo comma, della Costituzione, quest'ultimo in relazione all'art. 14, comma 5, del decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175, recante «Testo unico in materia di societa' a partecipazione pubblica» (di seguito: TUSP), assunto quale norma interposta in quanto espressivo di un principio fondamentale della materia «coordinamento della finanza pubblica». Ad avviso del ricorrente, la disposizione impugnata, autorizzando lo stanziamento di 100.000 euro per il completamento della procedura di scioglimento della societa' Sviluppo della Montagna Molisana spa, di cui la Regione e' unico socio, determinerebbe da parte della Regione stessa «un sostanziale accollo dei debiti» della procedura di liquidazione della societa', violando cosi' il principio del divieto di soccorso finanziario di cui all'art. 14, comma 5, TUSP, nonche' il principio di buon andamento della pubblica amministrazione di cui all'art. 97 Cost. Dopo aver ricordato che l'art. 2325, primo comma, del codice civile dispone che «[n]ella societa' per azioni per le obbligazioni sociali risponde soltanto la societa' con il suo patrimonio», e che la scelta della pubblica amministrazione di acquisire partecipazioni in societa' private implica il suo assoggettamento alle regole proprie della forma giuridica prescelta (e' citata Corte di cassazione, sezioni unite civili, sentenza 27 ottobre 2009, n. 26806), il ricorrente svolge un esteso esame degli orientamenti della Corte dei conti in materia di divieto di "soccorso finanziario". Rammenta innanzi tutto l'Avvocatura generale dello Stato che la ratio del principio di cui all'art. 14, comma 5, TUSP, e' stata individuata dai giudici contabili nella necessita' di abbandonare la logica del «salvataggio a tutti i costi» di societa' che versano in situazione di dissesto, ponendo «un freno alla prassi, ormai consolidata, seguita dagli enti pubblici e in particolare dagli enti locali, di procedere a ricapitalizzazioni e ad altri trasferimenti straordinari per coprire le perdite strutturali (tali da minacciare la continuita' aziendale)» (e' citata, sul punto, Corte dei conti, sezione regionale di controllo per l'Abruzzo, deliberazione del 21 ottobre 2015, n. 279/2015/PAR). La disposizione in esame stabilirebbe dunque «un generale divieto di disporre, a qualsiasi titolo, erogazioni finanziarie "a fondo perduto" in favore di societa' in grave situazione deficitaria, relegando l'ammissibilita' di trasferimenti straordinari ad ipotesi derogatoria e residuale, percorribile con finalita' di risanamento aziendale e per il solo perseguimento di esigenze pubblicistiche di conclamato rilievo, in quanto sottendenti prestazioni di servizi di interesse generale ovvero la realizzazione di programmi di investimenti affidati e regolati convenzionalmente, secondo prospettive di continuita'» (e' citata Corte dei conti, sezione regionale di controllo per il Lazio, deliberazione del 17 ottobre 2018, n. 66/2018/PAR). Nei confronti delle societa' in liquidazione, in particolare, sussisterebbe, un «divieto assoluto di "soccorso finanziario"», poiche' «[t]enuto conto della particolare fase della vita sociale che la liquidazione rappresenta, infatti, l'apporto finanziario richiesto al socio e' in re ipsa destituito delle finalita' proprie di duraturo riequilibrio strutturale, venendo piuttosto a tradursi sul piano sostanziale in un accollo delle passivita' societarie, con rinuncia implicita al beneficio della ordinaria limitazione di responsabilita' connessa alla separazione patrimoniale, al solo e circoscritto fine di consentire il fisiologico espletamento della fase di chiusura». La Corte dei conti ha infatti piu' volte affermato che «il divieto di soccorso finanziario opera anche per le societa' poste in liquidazione, le quali, proprio perche' rimangono in vita senza la possibilita' di intraprendere nuove operazioni rientranti nell'oggetto sociale, ma al solo fine di risolvere i rapporti finanziari e patrimoniali pendenti, compresi quelli relativi alla ripartizione proporzionale tra i soci dell'eventuale patrimonio netto risultante all'esito della procedura, non possono, per definizione, prospettare alcuna possibilita' di recupero o risanamento» (sono richiamate numerose deliberazioni, tra cui, fra le piu' recenti, Corte dei conti, sezione regionale di controllo per il Lazio, deliberazione del 28 febbraio 2019, n. 1/2019/PAR). Ritiene peraltro il ricorrente che, «[n]ella medesima prospettiva», secondo la Corte dei conti, «un intervento volto ad assumere debiti della partecipata in liquidazione [debba] essere supportato da una congrua e analitica motivazione in ordine alle sottostanti ragioni di razionalita', convenienza economica e sostenibilita' finanziaria che lo possano eventualmente ed esaustivamente giustificare» (e' citata Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Puglia, deliberazione del 9 maggio 2019, n. 47/2019/PAR). L'Avvocatura generale dello Stato ritiene conclusivamente che l'assunzione di debiti di una societa' partecipata da parte dell'ente pubblico sarebbe possibile «solo in presenza di un prevalente interesse pubblico». Nel caso di specie, un simile interesse pubblico non sarebbe ravvisabile, atteso che l'art. 4 della legge reg. Molise n. 8 del 2022 «si limita a prevedere uno stanziamento utile al soddisfo dei creditori della gestione liquidatoria e alla riduzione del numero degli organismi partecipati», cio' che determinerebbe l'illegittimita' costituzionale della disposizione impugnata. 1.2.- Sono poi impugnati i commi da 5 a 14 dell'art. 7, per contrasto con l'art. 81, comma terzo, Cost. La disposizione, dopo aver stabilito al comma 5 che la Regione «promuove, organizza e indirizza la formazione e la diffusione della cultura di protezione civile in tutto il territorio regionale con l'aggiornamento continuo del personale tecnico e amministrativo impegnato istituzionalmente nel settore della protezione civile, degli amministratori locali, nonche' dei volontari delle organizzazioni iscritte nell'Elenco territoriale regionale del volontariato di protezione civile», istituisce, al comma 6, la Scuola regionale di protezione civile. I commi successivi prevedono che la Scuola svolga le proprie attivita' formative presso la sede del Servizio regionale di protezione civile di Campochiaro e presso i locali del Consiglio regionale (comma 7), disciplinano il comitato tecnico scientifico della Scuola (commi da 8 a 12) e individuano i compiti della stessa (commi 13 e 14). In particolare, il comma 13 dell'art. 7 stabilisce che la Scuola regionale di protezione civile «a) promuove e organizza, anche mediante l'eventuale coinvolgimento, previa intesa e a titolo gratuito, del corpo nazionale dei vigili del fuoco o anche delle strutture operative e dei soggetti concorrenti di cui all'articolo 13 del decreto legislativo n. 1/2018, percorsi formativi per la preparazione, l'aggiornamento, l'addestramento, la formazione specialistica nelle materie della protezione civile e dell'emergenza», nonche' «b) promuove la diffusione della cultura di protezione civile, la sensibilizzazione e l'educazione civica in materia di protezione civile, portando a conoscenza della collettivita', degli enti pubblici e privati e dei tecnici interessati, i comportamenti necessari per mitigare i rischi, affrontare i medesimi, porre in essere misure di autoprotezione e ridurne gli effetti dannosi». Ai sensi del comma 14, infine, «[i] compiti della Scuola regionale di protezione civile e del Comitato tecnico scientifico sono specificati con delibera dell'Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale entro novanta giorni dall'entrata in vigore» della legge. Il ricorrente ritiene che le disposizioni in esame comportino nuovi e maggiori oneri non quantificati, a fronte dei quali non sarebbe indicata la correlata fonte di finanziamento. Le disposizioni impugnate si porrebbero pertanto in contrasto con l'art. 81, terzo comma, Cost., che, ricorda l'Avvocatura generale dello Stato, richiede che la copertura di nuove spese sia «credibile, sufficientemente sicura, non arbitraria o irrazionale e in equilibrato rapporto con la spesa che si intende effettuare in esercizi futuri». 