ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art.  145  -  e  145,
 comma  6  -  del  decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385 (Testo
 unico delle leggi in materia bancaria  e  creditizia),  promossi  con
 ordinanze  emesse,  l'una, il 28 giugno 1996 della Corte d'Appello di
 Roma sul  reclamo  proposto  da  Alberto  Predieri  contro  la  Banca
 d'Italia  ed  altro  iscritta  al n. 91 del registro ordinanze 1997 e
 pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della  Repubblica  n.  10,  prima
 serie  speciale,  dell'anno  1997,  l'altra, il 4 febbraio 1997 della
 Corte di Cassazione nel  procedimento  civile  vertente  tra  Filippo
 Laudani e la Banca d'Italia iscritta al n. 643 del registro ordinanze
 1997  e  pubblicata  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 41,
 prima serie speciale, dell'anno 1997.
   Visti gli atti di costituzione  di  Alberto  Predieri,  di  Filippo
 Laudani  e  della  Banca  d'Italia,  nonche' l'atto di intervento del
 Presidente del Consiglio dei Ministri;
   Udito nell'udienza pubblica del 10 marzo 1998 il  giudice  relatore
 Cesare Mirabelli;
   Uditi  gli  avvocati Fabio Lorenzoni per Alberto Predieri, Niccolo'
 Salanitro per Filippo Laudani, Sergio Luciani, Pier Luigi  Lorenti  e
 Vittorio  Donato  Gesmundo  per  la Banca d'Italia e l'avvocato dello
 Stato Ivo M. Braguglia per il Presidente del Consiglio dei Ministri.
                           Ritenuto in fatto
   1.1. - Nel corso di un  giudizio  promosso  da  un  componente  del
 consiglio di amministrazione della Cassa di risparmio di Firenze, che
 aveva  proposto reclamo contro il decreto del Ministro del tesoro con
 il  quale  gli  era  stata  inflitta  una  sanzione  pecuniaria   per
 inosservanza dell'obbligo di inviare alla Banca d'Italia segnalazioni
 richieste  (art. 20 del decreto legislativo 14 dicembre 1992, n. 481,
 ora art.  51 del decreto legislativo 1 settembre 1993, n.  385),  con
 ordinanza  emessa  il  28 giugno 1996 e pervenuta il 17 febbraio 1997
 (reg. ord.  n. 91 del 1997) la Corte d'appello di Roma ha  sollevato,
 in   riferimento   all'art.   76  della  Costituzione,  questione  di
 legittimita' costituzionale dell'art. 145 del decreto legislativo  n.
 385  del  1993  (Testo  unico  delle  leggi  in  materia  bancaria  e
 creditizia), che disciplina la  procedura  per  l'applicazione  delle
 sanzioni  amministrative  previste  dallo  stesso  testo  unico  ed i
 relativi  reclami.    La  Corte  d'appello,  accogliendo  l'eccezione
 proposta  dal  ricorrente,  ritiene  che  la  disposizione denunciata
 innovi la disciplina delle sanzioni per  illeciti  di  amministratori
 delle   banche,  eccedendo  dalla  delega  concessa  al  Governo.  In
 particolare sarebbero stati inclusi tra gli illeciti comportamenti in
 precedenza non compresi tra quelli sanzionati (art. 144, commi 3 e 4,
 dello stesso decreto legislativo n.  385  del  1993);  sarebbe  stato
 innalzato  l'importo  delle sanzioni; sarebbe stato ampliato l'ambito
 dei soggetti destinatari delle  sanzioni,  seguendo  un  criterio  di
 imputazione  della responsabilita' basato sulla funzione svolta e non
 sulla  qualifica  ricoperta;  sarebbe  stato  eliminato,  nella  fase
 amministrativa   della   procedura  sanzionatoria,  l'intervento  del
 Comitato interministeriale per il credito e il risparmio (CICR). Cio'
 mentre la delega conferita al Governo con la legge comunitaria per il
 1991 (legge 19 febbraio  1992,  n.  142),  destinata  ad  attuare  la
 direttiva  del  Consiglio  89/646/CEE, non farebbe alcun riferimento,
 neanche indiretto, alla materia delle sanzioni,  che  sarebbe  stata,
 dunque,  disciplinata  al di fuori della delega stessa.  La soluzione
 del dubbio di legittimita' costituzionale  e'  considerata  rilevante
 nel  giudizio  principale,  perche'  se  le  norme denunciate fossero
 illegittime non potrebbe essere applicata  alcuna  sanzione,  essendo
 stata  espressamente  abrogata  la  precedente  disciplina di analogo
 contenuto (art. 161 del decreto legislativo n. 385 del 1993).
    1.2. - Il ricorrente nel giudizio principale si e' costituito  per
 sostenere l'illegittimita' costituzionale delle norme denunciate.
    A  suo  avviso,  il  testo unico delle leggi in materia bancaria e
 creditizia, emanato con il  decreto  legislativo  n.  385  del  1993,
 eccederebbe,  in  materia di sanzioni, i limiti della delega concessa
 al Governo.  Difatti l'art. 25 della legge n. 142 del 1992  conteneva
 due  distinte  deleghe:  la  prima, destinata a recepire la direttiva
 89/646/CEE, e' stata attuata con il decreto legislativo  n.  481  del
 1992;  la seconda, che prevedeva l'emanazione di un testo unico delle
 disposizioni adottate con la prima delega da coordinare con le  altre
 disposizioni  vigenti  nella  stessa materia, e' stata attuata con il
 decreto  legislativo  n.  385  del  1993.   Questa   seconda   delega
 consentirebbe  la modifica, a fini di coordinamento, delle sole norme
 contrastanti con la  direttiva  comunitaria  recepita  con  la  prima
 delega.  Il Governo avrebbe, invece, emanato una nuova disciplina che
 ha complessivamente riordinato l'intero settore, modificando anche il
 decreto legislativo n. 481 del 1992, di  attuazione  della  direttiva
 comunitaria  89/646/CEE,  che  invece  doveva  costituire la base del
 nuovo ordinamento; decreto legislativo che, a sua volta,  in  materia
 di  sanzioni non aveva rispettato i principi della delega. La materia
 delle   sanzioni,  difatti,  non  rientrerebbe  tra  quelle  previste
 dall'art. 25, comma 1, della legge n. 142 del 1992, ma  anzi  sarebbe
 stata   espressamente   esclusa  dalla  delega,  giacche'  la  stessa
 disposizione stabilisce,  alla  lettera  d),  che  restano  ferme  le
 disposizioni  tributarie  vigenti  per  l'accertamento  delle imposte
 dovute dai residenti  ed  ogni  altra  disposizione  sanzionatoria  e
 penale  concernente  l'attivita'  creditizia e finanziaria.  La parte
 privata ritiene che il legislatore abbia inteso in tal modo escludere
 del tutto dalla delega legislativa la materia sanzionatoria e penale,
 anche se l'art. 17 della direttiva 89/646/CEE, attuata con i  decreti
 legislativi  gia'  richiamati,  prevede  che  le autorita' competenti
 possono irrogare sanzioni nei confronti degli enti creditizi,  o  dei
 dirigenti responsabili, che si sono resi colpevoli di infrazioni alle
 disposizioni  legislative,  regolamentari o amministrative in materia
 di controllo o di esercizio dell'attivita' creditizia.    Inoltre  la
 disciplina  introdotta  con  la  disposizione  denunciata  sarebbe in
 contrasto con il principio di responsabilita' personale, che richiede
 l'elemento soggettivo del dolo o della colpa anche per l'applicazione
 di sanzioni amministrative, oltre che per quelle penali,  cosi'  come
 stabilisce in via generale l'art. 3 della legge 24 novembre del 1981,
 n.  689, che, nel disciplinare l'elemento soggettivo nelle violazioni
 amministrative,  riproduce  il  contenuto  dell'art.  42  del  codice
 penale.  Il  principio  di  responsabilita'  personale era rispettato
 dalla precedente legge bancaria, che  attribuiva  la  responsabilita'
 degli  illeciti  ai  soggetti  alla cui azione od omissione dovessero
 imputarsi le infrazioni (art. 87 del  regio  decreto-legge  12  marzo
 1936,  n.  375).  La nuova disciplina avrebbe, invece, introdotto una
 responsabilita' oggettiva, connessa alla funzione svolta e senza  che
 debbano  essere  accertate  la  responsabilita' personale e la colpa,
 secondo quanto prevede  un  principio  fondamentale  dell'ordinamento
 (art. 27 Cost.).
