ha pronunciato la seguente
                               SENTENZA
 nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt.  5,  terzo  e
 quinto  comma,  e  6  della legge 5 giugno 1990, n. 135 (Programma di
 interventi urgenti per la  prevenzione  e  la  lotta  contro  l'AIDS)
 promosso  con  ordinanza  emessa  il  15  maggio  1993 dal Pretore di
 Padova, nel procedimento civile vertente  tra  Patrizia  Marchioro  e
 l'Associazione  Opera  Immacolata Concezione (O.I.C.), iscritta al n.
 403 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 30, prima serie speciale, dell'anno 1993;
    Visto l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 ministri;
    Udito  nella  camera  di  consiglio del 12 gennaio 1994 il Giudice
 relatore Cesare Mirabelli;
                           Ritenuto in fatto
    1. - Con ordinanza emessa il 15 maggio 1993 il Pretore  di  Padova
 ha   sollevato,  in  riferimento  all'art.  32,  primo  comma,  della
 Costituzione, questione di legittimita' costituzionale degli artt. 5,
 terzo e quinto  comma,  e  6  della  legge  5  giugno  1990,  n.  135
 (Programma di interventi urgenti per la prevenzione e la lotta contro
 l'AIDS). La questione e' stata sollevata nel corso di un procedimento
 civile  promosso dall'operatrice di assistenza Patrizia Marchioro nei
 confronti dell'Associazione  Opera  Immacolata  Concezione  (O.I.C.),
 diretto  ad ottenere un provvedimento d'urgenza, in base all'art. 700
 cod. proc.   civ.,  che  le  consentisse  di  riprendere  la  normale
 attivita'  lavorativa  dopo  essere  stata  cautelarmente sospesa dal
 servizio,  ma  non  dalla  retribuzione,  per  essersi  rifiutata  di
 sottoporsi  ad esami sanitari, presso la Divisione malattie infettive
 dell'Ospedale di Padova, diretti ad accertare l'esistenza o  meno  di
 infezione da HIV.
    L'art.  5  della legge n. 135 del 1990 stabilisce che nessuno puo'
 essere sottoposto, senza il proprio consenso, ad analisi tendenti  ad
 accertare l'infezione da HIV, se non per motivi di necessita' clinica
 nel  suo  interesse (terzo comma), e che l'accertata infezione da HIV
 non puo' costituire motivo di  discriminazione  in  particolare,  tra
 l'altro,  per  l'accesso  a  posti di lavoro o per il mantenimento di
 essi (quinto comma). L'art. 6 vieta ai datori di lavoro  di  svolgere
 indagini  dirette  ad accertare, nei dipendenti o per l'instaurazione
 di  un  rapporto   di   lavoro,   l'esistenza   di   uno   stato   di
 sieropositivita'.
    Il  Pretore  rileva  che,  nel  caso  sottoposto  al suo esame, la
 richiesta di accertamenti sanitari era stata motivata  da  parte  del
 datore  di  lavoro  escludendo  ogni  finalita' di discriminazione ma
 affermando la necessita',  collegata  all'assunzione  delle  relative
 responsabilita',  di  appurare  se l'operatrice in questione fosse in
 possesso dell'integrita' fisica richiesta per le delicate mansioni di
 assistenza svolte sulle persone di ricoverati non autosufficienti. Lo
 stesso giudice ritiene che le disposizioni legislative in  questione,
 escludendo  comunque  la  possibilita'  di  analisi e di accertamenti
 sanitari  su un eventuale stato di sieropositivita' senza il consenso
 dell'interessato,  siano   in   contrasto   con   l'art.   32   della
 Costituzione,  nella  parte  in  cui non prevedono la possibilita' di
 prescinderne,  limitatamente  ai   casi   di   specifiche   attivita'
 lavorative  che,  per la loro particolare natura, presentino il serio
 rischio di  trasmissione  dell'infezione  da  HIV  dall'operatore  di
 assistenza all'assistito.
    Il Pretore considera la legge n. 135 del 1990 informata a principi
 di   alto   valore   sociale  ed  all'apprezzabile  esigenza  di  non
 discriminare o isolare, nemmeno sul lavoro, le persone  sieropositive
 o affette da AIDS. Ma ritiene che la stessa legge presenti profili in
 contrasto  con  l'art. 32 della Costituzione, non consentendo, per le
 attivita' che presentano rischio di trasmissione  dell'infezione,  di
 effettuare   accertamenti   sanitari,   anche   contro   la  volonta'
 dell'interessato, con le dovute garanzie di riservatezza ed  al  fine
 di tutelare la salute come interesse della collettivita' e dei terzi.