1.3.- Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, inoltre, l'art. 7, comma 18, «per violazione dell'art. 3 della Costituzione e del principio di ragionevolezza», nonche' degli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 135, 143 e 145 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137). La disposizione impugnata testualmente recita: «[n]elle fasce di rispetto di tutte le zone e di tutte le aree di piano, in presenza di opere gia' realizzate e ubicate tra l'elemento da tutelare e l'intervento da realizzare, quest'ultimo e' ammissibile previa V. A. per il tematismo che ha prodotto la fascia di rispetto, purche' lo stesso intervento non ecceda, in proiezione ortogonale, le dimensioni delle opere preesistenti o sia compreso in un'area circoscritta nel raggio di mt. 50 dal baricentro di insediamenti consolidati preesistenti». Il ricorrente riferisce che alla Regione sono stati richiesti chiarimenti circa il significato da attribuire ad alcune espressioni contenute nella disposizione, attesa la formulazione oscura della stessa. Nello specifico veniva chiesto alla Regione di chiarire a quale tipologia di «piano» la norma facesse riferimento, che cosa dovesse intendersi per «opere gia' realizzate e ubicate tra l'elemento da tutelare e l'intervento da realizzare», quale significato dovesse attribuirsi al termine «tematismo», nonche' se «V. A.» dovesse essere inteso come «acronimo della valutazione di impatto ambientale o della valutazione ambientale strategica o di entrambe». A tali richieste - prosegue il ricorrente - la Regione rispondeva che «le novita' legislative si riferiscono al Piano Paesistico Regionale e che le opere ritenute ammissibili sono quelle che vanno a collocarsi in territori gia' "contaminati" da fabbricati, in presenza di opere gia' realizzate. Nello specifico, le opere di cui si intende consentire la realizzazione sono quelle che, seppur previste nelle cd "fasce di rispetto", sono progettate in maniera tale che la percezione visiva e di impatto delle stesse siano mitigate dalla proiezione ortogonale del manufatto: ove, cioe', tra l'elemento oggetto di tutela e il nuovo fabbricato vi siano gia' dei manufatti allineati sulla medesima proiezione e che comunque l'area oggetto di intervento ospiti gia' degli insediamenti consolidati. In ogni caso, e' sempre fatta salva la Valutazione Ambientale riferita al vincolo esistente sul lotto, che ha originato l'applicazione della fascia di rispetto». Cio' premesso, ritiene il ricorrente che la disposizione impugnata «introduca nell'ordinamento una disposizione dal significato non intellegibile, in aperto contrasto con il canone della ragionevolezza, imposto dal rispetto dell'articolo 3 della Costituzione», a causa del ricorso a «espressioni vaghe e suscettibili di varie interpretazioni», senza che i chiarimenti offerti dalla Regione consentano di superare tali incertezze interpretative. Sottolinea in particolare l'Avvocatura generale dello Stato che la disposizione in esame definisce il proprio ambito di applicazione con riferimento alle «fasce di rispetto di tutte le zone e di tutte le aree di piano», senza chiarire ne' di quali piani si tratti (se territoriali, urbanistici o di settore), ne' a quali fasce di rispetto si sia inteso fare riferimento, essendo le stesse poste a tutela di beni della piu' varia natura. In tale non meglio precisato ambito applicativo, la disposizione sottoporrebbe l'ammissibilita' di imprecisati «interventi» a una condizione ritenuta del tutto inintelligibile. Sarebbe infatti impossibile comprendere cosa il legislatore regionale abbia voluto intendere facendo riferimento all'acronimo «V. A.», al «tematismo che ha prodotto la fascia di rispetto», nonche' alla condizione che «lo stesso intervento non ecceda, in proiezione ortogonale, le dimensioni delle opere preesistenti o sia compreso in un'area circoscritta nel raggio di mt. 50 dal baricentro di insediamenti consolidati preesistenti». Dalla norma impugnata non scaturirebbe, dunque, la mera «possibilita' obiettiva di piu' interpretazioni diverse, in un certo senso equivalenti l'una all'altra, e tutte ugualmente plausibili secondo il canone dell'interpretazione costituzionalmente orientata», bensi' una situazione di «assoluta inconoscibilita' del testo normativo», di per se' in contrasto con il canone di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. Qualora poi, sulla base delle spiegazioni offerte dalla Regione, si dovesse assegnare alla disposizione il significato di consentire la realizzazione di non meglio precisate opere all'interno delle fasce di rispetto del piano paesistico regionale, essa si porrebbe in contrasto con gli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 135, 143 e 145 del d.lgs. n. 42 del 2004, introducendo nell'ordinamento regionale «una disposizione derogatoria in tema di pianificazione paesaggistica, che agevola la trasformazione edificatoria del territorio, con il conseguente grave abbassamento del livello della tutela del paesaggio». Richiamando la giurisprudenza di questa Corte, e in particolare la sentenza n. 261 del 2021, l'Avvocatura generale dello Stato afferma infatti che gli artt. 143, comma 9, e 145, comma 3, del d.lgs. n. 42 del 2004 sancirebbero l'inderogabilita' del piano paesaggistico, la sua «cogenza» rispetto agli strumenti urbanistici, nonche' la sua prevalenza su ogni altro atto della pianificazione territoriale e urbanistica. 1.4.- E' infine impugnato l'art. 11 per contrasto: - con l'art. 81, terzo comma, Cost., anche in relazione all'art. 17 della legge 31 dicembre 2009, n. 196 (Legge di contabilita' e finanza pubblica); - con l'art. 97, primo e quarto comma, Cost.; - con l'art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., anche in relazione all'art. 38 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118 (Disposizioni in materia di armonizzazione dei sistemi contabili e degli schemi di bilancio delle Regioni, degli enti locali e dei loro organismi, a norma degli articoli 1 e 2 della legge 5 maggio 2009, n. 42); - con l'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost.; nonche' - con l'art. 119, primo comma, Cost. La disposizione impugnata autorizza la Giunta regionale a «procedere alla stabilizzazione del personale attualmente in servizio presso il Centro funzionale e presso la Sala operativa del servizio regionale di protezione civile, ovvero all'avvio di ogni procedura utile alla valorizzazione della professionalita' specifica maturata dal suddetto personale». Secondo il ricorrente, un primo profilo di illegittimita' costituzionale della disposizione impugnata consisterebbe nella mancanza di qualsiasi «disposizione di carattere finanziario recante la quantificazione degli oneri assunzionali conseguenti alla previsione in esame e l'indicazione della relativa copertura finanziaria». Cio' determinerebbe il contrasto con l'art. 81, terzo comma, Cost., anche in relazione all'art. 17 della legge n. 196 del 2009, che elencherebbe in modo tassativo le modalita' con cui assicurare la copertura finanziaria delle leggi che comportano nuove o maggiori spese, ma anche con gli artt. 97, primo comma, Cost., 119, primo comma, Cost., nonche' 117, secondo comma, lettera e), Cost., in relazione all'art. 38 del d.lgs. n. 118 del 2011. La disposizione violerebbe poi l'art. 97, quarto comma, Cost., dal momento che la formulazione della disposizione non chiarisce se le stabilizzazioni ivi previste avverranno nel rispetto della normativa statale in materia, e in particolare nel rispetto del principio del pubblico concorso. Un terzo profilo di illegittimita' costituzionale e' infine ravvisato dal ricorrente in riferimento all'art. 117, secondo comma, lettera l), Cost., dal momento che la norma regionale inciderebbe «sulla regolamentazione del rapporto precario (in particolare, sugli aspetti connessi alla sua durata)» e determinerebbe, al contempo, «la costituzione di altro rapporto giuridico (il rapporto di lavoro a tempo indeterminato, destinato a sorgere proprio per effetto della stabilizzazione)», cosi' invadendo la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di ordinamento civile. Peraltro, l'Avvocatura generale dello Stato ricorda anche che questa Corte ha piu' volte qualificato le norme statali in materia di stabilizzazione del personale "precario" come principi fondamentali della materia di competenza legislativa concorrente coordinamento della finanza pubblica (sono citate diverse pronunce, fra cui la sentenza n. 194 del 2020). 