    1.3.  -  Si  e'  costituita  la Banca d'Italia, parte del giudizio
 principale, chiedendo che la questione di legittimita' costituzionale
 sia   dichiarata   inammissibile    o    manifestamente    infondata.
 L'inammissibilita'  deriverebbe  sia  dalla erronea indicazione della
 disposizione che ha attribuito al Governo la  delega  ad  emanare  il
 testo  unico,  sia  dalla  genericita'  della questione, che e' stata
 prospettata richiamando una pluralita'  di  norme  tra  di  loro  non
 omogenee,  alcune  delle  quali  addirittura estranee al giudizio che
 avrebbe dovuto emettere il giudice che ha sollevato la  questione  di
 legittimita' costituzionale. Questa sarebbe, comunque, manifestamente
 infondata,   perche'  l'intervento  del  legislatore  delegato  nella
 disciplina delle sanzioni amministrative per  gli  amministratori  di
 banche  italiane troverebbe la sua base tanto nella seconda direttiva
 comunitaria di coordinamento in materia bancaria (89/646/CEE)  quanto
 nella legge di delega (n. 142 del 1992).
    1.4. - E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
 Ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
 Stato, chiedendo che la questione di legittimita' costituzionale  sia
 dichiarata inammissibile o, in subordine, infondata.
    L'inammissibilita'   deriverebbe   dalla  carenza  di  motivazione
 dell'ordinanza di remissione, che denuncia  l'art.  145  del  decreto
 legislativo  n.  385 del 1993, comprendente una pluralita' eterogenea
 di disposizioni che disciplinano  l'intera  procedura  sanzionatoria,
 mentre   la   stessa   ordinanza  richiama  quasi  esclusivamente  la
 disciplina dettata  dall'art.    144,  che  ha  contenuti  del  tutto
 diversi.  Nel merito non sussisterebbe il vizio di eccesso di delega,
 giacche'  la materia delle sanzioni sarebbe indicata sia dall'art. 17
 della direttiva comunitaria da attuare (89/646/CEE) sia  dalla  legge
 di delega (n. 142 del 1992), che ha compreso tra i criteri e principi
 direttivi  generali  della  delega  stessa  anche  la  previsione  di
 sanzioni  penali  e  amministrative,  se  necessario  per  assicurare
 l'osservanza  delle disposizioni contenute nei decreti legislativi di
 attuazione delle direttive comunitarie, ed ha consentito modifiche ed
 integrazioni alla disciplina vigente, al fine di  evitare  disarmonie
 nei  settori interessati dalla normativa da attuare (art. 2, comma 1,
 rispettivamente lettere c) e d).  Il decreto legislativo n.  481  del
 1992  si  sarebbe  attenuto  ai  principi  e  criteri  della  delega,
 riproducendo  le  previsioni  della  legge  bancaria  in  materia  di
 illeciti  amministrativi  (artt.  87 e ss. del regio decreto-legge n.
 375 del 1936), con talune integrazioni o  modifiche  rese  necessarie
 dal   recepimento  di  disposizioni  della  direttiva  comunitaria  o
 determinate  dall'esigenza  di  evitare  disarmonie  nella   materia.
 Difatti  sarebbe  rimasto  sostanzialmente  inalterato l'impianto del
 procedimento  per  l'applicazione  delle  sanzioni   previsto   dalla
 precedente legge bancaria (art. 90 del regio decreto-legge n. 375 del
 1936), come pure sarebbero state evitate disarmonie con la disciplina
 delle   sanzioni   introdotte   da   recenti   leggi  in  materia  di
 intermediazione mobiliare (legge 2 gennaio 1991, n. 1) e  di  credito
 al  consumo  (art.  23  della  legge n. 142 del 1992). E' stato anche
 soppresso  l'intervento,  nel  procedimento  di  applicazione   delle
 sanzioni,   del  Comitato  interministeriale  per  il  credito  e  il
 risparmio, giacche'  a  questo  organismo  e'  stata  attribuita  una
 funzione  di  alta  vigilanza (art. 2 del decreto legislativo n.  385
 del 1993), che comporta l'emanazione  di  disposizioni  di  carattere
 generale e non l'adozione di specifici provvedimenti particolari.  In
 generale il potere di coordinamento attribuito con delega legislativa
 implicherebbe,  secondo la giurisprudenza costituzionale (sentenze n.
 16 del 1957, n. 28 del 1961 e n. 135 del 1967),  la  possibilita'  di
 colmare  lacune  e  disarmonie  esistenti  nel  settore cui la delega
 stessa si riferisce. Nel  caso  in  esame  il  coordinamento  avrebbe
 dovuto  avere  come riferimento il decreto legislativo di recepimento
 della seconda direttiva comunitaria in materia bancaria (n.  481  del
 1992);   ma   l'esigenza   di  coordinamento  avrebbe  consentito  di
 modificare anche le norme di  quest'ultimo  decreto  legislativo.  Il
 testo  unico  cosi'  emanato  (decreto  legislativo  n. 385 del 1993)
 avrebbe seguito  questa  impostazione,  coordinando  le  disposizioni
 vigenti nella materia, comprese quelle del decreto legislativo n. 481
 del  1992,  e conservandone l'impianto sanzionatorio, che nelle linee
 essenziali rispecchia la legge bancaria del 1936-38.   Le  norme  del
 testo  unico  in  materia  bancaria  e creditizia, che non erano gia'
 contenute nel decreto legislativo n. 481  del  1992,  richiamerebbero
 disposizioni  della  disciplina  sulla  trasparenza  delle condizioni
 contrattuali e del credito  al  consumo.  Per  quanto  specificamente
 riguarda  l'art.  145  del  testo unico, sarebbe improprio parlare di
 innovazioni rispetto alla disciplina anteriore: i commi 1, 2, 4, 5, 6
 e 7 riproducono pressoche' testualmente i commi da 1  a  6  dell'art.
 34 del decreto legislativo n. 481 del 1992; i commi 5 e 6 riproducono
 le previsioni dell'art. 90, quarto, quinto e sesto comma, della legge
 bancaria  del  1936-38;  il  comma 3 disciplina una materia del tutto
 estranea all'oggetto del giudizio principale.
