ha pronunciato la seguente
                                SENTENZA
 nei giudizi riuniti di legittimita' costituzionale degli artt. 1, 5, 16
 e 18 della legge della Regione Veneto 17 aprile 1975, n. 36 (Norme  per
 l'esercizio  dell'attivita'  estrattiva  in ordine a cave e torbiere) e
 degli artt. 2, 3 e 22 della legge della  Regione  Lombardia  14  giugno
 1975,  n.  92 (Disciplina della coltivazione delle sostanze minerali di
 cava) promossi con le seguenti ordinanze:
     1) ordinanza emessa il 13 maggio 1977 dal Consiglio di Stato - Sez.
 VI giurisdizionale, sul ricorso proposto dalla Soc. fratelli  Vudafieri
 contro  la  Regione  Veneto  ed  altro, iscritta al n. 430 del registro
 ordinanze 1977 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale  della  Repubblica
 n. 313 del 1977;
     2)  quattro  ordinanze  emesse il 3 dicembre 1976, il 5 luglio 1977
 (due ordinanze) e  il  14  giugno  1977  dal  Tribunale  amministrativo
 regionale per il Veneto, sui ricorsi proposti da Ceotto Vittorio, dalla
 S.a.s.  fornaci  del  Sile  (due)  e  dalla S.p.a. Seganfreddo Giovanni
 contro la Regione Veneto, rispettivamente iscritte ai nn. 259, 320, 321
 e 481 del registro ordinanze 1978 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica nn. 222 e 271 del 1978 e n. 10 del 1979;
     3)  ordinanza emessa il 27 aprile 1978 dal Tribunale amministrativo
 regionale per la Lombardia sul ricorso  proposto  dalla  Ditta  Olivari
 Carlo  Rosalino ed altri contro la Regione Lombardia ed altro, iscritta
 al n. 63 del  registro  ordinanze  1979  e  pubblicata  nella  Gazzetta
 Ufficiale della Repubblica n. 87 del 1979;
     Visti  gli  atti  di costituzione della Soc. f.lli Vudafieri, della
 Ditta Olivari Carlo Rosalino ed altri e della Regione Veneto  e  l'atto
 di intervento della Regione Lombardia;
     udito  nell'udienza pubblica del 7 ottobre 1981 il Giudice relatore
 Leopoldo Elia;
     uditi l'avv. Feliciano Benvenuti,  per  la  Soc.  f.lli  Vudafieri,
 l'avv. Gaetano Romanelli, per la Ditta Olivari Carlo Rosalino ed altri,
 gli  avvocati  Massimo  Severo  Giannini,  Giangiacomo  Pancino e Guido
 Viola, per la Regione Veneto  e  l'avv.  Umberto  Pototschnig,  per  la
 Regione Lombardia.
                           Ritenuto in fatto:
     1.  -  Con ordinanza emessa il 13 maggio 1977 il Consiglio di Stato
 sollevava questione di costituzionalita' degli articoli  1,  5,  ultimo
 comma,  16  della  legge  della  Regione  Veneto 17 aprile 1975, n. 36,
 recante "Norme per l'esercizio dell'attivita' estrattiva  in  ordine  a
 cave  e  torbiere",  per  contrasto  con l'art. 117 della Costituzione.
 Osservava che le norme impugnate configurano un potere della Regione di
 accordare o negare, con amplissima  discrezionalita',  l'autorizzazione
 per  proseguire  nella  coltivazione  di una cava, a tutela di generali
 interessi di protezione dell'ambiente. Le norme si porrebbero quindi in
 contrasto  con  i  principi  della  legislazione   dello   Stato,   che
 consentirebbe solo di imporre particolari cautele a tutela di specifici
 e   puntuali  interessi,  ma  non  di  escludere  senza  condizioni  la
 possibilita' di iniziare la coltivazione di una cava  o  di  continuare
 nella   stessa.   Tale  possibilita'  sarebbe  anzi  configurata  dalla
 legislazione  dello  Stato  come  naturale  esplicazione  del   diritto
 dominicale  e solo il mancato soddisfacimento delle esigenze produttive
 potrebbe consentirne la perdita.
