ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 1,
della legge 25  febbraio  1992,  n.  210  (Indennizzo  a  favore  dei
soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa  di
vaccinazioni  obbligatorie,   trasfusioni   e   somministrazione   di
emoderivati), promosso dalla Corte di cassazione, sezione lavoro, nel
procedimento vertente tra il Ministero della salute e N. S. e A.  F.,
nella qualita' di genitori di A. F.,  con  ordinanza  del  30  maggio
2022, iscritta al n. 133 del registro  ordinanze  2022  e  pubblicata
nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  46,  prima   serie
speciale, dell'anno 2022, la cui trattazione  e'  stata  fissata  per
l'adunanza in camera di consiglio del 19 aprile 2023. 
    Udito nella camera di consiglio del 20  aprile  2023  il  Giudice
relatore Nicolo' Zanon; 
    deliberato nella camera di consiglio del 20 aprile 2023 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ordinanza del 30 maggio 2022 (reg. ord. n. 133 del 2022),
la Corte di cassazione, sezione lavoro, ha sollevato, in  riferimento
agli artt. 2, 3 e 32 della Costituzione,  questioni  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 1, della legge 25 febbraio 1992, n.
210 (Indennizzo a favore dei soggetti danneggiati da  complicanze  di
tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie,  trasfusioni
e somministrazione di emoderivati), «nella parte in cui  non  prevede
che il diritto all'indennizzo,  istituito  e  regolato  dalla  stessa
legge e alle condizioni ivi previste, spetti anche  ai  soggetti  che
abbiano subito lesioni e/o infermita', da cui  siano  derivati  danni
irreversibili   all'integrita'   psico-fisica,   per   essere   stati
sottoposti  a  vaccinazione  non   obbligatoria,   ma   raccomandata,
antimeningococcica». 
    2.- La Corte di cassazione riferisce di  essere  stata  investita
del ricorso promosso dal Ministero della salute avverso  la  sentenza
con la quale la Corte d'appello di Brescia, confermando la  pronuncia
assunta in primo grado dal  Tribunale  ordinario  di  Cremona,  aveva
riconosciuto - sulla base di una  interpretazione  costituzionalmente
orientata dell'art. 1, comma 1, della legge n.  210  del  1992  -  il
diritto   all'indennizzo   «per   la    menomazione    all'integrita'
psico-fisica   conseguita   alla   vaccinazione   antimeningococcica»
(precisamente con vaccino «Menjugate») nei confronti di un minore che
a tale profilassi era stato sottoposto in data 20 febbraio 2008. 
    A  seguito  della  somministrazione,  erano   state   riscontrate
«condizione di sofferenza acuta  cerebrale,  disturbo  disintegrativo
della   fanciullezza   con    modalita'    subacute»,    «alterazioni
comportamentali e delle funzioni cognitive», in un minore  sano  alla
nascita, ma che, dopo il vaccino, presentava  «all'eta'  di  21  mesi
eta' di sviluppo di 10 mesi e, nel  prosieguo,  all'eta'  di  8  anni
[...] eta' di sviluppo  pari  a  3  anni».  Il  consulente  d'ufficio
nominato nel giudizio d'appello aveva escluso  che  si  trattasse  di
«autismo primario» e  -  «pur  dando  atto  dell'insufficienza  delle
conoscenze, in  materia,  di  cause  e  meccanismi  patogenetici  del
disturbo autistico e della sostanziale mancanza, in  letteratura,  di
dati relativi ad esiti  di  reazioni  avverse  alla  vaccinazione  in
esame» - aveva riscontrato la «prevalenza e chiarezza, nel minore, di
alterazioni     causalmente     collegate      alla      vaccinazione
antimeningococcica  somministratagli,  in  termini   di   elevata   e
qualificata probabilita'». 
    Con il  primo  motivo  di  ricorso,  il  Ministero  della  salute
deduceva tuttavia proprio l'erroneita' della valutazione operata  sul
nesso di causalita'; con il secondo motivo, la  violazione  dell'art.
1, comma 1, della legge n. 210 del  1992,  che  contempla  la  tutela
indennitaria per le sole  vaccinazioni  obbligatorie;  con  il  terzo
motivo, ancora, lamentava che il  giudice  d'appello  non  avesse  in
alcun modo tenuto  in  considerazione  le  valutazioni  tecniche  del
consulente dello stesso Ministero. 
    I genitori del minore, resistendo al ricorso, eccepivano  in  via
subordinata l'illegittimita' costituzionale del  menzionato  art.  1,
comma 1, della legge n. 210 del 1992,  nella  parte  in  cui  esclude
dall'indennizzo ivi previsto coloro  che  siano  stati  sottoposti  a
vaccinazione anti-meningococcica. 
    3.- La Corte di cassazione ritiene di dover muovere, sia pur  per
«sintesi»,  da  una  ricostruzione  delle  «disposizioni  vigenti  in
materia di indennizzo a carico dello Stato per  danni  conseguenti  a
profilassi vaccinale». 
