ha pronunciato la seguente SENTENZA nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 21 del decreto legge 18 gennaio 1993, n. 8 (Disposizioni urgenti in materia di finanza derivata e di contabilita' pubblica), convertito in legge 19 marzo 1993, n. 68, promossi con le seguenti ordinanze: 1) ordinanza emessa il 9 ottobre 1993 dal Pretore di Napoli - Sezione distaccata di Pozzuoli nel procedimento civile vertente tra il Comune di Procida e Romeo Mario, iscritta al n. 721 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 51, prima serie speciale, dell'anno 1993; 2) ordinanza emessa il 19 maggio 1993 dal Tribunale amministrativo per la Puglia - Sezione di Lecce sul ricorso proposto da Russo Rocco contro il Comune di Gallipoli, iscritta al n. 2 del registro ordinanze 1994 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 6, prima serie speciale, dell'anno 1994; Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; Udito nella camera di consiglio dell'11 maggio 1994 il Giudice relatore Renato Granata; Ritenuto in fatto 1.1. - Nel corso di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo emesso in favore di Romeo Mario ed in danno del Comune di Procida il Pretore di Napoli, sezione distaccata di Pozzuoli - dopo aver verificato che il Comune suddetto, dichiarato in stato di dissesto, non aveva posto in essere alcuna transazione in ordine alla pretesa del Romeo e, pur avendo incluso con apposita deliberazione consiliare tale debito tra quelli fuori bilancio, non lo aveva ancora inserito nella massa passiva della speciale procedura di liquidazione di cui all'art. 21 d.-l. 18 gennaio 1993 n. 8, convertito nella legge 19 marzo 1993 n. 68 - ha sollevato (con ordinanza del 9 ottobre 1993) questione incidentale di legittimita' costituzionale di tale disposizione in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 28, 41 e 113 Cost. Il Pretore rimettente - dopo aver premesso che la singolare procedura disciplinata dall'art. 21 cit. non e' assimilabile affatto ad una procedura concorsuale, perche' difetta delle caratteristiche principali di questa e, per come e' strutturata, non costituisce una adeguata forma di tutela dei creditori - svolge varie censure di illegittimita' costituzionale sotto plurimi profili. 1.2. - Ritiene innanzi tutto violati gli artt. 2, 3, comma 2, e 41 Cost. perche' l'ente locale - pur quando si trovi in uno stato di definitiva impotenza patrimoniale ad adempiere integralmente ed immediatamente le proprie obbligazioni - non puo' mai essere assoggettato a procedure di tipo concorsuale in ragione della sua posizione istituzionale che non gli consente di sottrarsi alle conseguenze del suo inadempimento, frustrando l'interesse dei creditori insoddisfatti. Invece la norma censurata, nel prevedere la procedura conseguente alla deliberazione dello stato di dissesto, di fatto assimila (ingiustificatamente e, per di piu', con una serie di privilegi) la posizione dell'ente a quella di un imprenditore privato debitore. 1.3. - Il pretore rimettente sospetta poi che l'art. 21 cit. violi gli artt. 2, 3, 24 e 113 Cost. nella parte in cui non prevede alcun automatismo di ammissione al passivo ne' l'obbligo, per il Commissario o la Commissione, di inserire il debito nella massa passiva, laddove tale debito sia riconosciuto ex artt. 24 e 25 l. 144/89 ovvero nei casi in cui il debito sia consacrato in un titolo giudiziale ex art. 12- bis l. 80/91. Sarebbe infatti privo di ragionevolezza il deferimento al Commissario della valutazione sull'ammissibilita' di tali debiti alla massa passiva. 