     La questione sarebbe rilevante nel processo a quo in cui si discute
 di  provvedimento  amministrativo  di  rifiuto  di   autorizzazione   a
 proseguire  nella  coltivazione  di  una  cava, motivato in ragione dei
 danni che l'esercizio di tale coltivazione avrebbe potuto produrre alla
 falda freatica  e  al  regime  delle  acque,  nonche'  ai  terzi.  Tale
 questione  tocca  infatti il potere stesso di negare l'autorizzazione e
 non semplicemente i motivi che possono giustificare un intervento della
 pubblica autorita'; la sua rilevanza potrebbe quindi  essere  affermata
 anche  senza  valutare se tali motivi sono in tutto o in parte comuni a
 quelli previsti dalla legislazione dello Stato.
     Si costituiva la  Regione  Veneto,  eccependo  l'irrilevanza  della
 questione  sollevata e deducendo la sua infondatezza.  Rilevava infatti
 che l'autorizzazione al proseguimento  nell'attivita'  di  coltivazione
 della  cava  era  stata  rifiutata  per motivi riconosciuti anche dalle
 leggi dello Stato: i piu'  vasti  poteri  che  la  normativa  regionale
 riconoscerebbe   all'amministrazione   non   sarebbero   quindi   stati
 esercitati nella fattispecie.  Nel  merito  osservava  che,  rientrando
 l'attivita' di coltivazione della cava nelle facolta' del proprietario,
 il  provvedimento  con  cui  la  pubblica  amministrazione ne controlla
 l'eventuale rispondenza alle esigenze della collettivita' non puo'  non
 avere     carattere     di    autorizzazione.    La    discrezionalita'
 dell'amministrazione sarebbe dunque  ancorata  a  numerosi  termini  di
 riferimento  (individuazione e delimitazione delle aree suscettibili di
 attivita' estrattiva,  valutazione  dei  fabbisogni  dei  materiali  da
 estrarre, criteri per la localizzazione dell'autorizzazione e modalita'
 di   coltivazione),   nonche'   limitata  da  pareri  (degli  organismi
 comprensoriali delle comunita' montane, del Magistrato delle acque, del
 Magistrato del Po, del Distretto minerario, della Sopraintendenza  alle
 antichita' ed ai monumenti).
     Si   costituiva   la  societa'  Fratelli  Vudafieri,  deducendo  la
 fondatezza  della  questione,  poiche'  la   normativa   regionale   si
 ispirerebbe  a  principi  che contrastano con quelli della legislazione
 statale. Questa infatti configura la facolta'  di  coltivare  una  cava
 come  naturale  esplicazione  del  diritto di proprieta' ed e' ispirata
 inoltre  al  criterio   del   massimo   sfruttamento   produttivo.   La
 legislazione    regionale    invece,   statuendo   la   necessita'   di
 un'autorizzazione  ampiamente  discrezionale  al   punto   da   potersi
 configurare   come   concessione,   finirebbe   con   il  sottrarre  al
 proprietario del terreno il diritto di sfruttare  le  cave  e  comunque
 sarebbe ispirata ad esigenze del tutto diverse da quelle attinenti alla
 produzione.