2.- Si e' costituita in giudizio la Regione Molise, svolgendo difese limitatamente alle questioni aventi a oggetto gli artt. 4, 7, commi da 5 a 14, e 7, comma 18, della legge regionale impugnata. 2.1.- Con riferimento all'art. 4 della legge reg. Molise n. 8 del 2022, la Regione sottolinea che la disposizione e' stata approvata in ragione del «prevalente interesse pubblico» allo scioglimento della societa' Sviluppo della Montagna Molisana spa, «in quanto non funzionale alle strategie regionali di programmazione e valorizzazione del comparto montano», dal momento che le sue funzioni sarebbero state assegnate ad altra societa' pubblica, Funivie Molise spa. Sarebbe pertanto possibile ricondurre la fattispecie a quelle ipotesi, contemplate dal TUSP, «in cui, nonostante la registrazione di perdite da parte di organismi di diritto privato a partecipazione pubblica, alle amministrazioni che vi detengono partecipazioni sono consentiti trasferimenti straordinari di liquidita' in presenza di determinate condizioni». In particolare, secondo la Regione, la giurisprudenza contabile consentirebbe a un ente pubblico di «assorbire a carico del proprio bilancio i debiti della gestione di un organismo partecipato», purche' dimostri «la sussistenza di un prevalente interesse pubblico, adeguatamente motivato alla luce degli scopi istituzionali». Nel caso in esame, premesso che lo stanziamento di cui all'art. 4 della legge regionale impugnata e' finalizzato esclusivamente a far fronte alle residuali pendenze della gestione liquidatoria, sussisterebbe in primo luogo un interesse della Regione alla conclusione della procedura di liquidazione della societa', quale emergerebbe dalla deliberazione della Giunta regionale del 30 giugno 2022, n. 210, con cui si e' preso atto della sussistenza di «un concreto rischio di crisi aziendale e della necessita' di consequenziali decisioni civilistiche ex articolo 2447 c.c. ed ex articolo 14 del d.lgs. n. 175/2016». In secondo luogo, la fuoriuscita dalla societa' in questione rappresenterebbe anche il presupposto essenziale per una riduzione numerica delle partecipazioni non ritenute strategiche per la Regione, soprattutto ai fini del contenimento della spesa pubblica. Precisa sul punto la Regione che «lo scioglimento della societa' e' avvenuto a seguito anche di una operazione straordinaria di fusione per incorporazione avviata in forza della l.rg. n. 2/2019, con la quale la "Korai S.r.l." e la "Consorzio Campitello Matese S.c.p.A." sono state incorporate nella nuova costituita "Funivie Molise S.p.A.", che di fatto ha assunto gran parte delle funzioni di programmazione e sviluppo del territorio montano molisano che precedentemente afferivano alla "Sviluppo della Montagna Molisana S.p.A."». Sarebbe stato pertanto improcrastinabile lo scioglimento di un organismo ormai inutile rispetto agli obiettivi regionali e da tempo inattivo. Il mancato completamento della liquidazione della societa', non solo avrebbe pregiudicato la razionalizzazione degli organismi partecipati dalla Regione, ma avrebbe determinato anche «una perdita di credibilita' da parte della Regione Molise in termini di capacita' di governo e programmazione del comparto montano, nonche' di perdita di affidabilita' operativa della societa' Funivie che di fatto ha sostituito la Sviluppo della Montagna nelle attivita' che le erano proprie». Il trasferimento delle risorse necessarie a estinguere le residue pendenze della gestione liquidatoria risponderebbe inoltre, secondo la Regione, al «primario interesse pubblico» di «impedire che un inutile decorso del tempo possa generare oneri di funzionamento ulteriori rispetto alla suddetta strategia dismissoria regionale». Infine, la Regione sottolinea che, alla data del 30 giugno 2022, il debito societario era «rappresentato esclusivamente da spese di natura ordinaria strettamente funzionali alle attivita' di scioglimento della societa' - obbligatorie per legge (compensi amministratori, sindaci, tenuta contabilita', oneri di chiusura liquidazione)». Sarebbe cosi' esclusa qualsiasi violazione della par condicio creditorum, cosi' come la natura di «intervento tampone con dispendio di risorse pubbliche a fondo perduto» della disposizione in esame. 2.2.- Rispetto alla questione di legittimita' costituzionale dell'art. 7, commi da 5 a 14, la Regione afferma che la disciplina impugnata non prevede costi aggiuntivi per la sua attuazione, dal momento che «non contiene automatismi di spesa, neanche astrattamente ipotizzabili, per cui e' priva di impatto sul bilancio regionale, in termini di quantificazione costi, ne' richiede l'individuazione dei mezzi finanziari su cui far gravare gli oneri». In particolare, non si determinerebbero costi per l'acquisizione di locali da destinare alla sede della istituenda scuola, poiche' il legislatore regionale ha disposto che le sue attivita' si svolgano presso la sede del Servizio regionale di protezione civile di Campochiaro e presso i locali del Consiglio regionale, ne' per l'attivita' del comitato tecnico scientifico, poiche' l'art. 7, comma 10, espressamente dispone che i membri di tale comitato «non percepiscono alcun compenso». Inoltre, ai sensi del comma 13 del menzionato art. 7, l'attivita' formativa della scuola sarebbe «promossa ed organizzata con il coinvolgimento di diversi attori preposti, istituzionalmente, alla gestione della materia» «previa intesa e a titolo gratuito». 2.3.- Quanto infine alla censura mossa nei confronti dell'art. 7, comma 18, la difesa regionale riprende testualmente i chiarimenti gia' forniti dalla Regione e sopra richiamati, affermando che, alla luce degli stessi, dovrebbe escludersi «l'ipotizzata difficolta' di lettura della norma, la quale, comunque, non costituirebbe motivo di illegittimita' costituzionale, bensi' presupposto per l'attivita' dell'interprete nell'applicazione della legge». Considerato in diritto 1.- Con il ricorso di cui in epigrafe (reg. ric. n. 51 del 2022), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha impugnato gli artt. 4; 7, commi da 5 a 14 e 18; e 11 della legge reg. Molise n. 8 del 2022. 2.- E' impugnato, anzitutto, l'art. 4 della legge regionale, che autorizza lo stanziamento di 100.000 euro, individuandone la relativa copertura nel bilancio regionale, «[p]er il completamento della procedura di scioglimento della societa' Sviluppo della Montagna molisana spa», interamente partecipata dalla Regione. 2.1.- Secondo il ricorrente, la disposizione impugnata violerebbe l'art. 117, terzo comma, Cost., per contrasto con il principio fondamentale della materia coordinamento della finanza pubblica espresso dall'art. 14, comma 5, TUSP, che stabilisce un generale divieto di "soccorso finanziario" delle societa' partecipate da parte degli enti pubblici partecipanti, nonche' il principio di buon andamento della pubblica amministrazione di cui all'art. 97 Cost. La disposizione in esame determinerebbe infatti un sostanziale accollo «a fondo perduto» dei debiti della procedura di liquidazione della societa' da parte della Regione, senza che cio' sia giustificato da alcun prevalente interesse pubblico, secondo i criteri elaborati dalla Corte dei conti in materia. 2.2.