ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 22 del codice penale, promosso con ordinanza emessa il 15 marzo 1972 dalla Corte di assise di Verona nel procedimento penale a carico di Versini Pier Alberto ed altri, iscritta al n. 214 del registro ordinanze 1972 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 180 del 12 luglio 1972. Udito nella camera di consiglio del 21 novembre 1974 il Giudice relatore Paolo Rossi. Ritenuto il fatto: Nel corso del procedimento penale a carico di Versini Pier Alberto, Uber Giorgio e Ballan Gian Antonio, imputati dei delitti di omicidio volontario e rapina pluriaggravati, la Corte di assise di Verona, accogliendo l'eccezione sollevata dal pubblico ministero e condivisa dal patrono di parte civile e dalla difesa, con ordinanza 15 marzo 1972, emessa durante le formalita' di apertura del dibattimento, ha sollevato questione incidentale di legittimita' costituzionale della pena dell'ergastolo (art.22 c.p.) in riferimento all'art. 27, terzo comma, della Costituzione. Assume il giudice a quo che l'ergastolo, in quanto pena che si risolve nella privazione perpetua della liberta' personale, con impossibilita' del reinserimento del condannato nella vita sociale, contrasterebbe con la funzione di emenda garantita dall'invocato principio costituzionale. Altri motivi d'illegittimita' potrebbero ravvisarsi nell'obbligo imposto agli ergastolani di esplicare un'attivita' lavorativa, con comminazione di sanzioni coercitive in caso di inosservanza, e nel rilievo che della liberazione condizionale non potrebbero godere tutti i condannati su un piano di parita', essendo essa subordinata all'adempimento delle obbligazioni civili nascenti dal reato. Avanti questa Corte non vi e' stata costituzione di parti ne intervento del Presidente del Consiglio dei ministri. Considerato in diritto: L'ordinanza muove dal seguente testuale presupposto: 1a Costituzione, oltre a disporre che le pene siano sempre umane, "evidenzia la necessita' che le pene abbiano quale funzione e fine il riadattamento alla vita sociale". orbene, funzione (e fine) della pena non e' certo il solo riadattamento dei delinquenti, purtroppo non sempre conseguibile. A prescindere sia dalle teorie retributive secondo cui la pena e' dovuta per il male commesso, sia dalle dottrine positiviste secondo cui esisterebbero criminali sempre pericolosi e assolutamente incorreggibili, non vi e' dubbio che dissuasione, prevenzione, difesa sociale, stiano, non meno della sperata emenda, all i' radice della pena. E cio' basta per concludere che l'art. 27 della Costituzione, usando la formula "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanita' e devono tendere alla rieducazione del condannato", non ha proscritto la pena dell'ergastolo (come avrebbe potuto fare), quando essa sembri al legislatore ordinario, nell'esercizio del suo potere discrezionale, indispensabile strumento di intimidazione per individui insensibili a comminatorie meno gravi, o mezzo per isolare a tempo indeterminato criminali che abbiano dimostrato la pericolosita' e l'efferatezza della loro indole. L'ordinanza prosegue: "sembra che l'ergastolo sia in contrasto con la morale esigenza di tutela e con il senso di umanita' al quale debbono ispirarsi le pene, essendo obbligatoria per i condannati a tale pena l'esplicazione di un'attivita' lavorativa. Infatti, al condannato che non adempie all'obbligo del lavoro sono applicabili misure coercitive, disciplinari, che non appaiono certo ispirate ai fondamentali principi di umanizzazione della pena". Deve subito dirsi che il lavoro, ben lungi dall'essere in contrasto con la morale esigenza di tutela e rispetto della persona, e' gloria umana, precetto religioso per molti, dovere e diritto sociale per tutti (art. 4 Cost.) e reca sollievo ai condannati che lavorando, anche all'aperto, come consente l'art. 22 c.p. nel nuovo testo risultante dalla novella del novembre 1962, godono migliore salute fisica e psichica, conseguono un compenso e si sentono meno estraniati dal contesto sociale. Il fatto che, secondo regolamenti carcerari, al condannato abile al lavoro che per riottosita' o protervia lo rifiuti, siano eventualmente applicabili misure disciplinari, non attiene alla legittimita' costituzionale dell'art. 22 del codice penale. Rimane infine da considerare che l'istituto della liberazione condizionale disciplinato dall'art. 176 c.p. - nel testo modificato dall'art. 2 della legge 25 novembre 1962, n. 1634 - consente l'effettivo reinserimento anche dell'ergastolano nel consorzio civile senza che possano ostarvi le sue precarie condizioni economiche: invero, contrariamente a quanto assume il giudice a quo, la concessione della liberazione condizionale e' subordinata all'adempimento delle obbligazioni civili sempreche' il condannato abbia la possibilita' di provvedervi, che altrimenti potra' dimostrare di trovarsi nell'impossibilita' di adempierle senza subire alcun pregiudizio. Di particolare rilievo e' per altro la sentenza n. 204 del 1974 della Corte costituzionale che ha dichiarato l'illegittimita' della norma che attribuiva al Ministro della giustizia la facolta' di concedere la liberazione condizionale. Questa pertanto sara' concessa non piu' in relazione a scelte discrezionali del potere politico, ma in base ad una decisione dell'autorita' giudiziaria (cui l'interessato avra' diritto di rivolgersi) che con le garanzie proprie del procedimento giurisdizionale accertera' se il condannato abbia tenuto un comportamento tale da far ritenere sicuro il suo ravvedimento.