    1.5. - Il ricorrente nel giudizio  principale  ha  depositato,  in
 prossimita'  dell'udienza, una memoria per contestare le eccezioni di
 inammissibilita' e  per  ribadire  gli  argomenti  a  sostegno  della
 fondatezza  della  questione.    L'ordinanza  di  rimessione  sarebbe
 adeguatamente  motivata  e  dovrebbe  essere  letta  in   conformita'
 all'eccezione  di  legittimita'  costituzionale proposta dalla parte,
 che l'ordinanza stessa ha accolto. Si dovrebbe, quindi, ritenere  che
 il  controllo  di  legittimita'  costituzionale  comprenda, oltre che
 l'art. 145, menzionato  nel  dispositivo  dell'ordinanza,  anche  gli
 artt. 51 e 144 del decreto legislativo n. 385 del 1993.  Ne' potrebbe
 essere    sostenuta   la   inammissibilita'   della   questione   per
 eterogeneita'  delle  norme   denunciate,   giacche'   la   questione
 investirebbe  l'intero  assetto  della procedura di irrogazione delle
 sanzioni, essendo stata  dedotta  l'assoluta  mancanza  della  delega
 legislativa.
    Nel  merito  la  parte privata ritiene che l'eccesso di delega non
 sia escluso considerando che i criteri e principi direttivi  generali
 consentono  al legislatore delegato di stabilire le sanzioni penali e
 amministrative   necessarie   per   assicurare   l'osservanza   della
 disciplina  da  adottare (art. 2, comma 1, lettera d), della legge n.
 142 del 1992). Difatti la stessa disposizione fa salvi  i  criteri  e
 principi   direttivi  dettati  negli  articoli  seguenti  in  materia
 bancaria e creditizia, i quali  escluderebbero  proprio  le  sanzioni
 (art.  25  della  legge n.   142 del 1992). In ogni caso le modifiche
 apportate dal legislatore delegato non  risponderebbero  all'esigenza
 di  coordinamento,  posta  a base della delega, che doveva riguardare
 l'armonizzazione  del  decreto  legislativo  n.  481  del  1992   (di
 recepimento  della  direttiva  comunitaria  89/646/CEE),  a sua volta
 viziato  nella  parte  relativa  alle  sanzioni  che  la  delega  non
 prevedeva,  con  le  altre  disposizioni  vigenti.   La parte privata
 ribadisce  che  le  nuove   norme   introdurrebbero   un'ipotesi   di
 responsabilita'  oggettiva,  connessa esclusivamente alla titolarita'
 di  determinate  funzioni,   senza   che   sia   attribuito   rilievo
 all'elemento  soggettivo, del dolo o della colpa. In tal modo sarebbe
 violato il  principio  di  responsabilita'  personale  per  gli  atti
 illeciti.
    1.6.  -  Anche  la  Banca  d'Italia  ha depositato, in prossimita'
 dell'udienza, una  memoria  per  illustrare  le  ragioni  a  sostegno
 dell'inammissibilita'   o  dell'infondatezza  della  questione.    La
 direttiva  comunitaria   89/646/CEE,   inserita   nel   processo   di
 armonizzazione  delle  norme  dei  paesi  comunitari, imporrebbe alle
 legislazioni nazionali, come ogni altra direttiva  di  coordinamento,
 di  uniformarsi a principi comuni, perche' le banche di ciascun paese
 dell'Unione europea possano svolgere la propria attivita' negli altri
 paesi in base all'autorizzazione rilasciata in quello  di  origine  e
 sotto la vigilanza delle autorita' del medesimo.  La legge n. 142 del
 1992  avrebbe  attribuito  al  Governo  la delega ad emanare le norme
 occorrenti per  dare  attuazione  a  tale  direttiva,  indicando  sia
 criteri  e  principi  generali  comuni  per  l'attuazione di tutte le
 direttive comprese nella legge comunitaria per il 1991 (art. 2),  sia
 criteri   e  principi  specifici  per  l'attuazione  della  direttiva
 89/646/CEE  (art.  25,  comma  1).  Tra  i  primi  l'introduzione  di
 modificazioni  ed  integrazioni occorrenti per evitare disarmonie nei
 singoli settori interessati dalla direttiva da attuare; la previsione
 di sanzioni penali o amministrative per assicurare l'osservanza delle
 disposizioni contenute nei decreti legislativi; la piena  conformita'
 della   disciplina  delegata  alla  direttiva,  tenendo  conto  delle
 modificazioni nel frattempo intervenute (art. 2, lettere c) d) ed f).
 L'art. 25 della legge n.  142  del  1992  ha  inoltre  attribuito  al
 Governo  la  delega  ad  emanare  un  testo  unico delle disposizioni
 adottate per recepire la direttiva comunitaria,  "coordinato  con  le
 altre  disposizioni  vigenti  nella  stessa  materia  apportandovi le
 modificazioni necessarie a tal fine". Il testo unico  avrebbe  dovuto
 ricondurre  ad  unita'  sistematica  la  disciplina  di  settore, con
 l'obiettivo,  connaturale  al  coordinamento,  di  razionalizzare  la
 disciplina,  assumendo  i  criteri  di  recepimento  della  direttiva
 comunitaria  a  canoni  fondamentali  della   successiva   opera   di
 coordinamento  normativo.    Il  testo  unico, emanato con il decreto
 legislativo n. 385  del  1993,  assoggetterebbe  al  medesimo  regime
 sanzionatorio  (art.  144),  in  caso di violazione delle norme sulla
 vigilanza, le banche e gli intermediari  finanziari,  coordinando  le
 disposizioni del decreto legislativo n. 481 del 1992 con quelle della
 legge 21 febbraio 1991, n. 52 e della legge 5 luglio 1991, n. 197 (di
 conversione  in  legge, con modificazioni, del decreto-legge 3 maggio
 1991, n. 143) e rispondendo all'esigenza di tutelare in modo  analogo
 l'esercizio delle funzioni di vigilanza sui gruppi creditizi (art. 25
 e  ss.  del decreto legislativo 20 novembre 1990, n. 356). L'art. 145
 del testo unico, che disciplina il  procedimento  per  l'applicazione
 delle  sanzioni  pecuniarie per le violazioni previste dall'art. 144,
 prevede la possibilita' di proporre reclamo alla Corte  d'appello  di
 Roma  contro  il  decreto  del  Ministro  del  tesoro  che applica le
 sanzioni, riproducendo sostanzialmente la disciplina dell'art. 34 del
 decreto legislativo n. 481 del 1992.  La Banca d'Italia  ritiene  che
 la  materia  delle sanzioni non sia estranea alla delega legislativa.
 La direttiva comunitaria da recepire, relativa al coordinamento delle
 disposizioni legislative, regolamentari e amministrative  riguardanti
 l'accesso  all'attivita'  degli  enti  creditizi  ed il suo esercizio
 (89/646/CEE), avrebbe imposto agli Stati membri di prevedere, per  le
 banche  autorizzate,  sanzioni  adeguate  in  caso di infrazioni alle
 disposizioni in materia  di  controllo  e  di  esercizio  della  loro
 attivita'  (art.  17). La delega legislativa specifica per la materia
 creditizia (art. 25,  lettera  c),  della  legge  n.  142  del  1992)
 imponeva   l'adeguamento  della  disciplina  vigente  per  le  banche
 italiane alla direttiva comunitaria anche per i profili sanzionatori,
 previsti del resto dai criteri e principi  direttivi  generali  della
 delega (art. 2, comma 1, lettera d), della legge n. 142).