     2.  -  Con  quattro  ordinanze  di  analogo tenore, emesse una il 3
 dicembre 1976, una il  14  giugno  1977,  due  il  5  luglio  1977,  il
 Tribunale  amministrativo  regionale  del Veneto sollevava questione di
 costituzionalita' dell'art. 18 della  legge  della  Regione  Veneto  17
 aprile  1975,  n. 36, gia' menzionata, per contrasto con gli artt. 42 e
 117 della Costituzione. Il potere discrezionale, amplissimo e correlato
 alla cura di  interessi  pubblici  non  specificamente  predeterminati,
 sarebbe  in  contrasto  con i principi della legislazione dello Stato e
 con la tutela della proprieta', specie in assenza di quel  piano  delle
 attivita' estrattive che dovrebbe delimitare tale discrezionalita'. Nei
 vari  casi di specie il Tribunale amministrativo ha ritenuto pertinente
 l'art.  18  e  non  l'art.  16  della  legge  regionale,  giacche'   il
 provvedimento  impugnato, nel negare l'autorizzazione alla coltivazione
 della  cava,  muoveva  dalla  constatazione  che   tale   coltivazione,
 contrariamente  a  quanto  asserito  dai  soggetti richiedenti, non era
 ancora iniziata  al  momento  dell'entrata  in  vigore  della  legge  o
 comunque  non  era  stata denunziata ai sensi dell'art. 28 del d.P.R. 9
 aprile 1959, n.  128.
     Si costituiva in tutti  i  giudizi  la  Regione  Veneto,  eccependo
 l'irrilevanza  delle questioni sollevate e deducendo nel merito la loro
 infondatezza. I provvedimenti della  Regione  concernevano  domande  di
 autorizzazione  a  proseguire nella coltivazione di cave ed erano stati
 adottati  previa  istruttoria  consona  alla  domanda  presentata.   Il
 Tribunale  amministrativo  non  potrebbe  prescindere da questi dati di
 fatto  e,  anziche'  prendere  in  esame   i   provvedimenti   adottati
 nell'esercizio  dei poteri previsti dall'art. 16 della legge regionale,
 ipotizzare l'inesistente esercizio dei  poteri  previsti  dall'art.  18
 della  stessa  legge, per di piu' senza aver annullato i provvedimenti,
 peraltro  neppure  censurati  sotto  questo  profilo  nei   motivi   di
 impugnazione.  Nel  merito le questioni sarebbero infondate perche' gli
 interessi geologici, idrogeologici e ambientali in relazione  ai  quali
 e'   possibile   negare   l'autorizzazione   all'apertura   delle  cave
 risulterebbero  puntualmente  individuati  nella  legge   regionale   e
 sarebbero conformi ai principi della stessa legislazione dello Stato.
     3.  -  Con  ordinanza  emessa  il  27  aprile  1978,  il  Tribunale
 amministrativo  regionale  della  Lombardia  sollevava   questione   di
 costituzionalita'  degli  artt.  2,  3,  22  della  legge della Regione
 Lombardia 14 giugno 1975, n. 92, recante "Disciplina della coltivazione
 delle sostanze minerali di cava", per contrasto con  l'art.  117  della
 Costituzione.     Osservava  che  la  citata  disciplina,  secondo  cui
 l'attivita' di coltivazione di cava e' subordinata ad  una  valutazione
 complessiva  di  interessi  pubblici,  che  si  esprime  in  un atto di
 autorizzazione, contrasta  con  i  principi  della  legislazione  dello
 Stato,  secondo  cui solo in situazioni particolari e con riferimento a
 specifiche esigenze e'  previsto  un  intervento  autorizzatorio  della
 pubblica  autorita',  il  quale  peraltro deve risolversi piuttosto nel
 prescrivere i modi di esercizio della attivita' di coltivazione di  una
 cava  che  non nel precludere l'esercizio medesimo. Nel caso di specie,
 le imprese interessate avevano proposto ricorso contro il provvedimento
 del Presidente della Regione Lombardia che  rifiutava  l'autorizzazione
 al  proseguimento dei lavori di coltivazione di cava in atto esercitati
 ed imponeva lavori di sistemazione e di ripianamento.
     Si costituivano i  ricorrenti,  sviluppando  le  censure  contenute
 nell'ordinanza  di  rimessione e rilevando in particolare che il potere
 riconosciuto all'amministrazione regionale  ed  ai  comuni  costituisce
 esercizio di una discrezionalita' non sufficientemente delimitata e non
 tale dunque da offrire idonee garanzie al privato.