- La Regione sostiene, invece, che lo stanziamento previsto dalla disposizione impugnata risponderebbe al prevalente interesse pubblico allo scioglimento e alla liquidazione della societa', non piu' funzionale alle strategie regionali di programmazione e valorizzazione del comparto montano e da tempo inattiva. L'intervento in parola sarebbe, d'altronde, esclusivamente finalizzato a far fronte alle residuali pendenze della gestione liquidatoria, che sarebbero rappresentate essenzialmente da debiti per spese funzionali all'attivita' di scioglimento della societa'; e cio' anche per evitare una possibile «perdita di credibilita'» della Regione e di «affidabilita' operativa» della societa' Funivie Molise spa, che avrebbe nel frattempo assunto le funzioni gia' svolte dalla societa' in liquidazione. Tale intervento, infine, sarebbe funzionale a evitare ulteriori oneri per la Regione connessi alla liquidazione della societa'. 2.3.- La questione e' fondata. Le parti danno atto che la societa' Sviluppo della montagna spa era in liquidazione all'epoca dello stanziamento di 100.000 euro previsto dalla disposizione impugnata. La deliberazione della Giunta regionale del 30 giugno 2022, n. 210, citata dalla difesa regionale, ha poi dato concreta attuazione a tale stanziamento, autorizzando il trasferimento alla societa' della relativa provvista finanziaria «per far fronte alle residuali pendenze scaturenti dalla gestione liquidatoria di cui trattasi», in modo da «impedire che un inutile decorso del tempo possa generare oneri di funzionamento ulteriori rispetto alla strategia dismissoria regionale»; e cio' a fronte dell'affermata necessita' di scongiurare un «impatto finanziario ulteriormente negativo per l'Ente controllante [...] anche in ragione della naturale traslazione dei debiti residuali della societa' sulle casse regionali», stimati in 100.198,50 euro alla data del 14 giugno 2022. Il ricorrente assume che tale trasferimento violi l'art. 14, comma 5, TUSP, il quale vieta in via generale alle amministrazioni pubbliche di effettuare, tra l'altro, trasferimenti straordinari a favore delle societa' partecipate «che abbiano registrato per tre esercizi consecutivi, perdite di esercizio», salvo che non ricorrano le speciali condizioni indicate nel secondo periodo, che presuppongono l'esistenza di un piano di risanamento della societa'. Su tale disposizione del TUSP si fonda il principio del divieto di soccorso finanziario invocato dal ricorrente, la cui ratio e' stata illustrata da numerose concordi pronunce delle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti: da un lato, quella di tutelare la concorrenza tra le societa', e assieme di evitare situazioni di ingiustificato favor per i creditori della societa' partecipata; e dall'altro, quella di limitare «l'ammissibilita' di interventi a sostegno di organismi partecipati mediante erogazione o, comunque, dispendio di disponibilita' finanziarie a fondo perduto, che appaiano privi quantomeno di una prospettiva di recupero dell'economicita' e dell'efficienza della gestione dei soggetti beneficiari» (Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Liguria, deliberazione 20 aprile 2018, n. 84/2018/PAR). L'art. 14, comma 5, TUSP rifiuta, in particolare, la «logica del salvataggio "a tutti i costi" degli Organismi a partecipazione pubblica in condizioni di precarieta' economico-finanziaria di dissesto o perdita strutturale», ed esprime un «generale divieto di disporre, a qualsiasi titolo, erogazioni finanziarie "a fondo perduto" o prestare garanzie in favore di societa' in grave situazione deficitaria» (Corte dei conti, sezione regionale di controllo per l'Emilia-Romagna, deliberazione 14 giugno 2022, n. 67/2022/PAR). Secondo il costante orientamento delle sezioni regionali di controllo della Corte dei conti, il divieto di cui all'art. 14, comma 5, TUSP vale a maggior ragione rispetto a societa' poste in liquidazione, come quella oggetto della disposizione impugnata, essendo in tal caso di per se' esclusa qualsiasi prospettiva di recupero dell'economicita' e dell'efficienza della gestione (Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Campania, deliberazione 9 maggio 2022, n. 24/2022/PAR), a meno che l'ente pubblico sia in grado di dimostrare la sussistenza di un prevalente interesse pubblico tale da giustificare l'operazione. Ipotesi, quest'ultima, eccezionalmente ravvisata dalle stesse sezioni regionali di controllo «solo con riferimento a poche situazioni concrete, in particolare nell'ipotesi della necessita' di recuperare al patrimonio comunale beni societari indispensabili per la prosecuzione dell'erogazione di servizi pubblici fondamentali, o nel caso di pregresso rilascio di garanzia dell'Ente per l'adempimento delle obbligazioni della societa'» (Corte dei conti, sezione regionale di controllo per la Liguria, deliberazione 8 marzo 2017, n. 24/2017/PAR). Nessuna delle ragioni addotte dalla Regione Molise appare, tuttavia, idonea a dimostrare la sussistenza di un simile prevalente interesse pubblico in relazione al trasferimento operato con la disposizione impugnata. Non pare anzitutto a questa Corte che la finalita' di consentire una sollecita conclusione della procedura di liquidazione della societa', con conseguente dismissione delle partecipazioni non piu' strategiche della Regione, integri di per se' un prevalente interesse pubblico. Attraverso il trasferimento contestato, la Regione ha inteso in sostanza farsi carico dei debiti della societa' verso i creditori, in gran parte rappresentati - come chiarito dalla difesa regionale in udienza - da compensi non pagati ad amministratori e sindaci, nonche' a professionisti in relazione alle attivita' di contabilita' o assistenza legale prestate in favore della societa'. Accollandosi tali debiti, la legge regionale si e' pero' posta in contrasto con le precipue finalita' - tutela della concorrenza, divieto di creazione di un ingiustificato favor per i creditori delle societa' partecipate, garanzia di un uso efficiente delle risorse pubbliche - sottese al divieto di cui all'art. 14, comma 5, TUSP. Ne' si comprende in che senso il soccorso finanziario realizzato in favore della procedura di liquidazione della societa' sarebbe stato necessario al fine di salvaguardare la credibilita' della Regione, anche rispetto all'operativita' della societa' partecipata che ha di fatto ereditato le funzioni della societa' ormai cessata. Nel concludere un contratto con una societa' partecipata avente la forma giuridica di una societa' di capitali, ogni contraente non puo' non essere consapevole che la societa' rispondera' dei propri debiti secondo le regole ordinarie del codice civile, e dunque entro i limiti del proprio patrimonio sociale, senza poter contare, in linea di principio, sul soccorso finanziario da parte dell'ente partecipante. Essenzialmente per la stessa ragione e' destituita di fondamento anche l'ulteriore allegazione difensiva, che allude a possibili oneri finanziari derivanti alla Regione dalla stessa procedura di liquidazione; oneri invocati, peraltro, anche dalla citata deliberazione della Giunta regionale n. 210 del 2022, in cui si fa riferimento ad una presunta «naturale traslazione dei debiti residuali della societa' sulle casse regionali». In realta' - non risultando dagli atti di causa alcuna garanzia prestata dalla Regione a favore della societa', e in assenza di alcuna illustrazione da parte della difesa della resistente delle ragioni di fatto e di diritto per le quali si sarebbe dovuta ipotizzare una simile traslazione, nonostante lo specifico quesito formulato in proposito dalla Corte ai sensi dell'art. 10, comma 3, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale - si deve ritenere che l'ulteriore corso della procedura di liquidazione ed eventualmente lo stesso fallimento della societa' partecipata non avrebbero comportato alcun onere finanziario supplementare per la Regione. Cio' stante il disposto dell'art. 2325, primo comma, cod. civ., a tenore del quale «[n]elle societa' per azioni per le obbligazioni sociali risponde soltanto la societa' con il suo patrimonio»: principio, quest'ultimo, che vale altresi' nella fase di liquidazione della societa', ai sensi dell'art. 2495, terzo comma, cod. civ. In assenza dunque di alcun prevalente interesse pubblico idoneo a giustificare il trasferimento straordinario previsto dalla disposizione impugnata, quest'ultima deve ritenersi in contrasto con l'art. 14, comma 5, TUSP. Questa Corte ha gia' affermato che il TUSP stabilisce, tra l'altro, principi fondamentali in materia di coordinamento della finanza pubblica, «trattandosi di norme che, in linea con le disposizioni in materia di riduzione del costo della pubblica amministrazione (cosiddetta spending review), pongono misure finalizzate alla previsione e al contenimento delle spese della societa' a controllo pubblico per il loro funzionamento» (sentenza n. 194 del 2020, punto 13.1. del Considerato in diritto). Cio' vale certamente anche per l'art. 14, comma 5, TUSP, che mira a porre stringenti limiti ai trasferimenti che le amministrazioni pubbliche possono effettuare a favore delle societa' partecipate. Ne consegue che la disposizione impugnata viola un principio fondamentale della materia del coordinamento della finanza pubblica, e deve pertanto essere dichiarata costituzionalmente illegittima per violazione dell'art. 117, terzo comma, Cost., con assorbimento della questione formulata in riferimento all'art. 97 Cost. 3.