    L'ordinanza richiama contenuti e finalita' della legge n. 210 del
1992. Statuendo all'art. 1, comma 1, che «[c]hiunque abbia riportato,
a causa di vaccinazioni obbligatorie per legge o per ordinanza di una
autorita' sanitaria italiana, lesioni o infermita', dalle  quali  sia
derivata una menomazione permanente della integrita' psico-fisica, ha
diritto ad un indennizzo da parte dello Stato, alle condizioni e  nei
modi stabiliti dalla presente legge», tale legge,  in  ossequio  agli
artt. 2 e 32 Cost., e dando seguito alla sentenza n. 307 del 1990  di
questa Corte, avrebbe introdotto in favore dei soggetti ivi  indicati
una  «tutela   in   termini   di   sicurezza   sociale,   con   scopo
solidaristico». 
    Ricorda il rimettente che il citato art. 1,  comma  1,  e'  stato
interessato da plurimi interventi  di  questa  Corte,  concernenti  i
danni conseguenti a  vaccinazioni  non  obbligatorie  ma  oggetto  di
politiche  incentivanti.  Con  la  sentenza  n.  27  del   1998,   in
particolare, la disposizione e' stata  dichiarata  costituzionalmente
illegittima nella parte in cui non  prevedeva  l'indennizzo  anche  a
favore della persona sottopostasi a  vaccinazione  antipoliomielitica
nel periodo in cui, in forza della  legge  30  luglio  1959,  n.  695
(Provvedimenti    per    rendere    integrale     la     vaccinazione
antipoliomielitica),  la  stessa  era  incentivata,  ma  non   ancora
obbligatoria. Questa Corte affermo' infatti che non vi fosse  ragione
per differenziare il caso in cui il trattamento sia imposto da quello
in cui il trattamento  sia  promosso  dalla  pubblica  autorita'  per
favorirne  la  diffusione  capillare  nella  societa'.   Una   simile
distinzione si risolverebbe, infatti, in un vizio  di  irrazionalita'
della legge, perche' riserverebbe a  quanti  siano  stati  indotti  a
tenere un comportamento di utilita' generale, giustificato da ragioni
di solidarieta' sociale, un trattamento deteriore rispetto  a  quello
previsto  per  coloro  che  abbiano  invece  agito  in  forza   della
«minaccia» di una sanzione. 
    Con la successiva sentenza n. 423 del 2000,  la  tutela  prevista
dalla legge  n.  210  del  1992  e'  stata  poi  estesa  ai  soggetti
sottopostisi alla vaccinazione antiepatite  B  a  partire  dal  1983,
ovvero da quando tale profilassi vaccinale e' stata fatta oggetto  di
raccomandazione. 
    4.- In punto di rilevanza, osserva la Corte di cassazione che  il
minore e' stato sottoposto ad una vaccinazione non  obbligatoria,  ma
che rientrerebbe «nel novero dei  protocolli  sanitari  per  i  quali
l'opera di  sensibilizzazione,  informazione  e  convincimento  delle
pubbliche autorita'», in linea anche con i progetti  di  informazione
previsti dall'art. 7 della legge n. 210  del  1992,  «viene  reputata
piu' adeguata e rispondente alle finalita'  di  tutela  della  salute
pubblica rispetto alla vaccinazione  obbligatoria».  Si  tratterebbe,
infatti, di vaccinazione raccomandata dal  «piano  Nazionale  per  la
prevenzione vaccinale gia' dal  2005/2007  e,  a  partire  dal  Piano
Nazionale   2012/2014   tale   vaccinazione   [sarebbe]   addirittura
consigliata per tutti i bambini di eta' compresa tra  i  13  e  i  15
mesi,  in  concomitanza  con  il  vaccino  MPR  (morbillo,  pertosse,
rosolia) e per gli adolescenti non precedentemente  immunizzati».  Il
vaccino in questione sarebbe inoltre «inserito nei Livelli Essenziali
di Assistenza (cd. L.E.A.) ed e' somministrato gratuitamente in tutta
Italia». 
    Aggiunge il rimettente  che  sarebbe  «notorio»  che  il  vaccino
anti-meningococcico  «e'  consigliato  dai  pediatri   del   servizio
sanitario  e  dalle  Aziende  sanitarie  anche  attraverso  capillare
informazione alle famiglie sui benefici conseguenti  e  sul  fine  di
prevenire l'insorgenza della malattia». 