     Si  costituiva anche la Regione Lombardia, deducendo l'infondatezza
 della questione. Nel nostro ordinamento - osservava  -  non  esiste  un
 principio  di libera coltivazione delle cave senza autorizzazione. Tale
 coltivazione  potrebbe  anzi  essere  impedita,  senza  indennizzo,  in
 presenza  di  vari interessi pubblici. L'autorizzazione, prevista dalla
 legge lombarda, dovrebbe uniformarsi ad un generale piano  delle  cave,
 con  conseguente  delimitazione della discrezionalita'.   In attesa che
 tale  piano  sia  approvato,  l'eventuale  diniego  di   autorizzazione
 dovrebbe   essere  motivato  sulla  base  di  precisi  e  riscontrabili
 interessi di tutela ambientale,  di  ricettivita'  del  territorio,  di
 difesa  dagli  inquinamenti,  in  guisa  da  escludere  ogni  arbitrio.
 Rientrerebbe comunque nell'ampia competenza urbanistica della  Regione,
 che  comprende  ogni  forma  di  utilizzazione  del suolo e tutela ogni
 esigenza di salvaguardia dell'ambiente, a norma dell'art. 80 del d.P.R.
 24 luglio 1977, n. 616,  la  cura  di  interessi  ecologici  anche  con
 riferimento all'attivita' di coltivazione di cave e torbiere.
                         Considerato in diritto:
     1.  - Le questioni sollevate dal Consiglio di Stato e dai Tribunali
 regionali amministrativi del Veneto e della Lombardia  hanno  contenuto
 identico   o  analogo  e  possono  pertanto  essere  decise  con  unica
 pronuncia.
     E' stato eccepito dalla Regione Veneto che la  questione  sollevata
 dal  Consiglio di Stato a proposito degli articoli 1, 5 ultimo comma, e
 16 della legge regionale 17 aprile 1975 non e' rilevante in  quanto  il
 provvedimento  amministrativo contenente il rifiuto di autorizzazione a
 proseguire nella coltivazione della cava da parte della Societa'  f.lli
 Vudafieri  costituirebbe,  in  sostanza,  esercizio  di poteri previsti
 negli artt. 104, 105, 110 e 119 del d.P.R. 9 aprile 1959, n. 128.    Ma
 il  giudice  a  quo  ha ritenuto che i poteri esercitati fossero quelli
 previsti nell'art. 16 della  citata  legge  regionale,  e  cioe'  nella
 disposizione che aveva determinato la richiesta da parte della societa'
 Vudafieri dell'autorizzazione a continuare la coltivazione di una cava.
 Tra  l'altro,  l'ipotesi di diniego dell'autorizzazione e'espressamente
 contemplata  nell'ultimo  comma  del   precisato   art.   16.   Sicche'
 l'eccezione  di  inammissibilita'  per irrilevanza della questione deve
 essere respinta.
     Egualmente non suscettibile di accoglimento risulta l'eccezione  di
 irrilevanza  mossa  dalla  Regione  Veneto  a proposito della questione
 sollevata con l'ordinanza  n.  259  Reg.  ord.  1978,  perche',  se  il
 ricorrente  aveva chiesto un provvedimento relativo a coltivazione gia'
 in atto secondo il disposto dell'art.  16  della  legge  della  Regione
 Veneto,  l'autorita'  regionale, ritenendo insussistente il presupposto
 di una attivita' estrattiva gia' in corso, si era avvalsa del potere di
 diniego conferitole dall'art. 18 della stessa legge.
