ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  5,  settimo
 (recte:   quinto)  comma,  della  legge  26  ottobre  1957,  n.  1047
 (Estensione  dell'assicurazione  per  invalidita'  e   vecchiaia   ai
 coltivatori  diretti,  mezzadri  e  coloni),  promosso  con ordinanza
 emessa il 5 marzo 1997 dal pretore di Treviso sul ricorso proposto da
 Nichele Guido contro l'I.N.P.S., iscritta  al  n.  324  del  registro
 ordinanze 1997 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 25, prima serie speciale, dell'anno 1997.
   Visto  l'atto di costituzione dell'I.N.P.S.;
   Udito nell'udienza pubblica del 12 gennaio 1999 il giudice relatore
 Fernanda Contri;
   Udito l'avvocato Carlo De Angelis per l'I.N.P.S.
   Ritenuto  che,  nel  corso di un giudizio promosso da Guido Nichele
 contro l'INPS, il pretore di Treviso, con ordinanza emessa il 5 marzo
 1997, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 38, secondo  comma,
 della   Costituzione,   questione   di   legittimita'  costituzionale
 dell'art.    5, settimo (recte: quinto) comma, della legge 26 ottobre
 1957, n.   1047  (Estensione  dell'assicurazione  per  invalidita'  e
 vecchiaia  ai coltivatori diretti, mezzadri e coloni), nella parte in
 cui  non  consente  l'accreditamento  dei  contributi   versati   dal
 lavoratore   che,  "dopo  aver  svolto  abitualmente  e  direttamente
 attivita' manuale di coltivazione del fondo con  i  propri  familiari
 per  la  maggior  parte  dell'anno,  non  risulta essere presente nel
 nucleo familiare al  31  dicembre  dell'anno  cui  si  riferiscono  i
 contributi";
     che  il  giudice  a  quo  afferma  la  rilevanza  della questione
 sollevata;
     che, sotto  il  profilo  della  non  manifesta  infondatezza,  il
 pretore  di  Treviso  prospetta  il  contrasto  con  l'art.  3  della
 Costituzione  per  disparita'  di  trattamento   derivante   da   una
 circostanza   -  l'emigrazione  a  scopo  lavorativo  -  "causata  da
 scarsita' di lavoro in Italia e non riconducibile quindi ad  un  atto
 meramente volitivo del ricorrente";
     che,  in  merito  al  prospettato  contrasto  con l'art. 38 della
 Costituzione, il giudice a quo osserva che la disposizione  impugnata
 precluderebbe   senza   ragione   la   computabilita'   -   ai   fini
 dell'accredito dei contributi sulla singola posizione assicurativa  -
 di periodi di lavoro effettivamente prestati dall'interessato e per i
 quali i contributi sono stati versati;
     che  nel giudizio davanti a questa Corte si e' costituito l'INPS,
 per chiedere che la questione sollevata dal pretore  di  Treviso  sia
 dichiarata infondata;
     che,  ad avviso dell'INPS, la censura formulata dal giudice a quo
 non puo' essere circoscritta all'esclusione della  computabilita'  di
 periodi di lavoro prestati da coloro che non risultavano presenti nel
 nucleo  familiare  al  31  dicembre  dell'anno  cui  si  riferivano i
 contributi, non garantendo la disciplina introdotta dall'art. 5 della
 legge 26 ottobre  1957,  n.  1047,  la  corrispondenza  all'effettivo
 impiego  di  mano  d'opera della "individuale spettanza di contributi
 giornalieri",  e   dipendendo   l'attribuzione   di   questi   ultimi
 dall'applicazione  dei  criteri  di  priorita'  fra  i  componenti la
 famiglia stabiliti dalla medesima legge.
   Considerato che, in ordine  alla  fattispecie  concreta  sottoposta
 alla  cognizione del giudice rimettente, dall'ordinanza di rimessione
 si desume soltanto che oggetto del procedimento civile a quo  sarebbe
 la  liquidazione  della  pensione  del  ricorrente,  emigrato a scopo
 lavorativo nell'anno 1959;
     che  il  giudice  a  quo  in  merito  alla  fattispecie  concreta
 sottoposta  al  suo  esame,  non  fornisce  alcun elemento ulteriore,
 omettendo,  in  particolare,  ogni  riferimento  all'iscrizione   del
 ricorrente  negli  elenchi  di  categoria,  alla sua collocazione nel
 nucleo familiare ai fini dell'applicazione dei criteri  di  priorita'
 di cui ai primi tre commi del denunciato art. 5, alla maturazione dei
 requisiti   di  eta'  e  di  anzianita'  contributiva,  all'eventuale
 presentazione, da parte dell'interessato, a norma dell'art. 11  della
 legge  2  agosto  1990, n. 233 (Riforma dei trattamenti pensionistici
 dei lavoratori autonomi), della richiesta di riscatto dei  contributi
 non   accreditati  per  effetto  del  secondo  comma  dell'art.  3  e
 dell'impugnato art. 5 della legge n. 1047 del 1957;
     che   il   giudice   a  quo  non  si  sofferma  sulla  perdurante
 applicabilita' della disciplina impugnata,  abrogata  dalla  legge  9
 gennaio  1963,  n. 9 (Elevazione dei trattamenti minimi di pensione e
 riordinamento delle norme in materia di  previdenza  dei  coltivatori
 diretti  e  dei  coloni  e  mezzadri),  ne'  -  in  presenza  di  una
 giurisprudenza di merito sul  punto  non  univoca  -  fa  cenno  agli
 effetti  eventualmente derivanti, sul piano dell'applicabilita' della
 norma censurata al caso dedotto nel  giudizio  principale,  dall'art.
 4-ter  del  decreto-legge 15 gennaio 1993, n. 6 (Disposizioni urgenti
 per il recupero degli introiti contributivi in materia previdenziale)
 come modificato dalla legge 17 marzo  1993,  n.  63  (Conversione  in
 legge,  con  modificazioni,  del decreto-legge 15 gennaio 1993, n. 6,
 recante  disposizioni  urgenti  per  il   recupero   degli   introiti
 contributivi in materia previdenziale);
     che,   secondo   la  costante  giurisprudenza  di  questa  Corte,
 l'insufficiente motivazione dell'ordinanza  di  rimessione  sotto  il
 profilo   della   adeguata  descrizione  della  fattispecie  concreta
 comporta   l'inammissibilita'   della   questione   di   legittimita'
 costituzionale,  giacche'  impedisce  di  valutarne  la rilevanza nel
 procedimento a quo (ex plurimis ordinanze nn. 129 e 69 del 1998; 151,
 69 e 62 del 1997);
     che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, qualora le  norme
 oggetto  di censura siano abrogate o comunque modificate, sui giudici
 a quibus grava un onere di motivazione rigoroso e pieno,  dovendo  il
 rimettente  indicare con sufficiente esaustivita' i concreti elementi
 della fattispecie sottoposta al suo  esame  e  specificare  i  motivi
 della  perdurante rilevanza della questione (da ultimo, ordinanze nn.
 343 e 79 del 1998; 419 del 1997);
     che i rilevati vizi  della  motivazione  impediscono  alla  Corte
 qualsiasi  controllo  sul  requisito  della rilevanza della questione
 sollevata ed anche sull'avvenuto apprezzamento di tale condizione  di
 proponibilita' da parte del giudice a quo;
     che,  pertanto, la questione dev'essere dichiarata manifestamente
 inammissibile.