    Con riferimento al nesso di causalita', la  Corte  di  cassazione
richiama nuovamente le  osservazioni  del  consulente  d'ufficio,  il
quale, utilizzando  l'algoritmo  dell'Organizzazione  mondiale  della
sanita' (OMS), improntato su sei livelli di attribuzione causale,  ha
ritenuto  pienamente   integrato   il   primo   livello,   segnalando
«concomitante, improvvisa e brusca comparsa  di  plurimi  sintomi  di
sofferenza cerebrale acuta, occorsi immediatamente dopo il vaccino  e
di durata maggiore rispetto a quelli  di  solito  osservabili  subito
dopo  la  vaccinazione;  concomitanti  segni  di  grave   regressione
psicomotoria autistica,  assai  rapidamente  progrediti;  disfunzioni
neurologiche  di  tipo  neuromotorio  e,  successivamente,   anomalie
elettroencefalografiche epilettiformi».  Tutto  cio'  ha  portato  la
Corte d'appello  a  ritenere  che  la  patologia  fosse  «causalmente
collegata, in termini di elevata (o qualificata) probabilita' logica,
alla vaccinazione antimeningococcica» cui  era  stato  sottoposto  il
minore. 
    5.- Diversamente dalla Corte d'appello, la  Corte  di  cassazione
ritiene     pero'     non      sperimentabile      un'interpretazione
costituzionalmente orientata  della  disposizione  censurata,  stante
l'inequivoco tenore  del  testo,  riferito  alle  sole  «vaccinazioni
obbligatorie», ne' potendosi in  senso  opposto  evocare  i  principi
affermati nella  richiamata  giurisprudenza  costituzionale,  che  ha
riguardato «peculiari vaccinazioni e profilassi», con la  conseguenza
della non estensibilita' di tali precedenti al caso di specie,  «pena
la  sostanziale  disapplicazione,  ope  iudicis,  della  disposizione
scrutinata». 
    6.-  In  punto  di  non  manifesta  infondatezza,  il  rimettente
evidenzia come il diritto all'indennizzo sia stato esteso  da  questa
Corte anche a coloro che abbiano patito conseguenze  invalidanti  per
effetto di vaccinazioni «assunte nell'ambito della politica sanitaria
anche solo promossa dallo Stato». Con la sentenza n. 268 del 2017, in
particolare, sarebbe stato «ridisegna[to], ancora una  volta,  l'asse
portante della tutela indennitaria» in esame,  mediante  l'estensione
del perimetro applicativo dell'art. 1, comma  1,  anche  ai  soggetti
danneggiati da vaccinazione antinfluenzale. Confermando  quanto  gia'
messo in luce dalla sentenza n. 107 del 2012,  questa  Corte  avrebbe
infatti   chiarito   che   sarebbe   del   tutto    irrilevante    la
riconducibilita' del comportamento cooperativo dell'individuo  ad  un
obbligo o a una attivita' di persuasione, cosi'  come,  sul  versante
passivo, all'intento di evitare  una  sanzione  o  di  aderire  a  un
invito. In ogni caso, in presenza di diffuse e reiterate campagne  di
comunicazione,  si  ingenererebbe  nei  consociati   un   affidamento
rispetto a quanto consigliato dalle autorita' pubbliche, e l'adesione
alla campagna vaccinale  sarebbe  da  ricondursi,  al  di  la'  delle
particolari motivazioni del singolo, alla salvaguardia  della  salute
anche collettiva (e' richiamata anche la sentenza n. 118  del  2020).
Ricorda poi il rimettente come  la  distanza  tra  raccomandazione  e
obbligo sarebbe stata ridimensionata anche dalla successiva  sentenza
di questa Corte n. 5 del 2018. 
    A  dire  del  giudice  a  quo,   i   principi   affermati   dalla
giurisprudenza  costituzionale  sarebbero   riferibili   anche   alla
profilassi preventiva per meningococco, trattandosi  di  vaccinazione
raccomandata,  ovverosia  fondata  «sull'affidamento,   mirato   alla
salvaguardia anche dell'interesse collettivo, ingenerato da pervasive
campagne informative di immunizzazione». 
    Le esigenze di solidarieta' sociale e di tutela della salute  del
singolo  richiederebbero,  allora,  che  sia  la   collettivita'   ad
accollarsi l'onere del pregiudizio eventualmente patito da coloro che
si  siano   sottoposti   a   tale   trattamento   sanitario,   mentre
«costituirebbe,  per  contro,  un  vulnus   addossare   all'individuo
danneggiato    il    costo    del    beneficio    anche    collettivo
dell'immunizzazione». 
    La  disposizione  sarebbe  altresi'  lesiva  del   canone   della
ragionevolezza, comportando  un'ingiustificata  differenziazione  tra
quanti si siano sottoposti a vaccinazione in osservanza di un obbligo
giuridico e quanti, invece, si siano ad essa sottoposti  ottemperando
alle raccomandazioni delle autorita' sanitarie;  cio'  a  fronte  del
medesimo rilievo che obbligo e raccomandazione assumerebbero al  fine
della tutela della salute collettiva, giacche',  sebbene  la  tecnica
della      raccomandazione      esprima      maggior       attenzione
all'autodeterminazione individuale, e quindi  al  profilo  soggettivo
del diritto alla salute, essa sarebbe  pur  sempre  indirizzata  alla
salvaguardia della salute come interesse anche collettivo. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    l.-  La  Corte  di  cassazione,  sezione   lavoro,   dubita,   in
riferimento  agli  artt.  2,  3  e  32  Cost.,   della   legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 1, della legge  n.  210  del  1992,
disposizione che riconosce un indennizzo, a  carico  dello  Stato,  a
quanti abbiano riportato, «a causa di vaccinazioni  obbligatorie  per
legge o per ordinanza di una autorita' sanitaria italiana, lesioni  o
infermita', dalle quali sia derivata una menomazione permanente della
integrita' psico-fisica». 