     2. - Le questioni sollevate riguardano  quelle  norme  delle  leggi
 regionali  del  Veneto e della Lombardia che hanno introdotto il regime
 autorizzatorio su scala generale per la coltivazione dei giacimenti  di
 cave  e torbiere o per il proseguimento delle coltivazioni gia' in atto
 al momento della entrata in vigore delle leggi stesse. Tale innovazione
 contrasterebbe  con   l'art.   117   della   Costituzione   in   quanto
 dall'ordinamento  statale  (art. 45, primo e secondo comma, del r.d. 29
 luglio 1927, n. 1443 sulla ricerca e  coltivazione  delle  miniere)  si
 ricaverebbe   un   principio   della   materia   incompatibile  con  la
 generalizzazione del regime autorizzatorio. Inoltre, eccessiva  sarebbe
 la  latitudine del potere discrezionale delle amministrazioni regionali
 in ordine al rilascio delle autorizzazioni, specie quando il diniego di
 queste, nella  fase  precedente  l'adozione  dei  piani  regionali  per
 l'attivita'  estrattiva,  risulterebbe in pratica a tempo indeterminato
 (e cio' in contrasto, secondo il Tribunale amministrativo  del  Veneto,
 anche con l'art. 42 della Costituzione).
     3. - Le questioni cosi' proposte non sono fondate.
     L'ordinanza  del  Consiglio  di  Stato  prospetta  la  questione in
 termini molto generali, sottolineando  come  sia  dubbio,  nell'attuale
 fase  evolutiva dell'ordinamento statale, che si sia gia' costituito un
 principio di carattere generale secondo cui il legittimo  esercizio  di
 attivita'  economiche sia di regola subordinato ad un potere "in virtu'
 del quale la Pubblica Amministrazione sia facultata non solo ad imporre
 specifiche modalita' di esercizio ma anche a valutare discrezionalmente
 l'opportunita' di rilasciare o meno  il  provvedimento  (concessione  o
 autorizzazione   che   sia),  che  costituisce  necessario  presupposto
 dell'attivita' stessa".
     Il thema decidendum va peraltro ricondotto alla  specifica  materia
 "cave  e  torbiere",  autonomamente  prevista  dall'articolo 117, primo
 comma, della  Costituzione,  tra  quelle  rientranti  nella  competenza
 legislativa  concorrente  delle  Regioni a Statuto ordinario; senza che
 sia necessario,  dunque,  procedere  ad  una  disamina  delle  numerose
 autorizzazioni  che condizionano, nella disciplina legislativa statuale
 vigente, l'inizio di attivita' economiche - industriali e commerciali -
 pur garantite dall'art. 41 della Costituzione.
     In questa piu' limitata prospettiva si  deve  ricordare  quanto  fu
 enunziato da questa Corte, e non certo in guisa di obiter dictum, nella
 sentenza  n.  20 del 1967. In tale pronunzia si sottolineava la "comune
 ispirazione" della disciplina sulle cave e sulle miniere, assolvendo in
 entrambi i casi l'attivita' estrattiva "a fini di  utilita'  generale";
 si  affermava  poi che "nel diritto accordato al proprietario del fondo
 sulla cava che vi affiora, si immedesima una  destinazione  che  lo  fa
 divenire   mezzo   di   realizzazione   di  un  interesse  pubblico,  e
 sostanzialmente lo affievolisce"; e si concludeva osservando che, quale
 che fosse la natura del diritto del privato sulla cava, questo  sarebbe
 attribuito  "con i limiti impressi dalla rilevanza pubblica del bene, e
 questi limiti si inseriscono nella struttura del diritto, comunque esso
 si  qualifichi,  caratterizzandolo   nella   sua   giuridica   essenza,
 vincolandolo  indissolubilmente  ad  un  esercizio  che  svolga  quella
 funzione d'interesse generale cui la cava e', di per se', destinata".