1.4. - Osserva poi il Pretore che la norma censurata esclude la capitalizzazione degli interessi e della rivalutazione, per il tempo successivo alla deliberazione del dissesto, non diversamente da quanto si ha nelle procedure concorsuali (art. 55 l. fall.). Mentre in queste, pero', la cristallizzazione della situazione debitoria si giustifica poiche' mira a congelare il debito, nell'interesse degli stessi creditori, ai quali e' cosi' assicurato un trattamento paritario, invece nella procedura di liquidazione in esame tale cristallizzazione e' ingiustificata atteso che la norma censurata non garantisce affatto un sicuro e pieno soddisfacimento dei crediti e neppure la parita' di trattamento tra i creditori. Inoltre la mancata finalizzazione della procedura liquidatoria al soddisfacimento delle ragioni dei creditori e la mancata previsione dell'indisponibilita' del patrimonio (dell'ente dissestato) rende totalmente illegittima la previsione dell'interruzione del decorso degli interessi (sia di quelli convenzionali, che di quelli compensativi e moratori). Il pretore pertanto dubita della legittimita' costituzionale dell'art. 21 cit. nella parte in cui prevede che in deroga ad ogni altra disposizione, dalla data di deliberazione di dissesto i debiti insoluti non producono piu' interessi, rivalutazione monetaria od altro, per violazione degli artt. 2, 3, 24 e 113 Cost. 1.5. - Il pretore ritiene poi illegittimo l'art. 21 cit. anche nella parte in cui non prevede la perdita della capacita' a stare in giudizio dell'ente dissestato, l'interruzione dei procedimenti cognitivi e l'indisponibilita' del patrimonio, o misure alternative di queste, per contrasto con gli artt. 2, 3 e 24 Cost.. Infatti la norma censurata, pur avendo configurato una procedura di liquidazione con alcune di quelle caratteristiche tipiche delle procedure concorsuali, non prevede, irrazionalmente e con evidente disparita' di trattamento, la perdita della capacita' processuale dell'ente locale in dissesto e la necessita' di interrompere il processo; effetti questi finalizzati a realizzare un'unica esecuzione collettiva e ad assicurare la par condicio, rendendo indisponibile il patrimonio del fallito stesso. 1.6. - Infine osserva il pretore rimettente che non essendovi alcun obbligo, per i Commissari, di transigere le vertenze in atto ne' di inserire il debito nella massa passiva del piano di estinzione entro precisi termini, e' possibile che si chiuda la procedura di liquidazione e parallelamente si formi nell'ordinario giudizio di cognizione il titolo giudiziale, i cui effetti sarebbero ormai totalmente vanificati per essere gia' stato approvato il piano di estinzione. L'art. 21 cit. sarebbe quindi illegittimo (per contrasto con gli artt. 2, 3 e 24 Cost.) la' dove, pur prevedendo l'inammissibilita' alla massa passiva di crediti anteriori alla decisione del CO.RE.CO di approvazione del piano di estinzione, nulla prevede riguardo ai procedimenti di cognizione in corso ed all'efficacia dei titoli di formazione successiva (sicche' prospetta il difetto di interesse e la vanificazione del futuro comando dell'Autorita' giudiziaria). 2. E' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato chiedendo che questa Corte dichiari la manifesta infondatezza di tutte le censure mosse dal pretore rimettente. L'Avvocatura contesta la fondatezza delle singole censure cosi' come articolate nell'ordinanza di rimessione. In particolare rileva che la norma censurata ha la funzione di conciliare la natura di ente necessario del Comune con la esigenza di massima tutela delle ragioni del creditore privato. Non vi e' quindi alcun impedimento alla previsione di una procedura di tipo concorsuale per i debiti dell'ente locale. L'Avvocatura osserva poi che il regolamento di esecuzione (d.P.R. 24 agosto 1993 n. 378) disciplina specificamente le modalita', i termini e le procedure per la formazione della massa passiva; dall'altra parte rimangono a tutela del creditore gli ordinari strumenti di impugnativa amministrativa e giurisdizionale avverso i provvedimenti assunti dal commissario. Rileva ancora l'Avvocatura che il congelamento dei debiti insoluti e' pienamente giustificato dalla esigenza di tutelare la par condicio (come nelle procedure concorsuali di diritto comune) e dalla necessita' di non deteriorare la condizione patrimoniale dell'ente gia' in dissesto. Inoltre, per quanto attiene alla gestione della massa attiva (e cioe' del complesso di beni destinati al soddisfacimento dei creditori) il Comune - diversamente da quanto ritiene il pretore rimettente - e' privo di ogni capacita' d'agire, che invece conserva in ordine all'espletamento delle sue funzioni di ente necessario. Ritiene infine l'Avvocatura che anche l'ultimo profilo delle censure mosse dal pretore rimettente sia infondato perche' il creditore, che vanti un titolo esecutivo formatosi successivamente al piano di estinzione e che quindi non sia stato inserito nella massa passiva, puo' sempre farlo valere nei confronti del Comune tornato in bonis. 