    La disposizione e' censurata nella parte in cui non  prevede  che
la medesima tutela spetti anche  ai  soggetti  che  tali  conseguenze
abbiano patito  «per  essere  stati  sottoposti  a  vaccinazione  non
obbligatoria, ma raccomandata, antimeningococcica». 
    2.- Il giudice a quo  e'  chiamato  a  pronunciarsi  sul  ricorso
promosso dal Ministero della salute avverso la sentenza con la  quale
la  Corte  d'appello   di   Brescia,   accedendo   ad   una   lettura
costituzionalmente conforme della predetta disposizione, ha  ritenuto
che l'indennizzo ivi disciplinato  dovesse  essere  erogato  anche  a
beneficio di un minore sottopostosi, il 20 febbraio 2008, al  vaccino
non obbligatorio «Menjugate». 
    Riferisce  il  rimettente  che  il  giudice  di  secondo   grado,
basandosi sulle conclusioni  del  consulente  tecnico  d'ufficio,  ha
qualificato  la  patologia  insorta  nel  minore  come   «causalmente
collegata, in termini di elevata (o qualificata) probabilita' logica,
alla vaccinazione antimeningococcica» a questi somministrata. 
    3.- La  Corte  di  cassazione,  tuttavia,  non  considera  questo
elemento sufficiente a dar luogo, nel caso  di  specie,  alla  tutela
indennitaria. Cio' per l'inequivoco disposto dell'art.  1,  comma  1,
della legge n. 210  del  1992,  che  concerne  testualmente  le  sole
«vaccinazioni obbligatorie» e  non  si  presterebbe  ad  una  lettura
costituzionalmente orientata. Ne', aggiunge, un simile esito potrebbe
poggiare sulla  giurisprudenza  costituzionale  che  ne  ha  ampliato
l'ambito di applicazione, ricomprendendovi anche talune  vaccinazioni
raccomandate.  Trattandosi   di   giudizi   relativi   a   specifiche
profilassi,  la  portata  di  tali  pronunce  non   sarebbe   infatti
suscettibile di estendersi, per via interpretativa, ad altri vaccini,
pena   la   «disapplicazione,   ope   iudicis,   della   disposizione
scrutinata». 
    4.- I principi enunciati  in  quelle  decisioni,  ad  avviso  del
rimettente, condurrebbero  tuttavia  a  dubitare  della  legittimita'
costituzionale dell'art. 1, comma 1, della legge  n.  210  del  1992,
nella parte in  cui  esso  omette  di  apprestare  tutela  anche  nei
confronti  dei  soggetti  danneggiati  in  modo  permanente  da   una
vaccinazione   -   quale   quella   anti-meningococcica   -    basata
sull'«affidamento,  mirato  alla  salvaguardia  anche  dell'interesse
collettivo,  ingenerato  da   pervasive   campagne   informative   di
immunizzazione». 
    Ricorda, infatti, il giudice a quo che, come piu' volte affermato
da questa Corte, non vi e' ragione di differenziare il caso in cui il
trattamento sanitario sia imposto per legge  da  quello  in  cui  sia
promosso dalla pubblica autorita' (sentenza  n.  27  del  1998).  Pur
essendo obbligo e raccomandazione frutto di  concezioni  parzialmente
diverse del rapporto tra individuo e autorita'  sanitarie  pubbliche,
oltre  che  il  risultato  di  diverse  condizioni  sanitarie   della
popolazione di riferimento, quel che rileva, quanto al riconoscimento
del diritto all'indennizzo, e' l'obiettivo  essenziale  che  entrambi
perseguono nella profilassi delle malattie infettive: ossia il comune
scopo di garantire e tutelare la salute (anche) collettiva attraverso
il raggiungimento della massima copertura vaccinale (sentenza n.  268
del 2017). 
    In presenza di specifiche  campagne  di  incentivazione  condotte
dalle istituzioni sanitarie, dunque, il generale clima di affidamento
che ne scaturisce rende la scelta adesiva  dei  singoli,  al  di  la'
delle  loro  particolari  e  specifiche  motivazioni,  di   per   se'
obiettivamente  votata   alla   salvaguardia   anche   dell'interesse
collettivo (sentenza n. 107 del 2012). A completamento del «patto  di
solidarieta'» tra individuo e collettivita' in tema di  tutela  della
salute, e' allora doverosa la traslazione in capo alla  collettivita'
degli effetti dannosi che da tale scelta adesiva siano  eventualmente
derivati (sentenze n. 118 del 2020 e n. 268 del 2017). 