     Tali affermazioni, poste a  sostegno  della  dichiarazione  di  non
 fondatezza  della  questione  di legittimita' costituzionale del quarto
 comma dell'art. 45 del r.d. 29 luglio 1927, n.   1443, non  sono  certo
 risolutive  a favore della non fondatezza delle questioni ora proposte,
 perche' l'interesse generale cui si riferisce questa legge delegata  e'
 senza  dubbio  l'interesse  della produzione, applicata alla estrazione
 dei  materiali  contenuti  nei  giacimenti   di   cava;   tuttavia   le
 proposizioni  citate  sono  significative  in quanto sottolineano come,
 ancor  prima  dell'ingresso   nell'ordinamento   dell'art.   41   della
 Costituzione,  il  diritto  dominicale  sulla  cava fosse geneticamente
 condizionato ad intra  dalla  tutela  di  un  interesse  pubblico,  cui
 l'evoluzione  legislativa  e  costituzionale potrebbe affiancare altri,
 diversi interessi della stessa natura.
     Del resto non va trascurato che divieti o limiti puntuali, da farsi
 valere  in  taluni  casi  mediante  interventi   preventivi   di   tipo
 autorizzatorio,  erano  previsti  da  varie  fonti  normative. Cosi' la
 regolamentazione amministrativa della attivita' cavatoria che  provochi
 emungimento  di  acque  si ricava dall'art. 169 legge 20 marzo 1865, n.
 2244, all. F (successivamente art. 97 del r.d. 25 luglio 1904, n. 523),
 dall'art. 93 del Testo unico sulle  acque  n.  1775  del  1933  nonche'
 dall'art.  104  del d.P.R. 9 aprile 1959, n. 128, che vieta gli scavi a
 cielo aperto in prossimita' di sorgenti, di corsi d'acqua  senza  opere
 di  difesa,  di  opere  di  difesa dei corsi d'acqua, salva l'eventuale
 autorizzazione del Prefetto, poi di  spettanza  delle  Regioni  secondo
 l'art.  1 del d.P.R. 14 gennaio 1972, n. 2 (il potere di autorizzare la
 escavazione di sabbia e ghiaia nell'alveo  dei  corsi  d'acqua  e'stato
 trasferito  alle  Regioni  dall'art.  62,  comma  secondo, lett. a) del
 d.P.R.  24 luglio 1977, n. 616). Gli artt. 104 e 105 del d.P.R. n.  128
 del  1959,  si  applicano,  oltreche'  ai  corsi  d'acqua, alle zone in
 prossimita' di strade o di edifici; mentre per  le  zone  sottoposte  a
 vincolo  idrogeologico il regime autorizzatorio e' disposto dall'art. 7
 del r.d. 30 dicembre 1923, n. 3267, per  quelle  sottoposte  a  vincolo
 alberghiero o forestale l'art. 62, secondo comma, lett. b del d.P.R. 24
 luglio  1977,  n.  616  prevede ora che spetti alle Regioni il relativo
 potere di autorizzazione (altre limitazioni connesse alle bonifiche  di
 terreni  paludosi erano disposte dall'art. 133, lett. d del regolamento
 approvato con r.d. 8 maggio 1904, n. 368).
     Ne' va trascurata la possibilita'  di  interventi  di  quest'ultimo
 tipo  a  suo  tempo previsti dall'art. 8 della legge 29 giugno 1939, n.
 1497 (Norme sulla protezione delle bellezze naturali)  e  dall'art.  30
 del regolamento per l'applicazione di questa legge (r.d. 3 giugno 1940,
 n.  1357).    Nemmeno  la  previsione  di  questi  limiti,  per il loro
 carattere puntuale (e di eventuale applicazione), potrebbe  fondare  il
 potere  delle  Regioni di disporre un regime generale di autorizzazione
 per l'attivita' cavatoria; tuttavia, da questo insieme di  disposizioni
 si  trae  pur  sempre  l'indicazione  di  una  pluralita'  di interessi
 pubblici  presi  in  considerazione  dal  legislatore  a  proposito  di
 coltivazione dei giacimenti di cava, interessi che non  possono  dunque
 ridursi  a  quello  della massimizzazione produttiva di cui all'art. 45
 del r.d. n.  1443 del 1927.
