ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale dell'art. 36, secondo
 comma, della legge 10 aprile 1951, n. 287 (Riordinamento dei  giudizi
 di  assise),  promosso  con  ordinanza  emessa  il 13 giugno 1996 dal
 pretore di Vallo della Lucaniasul ricorso proposto da Umberto  Lavini
 contro  Ferrovie  dello Stato S.p.a. ed altro, iscritta al n. 941 del
 registro ordinanze 1996 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica n. 40, prima serie speciale dell'anno 1996;
   Visto  l'atto  di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito nella camera di consiglio  del  21  maggio  1997  il  giudice
 relatore Piero Alberto Capotosti;
   Ritenuto  che  il  pretore  di  Vallo della Lucania, in funzione di
 giudice del  lavoro,  nel  giudizio  instaurato  da  Umberto  Lavini,
 dipendente  delle Ferrovie dello Stato S.p.a., nei confronti di detta
 societa' ed integrato, a seguito di chiamata in causa  iussu  iudicis
 nei  confronti del Ministero di grazia e giustizia, con ordinanza del
 13-26  giugno  1996,   ha   sollevato   questione   di   legittimita'
 costituzionale  dell'art.    36, secondo comma, della legge 10 aprile
 1951 n. 287, nella parte in cui  stabilisce  che  a  coloro  i  quali
 espletano  la  funzione di giudice popolare, e non hanno diritto alla
 retribuzione per i giorni di assenza dal lavoro, spetta un'indennita'
 quantificata in un importo fisso, in riferimento agli artt. 3,  primo
 comma, 36, primo comma, e 51, primo comma, della Costituzione;
     che  il  ricorrente  nel  procedimento civile a quo ha chiesto la
 condanna  della  societa'  convenuta  al  pagamento  degli   stipendi
 relativi ai mesi di luglio, agosto e settembre 1993 - periodo durante
 il quale si era assentato dal lavoro, perche' aveva assunto l'ufficio
 pubblico  di  giudice  popolare presso la Corte d'assise di Salerno -
 ovvero l'accertamento del diritto nei confronti del citato  Ministero
 alla  liquidazione  dell'indennita'  nella misura corrispondente alla
 retribuzione non percepita;
     che, ad avviso del giudice rimettente, la norma in esame, si pone
 in contrasto con gli artt. 3, primo comma, e 36, primo  comma,  della
 Costituzione,   in   quanto,   non   commisurando  l'indennita'  alla
 retribuzione di colui  che  e'  chiamato  ad  espletare  la  funzione
 giudiziaria,  viola  il  principio  di  eguaglianza  ed  il principio
 secondo cui la retribuzione deve  essere  sufficiente  ad  assicurare
 l'esistenza  libera  e  dignitosa  del  lavoratore,  influendo  cosi'
 negativamente sul soddisfacimento delle esigenze primarie di vita sue
 e della sua famiglia;
     che la modalita' di quantificazione dell'indennita',  secondo  il
 giudice   a   quo,   viola  inoltre  l'art.  3,  primo  comma,  della
 Costituzione,  perche'  parifica  irragionevolmente  lavoratori   che
 godono  di  retribuzioni  diverse  e lede, altresi', l'art. 51, primo
 comma,  della  Costituzione,  in  quanto  determina   condizioni   di
 diseguaglianza   economica   che   ostacolano  l'accesso  all'ufficio
 pubblico da parte di quelli di essi che  non  conservano  il  diritto
 alla retribuzione e potrebbero essere indotti a rinunziarvi;
     che le parti non si sono costituite nel giudizio innanzi a questa
 Corte;
     che  il  Presidente  del  Consiglio dei Ministri, intervenuto nel
 giudizio con il patrocinio dell'Avvocatura generale dello  Stato,  ha
 concluso   per  l'inammissibilita',  o  comunque,  per  la  manifesta
 infondatezza della questione;
   Considerato che l'ordinanza di rimessione difetta di una puntuale e
 chiara indicazione degli elementi di fatto imprescindibili al fine di
 accertare ed affermare la rilevanza della questione  di  legittimita'
 costituzionale sollevata;
     che,  in  particolare,  l'ordinanza  non  precisa  i  criteri  di
 liquidazione dell'indennita' con specifico riferimento  alle  diverse
 voci stabilite dalla norma in esame;
     che,  inoltre, l'ordinanza non esplicita se nella sessione per la
 quale il ricorrente  e'  stato  chiamato  ad  espletare  la  funzione
 giurisdizionale  siano  stati o meno programmati i giorni d'udienza e
 se, comunque, sussisteva l'eventuale possibilita' della  convocazione
 anche per i giorni nei quali non erano state fissate udienze;
     che  il  provvedimento neppure specifica se il predetto sia stato
 informato di tali circostanze e, quindi,  abbia  avuto  contezza  dei
 giorni in cui, eventualmente, non doveva garantire la reperibilita' e
 la disponibilita';
     che,   proprio   in   relazione   alla   reperibilita'   ed  alla
 disponibilita', l'ordinanza neppure chiarisce quali siano le mansioni
 del ricorrente e le modalita' di  svolgimento  del  suo  rapporto  di
 lavoro;
     che  siffatte  indicazioni  sono  indispensabili per accertare se
 l'assenza dal lavoro per l'intera durata  della  sessione  sia  stata
 indefettibilmente  determinata  dalla  nomina  all'ufficio  e  se  la
 conseguente impossibilita' di espletare  la  prestazione  lavorativa,
 con connessa perdita del diritto alla retribuzione, sia riconducibile
 a detta nomina;
     che  il  complesso  di  tali circostanze condiziona, altresi', il
 giudizio di rilevanza, in quanto la disposizione censurata stabilisce
 l'indennita' liquidabile per i giorni di  effettivo  esercizio  delle
 funzioni,  mentre  l'indennita'  dovuta  per quelli in cui il giudice
 popolare  e'  tenuto  esclusivamente  a  garantire  disponibilita'  e
 reperibilita'  e' diversamente disciplinata nel quantum dall'art. 36,
 sesto comma, della legge n. 287 del 1951, non impugnato;
     che, pertanto, e' ulteriormente  imprescindibile  distinguere  le
 due  fattispecie,  allo  scopo di accertare preliminarmente la stessa
 effettiva esistenza di un decremento  patrimoniale,  nonche'  la  sua
 eventuale  riconducibilita'  al  criterio  di  computo previsto dalla
 prima ovvero dalla seconda norma;
     che la questione, in carenza dell'indicazione  ed  esplicitazione
 dei   suindicati  elementi,  va,  dunque,  dichiarata  manifestamente
 inammissibile per difetto di motivazione sulla rilevanza.
   Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11  marzo  1953,  n.
 87  e  9  delle  norme  integrative  per i giudizi davanti alla Corte
 costituzionale.