    A dire  del  rimettente,  sussisterebbero  rilevanti  indici  che
attraggono la profilassi anti-meningococcica  nel  novero  di  quelle
raccomandate nel  senso  richiesto  dalla  giurisprudenza  di  questa
Corte: tale profilassi, infatti, rientrerebbe tra quelle raccomandate
dal  piano   nazionale   vaccini   gia'   dal   2005-2007,   verrebbe
«consigliata» ai bimbi di eta' compresa tra i tredici  e  i  quindici
mesi e agli adolescenti non precedentemente immunizzati a partire dal
piano nazionale vaccini 2012-2014, risulterebbe esser stata  inserita
tra  i  livelli  essenziali  di  assistenza,  sarebbe   somministrata
gratuitamente in tutto il territorio nazionale,  e,  infine,  sarebbe
notoriamente consigliata  dai  pediatri  e  dalle  aziende  sanitarie
attraverso una capillare informazione. 
    Sulla scorta di queste acquisizioni, il  giudice  a  quo  afferma
che, esattamente come nei vari casi gia' scrutinati da questa  Corte,
anche l'omessa previsione del diritto all'indennizzo per le patologie
irreversibili  contratte  in   occasione   della   sottoposizione   a
vaccinazione anti-meningococcica produrrebbe l'effetto  di  riversare
sul singolo i costi del beneficio che la collettivita' ne ha  tratto,
in  violazione  delle  esigenze  di  solidarieta'  costituzionalmente
fondate sull'art.  2  Cost.,  del  diritto  alla  salute  individuale
tutelato dall'art. 32 Cost., nonche' del canone della  ragionevolezza
imposto dall'art. 3 Cost. 
    5.- Secondo quanto  riferisce  il  rimettente,  le  questioni  di
legittimita'     costituzionale     concernono     la      profilassi
anti-meningococcica di gruppo  C,  essendo  il  vaccino  «Menjugate»,
somministrato al minore, utilizzato per prevenire la malattia causata
dal batterio meningococcico di tale gruppo. 
    Va immediatamente rilevato che, in riferimento a  tale  specifica
profilassi, il quadro normativo rilevante contiene  elementi  che  il
rimettente non ha preso in considerazione  valutando  la  sussistenza
dei requisiti di accesso  al  sindacato  di  costituzionalita'.  Cio'
determina, secondo  quanto  si  chiarira',  l'inammissibilita'  delle
sollevate questioni. 
    6.- La somministrazione della  vaccinazione  anti-meningococcica,
sia  di  gruppo  B,  sia  di  gruppo  C,  era  stata  prevista  quale
obbligatoria dal decreto-legge 7 giugno  2017,  n.  73  (Disposizioni
urgenti  in  materia  di  prevenzione  vaccinale).   Nella   versione
originaria  approvata  dal  Consiglio  dei   ministri,   queste   due
profilassi erano infatti annoverate tra le dodici  rese  obbligatorie
per i minori di eta' compresa tra zero e sedici anni (art.  1,  comma
1, lettere g e h). 
    In sede di conversione, intervenuta con legge 31 luglio 2017,  n.
119, le vaccinazioni  obbligatorie  sono  state  tuttavia  ridotte  a
dieci, indicate in due appositi elenchi. Il primo  e'  contenuto  nel
comma 1 dell'art. 1 ed include le  vaccinazioni  anti-poliomielitica,
anti-difterica,  anti-tetanica,  anti-epatite  B,   anti-pertosse   e
anti-Haemophilus influenzae tipo B. Il secondo elenco,  contenuto  al
successivo   comma   1-bis,   include   i   vaccini    anti-morbillo,
anti-rosolia, anti-parotite e anti-varicella, e  si  differenzia  dal
primo perche' la  obbligatorieta'  puo'  cessare  a  seguito  di  una
attivita' di monitoraggio specificamente regolata al comma 1-ter. 
    Tutte tali vaccinazioni - sia quelle del primo,  sia  quelle  del
secondo  catalogo  -  sono   espressamente   accomunate   dall'essere
indirizzate, tra l'altro,  ad  «assicurare  la  tutela  della  salute
pubblica e  il  mantenimento  di  adeguate  condizioni  di  sicurezza
epidemiologica in termini di profilassi  e  di  copertura  vaccinale»
(cosi' l'incipit dell'art. 1, comma 1). 
    Le  profilassi  espunte  dal   novero   delle   iniziali   dodici
obbligatorie sono proprio le due anti-meningococciche di gruppo  B  e
C.  Esse,  tuttavia,  non  sono  semplicemente  eliminate  dal  testo
dell'art. 1: vengono  invece  collocate,  insieme  alle  vaccinazioni
anti-pneumococcica  e  anti-rotavirus,  in  un   ulteriore   separato
catalogo, inserito nel comma 1-quater del medesimo art. 1. Tale comma
attribuisce a regioni e Province autonome di Trento e di  Bolzano  il
compito, «[a]gli stessi fini  di  cui  al  comma  1»,  di  garantirne
l'«offerta attiva e gratuita, in base alle specifiche indicazioni del
Calendario  vaccinale  nazionale  relativo  a  ciascuna   coorte   di
nascita». 