    Il  Pretore motiva la rilevanza della questione affermando che, se
 le norme denunciate sono costituzionalmente illegittime,  il  ricorso
 proposto  per  ottenere  la  reintegrazione  d'urgenza nell'attivita'
 lavorativa dovrebbe essere respinto.
    2. - Nel giudizio dinanzi alla Corte e' intervenuto il  Presidente
 del  Consiglio  dei  ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
 generale dello Stato, chiedendo che la questione sia  dichiarata  non
 fondata.
    L'Avvocatura ricorda che un'ingerenza nella sfera della salute dei
 singoli   cittadini   puo'   essere   consentita  solo  entro  limiti
 circoscritti  ed  osserva  che  il  legislatore,  nel  prevedere   la
 necessita'   del   consenso   dell'interessato   per   l'accertamento
 dell'assenza di  sieropositivita',  ha  correttamente  rispettato  la
 liberta'  di  autodeterminazione  di costui. Ne' vi sarebbe motivo di
 ritenere che l'inserimento del malato di AIDS  nel  tessuto  sociale,
 per  l'espletamento  di  un  rapporto  di  lavoro,  possa  di per se'
 rappresentare  un  fattore  di  pericolosita'  tale  da  giustificare
 l'adozione  di misure di prevenzione invasive della sfera di liberta'
 del cittadino.
                        Considerato in diritto
    1. - La questione sottoposta all'esame  della  Corte  concerne  il
 programma  di interventi urgenti per la prevenzione e la lotta contro
 l'AIDS, dettato con  la  legge  5  giugno  1990,  n.  135,  che,  nel
 disciplinare   l'accertamento   dell'infezione   e   le   rilevazioni
 epidemiologiche, stabilisce che nessuno puo' essere sottoposto  senza
 il  suo consenso ad analisi tendenti ad accertare l'infezione da HIV,
 se non per motivi di necessita' clinica nel suo  interesse  (art.  5,
 terzo  comma). La stessa disposizione esclude discriminazioni in caso
 di accertata infezione da HIV per  l'accesso  o  il  mantenimento  di
 posti  di  lavoro  (art.  5, quinto comma). Inoltre l'art. 6 vieta ai
 datori  di  lavoro  di  svolgere  indagini   dirette   ad   accertare
 l'esistenza  di  uno  stato  di  sieropositivita' nei dipendenti o in
 persone prese in considerazione per l'instaurazione di un rapporto di
 lavoro.
    Ad avviso del Pretore di Padova  questa  disciplina,  pur  essendo
 informata  a  principi  di  alto  valore  sociale ed all'apprezzabile
 esigenza di non  discriminare  o  isolare,  neppure  sul  lavoro,  le
 persone  sieropositive  o  affette  da AIDS, sarebbe in contrasto con
 l'art.  32  della  Costituzione,  che  tutela  la salute come diritto
 fondamentale dell'individuo ed interesse della  collettivita',  nella
 parte  in  cui  non  prevede, limitatamente alle attivita' che per la
 loro particolare natura presentano il serio rischio  di  trasmissione
 dell'infezione,   la   possibilita'  di  accertamenti  sanitari,  con
 garanzie di riservatezza, anche contro la volonta' degli interessati.
    2. - Il giudice rimettente, indicando quale parametro del giudizio
 di  legittimita'  costituzionale  l'art.  32,  primo   comma,   della
 Costituzione,  invoca  l'applicazione  del  principio di tutela della
 salute come fondamentale diritto  dell'individuo  e  interesse  della
 collettivita'.
    In  proposito la Corte ha piu' volte affermato che la salute e' un
 bene  primario,  costituzionalmente  protetto,  il  quale  assurge  a
 diritto  fondamentale  della  persona,  che impone piena ed esaustiva
 tutela (sentenze n. 307 e 455 del  1990),  tale  da  operare  sia  in
 ambito pubblicistico che nei rapporti di diritto privato (sentenze n.
 202 del 1991, n. 559 del 1987 e n. 184 del 1986).
    La  tutela  della  salute  comprende  la generale e comune pretesa
 dell'individuo a condizioni di vita, di ambiente e di lavoro che  non
 pongano  a  rischio  questo  suo  bene  essenziale.  Sotto il profilo
 dell'assistenza pubblica la tutela  della  salute  si  specifica  nel
 diritto,  basato  su norme costituzionali di carattere programmatico,
 all'erogazione,  nel  contesto  delle  compatibilita'  generali   non
 irragionevolmente  valutate  dal legislatore, di adeguate prestazioni
 di prevenzione e cura, dirette al mantenimento o  al  recupero  dello
 stato di benessere (sentenza n. 455 del 1990).