    L'art.  25,  comma 1, lettera d), della legge n. 142 del 1992, che
 mantiene ferme le disposizioni  sanzionatorie  e  penali  concernenti
 l'attivita'  creditizia,  non  renderebbe  intangibile  la disciplina
 sanzionatoria  amministrativa  prevista  dalla  legge  bancaria   del
 1936-38, ma si riferirebbe all'attivita' svolta dalle banche di altri
 paesi  della  comunita', stabilendo che anche ad esse si applicano le
 norme sanzionatorie poste a  presidio  di  interessi  generali,  alle
 quali sono assoggettate, per le stesse attivita', le banche italiane.
 La  disciplina  dettata  dal  decreto legislativo n. 481 del 1992, di
 attuazione della direttiva 89/646/CEE,  si  sarebbe  conformata  alla
 legge di delega anche nella disciplina degli illeciti amministrativi,
 riproducendo  le corrispondenti previsioni della legge bancaria (art.
 87 e ss. del regio decreto-legge n. 375  del  1936).  L'adozione  del
 criterio  funzionale  per  l'individuazione  dei  responsabili  degli
 illeciti non introdurrebbe  un  criterio  oggettivo  di  imputazione,
 stabilendo  che possono essere considerati responsabili dell'illecito
 coloro  che,  per  poteri  e  posizione  di  fatto  ricoperta,   sono
 effettivamente  in condizione di determinare la conduzione aziendale.
 Su  un  piano  diverso  si  porrebbe  la  prova  in  concreto   della
 colpevolezza,  per  la  quale  varrebbe  la  regola,  prevista in via
 generale (artt. 3 e 12 della legge n. 689  del  1981),  dell'elemento
 soggettivo  nelle  violazioni  per  le  quali  sia  da  applicare una
 sanzione amministrativa. Nel caso che ha dato luogo alla questione di
 legittimita'  costituzionale  (partite   incagliate   non   segnalate
 all'organo di vigilanza per oltre mille miliardi) sarebbe evidente la
 culpa in vigilando a carico degli amministratori.
    Quanto  al  procedimento  di  applicazione  delle  sanzioni,  esso
 avrebbe  mantenuto  sostanzialmente   inalterato   l'impianto   della
 precedente legge bancaria (art. 90 del regio decreto-legge n. 375 del
 1936),   intervenendo  solo  per  evitare  disarmonie  rispetto  alla
 disciplina  delle  sanzioni  introdotta  in  materia   creditizia   e
 finanziaria  da  leggi  piu'  recenti. La sola innovazione di rilievo
 consisterebbe   nell'eliminazione   dell'intervento   del    Comitato
 interministeriale  per  il  credito  e  il risparmio, il cui ruolo e'
 stato ridisegnato dallo stesso decreto legislativo, che ha attribuito
 ad esso la competenza ad adottare disposizioni di carattere generale,
 escludendo interventi particolari,  non  adeguati  alla  composizione
 dell'organo  ed  alle  sue  funzioni di alta vigilanza e che potevano
 essere contestati per incompatibilita' con i principi comunitari.
   2.1. - Nel corso di un  giudizio  promosso  da  un  componente  del
 consiglio  di  amministrazione  della Banca popolare di Belpasso, che
 aveva proposto reclamo contro il decreto del Ministro del tesoro  che
 gli  aveva  applicato  una  sanzione amministrativa pecuniaria per la
 violazione degli artt.   31 e 32,  lettere  f)  ed  h),  della  legge
 bancaria  (regio decreto-legge n. 375 del 1936), con ordinanza emessa
 il 4 febbraio 1997 e pervenuta il 2 settembre 1997 (reg. ord. n.  643
 del  1997),  la Corte di cassazione ha sollevato, in riferimento agli
 artt.  3  e  24  della  Costituzione,   questione   di   legittimita'
 costituzionale  dell'art.  145,  comma  6,  del decreto legislativo 1
 settembre 1993, n. 385, la' dove dispone che la  Corte  d'appello  di
 Roma,  competente a decidere sui reclami avverso l'applicazione delle
 sanzioni disposte dal Ministro del tesoro, si pronuncia  con  decreto
 motivato.
   La  Corte  di  cassazione  non  pone  in discussione la deroga alla
 disciplina ordinaria  della  competenza  ed  il  rito  camerale,  che
 rispondono  ad una scelta discrezionale del legislatore, giustificata
 sia dalla  specialita'  e  complessita'  tecnica  della  materia  sia
 dall'essere   accentrati   il   controllo   e   l'accertamento  delle
 infrazioni.   Ritiene,   invece,   non   giustificata    l'esclusione
 dell'ordinario  ricorso  per  cassazione,  previsto  dalla disciplina
 comune  nel  giudizio  di  opposizione  dinanzi  al  pretore   contro
 l'ordinanza-ingiunzione  di  pagamento per le sanzioni amministrative
 (art.  23  della  legge  n.  689  del 1981).   Contro la sentenza del
 pretore puo' essere proposto  ricorso  per  cassazione  per  tutti  i
 motivi  previsti  dal  codice di procedura civile, in particolare per
 omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione (art. 360, numero
 5, cod. proc. civ.), mentre il  decreto  della  corte  d'appello  che
 decide  il  reclamo  contro  la sanzione amministrativa applicata dal
 Ministero del tesoro (art. 145, comma 6, del decreto  legislativo  n.
 385  del  1993)  sarebbe  sottratto al controllo di adeguatezza della
 motivazione, essendo  ammesso  il  ricorso  in  cassazione  solo  per
 violazione  di  legge,  direttamente  previsto dall'art. 111, secondo
 comma, della Costituzione.
    Questa  differente   disciplina   non   sarebbe   giustificata   e
 determinerebbe,  nei confronti della decisione della corte d'appello,
 una tutela giurisdizionale meno intensa rispetto  a  quella  prevista
 nei  confronti delle sentenze del pretore nel giudizio di opposizione
 all'ordinanza-ingiunzione che applica sanzioni  amministrative  nella
 materia valutaria, considerata affine a quella bancaria.
    La  Corte  di cassazione motiva sulla rilevanza della questione di
 legittimita'  costituzionale,  affermando  che,  solo   se   accolta,
 potrebbe  essere esaminato il motivo del ricorso proposto dalla parte
 che denuncia il decreto della Corte d'appello di Roma per vizi  nella
 motivazione.
    2.2.  - Si e' costituito il ricorrente nel giudizio principale per
 chiedere, pregiudizialmente, che venga  sollevata  una  questione  di
 legittimita'  costituzionale  gia'  eccepita  nel  corso del giudizio
 principale e  dichiarata  manifestamente  infondata  dalla  Corte  di
 cassazione:   l'art. 145, commi 4 e 5, del decreto legislativo n. 385
 del 1993, prevedendo la competenza della Corte d'appello di Roma  per
 i   reclami   contro   i   provvedimenti   che   applicano   sanzioni
 amministrative in materia bancaria,  sarebbe  in  contrasto  con  gli
 artt. 3, 24, 102 e 113 della Costituzione.
    Nel merito la parte privata sostiene la fondatezza della questione
 di  legittimita'  costituzionale sollevata dalla Corte di cassazione.