    Dunque, come questa  Corte  ha  gia'  rilevato,  le  vaccinazioni
contro il meningococco di gruppo B e C, in  seguito  all'approvazione
della  legge  di  conversione  n.  119  del  2017,  «non  sono   piu'
obbligatorie, ma solo raccomandate» (sentenza  n.  5  del  2018).  Un
regime, quello  della  raccomandazione,  che  peraltro  poteva  dirsi
sussistente  gia'  prima  dell'intervento   legislativo   del   2017.
Riferendosi  proprio  alle  vaccinazioni   anti-meningococciche,   la
sentenza n. 5 del 2018 ha infatti avuto  occasione  di  ragionare  di
«preesistenti» (al decreto-legge) e «ripristinate»  (dalla  legge  di
conversione) raccomandazioni. 
    Cio' posto, in questa sede rileva particolarmente quanto statuito
dal successivo art. 5-quater del d.l. n. 73 del 2017, inserito a  sua
volta in sede  di  conversione.  Richiamando  proprio  la  disciplina
dell'indennizzo sottoposta a censura dal giudice a quo, tale articolo
prevede,  infatti,  che  «[l]e  disposizioni  di  cui  alla legge  25
febbraio 1992, n. 210, si applicano a tutti i soggetti che,  a  causa
delle  vaccinazioni  indicate  nell'articolo  1,  abbiano   riportato
lesioni  o  infermita'  dalle  quali  sia  derivata  una  menomazione
permanente dell'integrita' psico-fisica». 
    L'individuazione del significato di tale  complessivo  rinvio  ai
distinti elenchi di profilassi  di  cui  all'art.  1  costituisce  un
passaggio  indispensabile  nel  percorso  logico  che  il  rimettente
avrebbe dovuto seguire vagliando la sussistenza dei  presupposti  per
sollevare le odierne questioni di legittimita' costituzionale. 
    7.- Per vero, dall'art. 5-quater del d.l. n. 73  del  2017,  come
risultante  dalla  legge  di   conversione,   e'   possibile   trarre
conclusioni diverse, financo opposte tra loro. 
    Si potrebbe innanzitutto ritenere che, attraverso il suo  innesto
nel corpo della disciplina soggetta  a  conversione,  il  legislatore
abbia  inteso  selettivamente  riferirsi   alle   sole   vaccinazioni
obbligatorie annoverate all'art. 1, ovverosia  quelle  eleggibili  ai
fini del riconoscimento dell'indennizzo previsto dalla legge  n.  210
del 1992. 
    L'art.  5-quater  avrebbe,  in  sostanza,  funzione  ricognitiva,
essendosi il legislatore limitato a ribadire, per  chiarezza,  quanto
gia' ricavabile dall'art. 1, comma 1, della legge n.  210  del  1992:
tutte le vaccinazioni obbligatorie,  anche  quelle  qualificate  come
tali da leggi approvate in un momento successivo, danno accesso  alla
tutela indennitaria. 
    A sostegno di una simile lettura, potrebbe  anche  rilevarsi  che
se, invece, il legislatore avesse voluto mutare la  ratio  originaria
della legge n. 210 del 1992, allo scopo di  ricondurre  al  perimetro
applicativo di quest'ultima anche i danni conseguenti a  vaccinazioni
raccomandate, sarebbe dovuto intervenire proprio in quella  peculiare
sedes  materiae:  come  accaduto,  ad   esempio,   con   l'estensione
dell'indennizzo  alle  ipotesi  di  vaccinazione  raccomandata   anti
SARS-CoV-2, ora prevista all'art. 1, comma 1-bis, della stessa  legge
n. 210 del 1992. 
    Ulteriore conferma di questa interpretazione  dell'art.  5-quater
del d.l. n. 73 del 2017, come  convertito,  potrebbe  trovarsi  nella
circostanza  che  esso  si  situa  al  termine  di  una  sequenza  di
previsioni (dall'art. 5-bis all'art. 5-quater) dedicate alla  materia
dell'indennizzo da profilassi vaccinale, la seconda delle quali (art.
5-ter) conferisce al Ministero della salute il potere di avvalersi di
un contingente di personale  aggiuntivo  per  definire  le  procedure
finalizzate al «ristoro dei soggetti danneggiati» proprio  (e  dunque
solo) da «vaccinazioni obbligatorie». 
    7.1.- E' agevole tuttavia osservare che l'art. 5-quater del  d.l.
n. 73 del 2017, come convertito, si presta anche ad una  ben  diversa
interpretazione. 