- Sono poi impugnati i commi da 5 a 14 dell'art. 7, con i quali si stabilisce che la Regione «promuove, organizza e indirizza la formazione e la diffusione della cultura di protezione civile» nel territorio regionale (comma 5), e - in particolare - si istituisce la «Scuola regionale di protezione civile» (comma 6), della quale vengono disciplinate la sede (comma 7), il comitato tecnico scientifico (commi da 8 a 12) e i compiti (commi 13 e 14), nei termini piu' estesamente riferiti al punto 3 del Ritenuto in fatto. 3.1.- Ad avviso del ricorrente, tali disposizioni si porrebbero in contrasto con l'art. 81, terzo comma, Cost., introducendo nuovi oneri non quantificati, e senza che ne siano indicate le relative coperture nel bilancio regionale. 3.2.- La difesa regionale eccepisce che le disposizioni impugnate non prevederebbero alcuna spesa e sarebbero, pertanto, prive di impatto sul bilancio regionale, come dimostrerebbe in particolare l'espressa previsione della gratuita' dell'attivita' dei membri del comitato tecnico scientifico e dell'eventuale coinvolgimento del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e del servizio della protezione civile. 3.3.- La questione e' fondata. La giurisprudenza di questa Corte, anche di recente ripercorsa (sentenze n. 84 del 2023, punto 9 del Considerato in diritto; n. 64 del 2023, punto 5.1. del Considerato in diritto; n. 57 del 2023, punto 6.2.1. del Considerato in diritto; n. 48 del 2023, punto 8.3. del Considerato in diritto), e' costante nell'affermare che «le leggi istitutive di nuove spese devono contenere un'esplicita indicazione del relativo mezzo di copertura e che a tale obbligo non sfuggono le norme regionali» (sentenza n. 244 del 2020, punto 5.4.1. del Considerato in diritto), sottolineando che «il legislatore regionale non puo' sottrarsi a quella fondamentale esigenza di chiarezza e solidita' del bilancio cui l'art. 81 Cost. si ispira» (sentenza n. 307 del 2013, punto 9.2. del Considerato in diritto). Ora, le disposizioni impugnate non sono corredate da alcuna clausola di invarianza finanziaria, e al tempo stesso non quantificano gli eventuali oneri da esse derivanti. La difesa regionale sostiene invero che tali disposizioni non comporterebbero alcun onere finanziario, facendo leva su quelle specifiche previsioni che stabiliscono espressamente la gratuita' di talune attivita' previste nell'ambito della Scuola regionale della protezione civile, nonche' della partecipazione al comitato tecnico scientifico di cui si prevede la creazione. Che, tuttavia, l'intero spettro dei compiti affidati alla Scuola - effettivamente «istituita», e non meramente programmata, dall'impugnato comma 6 - possa essere svolto a "costo zero" per la Regione appare del tutto inverosimile, sol che si esamini, ad esempio, la disposizione di cui al comma 13, in cui si prevede l'organizzazione di «percorsi formativi per la preparazione, l'aggiornamento, l'addestramento, la formazione specialistica nelle materie della protezione civile e dell'emergenza»: attivita', tutte, che presuppongono impegni di docenza e assieme di coordinamento amministrativo e logistico, i quali «non poss[o]no realizzarsi se non per mezzo di una spesa» (sentenza n. 10 del 2016, punto 6.1. del Considerato in diritto, e precedenti ivi richiamati). Cio' che determina l'obbligo, cui il legislatore regionale e' venuto meno, di indicare i mezzi finanziari per farvi fronte. Ne consegue che i commi da 5 a 14 dell'art. 7 debbono essere dichiarati costituzionalmente illegittimi, per contrasto con l'art. 81, terzo comma, Cost. 4.- Il ricorrente impugna altresi' l'art. 7, comma 18, che testualmente recita: «[n]elle fasce di rispetto di tutte le zone e di tutte le aree di piano, in presenza di opere gia' realizzate e ubicate tra l'elemento da tutelare e l'intervento da realizzare, quest'ultimo e' ammissibile previa V. A. per il tematismo che ha prodotto la fascia di rispetto, purche' lo stesso intervento non ecceda, in proiezione ortogonale, le dimensioni delle opere preesistenti o sia compreso in un'area circoscritta nel raggio di mt. 50 dal baricentro di insediamenti consolidati preesistenti». 4.1.- A parere del ricorrente, la disposizione violerebbe anzitutto il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost., nonche' gli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., quest'ultimo in relazione agli artt. 135, 143 e 145 cod. beni culturali. La violazione dell'art. 3 Cost. discenderebbe dalla radicale inintelligibilita' della disposizione impugnata, che utilizzerebbe espressioni vaghe e suscettibili delle piu' diverse interpretazioni; inintelligibilita' che le spiegazioni offerte dalla stessa Regione alle richieste di chiarimenti non sarebbero riuscite a dipanare. Nell'ipotesi, poi, in cui fosse possibile assegnare alla disposizione il significato di consentire la realizzazione di non meglio precisate opere all'interno delle fasce di rispetto del piano paesistico regionale, essa determinerebbe un non consentito abbassamento del livello di tutela del paesaggio, derogando allo stesso piano paesaggistico, con conseguente violazione congiunta dell'art. 9 e dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., quest'ultimo in relazione alle menzionate disposizioni del codice dei beni culturali e del paesaggio. 4.2.- La difesa regionale ha osservato, nel proprio atto di costituzione, che la disposizione impugnata si riferirebbe al «piano paesistico regionale», consentendo la realizzazione di opere che dovrebbero andare a collocarsi in territori gia' «"contaminati" da fabbricati», essendo pero' «progettate in maniera tale che la percezione visiva e di impatto delle stesse siano mitigate dalla proiezione ortogonale del manufatto»; restando poi salva la «Valutazione Ambientale riferita al vincolo esistente sul lotto, che ha originato l'applicazione della fascia di rispetto». In ogni caso, la difesa sostiene che «l'ipotizzata difficolta' di lettura della norma [...] non costituirebbe motivo di illegittimita' costituzionale, bensi' presupposto per l'attivita' dell'interprete nell'applicazione della legge». In udienza, la difesa regionale ha fornito ulteriori elementi finalizzati a chiarire la portata applicativa della disposizione, affermando che essa si inserirebbe nella disciplina dei «piani territoriali paesistico ambientali di area vasta» istituititi con la legge della Regione Molise 1° dicembre 1989, n. 24 (Disciplina dei piani territoriali paesistico-ambientali), consentendo nuove opere nelle fasce di rispetto sancite da tali piani subordinatamente a una «verifica di ammissibilita'» in relazione allo specifico «tematismo» che caratterizzerebbe la fascia di rispetto, alle condizioni stabilite nel dettaglio dalla disposizione medesima. 4.3.- La questione e' fondata in riferimento all'art. 3 Cost. 4.3.1.