 La norma denunciata violerebbe la garanzia del diritto di  difesa  ed
 il  principio  di  eguaglianza,  giacche',  ammettendo  il ricorso in
 cassazione esclusivamente negli stretti limiti della carenza assoluta
 di  motivazione,  priverebbe  i   titolari   di   funzioni   bancarie
 dell'impugnazione  diretta al controllo della motivazione nei termini
 piu' ampi previsti per le sentenze (art. 360, numero  5,  cod.  proc.
 civ.).
   2.3.  -  Anche in questo secondo giudizio si e' costituita la Banca
 d'Italia, chiedendone la riunione con l'altro  promosso  dalla  Corte
 d'appello  di  Roma  (reg.  ord.  n. 91 del 1997) e sostenendo che la
 questione debba  essere  dichiarata  inammissibile  o  manifestamente
 infondata.
   2.4. - In prossimita' dell'udienza la difesa della parte privata ha
 depositato   una   memoria  per  ribadire  le  argomentazioni  svolte
 nell'atto di costituzione.
   2.5. - Anche la  Banca  d'Italia  ha  depositato  una  memoria  per
 illustrare  gli  argomenti  a  sostegno  delle  proprie  conclusioni,
 ricordando in  particolare  che  la  giurisprudenza  della  Corte  di
 cassazione  ha  a  lungo  ritenuto  che  l'obbligo di motivazione dei
 provvedimenti giurisdizionali e la loro ricorribilita' in  cassazione
 per  violazione di legge (art.  111 Cost.) consentissero di sindacare
 l'adeguatezza  della  motivazione  del provvedimento impugnato con la
 stessa ampiezza prevista dall'art.  360, numero 5,  cod.  proc.  civ.
 Soltanto  di recente si sarebbe affermato un indirizzo interpretativo
 restrittivo, avendo la Corte di cassazione a sezioni unite (16 maggio
 1992, n. 5888) ritenuto che la violazione di legge  quale  motivo  di
 ricorso  per  cassazione,  direttamente  in  base  all'art. 111 della
 Costituzione,  comprende  il  vizio  di  motivazione   soltanto   per
 l'inesistenza,  la  contraddittorieta'  o  la  mera  apparenza  della
 motivazione, quale risulta dal testo del provvedimento impugnato, dal
 quale si deve poter dedurre il processo  logico-razionale  attraverso
 il quale il giudice si e' formato il proprio convincimento.
   Ad avviso della Banca d'Italia, per i procedimenti speciali sarebbe
 ammissibile   una   disciplina  che  non  comprende  il  ricorso  per
 cassazione nella estensione prevista dall'art. 360,  numero  5,  cod.
 proc.  civ.,  senza  che  ne risulti leso il diritto di difendersi in
 giudizio (art.   24 Cost.), che  puo'  essere  disciplinato  in  modo
 diverso  in  relazione  alle  speciali  caratteristiche  dei  singoli
 procedimenti.  La procedura contenziosa  giurisdizionale  in  materia
 bancaria  presenterebbe,  sin  dalla precedente legge bancaria (regio
 decreto-legge n. 375 del 1936), spiccati  caratteri  di  specialita',
 mantenuti  anche  dopo  le  modifiche  al  sistema  penale, che hanno
 delineato una disciplina comune  per  le  sanzioni  amministrative  e
 valutarie; questi caratteri la differenzierebbero anche dalla materia
 valutaria  e  monetaria,  la  quale ha ad oggetto non l'esercizio del
 credito ma uno strumento di  pagamento  e  di  intermediazione  nella
 circolazione  di  beni  e  servizi.  Difatti  in quest'ultimo caso le
 sanzioni non atterrebbero, come invece in  materia  creditizia,  alle
 funzioni  di  vigilanza  sull'esercizio  di  imprese,  attribuite  ad
 autorita' amministrative indipendenti, quale e'  la  Banca  d'Italia.
 Sarebbe,   inoltre,  contraddittorio  ammettere  la  specialita'  del
 procedimento e del provvedimento, rimesso alla competenza della  sola
 Corte  d'appello  di  Roma,  ed  escludere poi la possibilita' di una
 disciplina speciale quanto alla ricorribilita'  in  cassazione.    La
 Banca   d'Italia   rileva,   infine,  che  l'ulteriore  eccezione  di
 illegittimita'  costituzionale,  nuovamente  proposta   dalla   parte
 privata,  sarebbe  inammissibile,  in  quanto  diretta ad ampliare le
 questioni da decidere gia' fissate con l'ordinanza di rimessione.
                        Considerato in diritto
   1. -   Le questioni di  legittimita'  costituzionale  investono  il
 testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, emanato con
 il decreto legislativo 1 settembre 1993, n. 385.
    1.1.  -  La  Corte d'appello di Roma (reg. ord. n. 91 del 1997) ne
 denuncia l'art. 145, che disciplina la procedura  per  l'applicazione
 delle  sanzioni  amministrative  per violazioni previste dallo stesso
 testo unico, perche' sarebbe stata innovata la  precedente  normativa
 in   materia   di   sanzioni   amministrative  per  gli  illeciti  di
 amministratori delle banche italiane al  di  fuori  delle  previsioni
 della legge di delega (art. 25 della legge 19 febbraio 1992, n. 142),
 in  contrasto,  quindi,  con l'art. 76 della Costituzione. Difatti le
 sanzioni per gli amministratori di banche sarebbero  state  estese  a
 comportamenti  in  precedenza  non  previsti (art. 144, commi 3 e 4);
 sarebbe stato innalzato l'importo delle sanzioni pecuniarie ed esteso
 l'ambito dei soggetti sanzionabili che, individuati non piu'  per  le
 funzioni   in   concreto   svolte   ma   per   l'ufficio   ricoperto,
 risponderebbero  in base ad un criterio di responsabilita' oggettiva;
 sarebbe stato eliminato l'intervento, nella fase amministrativa della
 procedura   per   l'irrogazione   delle   sanzioni,   del    Comitato
 interministeriale per il credito ed il risparmio.
    1.2. - La Corte di cassazione (reg. ord. n. 643 del 1997) denuncia
 l'art.  145,  comma  6,  dello  stesso decreto legislativo n. 385 del
 1993, perche', prevedendo  che  il  reclamo  contro  il  decreto  del
 Ministro  del tesoro che applica le sanzioni amministrative e' deciso
 dalla Corte d'appello di Roma in  camera  di  consiglio  con  decreto
 motivato,  permetterebbe  l'impugnazione  della decisione con ricorso
 per cassazione esclusivamente per violazione  di  legge,  in  diretta
 applicazione  dell'art.    111  della Costituzione e non, invece, con
 l'ampiezza prevista per l'impugnazione delle sentenze dall'art.  360,
 numero  5,  cod. proc.  civ., che consente di dedurre quale motivo di
 gravame anche la contraddittoria motivazione circa un punto  decisivo
 della  controversia,  prospettato dalle parti o rilevabile d'ufficio.
 Cio'  determinerebbe  la  violazione  degli  artt.  3  e   24   della
 Costituzione,  giacche'  sarebbero ridotte le garanzie di difesa e si
 determinerebbe una disparita' di trattamento rispetto al giudizio  di
 opposizione  contro  le  ordinanze-ingiunzione che applicano sanzioni
 amministrative pecuniarie in materia valutaria, considerata affine  a
 quella  creditizia,  alle  quali  si  applica la disciplina comune in
 materia di sanzioni amministrative (art. 23 del d.P.R. 31 marzo 1988,
 n. 148, che rinvia alla legge 24 novembre 1981, n. 689),  sicche'  la
 sentenza   del  pretore  che  decide  sulla  opposizione  avverso  le
 ingiunzioni  del  Ministro  del  tesoro  e'   inappellabile   ma   e'
 ricorribile per cassazione per tutti i motivi previsti dall'art.  360
 cod. proc. civ.