    La  tutela  della  salute  non  si  esaurisce  tuttavia  in queste
 situazioni attive di pretesa. Essa  implica  e  comprende  il  dovere
 dell'individuo  di  non  ledere  ne'  porre  a rischio con il proprio
 comportamento la salute altrui, in osservanza del principio  generale
 che  vede  il  diritto  di  ciascuno  trovare un limite nel reciproco
 riconoscimento e nell'eguale protezione del coesistente diritto degli
 altri.  Le  simmetriche  posizioni  dei   singoli   si   contemperano
 ulteriormente  con  gli  interessi  essenziali  della  comunita', che
 possono richiedere la  sottoposizione  della  persona  a  trattamenti
 sanitari  obbligatori,  posti  in  essere  anche nell'interesse della
 persona  stessa,  o  prevedere  la  soggezione  di  essa   ad   oneri
 particolari.  Situazioni  di questo tipo sono evidenti nel caso delle
 malattie infettive e contagiose, la cui diffusione  sia  collegata  a
 comportamenti  della  persona,  che  e' tenuta in questa evenienza ad
 adottare responsabilmente le condotte e  le  cautele  necessarie  per
 impedire  la  trasmissione  del morbo. L'interesse comune alla salute
 collettiva  e  l'esigenza  della  preventiva  protezione  dei   terzi
 consentono   in   questo   caso,   e  talvolta  rendono  obbligatori,
 accertamenti sanitari legislativamente previsti, diretti a  stabilire
 se  chi  e'  chiamato  a  svolgere determinate attivita', nelle quali
 sussiste un serio rischio di contagio, sia affetto  da  una  malattia
 trasmissibile   in  occasione  ed  in  ragione  dell'esercizio  delle
 attivita' stesse.
    Salvaguardata  in  ogni  caso  la  dignita'  della  persona,   che
 comprende  anche  il  diritto  alla riservatezza sul proprio stato di
 salute ed al  mantenimento  della  vita  lavorativa  e  di  relazione
 compatibile  con  tale stato, l'art. 32 della Costituzione prevede un
 contemperamento  del  coesistente  diritto  alla  salute  di  ciascun
 individuo; implica inoltre il bilanciamento di tale  diritto  con  il
 dovere  di  tutelare  il  diritto dei terzi che vengono in necessario
 contatto con  la  persona  per  attivita'  che  comportino  un  serio
 rischio,  non  volontariamente  assunto,  di contagio. In tal caso le
 attivita' che, in ragione dello stato di salute  di  chi  le  svolge,
 rischiano  di mettere in pericolo la salute dei terzi, possono essere
 espletate solo da chi si sottoponga agli accertamenti  necessari  per
 escludere  la presenza di quelle malattie infettive o contagiose, che
 siano tali da porre in  pericolo  la  salute  dei  destinatari  delle
 attivita'   stesse.  Non  si  tratta  quindi  di  controlli  sanitari
 indiscriminati,  di  massa  o  per  categorie  di  soggetti,  ma   di
 accertamenti  circoscritti  sia nella determinazione di coloro che vi
 possono essere tenuti, costituendo un onere per  poter  svolgere  una
 determinata  attivita',  sia nel contenuto degli esami. Questi devono
 essere  funzionalmente   collegati   alla   verifica   dell'idoneita'
 all'espletamento  di quelle specifiche attivita' e riservati a chi ad
 esse e', o intende essere, addetto.
    Gli  accertamenti   che,   comprendendo   prelievi   ed   analisi,
 costituiscono  "trattamenti sanitari" nel senso indicato dall'art. 32
 della Costituzione, possono essere legittimamente richiesti  solo  in
 necessitata  correlazione  con  l'esigenza  di tutelare la salute dei
 terzi (o della collettivita' generale). Essi si giustificano, quindi,
 nell'ambito delle misure indispensabili per assicurare questa  tutela
 e  trovano un limite non valicabile nel rispetto della dignita' della
 persona che vi puo' essere sottoposta. In  quest'ambito  il  rispetto
 della   persona   esige  l'efficace  protezione  della  riservatezza,
 necessaria anche per contrastare il rischio  di  emarginazione  nella
 vita lavorativa e di relazione.
    3.  -  In rapporto a questi principi la questione e' fondata, come
 di seguito precisato.