- La disposizione impugnata e' contenuta nell'ultimo dei diciotto commi dell'art. 7, genericamente rubricato «Modifiche di leggi regionali». I commi da 1 a 4, cosi' come i successivi commi da 15 a 17 intervengono in effetti a modificare o abrogare singole disposizioni di sette diverse leggi regionali, mentre i commi da 5 a 14 concernono le attivita' di promozione della cultura della protezione civile e l'istituzione della relativa Scuola, che costituiscono l'oggetto della questione esaminata supra (punto 3). Il comma 18, qui scrutinato, non modifica ne' si inserisce in alcuna legge regionale preesistente, dettando una disciplina che appare consentire nuovi interventi edilizi in deroga a piani esistenti. Come rileva esattamente l'Avvocatura generale dello Stato, la disposizione abbonda di termini imprecisi, o comunque di ardua intelligibilita', in difetto di qualsiasi riferimento al contesto normativo nel quale essa aspirerebbe ad inserirsi. Cosi', la menzione delle «fasce di rispetto di tutte le zone e di tutte le aree di piano» e' del tutto equivoca, laddove non si chiarisca preliminarmente a quali piani la disposizione faccia riferimento: se, ad esempio, ai piani urbanistici territoriali, ovvero ai piani funzionali alla tutela del paesaggio, tra i quali il futuro piano paesaggistico previsto dall'art. 143 del d.lgs. n. 42 del 2004, che la Regione ha l'obbligo di elaborare congiuntamente con il Ministero della cultura (art. 135 del d.lgs. n. 42 del 2004). Analogamente imprecise sono, poi, le nozioni di «opere gia' realizzate» e di «intervento da realizzare», cosi' come la stessa espressione «tematismo che ha prodotto la fascia di rispetto», che non appare ancorata alla disciplina di una specifica tipologia di piano. Ancora, la disposizione utilizza l'acronimo «V. A.» per indicare un procedimento che dovrebbe condizionare l'ammissibilita' dell'intervento, senza fornire alcuna previa definizione del significato dell'acronimo stesso. La disposizione era stata, peraltro, oggetto di vari rilievi critici proprio per la sua oscurita' durante il dibattito che ne aveva preceduto l'approvazione (in questo senso, si vedano in particolare le pagine da 13 a 15 del resoconto integrale della seduta del Consiglio regionale del Molise del 13 maggio 2022, ore 9:30). D'altra parte, ne' le spiegazioni fornite dalla Regione delle quali da' atto l'Avvocatura generale dello Stato nel proprio ricorso e che sono riprese testualmente dalla difesa regionale nella propria memoria di costituzione, ne' quelle piu' articolate fornite dalla stessa difesa regionale all'udienza, riescono a fornire convincenti chiavi di lettura del contenuto precettivo della disposizione impugnata. La Regione sostiene invero che il comma 18 impugnato intenda riferirsi al «Piano Paesistico Regionale», e piu' precisamente - come chiarito per la prima volta in udienza - alla disciplina dei «piani territoriali paesistico ambientali di area vasta» istituititi con la legge reg. Molise n. 24 del 1989, consentendo la realizzazione di nuove «opere» dal ridotto impatto visivo sul paesaggio. Tuttavia, nelle citate spiegazioni, e nella stessa memoria di costituzione, l'acronimo «V. A.» viene sciolto con l'espressione «Valutazione Ambientale» - espressione a sua volta ambigua, come non a torto osserva l'Avvocatura generale dello Stato, potendo riferirsi tanto alla valutazione di impatto ambientale (VIA) o alla valutazione ambientale strategica (VAS), o a entrambe -; mentre, in udienza, la difesa regionale ha sostenuto che l'acronimo alluderebbe semplicemente alla «verifica di ammissibilita'» dell'opera da realizzare nelle fasce di rispetto previste dai piani menzionati. Fermo restando l'ovvio principio che il contenuto precettivo di una legge deve anzitutto evincersi dal «significato proprio delle parole secondo la connessione di esse», anche alla luce dei lavori preparatori, in quanto utili a ricostruire l'«intenzione del legislatore» (art. 11 Preleggi), le spiegazioni fornite dalla Regione sul significato della disposizione impugnata, anche a mezzo del proprio difensore in udienza, confermano il carattere criptico dell'acronimo utilizzato, nonche' la vaghezza di molte espressioni in esse contenute: a cominciare dal sostantivo «tematismo», il cui significato puo' ragionevolmente cogliersi soltanto ove la disposizione venga letta alla luce della disciplina di cui alla legge reg. Molise n. 24 del 1989, che e' stata invero evocata in udienza, ma non e' in alcun modo richiamata dal testo normativo in esame. 4.3.2.- Occorre a questo punto stabilire se una disposizione dal significato cosi' radicalmente inintelligibile si ponga per cio' stesso in contrasto, come sostenuto dal ricorrente, con il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. 4.3.2.1.- In materia penale, questa Corte esercita da tempo un controllo sui requisiti minimi di chiarezza e precisione che debbono possedere le norme incriminatrici, in forza - in particolare - del principio di legalita' e tassativita' di cui all'art. 25, secondo comma, Cost. Gia' nella sentenza n. 96 del 1981 si e' affermato, in proposito, che il legislatore penale «ha l'obbligo di formulare norme concettualmente precise sotto il profilo semantico della chiarezza e della intelleggibilita' dei termini impiegati» (punto 2 del Considerato in diritto). Sulla base di tale criterio, la pronuncia ha ritenuto costituzionalmente illegittima la disposizione incriminatrice del plagio (art. 603 del codice penale), che vietava di «sottopo[rre] una persona al proprio potere, in modo da ridurla in totale stato di soggezione»: situazione considerata da questa Corte del tutto oscura nei suoi contorni, e per tale ragione «non verificabile nella sua effettuazione e nel suo risultato non essendo ne' individuabili ne' accertabili le attivita' che potrebbero concretamente esplicarsi per ridurre una persona in totale stato di soggezione» (punto 14 del Considerato in diritto). In una successiva occasione, relativa a un rinvio normativo erroneo contenuto in una disposizione incriminatrice, questa Corte ha affermato che «vi sono requisiti minimi di riconoscibilita' e di intellegibilita' del precetto penale - che rappresentano anche, peraltro, requisiti minimi di razionalita' dell'azione legislativa - in difetto dei quali la liberta' e la sicurezza giuridica dei cittadini sarebbero pregiudicate». Il che, ha proseguito la Corte, «e' quanto si verifica nel caso in esame, in cui l'errore materiale di redazione del testo legislativo [...] costituisce per il cittadino una vera e propria insidia, palesemente idonea ad impedirgli la comprensione del precetto penale, o, quanto meno, a fuorviarlo. L'errore stesso, peraltro, introduce nella formulazione letterale della disposizione un elemento certo, pur se involontario, di irrazionalita' e di contraddittorieta' rispetto al contesto normativo in cui la disposizione e' inserita e come tale determina anche una violazione di quel canone di coerenza delle norme che e' espressione del principio di uguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione» (sentenza n. 185 del 1992, punto 2 del Considerato in diritto). In un altro caso, questa Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittima una disposizione penale che incriminava il fatto dello straniero destinatario di un provvedimento di espulsione «che non si adopera per ottenere dalla competente autorita' diplomatica o consolare il rilascio del documento di viaggio occorrente». Nella pronuncia si e' osservato che l'indeterminatezza del precetto non solo poneva il suo destinatario «nell'impossibilita' di rendersi conto del comportamento doveroso cui attenersi per evitare di soggiacere alle conseguenze della sua inosservanza», ma non consentiva, altresi', «all'interprete di esprimere un giudizio di corrispondenza sorretto da un fondamento controllabile nella operazione ermeneutica di riconduzione della fattispecie concreta alla previsione normativa» (sentenza n. 34 del 1995, punto 2 del Considerato in diritto. Per un'ulteriore e piu' recente ipotesi in cui la Corte ha dichiarato costituzionalmente illegittimo un precetto penale per l'assoluta indeterminatezza dei suoi contorni, questa volta per contrasto con gli artt. 7 CEDU e 2 del Protocollo n. 4 CEDU, entrambi rilevanti nell'ordinamento italiano in forza dell'art. 117, primo comma, Cost., sentenza n. 25 del 2019). 4.3.2.2.