3. - Una analoga censura di costituzionalita' e' stata sollevata dal Tribunale amministrativo regionale per la Puglia con ordinanza del 19 maggio 1993 nel corso di un giudizio di ottemperanza per l'esecuzione di una sentenza del tribunale di Lecce di condanna del comune di Gallipoli al pagamento, in favore di Russo Rocco, della complessiva somma di L. 82.514.051, da rivalutarsi secondo gli indici Istat dalla domanda al soddisfo, oltre agli interessi legali. Il T.A.R. rimettente - dopo aver premesso che il giudizio di ottemperanza rientra in un piu' ampio concetto di esecuzione processuale - censura l'art. 21 cit. con riferimento alla limitazione temporale prevista per il computo degli accessori del credito (ossia la sua c.d. cristallizzazione). Richiamando la disciplina generale degli interessi (quale prevista dagli artt. 1282 e 1224 c.c. e 429, comma 3, c.p.c. per i crediti di lavoro), il T.A.R. rimettente ritiene che la normativa censurata concreta, rispetto ai creditori di altri soggetti sia privati che pubblici, un trattamento deteriore che alla luce dei principi costituzionali non pare giustificato. Ne' la natura pubblica del soggetto passivo, ne' lo stato di dissesto possono di per se' giustificare la derogatoria e restrittiva disciplina imposta agli accessori del credito dall'art. 21; norma questa che, bloccando interessi e rivalutazione, consente al mero decorso del tempo di incidere negativamente sulla prestazione dovuta ai creditori dell'ente dissestato, sottoponendoli a un sacrificio patrimoniale che vede esenti sia i creditori degli enti locali non in dissesto sia i creditori in genere degli altri soggetti pubblici e privati. Ne' sarebbe possibile imporre questo sacrificio patrimoniale ai creditori dell'ente locale senza violare il canone costituzionale che, alla luce dei principi di solidarieta' (art. 2 della Cost.), di capacita' contributiva (art. 53) e di uguaglianza sostanziale (art. 3 Cost.), vuole che le prestazioni patrimoniali siano imposte ai singoli con criteri che consentano un equo concorso alla spesa pubblica. 4. Anche in tale giudizio e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata. Considerato in diritto 1. - Le due ordinanze dei giudici remittenti investono, sotto plurimi profili, la medesima norma (art. 21 d.-l. 18 gennaio 1993 n. 8, Disposizioni urgenti in materia di finanza derivata e di contabilita' pubblica, convertito nella legge 19 marzo 1993 n. 68) sicche' e' possibile la riunione dei giudizi per connessione oggettiva. 2. - Va innanzi tutto presa in esame la prima, piu' radicale, censura (espressa dal solo pretore di Napoli, sez. distaccata di Pozzuoli) che - in riferimento agli artt. 2, 3, comma 2, e 41 Cost. - investe l'art. 21 cit. nella parte in cui prevede una forma di procedura esecutiva collettiva (di tipo concorsuale) di un ente locale (e segnatamente di un Comune) che versi in stato di dissesto, procedura che in radice non e' neppure ipotizzabile per un ente pubblico. La questione e' manifestamente infondata per essere gia' stata ritenuta non fondata da questa Corte con la sentenza n. 155 del 1994 resa a seguito di ordinanze dello stesso pretore rimettente di analogo contenuto in parte qua, rispetto alle quali non e' dato ravvisare alcun argomento o prospettazione nuovi o diversi. 