    Le   disposizioni   sottoposte   al   giudizio   di   legittimita'
 costituzionale  sono  contenute  nella  legge n. 135 del 1990, che ha
 inteso  "dare  una  prima   risposta   seria   e   non   frammentaria
 all'eccezionale  situazione  di  emergenza  sociale determinata dalla
 allarmante  diffusione  dell'infezione  da  HIV,  patologia  nuova  e
 gravissima  in  espansione a livello non solo nazionale, ma mondiale"
 (sentenza n. 37 del 1991).
    Le caratteristiche di diffusivita' di tale  malattia  erano  state
 gia'   riconosciute,   ai   fini   degli  interventi  previsti  dalla
 legislazione sanitaria, con il decreto ministeriale 28 novembre 1986,
 che ha inserito la sindrome da immunodeficienza acquisita nell'elenco
 delle malattie diffusive ed infettive, che comportano  l'adozione  di
 provvedimenti sanitari e misure di protezione.
    La  stessa legge n. 135 del 1990 ha previsto, all'art. 7, norme di
 protezione dal contagio professionale nelle  strutture  sanitarie  ed
 assistenziali  pubbliche  e  private,  dettate  poi  con  il  decreto
 ministeriale 28 settembre 1990, che ha stabilito precauzioni  per  il
 personale nei confronti della generalita' delle persone assistite.
    Con  evidente  riferimento  al  principio di doverosa tutela della
 salute dei terzi, il  legislatore,  nel  dettare  una  disciplina  di
 settore,  ha  riconosciuto  l'esistenza di rischi di diffusione della
 malattia  connessi  allo  svolgimento  di  determinate  attivita'  e,
 considerando   tale  pericolo  non  diversamente  fronteggiabile,  ha
 stabilito per il personale appartenente alle  forze  di  polizia  che
 "per  la  verifica  dell'idoneita'  all'espletamento  di  servizi che
 comportano rischi per la sicurezza, l'incolumita'  e  la  salute  dei
 terzi  possono  essere  disposti,  con  il consenso dell'interessato,
 accertamenti dell'assenza di sieropositivita' all'infezione da  HIV";
 ha  poi previsto, senza che possa essere adottato altro provvedimento
 nei confronti dell'interessato, la esclusione di chi abbia  rifiutato
 di  sottoporsi  agli  accertamenti dai servizi che presentano rischio
 per i terzi; servizi la cui determinazione e'  stata  rimessa  ad  un
 successivo  decreto ministeriale (art. 15 del decreto-legge 4 ottobre
 1990, n. 276, convertito in legge, con modificazioni, con la legge 30
 novembre 1990, n. 359).
    Riconosciuta legislativamente l'esistenza di attivita'  e  servizi
 che  comportano rischi per la salute dei terzi, derivanti dall'essere
 gli operatori addetti  portatori  di  una  malattia  diffusiva  quale
 l'AIDS,  ne segue la necessita', a tutela del diritto alla salute, di
 accertare   preventivamente   l'assenza   di   sieropositivita'   per
 verificare  l'idoneita'  all'espletamento  dei servizi che comportano
 questo rischio e che non possono essere  solo  quelli  inerenti  alle
 attivita' degli addetti alle forze di polizia. Lo stesso legislatore,
 nel  settore  della  sanita' e dell'assistenza, ha inteso disporre la
 protezione dal contagio professionale, avendo particolarmente di mira
 il  rischio  che   gli   addetti   possono   correre   nell'esercizio
 dell'attivita'   professionale;  rischio  per  il  quale  operano  in
 prevalenza le misure di protezione previste.  L'ulteriore  necessita'
 che  si  manifesta e' di tutelare la salute dei terzi in ogni settore
 nel quale esista per essi un serio rischio di contagio, trasmissibile
 da chi svolga un'attivita' loro diretta.
    In particolare nell'assistenza e  cura  della  persona,  attivita'
 prese  in  considerazione nel giudizio che ha determinato l'insorgere
 della questione di legittimita' costituzionale, sono necessari,  come
 condizione per espletare mansioni che comportano rischi per la salute
 dei  terzi,  accertamenti  sanitari  dell'assenza di sieropositivita'
 all'infezione da HIV del personale addetto, a tutela del diritto alla
 salute dei destinatari delle prestazioni.  Nella  parte  in  cui  non
 prevede  tale  onere,  l'art. 5, terzo e quinto comma, della legge n.
 135 del 1990 e' in  contrasto  con  l'art.  32,  primo  comma,  della
 Costituzione.
    Cio'   posto,   rimane   superata  la  questione  di  legittimita'
 costituzionale sollevata con  riferimento  all'art.  6  della  stessa
 legge.