    2.  -  Le  due  questioni  di legittimita' costituzionale hanno ad
 oggetto, almeno in parte, la stessa  disposizione  e,  sia  pure  per
 aspetti  e  profili  diversi,  investono entrambe la disciplina delle
 sanzioni amministrative in materia bancaria e creditizia. I  relativi
 giudizi,  essendo  connessi, possono essere riuniti per essere decisi
 con unica sentenza.
    3. - Si deve anzitutto precisare che la Corte d'appello  di  Roma,
 denunciando  il  testo  unico  delle  leggi  in  materia  bancaria  e
 creditizia perche' emanato dal Governo eccedendo, per quanto  attiene
 alla  materia  delle sanzioni amministrative, dai limiti della delega
 legislativa (art. 25 della legge  n.  142  del  1992),  investe,  per
 questo profilo di carattere generale, non solo l'art. 145 del decreto
 legislativo   n.   385   del   1993,   che  disciplina  la  procedura
 sanzionatoria  ed   e'   espressamente   indicato   nel   dispositivo
 dell'ordinanza  di  rimessione, ma anche l'art. 144, richiamato nella
 motivazione  dell'ordinanza  stessa,  che   determina   le   sanzioni
 amministrative  pecuniarie  per  infrazioni  alle  disposizioni dello
 stesso testo unico.
    Il  giudizio  di  legittimita'   costituzionale   resta   tuttavia
 circoscritto  nell'ambito della denunciata carenza assoluta di delega
 legislativa  ad  intervenire  sulla  preesistente  disciplina   delle
 sanzioni  amministrative,  vizio che investirebbe la nuova disciplina
 nel suo complesso.  Il  giudizio  non  si  estende,  quindi,  sino  a
 comprendere  la  puntuale  valutazione  della  rispondenza di singole
 innovazioni introdotte dal legislatore delegato a specifici  principi
 o  criteri  direttivi  della  delega,  dei  quali  si  assume,  anzi,
 l'assoluta  carenza.  Difatti  la  menzione  di  elementi  innovativi
 nell'ordinanza di  rimessione  e'  diretta  a  sottolineare  in  modo
 esemplificativo modifiche apportate alla disciplina precedente, senza
 che  sia  richiesta  la  singola valutazione di ciascuna di esse, per
 ognuna delle quali, del resto, mancherebbe una specifica  motivazione
 sulla rilevanza.
   Il   giudizio  di  legittimita'  costituzionale  non  puo'  neppure
 estendersi oltre i limiti fissati dall'ordinanza di  rimessione,  per
 comprendere altre norme o diversi profili indicati dalle parti ma che
 rimangono fuori dalla questione, sia che essi abbiano formato oggetto
 dell'eccezione  proposta  dalle parti stesse nel giudizio principale,
 senza essere stati poi fatti propri  dal  giudice  nell'ordinanza  di
 rimessione,  sia  che  essi  siano  diretti ad estendere o modificare
 successivamente il contenuto o i profili  determinati  dall'ordinanza
 stessa (cfr., da ultimo, sentenza n. 63 del 1998).
   3.1.  - Cosi' precisata e circoscritta la questione di legittimita'
 costituzionale, non hanno fondamento le eccezioni di inammissibilita'
 che sono state prospettate dalle parti nelle loro difese.
   L'ordinanza di rimessione, denunciando l'esercizio  della  funzione
 legislativa  da  parte  del  Governo senza che vi fosse una delega in
 materia di sanzioni, motiva in ordine al  vizio  che  inficerebbe  in
 radice il complesso di norme al quale la Corte d'appello dovrebbe far
 ricorso  per  giudicare  del reclamo contro il decreto amministrativo
 che ha applicato la sanzione pecuniaria.
   Ne' si puo' ritenere che sia erronea la denuncia delle disposizioni
 che riguardano le sanzioni amministrative contenute nel  testo  unico
 delle  leggi  in  materia  bancaria e creditizia (artt. 144 e 145 del
 decreto legislativo n. 385 del 1993), sostenendo che la questione  di
 legittimita'  costituzionale  avrebbe  dovuto  essere proposta per le
 corrispondenti disposizioni (artt. 33 e 34) del  decreto  legislativo
 n.   481   del   1992,  di  attuazione  della  direttiva  comunitaria
 89/646/CEE, alle quali risalirebbe il denunciato vizio di eccesso  di
 delega   e   che  sono  alla  base  del  successivo  testo  unico  di
 coordinamento con le altre disposizioni vigenti nella stessa materia.
 Difatti le norme denunciate  vivono  nell'ordinamento  nel  contenuto
 prescrittivo  espresso  dagli artt. 144 e 145 del decreto legislativo
 n. 385 del 1993. Inoltre il nuovo testo unico delle leggi in  materia
 bancaria  e creditizia costituisce la conclusione del procedimento di
 adeguamento  dell'ordinamento  nazionale   alla   seconda   direttiva
 comunitaria nel settore degli enti creditizi, volta ad armonizzare le
 disposizioni   degli   Stati   membri   per  pervenire  al  reciproco
 riconoscimento delle autorizzazioni e dei sistemi di vigilanza, cosi'
 consentendo  agli  enti  autorizzati  nello  Stato  di   origine   di
 esercitare  la  loro  attivita'  in  tutta  la comunita' europea. Per
 perseguire l'obiettivo indicato dalla direttiva comunitaria  attuando
 le   prescrizioni   della  stessa,  la  legge  n.  142  del  1992  ha
 contestualmente conferito al Governo  due  deleghe  complementari  da
 eseguire  in  successione:  la  prima (art. 25, comma 1) destinata ad
 attuare  la  direttiva   del   Consiglio   che   riguarda   l'accesso
 all'attivita'  degli  enti creditizi e il suo esercizio (89/646/CEE);
 la  seconda,  in  rispondenza  anch'essa  alla  medesima   disciplina
 comunitaria,   volta   a  coordinare  in  un  testo  unico  le  nuove
 disposizioni e le altre in  materia  bancaria  (art.  25,  comma  2).
 Questa  preordinata  successione  di  atti fa si' che il testo unico,
 approvato   con   il   decreto   legislativo  n.  385  del  1993,  si
 caratterizzi, secondo quanto questa Corte ha gia' avuto occasione  di
 rilevare  (sentenza  n.  224  del  1994), anch'esso come direttamente
 attuativo di una direttiva comunitaria, per lo  stretto  collegamento
 che  lega  il  testo unico ed il decreto legislativo n. 481 del 1992,
 che ha attuato la direttiva stessa.
   3.2. - Nel merito la questione non e' fondata.
   La legge n. 142 del 1992 ha dettato disposizioni per  l'adempimento
 degli  obblighi  derivanti  dall'appartenenza  alle comunita' europee
 (legge comunitaria per il 1991) seguendo lo schema di analoghe  leggi
 precedenti:  ha  delegato  il  Governo ad emanare decreti legislativi
 recanti le norme occorrenti per dare attuazione a numerose  direttive
 delle  comunita',  stabilendo  sia  i  criteri  e  principi direttivi
 generali della delega legislativa, destinati a valere  per  tutte  le
 direttive   comunitarie   da   attuare,   il  contenuto  delle  quali
 costituisce anch'esso principio e criterio della delega  legislativa,
 sia  ulteriori  criteri  speciali  per  le  diverse  materie  cui  si
 riferiscono le singole direttive comunitarie.