- In materia di misure di prevenzione, criteri analoghi hanno condotto questa Corte a dichiarare l'illegittimita' costituzionale, per contrasto con vari altri parametri costituzionali, di disposizioni che enunciavano presupposti eccessivamente vaghi e imprecisi, come tali inidonei ad assicurare al destinatario la riconoscibilita' del precetto e la prevedibilita' delle sue conseguenze (sentenza n. 24 del 2019, in particolare punto 12.3. del Considerato in diritto), e ancor prima a vincolare ragionevolmente la discrezionalita' delle autorita' chiamate ad applicarle (sentenza n. 177 del 1980, punto 6 del Considerato in diritto). 4.3.2.3.- Con specifico riferimento a leggi regionali, infine, questa Corte ha avuto occasione di ritenere fondata una questione relativa a una complessa vicenda normativa in materia di installazione di impianti eolici, con la quale il legislatore regionale aveva inteso far rivivere, per un periodo di tempo limitato, una disposizione gia' abrogata. La Corte ha ritenuto censurabile, al metro dell'allora evocato parametro del buon andamento della pubblica amministrazione di cui all'art. 97 Cost., la tecnica normativa adottata, che rendeva difficilmente ricostruibile da parte dell'amministrazione la disciplina effettivamente vigente, giudicando tale tecnica «"foriera di incertezza", posto che essa "puo' tradursi in cattivo esercizio delle funzioni affidate alla cura della pubblica amministrazione" (sentenza n. 364 del 2010)» (sentenza n. 70 del 2013, punto 4 del Considerato in diritto). 4.3.3.- Anche alla luce dei precedenti appena rammentati, deve piu' in generale ritenersi che disposizioni irrimediabilmente oscure, e pertanto foriere di intollerabile incertezza nella loro applicazione concreta, si pongano in contrasto con il canone di ragionevolezza della legge di cui all'art. 3 Cost. L'esigenza di rispetto di standard minimi di intelligibilita' del significato delle proposizioni normative, e conseguentemente di ragionevole prevedibilita' della loro applicazione, va certo assicurata con particolare rigore nella materia penale, dove e' in gioco la liberta' personale del consociato, nonche' piu' in generale allorche' la legge conferisca all'autorita' pubblica il potere di limitare i suoi diritti fondamentali, come nella materia delle misure di prevenzione. Ma sarebbe errato ritenere che tale esigenza non sussista affatto rispetto alle norme che regolano la generalita' dei rapporti tra la pubblica amministrazione e i cittadini, ovvero i rapporti reciproci tra questi ultimi. Anche in questi ambiti, ciascun consociato ha un'ovvia aspettativa a che la legge definisca ex ante, e in maniera ragionevolmente affidabile, i limiti entro i quali i suoi diritti e interessi legittimi potranno trovare tutela, si' da poter compiere su quelle basi le proprie libere scelte d'azione. Una norma radicalmente oscura, d'altra parte, vincola in maniera soltanto apparente il potere amministrativo e giudiziario, in violazione del principio di legalita' e della stessa separazione dei poteri; e crea inevitabilmente le condizioni per un'applicazione diseguale della legge, in violazione di quel principio di parita' di trattamento tra i consociati, che costituisce il cuore della garanzia consacrata nell'art. 3 Cost. 4.3.4.- Ogni enunciato normativo, beninteso, presenta margini piu' o meno ampi di incertezza circa il suo ambito di applicazione, senza che cio' comporti la sua illegittimita' costituzionale. Compito essenziale della giurisprudenza e' quello di dipanare gradualmente, attraverso gli strumenti dell'esegesi normativa, i dubbi interpretativi che ciascuna disposizione inevitabilmente solleva, nel costante confronto con la concretezza dei casi in cui essa e' suscettibile di trovare applicazione; cio' che contribuisce a rendere piu' uniforme e prevedibile la legge per i consociati. Ne' certamente potrebbe ritenersi contrario all'art. 3 Cost. il ricorso da parte della legge a clausole generali, programmaticamente aperte a «processi di specificazione e di concretizzazione giurisprudenziale» (sentenza n. 8 del 2023, punto 12.1. del Considerato in diritto, con riferimento alla clausola di buona fede di cui all'art. 1337 cod. civ.). Ne', ancora, potrebbe ritenersi precluso alla legge utilizzare concetti tecnici o di difficile comprensione per chi non possieda speciali competenze tecniche: la complessita' delle materie che il legislatore si trova a regolare spesso esige una disciplina normativa a sua volta complessa. Sempre piu' frequentemente, del resto, le leggi fanno uso di definizioni normative, collocate in disposizioni di carattere generale, che consentono all'interprete di attribuire significati precisi alle espressioni tecniche, a volte lontane dal linguaggio comune, utilizzate in un dato corpus normativo. Diverso e', pero', il caso in cui il significato delle espressioni utilizzate in una disposizione - nonostante ogni sforzo interpretativo, compiuto sulla base di tutti i comuni canoni ermeneutici - rimanga del tutto oscuro, con il risultato di rendere impossibile all'interprete identificare anche solo un nucleo centrale di ipotesi riconducibili con ragionevole certezza alla fattispecie normativa astratta. Una tale disposizione non potra' che ritenersi in contrasto con quei «requisiti minimi di razionalita' dell'azione legislativa» che la poc'anzi menzionata sentenza n. 185 del 1992 ha, in via generale, evocato in funzione della tutela della «liberta' e della sicurezza dei cittadini». 4.3.5.- A identiche conclusioni sono, del resto, pervenute altre giurisdizioni costituzionali affini a quella italiana per tradizioni e premesse culturali. Secondo la costante giurisprudenza del Conseil constitutionnel francese, l'accessibilita' e l'intellegibilita' della legge rappresentano principi di rango costituzionale, che impongono al legislatore di adottare disposizioni sufficientemente precise al fine di proteggere gli individui dal rischio di applicazioni arbitrarie delle leggi, evitando di addossare alle autorita' amministrative e giurisdizionali il compito di stabilire regole che spettano invece al legislatore (decisione 27 luglio 2006, n. 2006-540 DC, considerato n. 9). I principi in questione sono dedotti, tra l'altro, dallo stesso principio di eguaglianza dinanzi alla legge, proclamato dall'art. 6 della Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino, non potendo esservi effettiva eguaglianza - ad avviso del Conseil - se non quando i cittadini abbiano una «conoscenza sufficiente delle norme loro applicabili» (decisione 16 dicembre 1999, n. 99-421 DC, considerato n. 13; per una recente dichiarazione di illegittimita' costituzionale di una disposizione di legge in ragione della sua inintelligibilita', decisione 30 luglio 2021, n. 2021-822 DC, paragrafi 29 e 30). Parimenti il Tribunale costituzionale federale tedesco da molti decenni ormai riconosce l'esistenza di un mandato costituzionale di «precisione» e «chiarezza normativa», in base al quale le disposizioni di legge debbono essere formulate in modo tale da: a) consentire ai loro destinatari di comprendere il loro significato e di regolare di conseguenza la loro condotta, b) disciplinare e limitare efficacemente l'attivita' della pubblica amministrazione, e c) consentire all'autorita' giudiziaria di esercitare il proprio potere di controllo sull'attivita' dell'amministrazione sulla base di criteri giuridici prestabiliti (pronuncia 3 marzo 2004, BVerfGE 110, 33, pagine 53 e 54, e ivi ulteriori riferimenti). Tale mandato, a sua volta derivato dal principio dello Stato di diritto di cui all'art. 20, comma 3, della Legge fondamentale (pronuncia 22 giugno 1977, BVerfGE 45, 400, pagina 420), non osta ovviamente a che la norma possa presentare ambiguita' di significato destinate a essere sciolte attraverso i tradizionali metodi interpretativi (pronuncia 27 novembre 1990, BVerfGE 83, 130, pagina 145), ma implica standard minimi di comprensibilita' e di non contraddizione dei testi normativi, il cui mancato rispetto determina la loro illegittimita' costituzionale (per recenti applicazioni di tale principio, pronuncia 28 settembre 2022, 1 BvR 2354/13, paragrafi 106 e seguenti, nonche' pronuncia 20 luglio 2021, BVerfGE 159, 40, pagine 68 e seguenti, entrambe con estese ricostruzioni della giurisprudenza costituzionale in materia). 