    Innanzitutto,  anche  tale  previsione,  cosi'  come   la   nuova
disciplina contenuta nello stesso art. 1 del d.l. n. 73 del 2017,  e'
il frutto di un emendamento approvato in  sede  di  conversione,  nel
corso  della  lettura  svolta  dal  Senato  (i  correttivi   inseriti
nell'art.  1  sono  stati   originariamente   votati   nella   seduta
pomeridiana della 12a Commissione igiene e sanita' del 5 luglio 2017;
l'art. 5-quater risulta inserito e approvato nella seduta di Aula del
19 luglio 2017). 
    Non e' affatto secondaria la circostanza che le due  disposizioni
- quella da cui risulta che alcune  vaccinazioni  sono  obbligatorie,
altre raccomandate (art. 1), nonche' quella che vi  fa  indistinto  e
complessivo  riferimento,  per  rendere  ad   esse   applicabili   le
disposizioni di cui alla legge n. 210  del  1992  (art.  5-quater)  -
abbiano entrambe avuto origine  in  un  momento  successivo  rispetto
all'adozione del  decreto-legge.  E'  tale  circostanza,  infatti,  a
privare di forza l'interpretazione che intenda il contenuto dell'art.
5-quater come una sorta di  "rinvio  fisso"  all'impianto  originario
dell'art. 1, che contemplava solo vaccinazioni obbligatorie. 
    Gli stessi  lavori  preparatori,  sia  pur  non  risolutivamente,
restituiscono traccia della possibile  volonta'  del  legislatore  di
riconoscere il diritto  all'indennizzo  anche  ai  danneggiati  dalle
vaccinazioni  raccomandate  previste  dal   disegno   di   legge   di
conversione. Non a caso, in seno alla XII Commissione affari  sociali
della Camera, nella seduta del 25 luglio 2017, si  e'  affermato,  da
parte di alcuni deputati, che la legge n. 210 del  1992  «si  applica
anche alle vaccinazioni raccomandate dal decreto»; mentre da parte di
altri  sono  state  espresse  perplessita'  in  ordine  alla   omessa
considerazione, nel testo in approvazione,  di  vaccini  raccomandati
ulteriori rispetto a quelli gia' menzionati. In termini  ancora  piu'
espliciti,  si  e'  pure  affermato  che  «l'articolo  5-quater [...]
estende l'applicazione della legge n. 210  del  1992  in  materia  di
indennizzi  a  favore  dei  soggetti   danneggiati   da   complicanze
irreversibili da vaccinazioni indicate nell'articolo 1, siano  ess[e]
obbligatori[e] o raccomandat[e]» (Aula, seduta del 26 luglio 2017). 
    Anche in sede di verifica dei costi finanziari del provvedimento,
svolta congiuntamente dal  Servizio  bilancio  dello  Stato  e  dalla
segreteria della Commissione bilancio della Camera  («Verifica  delle
quantificazioni», A.C. 4595,  n.  565  del  25  luglio  2017),  viene
segnalato   che   la   disposizione   in   questione,    «richiamando
indistintamente le "vaccinazioni indicate  nell'articolo  1",  appare
suscettibile  di  estendere  l'ambito  applicativo  della  legge   n.
210/1992 sia alle vaccinazioni prima facoltative  e  ora  considerate
obbligatorie (ai sensi dei commi 1 e 1-bis dell'art. 1  del  D.L.  in
esame), sia  alle  vaccinazioni  da  erogare  gratuitamente,  ma  non
obbligatorie (ai sensi del comma 1-quater dello stesso  articolo  1)»
(analogamente il dossier dell'Osservatorio legislativo e parlamentare
del 24 luglio 2017, n. 169). 
    Infine, e' utile rammentare il contenuto dell'ordine  del  giorno
n. 9/4595/43, sul quale il Governo ha reso  parere  favorevole,  alla
Camera,  nella  seduta  del  28  luglio  2017.  Attraverso  di  esso,
l'esecutivo   viene    impegnato    a    monitorare    gli    effetti
dell'applicazione dell'art. 5-quater,  anche  al  fine  di  estendere
l'indennizzo previsto dalla legge n. 210  del  1992  «non  solo  alle
persone  danneggiate  da  vaccinazioni  obbligatorie   o   fortemente
raccomandate, ma a tutte le  persone  vaccinate  in  adempimento  del
Piano Vaccinale vigente». 
    7.2.- L'opzione interpretativa ora descritta, del resto, potrebbe
trarre argomenti proprio  dalla  giurisprudenza  di  questa  Corte  -
richiamata dallo stesso rimettente- che  ha  fatto  discendere  dagli
artt. 2, 3 e 32 Cost. l'obbligo per lo Stato  di  accollarsi  l'onere
del pregiudizio individuale sofferto  da  chi  si  sia  sottoposto  a
determinate vaccinazioni raccomandate, risultando di contro  ingiusto
che siano i singoli danneggiati a sopportare il costo  del  beneficio
collettivo cui hanno contribuito (sentenze n. 35 del 2023, n. 118 del
2020, n. 268 del 2017, n. 107 del 2012, n. 423 del 2000 e n.  27  del
1998). 