3. - Puo' poi esaminarsi la censura che e' comune alle due ordinanze di rimessione, censura che - in riferimento agli artt. 2, 3, 23, 24, 53 e 113 Cost. - investe l'art. 21 cit. nella parte in cui - nel contemplare la suddetta procedura di liquidazione - prevede che, in deroga ad ogni altra disposizione, dalla data di deliberazione di dissesto i debiti insoluti non producono piu' interessi, rivalutazioni monetarie od altro; norma questa che in particolare il T.A.R. rimettente ritiene, con motivazione non implausibile di dover applicare in ragione della natura di procedura esecutiva del giudizio di ottemperanza. La questione non e' fondata. Il blocco di rivalutazione ed interessi in pendenza della procedura concorsuale trova giustificazione nello specifico delle procedure concorsuali (art. 55 l. fall.), in quanto finalizzato alla realizzazione della par condicio ed all'impedimento di un ulteriore deterioramento della condizione patrimoniale del debitore. E trova inoltre fondamento nella considerazione che nel tempo successivo alla apertura della procedura concorsuale non e' configurabile inadempimento ne' a carico del debitore, ne' tanto meno a carico degli organi della procedura, questa ponendosi proprio come strumento sostitutivo dell'adempimento; principio questo ben fermo nella giurisprudenza della Corte di cassazione e non messo in discussione dal riconoscimento ad opera di questa Corte della rivalutazione pur dopo l'apertura della procedura concorsuale in favore dei crediti di lavoro, attesa la specialita' della ratio di tale riconoscimento dovuto alla particolare tutela accordata dalla Costituzione ai crediti di siffatta natura (sent. n. 300 del 1988, n. 204 del 1989, n. 408 del 1989, n. 567 del 1989). Quanto poi al profilo relativo alla ritenuta definitivita' della c.d. cristallizzazione del credito - la quale concreterebbe una ingiustificata disparita' di trattamento rispetto alla procedura fallimentare per essere in quest'ultima la cristallizzazione stessa soltanto temporanea posto che alla chiusura della procedura concorsuale i creditori riacquistano il libero esercizio della loro azione verso il debitore ( ex art. 120 l. fall.) - deve escludersi che sussista tale denunziata violazione del principio di eguaglianza. La corretta lettura della norma censurata, compiuta tenendo presente il quadro normativo complessivo risultante anche dalle disposizioni regolamentari dettate dal d.P.R. n. 378 del 1993, conduce infatti a ritenere errata l'opinione del giudice rimettente circa la pretesa definitivita' della lamentata cristallizzazione dei crediti. Infatti l'art. 6, comma 5, lett. g), del citato regolamento, nel darsi carico di precisare che sono esclusi dalla massa passiva "interessi moratori o corrispettivi e rivalutazioni monetarie maturate dopo la data della deliberazione del dissesto, interessi moratori o corrispettivi calcolati su altri interessi" lascia chiaramente intendere che il legislatore postula il maturare sia della rivalutazione che degli interessi anche successivamente alla apertura della procedura, limitandosi ad escluderne la opponibilita' alla procedura stessa e l'ammissibilita' alla massa passiva, ma lasciando integra la facolta' per il creditore di azionare tali diritti nei confronti dell'ente pubblico una volta tornato in bonis. 4. - Possono infine esaminarsi le ulteriori censure mosse dal solo pretore di Napoli, sez. distaccata di Pozzuoli. 4.1. - Il giudice rimettente dubita della legittimita' costituzionale - in riferimento agli artt. 2, 3, 24 e 113 Cost. - dell'art. 21 cit. nella parte in cui - nel contemplare una forma di procedura esecutiva collettiva (di tipo concorsuale) per gli enti locali in stato di dissesto - non prevede alcun automatismo di ammissione al passivo ne' l'obbligo, per il Commissario o la Commissione, di inserire il debito nella massa passiva, laddove tale debito sia riconosciuto ex artt. 24 e 25 legge n. 144 del 1989, nonche' ex 12- bis legge n. 81 del 1990. La questione e' inammissibile per difetto di rilevanza nel giudizio a quo che e' di opposizione a decreto ingiuntivo, ossia di cognizione e di condanna. Come gia' rilevato da questa Corte (sent. n. 155 del 1994) con riferimento al giudizio di esecuzione nel corso del quale era stata sollevata analoga doglianza circa la mancata previsione di uno specifico strumento di tutela del creditore procedente per ottenere che il suo credito fosse inserito nella massa passiva, puo' anche nel caso in esame ripetersi che la rilevanza dell'ipotizzato profilo di illegittimita' costituzionale potra' soltanto, ed eventualmente, porsi "una volta non ammesso il credito, in un successivo giudizio volto a far valere l'illegittimita' della delibera dell'organo straordinario della liquidazione". 