   I distinti criteri, generali e speciali,  unitamente  al  contenuto
 delle  direttive da attuare, sono tutti egualmente posti a base della
 delega legislativa, salvo che quelli specifici nelle singole  materie
 non  costituiscano  deroga  ai  criteri  generali;  tutti  i criteri,
 dovendosi  integrare  reciprocamente,  vanno  coordinati  per  essere
 interpretati unitariamente.
   In  materia di sanzioni i criteri generali della delega legislativa
 stabiliscono che, se necessario  per  assicurare  l'osservanza  delle
 disposizioni  contenute nei singoli decreti legislativi di attuazione
 delle  direttive  comunitarie,  saranno  previste  norme   contenenti
 sanzioni   penali   e   amministrative,   nel  limite  qualitativo  e
 quantitativo previsto dalla delega, per infrazioni alle  disposizioni
 dei  decreti  stessi  (art. 2, comma 1, lettera d, della legge n. 142
 del 1992).
   Questo  criterio  generale  non  e'  derogato  da  quelli  speciali
 dettati,  in  materia  di  enti  creditizi,  per  l'attuazione  della
 direttiva comunitaria 89/646/CEE. Difatti  l'art.  25,  primo  comma,
 lettera d), della legge n. 142 del 1992, stabilendo che restano ferme
 le  disposizioni  tributarie vigenti per l'accertamento delle imposte
 dovute dai residenti  ed  ogni  altra  disposizione  sanzionatoria  e
 penale  concernente l'attivita' creditizia e finanziaria, non esclude
 la disciplina delle sanzioni  dall'ambito  della  potesta'  normativa
 conferita  al Governo in base ai criteri generali della delega, ma ne
 limita  l'ampiezza.  Il  richiamo  alle  disposizioni  tributarie   e
 sanzionatorie  vigenti  e'  inserito  in  un  contesto  che  riguarda
 l'esercizio dell'attivita' creditizia di enti non nazionali, i quali,
 proprio in base alla direttiva comunitaria, possono svolgere la  loro
 attivita' in Italia, rimanendo tuttavia soggetti, per tale attivita',
 alla  disciplina  tributaria  ed  alle  sanzioni previste dal diritto
 nazionale. Non  si  puo',  dunque,  desumere  da  tale  disposizione,
 superando  il suo tenore letterale ed in deroga ai principi e criteri
 generali della delega, il divieto di emanare norme  che,  modificando
 la  disciplina  preesistente,  contengano sanzioni amministrative per
 infrazioni alle disposizioni  adottate  in  attuazione  della  delega
 stessa.
   I  criteri e principi direttivi generali della delega relativi alle
 sanzioni (art. 2, comma 1, lettera d, della legge n.  142  del  1992)
 rimangono  dunque  operanti. Essi attribuiscono al Governo una delega
 assai ampia, enunciata con  la  medesima  formulazione  ripetutamente
 adottata  nelle leggi comunitarie annualmente emanate ed in relazione
 alle quali si e' gia' altra volta espresso l'auspicio, riferito  alle
 sanzioni  penali  che esigono il massimo di chiarezza e certezza, che
 la delega sia enunciata con una piu' precisa indicazione  di  criteri
 (sentenza n. 53 del 1997). Anche per le sanzioni amministrative, che,
 pur  essendo  afflittive  in  minor  grado,  rispondono  anch'esse al
 principio di legalita', i criteri della delega devono essere  precisi
 e vanno rigorosamente interpretati.
   La  delega legislativa, prevedendo il ricorso alla sanzione secondo
 un criterio  di  necessarieta',  non  prefigura  una  scelta  rimessa
 all'arbitrio del legislatore delegato o dipendente da una valutazione
 di  mera  opportunita'; essa esige un ragionevole nesso tra il dovere
 di tenere il comportamento normativamente richiesto e  l'esigenza  di
 sanzionarne  con  una  pena  appropriata l'inosservanza, quando siano
 carenti  altri  strumenti  idonei  ad  assicurare  efficacemente   il
 rispetto della norma.
   La  valutazione  di necessarieta' della sanzione amministrativa per
 la tutela degli interessi sostanziali, cui le norme assistite da tale
 sanzione  si  riferiscono,  puo'  anche  essere  ricondotta   ad   un
 apprezzamento  in  precedenza  espresso dallo stesso legislatore e si
 verifica in quei settori dell'ordinamento gia'  caratterizzati  dalla
 presenza  di  norme  sanzionatorie.  La  valutazione di necessarieta'
 della sanzione puo' essere desunta  anche  da  altri  elementi  della
 delega  legislativa,  che  possono  risultare  dalle stesse direttive
 comunitarie da attuare.
   Per le sanzioni in materia di attivita' creditizia operano entrambi
 i criteri. La valutazione della natura degli  interessi  coinvolti  e
 della  necessita'  di  proteggerli  mediante  sanzioni amministrative
 risulta gia' dalla precedente disciplina di settore, nel  cui  ambito
 le  modifiche  e gli aggiornamenti apportati rispondono alle esigenze
 di  coordinamento  e  ad  un  apprezzamento,  in  questo  ambito,  di
 opportunita'.      Inoltre   la   direttiva  comunitaria  da  attuare
 (89/646/CEE), che  costituisce  anch'essa  criterio  direttivo  della
 delega  legislativa,  valuta  come  suscettibili di sanzione gli enti
 creditizi ed i dirigenti responsabili che si sono resi  colpevoli  di
 infrazioni  di  disposizioni  in  materia di controllo dell'esercizio
 dell'attivita' creditizia (art. 17), cosi' delimitando l'ambito delle
 violazioni, la sfera dei soggetti, il  criterio  di  responsabilita',
 per i quali si puo' fare ricorso a sanzioni.
   3.3.  -  Non  mancano,  dunque,  per  le sanzioni amministrative in
 materia di attivita' creditizia,  principi  che,  oltre  a  porre  il
 fondamento delle norme delegate e fissarne i limiti, costituiscono un
 criterio interpretativo delle stesse, le quali vanno lette, fin tanto
 che   cio'   sia  possibile,  nella  portata  e  con  il  significato
 compatibile con i principi della delega (da ultimo,  sentenze  n.  15
 del  1999 e n. 418 del 1996). Questo criterio interpretativo vale per
 le singole disposizioni menzionate nell'ordinanza di rimessione quale
 esempio di innovazione, mentre si assume che la legge di  delega  non
 avrebbe  consentito  di  toccare  in  alcun  modo la disciplina delle
 sanzioni quale risultava dalle norme preesistenti.
   Pur  senza  procedere  ad uno specifico esame di tali disposizioni,
 che, come si e' gia' precisato, andrebbe oltre l'oggetto del presente
 giudizio,  e'  da  sottolineare  che  la  portata   normativa   delle
 disposizioni  stesse,  lette in coerenza con i principi della delega,
 non  consente  di  affermare  che  i   dirigenti   responsabili,   da
 individuare  proprio  in  ragione  dell'esercizio dei poteri inerenti
 alle loro funzioni, possano subire sanzioni indipendentemente da ogni
 elemento di colpa, richiesto dalla regola generale, comune in materia
 di sanzioni amministrative, da applicare in ogni ipotesi  in  cui  si
 configuri  tale tipo di sanzioni (artt. 3 e 12 della legge n. 689 del
 1981)  ed  evidentemente  presupposta  dall'art.  144   del   decreto
 legislativo  n.  385  del  1993.  Del  resto  questa  interpretazione
 risponde anche alla direttiva comunitaria da attuare con  la  delega,
 che   individua   come   suscettibili   di   sanzioni   i   dirigenti
 "responsabili" che si siano resi "colpevoli" delle  infrazioni  (art.