     Ma e' con la legge 29 novembre 1971, n. 1097 (Norme per  la  tutela
 delle bellezze naturali ed ambientali e per le attivita' estrattive nel
 territorio dei Colli Euganei) che fa ingresso nel nostro ordinamento il
 principio  secondo  il  quale  la  tutela  di  un  interesse  pubblico,
 considerato in relazione all'attivita' di coltivazione  dei  giacimenti
 di  cava,  puo'  dar luogo a regime generalizzato di autorizzazione. E'
 evidente infatti, per qualsiasi lettore di  questo  testo  legislativo,
 che  la  sottoposizione  del  progetto  di  coltivazione  all'esame del
 sovrintendente  ai  monumenti  (ed  ora  all'autorita'  regionale)   e'
 considerato  il  mezzo  necessario  per  accertare  se  la prosecuzione
 dell'attivita'  estrattiva   "risulti   di   pregiudizio   all'ambiente
 paesaggistico  e  naturale" (art. 3, ultimo comma). Si noti inoltre che
 il terzo comma del citato articolo  precisa  nella  sua  ultima  parte:
 "Resta  salva, al riguardo, e per tutta la materia afferente alle cave,
 la competenza della Regione ad emanare apposite norme legislative"; una
 formula che pare ammettere interventi regionali legislativi (e  percio'
 amministrativi),  regolanti  l'attivita'  estrattiva  e trascendenti il
 quadro della legislazione nazionale fino allora vigente.
     E che non si trattasse di  normativa  necessariamente  circoscritta
 alla  fattispecie  territoriale  dei  Colli Euganei era ben rilevato da
 questa Corte nella sent. n.  9  del  1973  (n.  8  del  considerato  in
 diritto),  con  questa  affermazione: "La Corte osserva che i limiti di
 localizzazione della  legge  in  esame  non  costituiscono  trattamento
 singolare  e  differenziato da quello di situazioni che, altrove, siano
 ritenute, di volta  in  volta,  sottoponibili  ad  eguale  tutela".  E'
 naturale  che,  generalizzandosi la necessita' della tutela di questo e
 di  altri  interessi   pubblici   riconosciuti   dall'ordinamento,   si
 generalizzasse  anche  il  ricorso  al  tipo  di intervento preventivo,
 ritenuto dalla legge statale strumento  necessario  per  realizzare  la
 salvaguardia   di   quegli  interessi.     Tanto  piu'  che  il  regime
 autorizzatorio si presenta nelle leggi regionali  del  Veneto  e  della
 Lombardia  non  soltanto  come  mezzo di controllo del rispetto, tra le
 altre, delle esigenze di ricettivita' del territorio, di  tutela  dagli
 inquinamenti,   di   dimensionamento   del  materiale  estraibile  alle
 necessita' obbiettive di impiego del materiale estratto; ma come  mezzo
 necessario   per  l'attuazione  di  un  piano  regionale  di  attivita'
 estrattiva. Piu' in particolare, dalla legge statale per la  protezione
 dei  Colli  Euganei  si  ricava  anche  che,  nella  valutazione  degli
 interessi pubblici, il legislatore prima  ed  entro  limiti  ovviamente
 piu'  ristretti  l'amministratore  poi  possono subordinare l'interesse
 della produzione, da soddisfare con l'attivita'  estrattiva,  ad  altri
 interessi   pubblici,  riconosciuti  dall'ordinamento.  Ne'  al  potere
 regionale di disporre legislativamente in ordine  al  provvedimento  di
 autorizzazione  in  tema  di  apertura di cave o di proseguimento nella
 loro coltivazione e' di ostacolo il particolare regime di delega  delle
 funzioni  amministrative  previste  dall'art.  82 del d.P.R. n. 616 del
 1977, in quanto la  ratio  di  questa  disposizione  e'  limitata  alla
 protezione dei beni ambientali.