    8.- La necessaria opera d'interpretazione della  disposizione  in
esame non potrebbe tuttavia arrestarsi a questo punto. Anche  laddove
si  ritenga  che  l'art.  5-quater  sia  capace  di   restituire   il
significato normativo da ultimo evidenziato,  andrebbe  ulteriormente
stabilito  se  esso  risulti  ratione   temporis   applicabile   alla
fattispecie  oggetto  del  giudizio  principale,  che  riguarda   una
vaccinazione anti-meningococcica di  gruppo  C  somministrata  ad  un
minore nel febbraio 2008. 
    In  forza  dell'ordinario  canone  della  irretroattivita'  delle
leggi, potrebbe, prima facie, rispondersi negativamente, e  ritenersi
cosi' che  la  disposizione  in  esame  dispieghi  i  propri  effetti
unicamente in  riferimento  alle  profilassi  eseguite  dopo  la  sua
entrata in vigore. 
    Piu' in generale, il fatto che a fronte di  complicanze  di  tipo
irreversibile conseguenti  alle  vaccinazioni  raccomandate,  ora  in
questione, la corresponsione dell'indennizzo sia possibile unicamente
a  partire  dall'entrata  in  vigore  della  disposizione,   potrebbe
giustificarsi assumendo  che  proprio  e  solo  l'introduzione  della
disciplina  legislativa  recata  dal  d.l.  n.  73  del  2017,   come
convertito, abbia riconosciuto a queste vaccinazioni  caratteristiche
tali da renderle "meritevoli" di un simile statuto giuridico. 
    Eppure,  anche  sul  profilo   dell'efficacia   temporale   della
disposizione e' possibile una lettura di segno opposto, che autorizza
un'applicazione retroattiva dell'indennizzo. In questo senso potrebbe
militare, sia il tenore letterale della disposizione, che utilizza il
tempo  passato  (l'art.  5-quater  fa  riferimento  ai  soggetti  che
«abbiano riportato» lesioni o infermita', dalle quali «sia  derivata»
una menomazione  permanente  dell'integrita'  psico-fisica),  sia  la
circostanza che la stessa Camera dei deputati,  nel  gia'  richiamato
documento di verifica dei costi del provvedimento, si sia interrogata
proprio sugli  «effetti  retroattivi  potenzialmente  onerosi»  della
disposizione. 
    Quale  ulteriore  argomento  a   favore   di   una   applicazione
retroattiva dell'indennizzo potrebbe essere valorizzato  il  richiamo
omnicomprensivo, nell'art. 5-quater, alle «disposizioni di  cui  alla
legge  25  febbraio   1992,   n.   210»,   disciplina   che   prevede
l'indennizzabilita' degli «eventi ante legem, al pari di quelli  post
legem» (sentenza n. 118 del 1996), purche'  relativi  a  vaccinazioni
evidentemente obbligatorie anche prima della sua entrata  in  vigore.
L'argomento reggerebbe sul presupposto,  da  dimostrare,  che  questa
stessa  prospettiva  sia  estensibile  anche  ad   una   vaccinazione
raccomandata, e purche' si tratti di profilassi valutabile come  tale
gia' prima della conversione  del  d.l.  n.  73  del  2017  (come  si
potrebbe evincere dalla sentenza n. 5 del 2018 di questa  Corte,  ove
si ragiona, sia pur incidentalmente, a proposito della profilassi qui
in questione, come di una raccomandazione «preesistente»). 
    9.- Come gia' accennato, l'ordinanza di rimessione  non  menziona
il d.l. n. 73 del 2017, come convertito. In particolare, non analizza
il complessivo contenuto degli elenchi di profilassi di cui  all'art.
1, tra i quali quello di cui al comma 1-quater, e tace  sullo  stesso
cruciale art. 5-quater. Rimane conseguentemente  silente  rispetto  a
tutte le questioni interpretative fin qui prospettate. 
    Sarebbe,  invece,  spettato  al  giudice   a   quo   dare   conto
dell'esistenza  di  tali  rilevanti  disposizioni   e   operare   una
consapevole  ed  esplicita  scelta  tra   le   differenti   soluzioni
interpretative che esse dischiudono (analogamente,  sentenza  n.  232
del 2021). 
    La  circostanza  che  il  giudice  rimettente  abbia  omesso   di
misurarsi con il significato e  gli  effetti  di  tali  disposizioni,
anche  solo  al  fine  di  stabilirne  eventualmente   l'irrilevanza,
determina una lacuna che «compromette irrimediabilmente l'iter logico
argomentativo posto a fondamento delle valutazioni del rimettente sia
sulla rilevanza, sia sulla non manifesta infondatezza»  (sentenze  n.
232, n. 194 e n. 61 del 2021; analogamente, sentenze n. 42  e  n.  29
del 2023, n. 264 del 2020, n. 266 e n. 150 del 2019, ordinanza n. 244
del 2017). 
    Per queste  ragioni,  le  sollevate  questioni  vanno  dichiarate
inammissibili.