 17 della direttiva 89/646/CEE).
   Per  quanto  riguarda,  poi,  la procedura per l'applicazione delle
 sanzioni amministrative, la delega  consentiva,  proprio  nell'ambito
 del   coordinamento   delle  disposizioni  in  materia  creditizia  e
 finanziaria, di modificare la determinazione degli organi  competenti
 a provvedere, tenendo conto di modifiche apportate alla articolazione
 delle loro competenze. In questa prospettiva, poteva essere riservata
 al  Comitato  interministeriale per il credito ed il risparmio l'alta
 vigilanza in questa materia, che viene esercitata  avvalendosi  della
 Banca  d'Italia,  contro  i  cui provvedimenti esso decide in sede di
 reclamo (artt.  2 e 9 del decreto legislativo n. 385 del 1993), senza
 prevedere che lo stesso Comitato  continui  ad  esprimere  il  parere
 sull'adozione di singoli provvedimenti sanzionatori.
   4.  -  L'altra  questione  di  legittimita'  costituzionale investe
 esclusivamente l'art. 145, comma 6, del decreto  legislativo  n.  385
 del  1993,  che  non  consentirebbe  di  impugnare  con  ricorso  per
 cassazione, con la stessa ampiezza prevista per  la  insufficiente  e
 contraddittoria  motivazione della sentenza (art. 360, numero 5, cod.
 proc. civ.), il decreto della Corte d'appello di Roma che  decide  il
 reclamo  contro  il provvedimento con il quale il Ministro del tesoro
 ha applicato la sanzione amministrativa.
   4.1.   -   Deve   essere   anzitutto   disattesa   la    richiesta,
 preliminarmente  avanzata dalla parte privata, di sollevare questione
 di legittimita' costituzionale  dell'art.  145,  commi  4  e  5,  del
 decreto  legislativo  n. 385 del 1993, che attribuisce esclusivamente
 alla Corte d'appello di Roma la competenza  a  decidere  sui  reclami
 contro  il  provvedimento  del  Ministro  del  tesoro  che applica le
 sanzioni amministrative previste  dal  testo  unico  delle  leggi  in
 materia bancaria e creditizia.
   Si  tratta  di una eccezione gia' proposta dal ricorrente nel corso
 del giudizio principale e dichiarata manifestamente  infondata  dalla
 Corte  di cassazione, che la parte non puo' riproporre in questa sede
 per  ampliare,  rispetto  ai   limiti   fissati   dall'ordinanza   di
 rimessione,  l'oggetto  del  giudizio di legittimita' costituzionale.
 Ne' la Corte costituzionale puo' sollevare incidentalmente davanti  a
 se' tale questione, che non ha carattere di pregiudizialita' rispetto
 alla  decisione nel giudizio di legittimita' costituzionale del quale
 e' stata investita (cfr. sentenza n. 442 del 1993; ordinanza  n.  492
 del 1993).
   4.2 - La questione di legittimita' costituzionale e' stata proposta
 dalla   Corte   di   cassazione  sulla  base  del  suo  piu'  recente
 orientamento interpretativo, che esclude l'equiparazione assoluta tra
 il ricorso per cassazione  disciplinato  dalle  regole  del  processo
 civile, e il ricorso che, in diretta applicazione dell'art. 111 della
 Costituzione,  deve  essere  sempre ammesso, in caso di violazione di
 legge,    contro    ogni    provvedimento    giurisdizionale     che,
 indipendentemente  dalla  sua  forma,  abbia  un  contenuto decisorio
 assimilabile alla sentenza.
   Nel primo caso il ricorso per  cassazione  che  denuncia  il  vizio
 logico  della  sentenza impugnata offrirebbe alle parti uno strumento
 di  tutela  che  va  oltre  la  garanzia  minima   assicurata   dalla
 Costituzione,   consentendo   il   confronto   del   contenuto  della
 motivazione con le risultanze del processo.
   Nel caso, invece, del ricorso per cassazione direttamente collegato
 all'art.   111   della   Costituzione,   che   non   recepisce    ne'
 costituzionalizza  la  disciplina  del ricorso per cassazione dettata
 per il processo civile, potrebbe essere  denunciato  il  vizio  della
 motivazione nei limiti in cui questa e' dovuta per ogni provvedimento
 giurisdizionale.    In  ogni caso la motivazione non deve essere solo
 apparente ed il supporto argomentativo che con  essa  si  esprime  va
 valutato  in  base al testo del provvedimento impugnato, senza che il
 controllo comprenda il sindacato sul  valore  e  sulla  ponderazione,
 operata  dal  giudice  di merito, degli elementi di fatto prospettati
 dalle parti o rilevabili d'ufficio.
   4.3 -  I  dubbi  di  legittimita'  costituzionale,  prospettati  in
 riferimento  agli  artt.  3  e  24  della Costituzione, per la tutela
 giurisdizionale meno intensa accordata dalla disposizione  denunciata
 rispetto  a  quella prevista per la sentenza che conclude il giudizio
 di  opposizione  alle  comuni  ordinanze-ingiunzione  che   applicano
 sanzioni  pecuniarie  amministrative  anche in materia valutaria, non
 sono fondati.
   Rientra nella discrezionalita' del legislatore, da  esercitare  nei
 limiti   della   ragionevolezza,   modellare   i   procedimenti   per
 l'applicazione   delle   sanzioni   amministrative   e   disciplinare
 l'esercizio  della  tutela  giurisdizionale  (cfr. sentenze n. 94 del
 1996 e n. 471 del 1992; ordinanze nn. 448 e 305  del  1998),  che  e'
 necessario prevedere, nei confronti di tali provvedimenti.
   La  procedura  sanzionatoria  in  materia  bancaria  e  creditizia,
 delineata dall'art. 145 del decreto legislativo n. 385 del  1993,  ha
 carattere  di  specialita'  rispetto  a  quella che riguarda le altre
 violazioni  punite  con  una  sanzione   amministrativa   pecuniaria,
 espressamente  prevista come disciplina comune ma derogabile (art. 12
 della stessa legge n. 689 del 1981).
   La  particolarita'  della  materia,  direttamente   inerente   alla
 vigilanza  sul  corretto esercizio dell'attivita' da parte degli enti
 autorizzati  allo   svolgimento   dell'attivita'   bancaria,   e   la
 specialita' dei controlli e delle procedure previsti in tale settore,
 giustificano,  in  continuita'  con la precedente disciplina (art. 90
 del regio decreto-legge n.  375 del 1936), la scelta del  legislatore
 di   mantenere  con  carattere  di  specialita'  anche  la  procedura
 sanzionatoria amministrativa, in caso di infrazioni, e di  assicurare
 la tutela giurisdizionale secondo il rito camerale, con i conseguenti
 limiti   quanto  alla  impugnabilita'  della  decisione  assunta  con
 decreto.