     Va  da  se'  che  sarebbe stato auspicabile, a fini di certezza del
 diritto  e  di  disciplina  piu'  omogenea  nelle  Regioni  a   statuto
 ordinario,  che  il  legislatore  statale  avesse da tempo adottato una
 legge contenente i principi fondamentali della materia  (ed  e'  lecito
 sperare  che  le  difficolta'  incontrate nell'iter legislativo possano
 essere  finalmente  superate).  Ma,  in  attesa   di   una   aggiornata
 legislazione,  non  si puo' affermare che manchi, a proposito di cave e
 torbiere, un principio il quale consenta di dire rispettato l'art.  117
 della  Costituzione,  (secondo  l'art.  17, terzo comma, della legge 16
 maggio  1970,  n.  281),  da  parte  delle  leggi  regionali  Veneto  e
 Lombardia, nelle disposizioni sottoposte al sindacato di questa Corte.
     Che  poi  l'art.  42  della  Costituzione  non  sia violato risulta
 chiaramente da quanto e' disposto nel secondo comma di questo  articolo
 circa  i  limiti  della  proprieta',  in corrispondenza con il precetto
 dell'art. 41 della Costituzione,  secondo  cui  l'iniziativa  economica
 privata  non  puo' svolgersi in contrasto con l'utilita' sociale. Ed il
 pacifico  accoglimento  del  regime  autorizzatorio  per  le  attivita'
 estrattive  delle cave nelle leggi di alcune regioni a Statuto speciale
 e delle provincie autonome della Regione Trentino-Alto  Adige  conferma
 che  esso  non  e'  stato ritenuto in contrasto ne' con l'art. 42 della
 Costituzione ne' con i principi dell'ordinamento giuridico dello  Stato
 (legge  Regione  Friuli-Venezia  Giulia  16  agosto  1974, n. 42; legge
 Regione siciliana 9 dicembre 1980, n. 127; legge provinciale di Bolzano
 12 agosto 1976, n. 32 e legge provinciale di Trento 12  dicembre  1978,
 n. 59).
     Circa  le  censure  mosse in tema di giusto procedimento, nel senso
 che le leggi de quibus attribuirebbero un potere  discrezionale  troppo
 lato  alle  autorita' regionali, e' da dire che in nessun caso dovrebbe
 trattarsi di valutazioni riducibili  a  giudizi  di  opportunita';  tra
 l'altro,  la  motivazione  dei  provvedimenti  dovrebbe  riferirsi alla
 tutela degli specifici interessi  pubblici,  cui  fanno  esplicitamente
 cenno le leggi contestate. Ulteriori limiti alla discrezionalita' degli
 amministratori  regionali  dovrebbero  poi discendere dalle indicazioni
 del piano regionale delle attivita' estrattive, se  queste  riusciranno
 ad essere sufficientemente specifiche.  Nell'attesa - certo non a tempo
 indeterminato  -  del  piano,  anche  i  divieti  di carattere generale
 all'apertura di nuove cave o al proseguimento della  coltivazione  gia'
 in  atto  dovrebbero  avere  una operativita' di durata circoscritta, a
 finalita' di salvaguardia per un tempo limitato.
     Se pero' il diritto vivente (e non semplici deviazioni applicative)
 dovesse formarsi in violazione del principio del  giusto  procedimento,
 esercitandosi  dall'autorita'  regionale  poteri a discrezionalita' non
 limitata, allora, al di la' delle opinabili distinzioni  tra  carattere
 autorizzatorio  o  concessorio dei provvedimenti, muterebbero i termini
 normativi delle questioni attualmente sottoposte  all'esame  di  questa
 Corte  (che  restano invece integri, per la legge della Regione Veneto,
 malgrado il sopravvenire delle leggi regionali 22 gennaio 1980, n. 5  e
 20 agosto 1981, n. 50).