4.3.6.- La disposizione in questa sede all'esame costituisce esempio paradigmatico di un enunciato normativo affetto da radicale oscurita': un enunciato che, da un lato, condiziona l'ammissibilita' di non meglio precisati «interventi» all'interno di altrettanto vaghe «fasce di rispetto» a una procedura identificata con un acronimo incomprensibile, e in effetti oggetto di due diverse letture da parte della stessa difesa regionale; e che, dall'altro, non si collega ad alcun corpo normativo preesistente e rimane, per cosi' dire, sospeso nel vuoto, precludendo cosi' la possibilita' di utilizzare il prezioso strumento dell'interpretazione sistematica, che presuppone l'inserimento della singola disposizione in un contesto normativo che si assume connotato da interna coerenza. Una disposizione siffatta, in ragione dell'indeterminatezza dei suoi presupposti applicativi, non rimediabile tramite gli strumenti dell'interpretazione, non fornisce alcun affidabile criterio guida alla pubblica amministrazione nella valutazione se assentire o meno un dato intervento richiesto dal privato, in contrasto con il principio di legalita' dell'azione amministrativa e con esigenze minime di eguaglianza di trattamento tra i consociati; e rende arduo al privato lo stesso esercizio del proprio diritto di difesa in giudizio contro l'eventuale provvedimento negativo della pubblica amministrazione, proprio in ragione dell'indeterminatezza dei presupposti della legge che dovrebbe assicurargli tutela contro l'uso arbitrario della discrezionalita' amministrativa. 4.4.- La disposizione impugnata deve, pertanto, essere dichiarata costituzionalmente illegittima per contrasto con l'art. 3 Cost. Restano assorbite le questioni formulate in riferimento agli artt. 9 e 117, secondo comma, lettera s), Cost., il vaglio della cui fondatezza presupporrebbe d'altronde un chiarimento interpretativo circa la portata della disposizione, che e' pero' impossibile per le ragioni sin qui enunziate. 5.- E' infine impugnato l'art. 11 della legge reg. Molise n. 8 del 2022, che testualmente recita: «[i]n virtu' dell'alta specializzazione, viene autorizzata la Giunta regionale a procedere alla stabilizzazione del personale attualmente in servizio presso il Centro funzionale e presso la Sala operativa del servizio regionale di protezione civile, ovvero all'avvio di ogni procedura utile alla valorizzazione della professionalita' specifica maturata dal suddetto personale». 5.1.- Secondo il ricorrente, tale disposizione ometterebbe, anzitutto, di quantificare gli oneri conseguenti alla prevista stabilizzazione e di prevederne la relativa copertura finanziaria. Cio' determinerebbe la violazione, assieme: dell'art. 81, terzo comma, Cost., anche in relazione all'art. 17 della legge n. 196 del 2009; dell'art. 97, primo comma, Cost.; dell'art. 119, primo comma, Cost.; e dell'art. 117, secondo comma, lettera e), anche in relazione all'art. 38 del d.lgs. n. 118 del 2011. Inoltre, la disposizione impugnata violerebbe l'art. 97, quarto comma, Cost., omettendo di chiarire se la stabilizzazione debba avvenire nel rispetto del principio del pubblico concorso. La disposizione - incidendo sulla regolamentazione del rapporto "precario" e prevedendo la sua conversione in rapporto di lavoro a tempo indeterminato - invaderebbe poi la competenza legislativa esclusiva in materia di ordinamento civile, di cui all'art. 117, secondo comma, lettera l). Infine, il ricorrente rammenta come la Corte abbia piu' volte qualificato le norme statali in tema di stabilizzazione del personale "precario" come principi fondamentali della materia coordinamento della finanza pubblica. 5.2.- La Regione non ha articolato difese rispetto all'impugnazione ora all'esame. 5.3.- E' fondata, anzitutto, la questione promossa in riferimento all'art. 97, quarto comma, Cost. Questa Corte ha costantemente affermato che il pubblico concorso costituisce «la forma generale ed ordinaria di reclutamento per il pubblico impiego, in quanto meccanismo strumentale al canone di efficienza dell'amministrazione (sentenze n. 194 del 2002, n. 1 del 1999, n. 333 del 1993, n. 453 del 1990 e n. 81 del 1983), ed ha ritenuto che possa derogarsi a tale regola solo in presenza di peculiari situazioni giustificatrici, nell'esercizio di una discrezionalita' che trova il suo limite nella necessita' di garantire il buon andamento della pubblica amministrazione (art. 97, primo comma, della Costituzione) ed il cui vaglio di costituzionalita' non puo' che passare attraverso una valutazione di ragionevolezza della scelta operata dal legislatore» (sentenza n. 34 del 2004, punto 4.2. del Considerato in diritto). Le deroghe, e' stato parimenti da tempo precisato, debbono essere delimitate «in modo rigoroso» (sentenza n. 363 del 2006, punto 3 del Considerato in diritto), con riferimento a «peculiari e straordinarie ragioni di interesse pubblico» idonee a giustificarle (sentenza n. 81 del 2006, punto 4 del Considerato in diritto). A tali criteri - anche di recente ribaditi (ex multis, sentenza 199 del 2020, punto 8.2. del Considerato in diritto, e ivi ulteriori precedenti) - non si conforma la disposizione impugnata. Quest'ultima non chiarisce con quali modalita' e a quali condizioni la Giunta regionale debba procedere alla «stabilizzazione del personale attualmente in servizio» presso la protezione civile regionale, nonche' ad ogni altra «procedura utile alla valorizzazione della professionalita' specifica maturata dal suddetto personale». Peraltro, in assenza di ogni richiamo alla legislazione statale che - al ricorrere di rigorose condizioni - consente alle pubbliche amministrazioni di assumere a tempo indeterminato personale gia' in servizio a tempo determinato, ovvero di bandire procedure concorsuali con riserva di percentuali massime per personale gia' titolare di contratti di lavoro flessibile con la pubblica amministrazione, e' giocoforza concludere che le procedure indicate genericamente dalla disposizione impugnata siano finalizzate a immettere personale nei ranghi dell'amministrazione regionale senza richiedere il superamento di alcuna prova concorsuale, in ragione soltanto della esperienza acquisita per mezzo di precedenti incarichi contrattuali, senza neppure alcuna indicazione sul periodo minimo di servizio espletato. Un simile esito si pone in evidente contrasto con i principi desumibili dalla giurisprudenza di questa Corte, poc'anzi richiamati. La disposizione impugnata introduce, infatti, una deroga rispetto alla regola generale del pubblico concorso, senza disciplinarla «in modo rigoroso», secondo quanto richiesto dalla giurisprudenza di questa Corte, ed anzi omettendo di articolare una qualsivoglia disciplina, rinviando integralmente a un successivo provvedimento della Giunta. Cio' impedisce, in radice, di valutare se e in che misura una tale deroga, alla luce di un criterio di ragionevolezza, possa essere giustificata in quanto funzionale alla salvaguardia di quelle «peculiari e straordinarie ragioni di interesse pubblico», le quali sole - a prescindere qui dalla diversa questione della compatibilita' di una siffatta disciplina derogatoria con i limiti della stessa competenza legislativa regionale - potrebbero assicurarne la compatibilita' con l'art. 97, quarto comma, Cost. 5.4.- E' altresi' fondata la questione promossa in riferimento all'art. 81, terzo comma, Cost. La disposizione impugnata comporta infatti, all'evidenza, oneri finanziari per la Regione, che non sono in alcun modo quantificati, e per i quali non e' prevista conseguentemente alcuna copertura. Il che, per le stesse ragioni gia' sopra menzionate (punto 3.3.), integra la violazione del parametro costituzionale in esame. 5.5.- Da cio' discende l'illegittimita' costituzionale della disposizione impugnata, per contrasto con gli artt. 97, quarto comma, e 81, terzo comma, Cost. Restano assorbite tutte le ulteriori censure.