4.2. - Il pretore rimettente poi dubita della legittimita' della medesima disposizione - in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. - nella parte in cui non prevede la perdita della capacita' a stare in giudizio dell'ente dissestato, l'interruzione dei procedimenti cognitivi e l'indisponibilita' del patrimonio, o misure alternative di queste. Relativamente a quest'ultimo profilo (indisponibilita' del patrimonio in costanza della procedura concorsuale) va dichiarata la inammissibilita' della questione che puo' rilevare nel corso della procedura stessa e dell'eventuale contenzioso ad essa relativo, ma non anche in un giudizio di cognizione qual e' quello pendente innanzi al giudice rimettente. Quanto agli altri due profili, in primo luogo e' da rilevare che il debitore e' un Comune, ossia ente previsto in Costituzione, "espressione di autonomia locale che costituisce un valore costituzionalmente tutelato" (sent. n. 155 del 1994), che come tale non puo' essere privato della capacita' processuale, tanto piu' ove si consideri (sent. citata) che, in ragione della ampiezza dei poteri conferiti all'organo della procedura, "pur non essendoci una vera e propria perdita di capacita' del debitore assoggettato alla liquidazione come nelle procedure concorsuali, c'e' pero' la previsione di un (eccezionale) potere di agire del commissario che realizza in concreto un effetto similare". Inoltre, la situazione del Comune dissestato non e' omologa a quella dell'imprenditore privato essendo quest'ultimo per sua natura guidato dalla considerazione e dalla cura del proprio interesse personale, laddove il primo, per vocazione istituzionale, si ispira alla cura degli interessi pubblici dei quali e' portatore come ente esponenziale della collettivita' di base e dei quali deve essere fedele interprete. Cosi' che e' in principio da escludere l'assunzione, da parte dei suoi organi istituzionali, di una posizione conflittuale con quella dell'organo della procedura, il quale peraltro - come gia' rilevato - ha comunque la facolta' di transigere anche in ordine a situazioni soggettive che costituiscano oggetto di giudizi in corso. La questione pertanto, in relazione a questi ultimi due profili, e' infondata. 4.4. - Da ultimo il pretore rimettente censura l'art. 21 cit. - in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost. - nella parte in cui, pur prevedendo che dopo l'approvazione del piano di estinzione non possano essere ammessi alla massa passiva i crediti anteriori alla decisione del CO.RE.CO. (di approvazione del rendiconto della gestione), nulla prescrive con riguardo ai procedimenti di cognizione in corso e all'efficacia dei titoli di formazione successiva. La questione e' inammissibile perche' ipotetica ed eventuale in vista di un evento futuro ed incerto, quale e' quello della formazione del titolo esecutivo. Ne' la sola rappresentazione della eventualita' che il titolo esecutivo, una volta formato, potrebbe non beneficiare dell'ammissibilita' al passivo della procedura di liquidazione fa venire meno l'interesse del creditore a proseguire nel giudizio in corso; infatti l'interesse ad agire in realta' persiste fino al momento in cui matura la fattispecie impeditiva della opponibilita' alla procedura del titolo giudiziale perseguito, onde la proposizione della questione - alla stregua della stessa sua impostazione nei termini di fatto prospettati nella ordinanza - risulta comunque anticipata rispetto al momento dell'eventuale insorgere della sua reale rilevanza.