ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nei  giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 513, comma 2,
 e 514, del codice di procedura penale, come modificati dalla legge  7
 agosto  1997,  n.  267  (Modifica  delle  disposizioni  del codice di
 procedura penale in tema di valutazione delle  prove),  promossi  con
 ordinanze  emesse  il  19 dicembre 1997 dal Tribunale di Milano, il 6
 febbraio 1998 dal Tribunale di Torino, il 22 ed il 21 aprile 1998 dal
 Tribunale di Udine, il 22 aprile 1998 dal Tribunale  di  Roma,  il  7
 maggio  1998  dal  Tribunale  di  Avezzano,  il  20  maggio 1998, dal
 Tribunale di Pescara e l'11  giugno  1998  dal  pretore  di  Pescara,
 rispettivamente  iscritte  ai  nn. 93, 265, 428, 429, 461, 494, 602 e
 630 del registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica nn. 9, 16, 25, 26, 28, 37, 38, prima serie speciale,
 dell'anno 1998.
   Visti gli atti di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del 27 gennaio 1999 il giudice
 relatore Guido Neppi Modona.
   Ritenuto che il Tribunale di Milano  (r.o.  n.  93  del  1998),  il
 Tribunale  militare di Torino (r.o. n. 265 del 1998), il Tribunale di
 Udine (r.o. nn. 428 e 429 del 1998), il Tribunale per i minorenni  di
 Roma  (r.o.  n.  461 del 1998), il Tribunale di Avezzano (r.o. n. 494
 del 1998), il Tribunale di Pescara  (r.o.  n.  602  del  1998)  e  il
 pretore  di  Pescara  (r.o.  n.  630  del  1998)  hanno sollevato, in
 riferimento agli artt. 3, 24, 25, 97,  101,  102,  111  e  112  della
 Costituzione, questione di legittimita' costituzionale dell'art. 513,
 comma  2, del codice di procedura penale, come modificato dalla legge
 7 agosto 1997, n. 267 (Modifica  delle  disposizioni  del  codice  di
 procedura  penale in tema di valutazione delle prove), nella parte in
 cui subordina all'accordo delle parti l'utilizzabilita' ai fini della
 decisione  delle  dichiarazioni  rese  nella  fase   delle   indagini
 preliminari  dall'imputato in procedimento connesso che si avvalga in
 dibattimento della facolta' di non rispondere;
     che, in particolare, il Tribunale di Avezzano impugna, unitamente
 all'art. 513, comma 2, cod. proc. pen., anche l'art. 514 dello stesso
 codice;
     che  tutte  le  questioni  sono  state  sollevate  nel  corso  di
 dibattimenti  nei  quali  alcuni  imputati  in procedimenti connessi,
 citati per la prima volta dopo l'entrata in vigore della legge n. 267
 del 1997, si erano avvalsi della facolta' di  non  rispondere,  e  le
 parti  non  avevano  prestato  il  consenso  alla utilizzazione delle
 dichiarazioni rese in precedenza;
     che, secondo i rimettenti, l'art. 513, comma 2, cod.  proc.  pen.
 sarebbe   in  contrasto  con  l'art.  3  della  Costituzione  per  la
 irragionevole   diversita'   della    disciplina    riservata    alle
 dichiarazioni rese nel corso delle indagini preliminari dall'imputato
 in  procedimento  connesso  che  in  dibattimento  si  avvalga  della
 facolta' di non rispondere rispetto:  a quella dettata per le  stesse
 dichiarazioni  quando  per  fatti o circostanze imprevedibili non sia
 possibile ottenere la presenza del soggetto citato ai sensi dell'art.
 210 cod. proc. pen. (r.o. n. 265 del 1998, r.o. n. 461 del 1998, r.o.
 n.  602  del  1998);  alla  disciplina  riservata  alle dichiarazioni
 testimoniali rese nel corso delle indagini preliminari (r.o.  n.  494
 del  1998; r.o. n. 602 del 1998); alla disciplina dettata nel comma 1
 dell'art. 513 cod. proc.  pen.,  secondo  cui  le  dichiarazioni  del
 coimputato  che  rifiuta in dibattimento di sottoporsi all'esame sono
 utilizzabili nei confronti dell'imputato consenziente (r.o.   n.  494
 del 1998);
     che,  secondo  i giudici a quibus l'art. 513, comma 2, cod. proc.
 pen. determina altresi'  disparita'  di  trattamento  tra  l'imputato
 raggiunto  da  dichiarazioni  accusatorie  rese  da  un  imputato  in
 procedimento connesso divenute irripetibili ai  sensi  dell'art.  512
 cod.  proc.    pen.,  come  tali  utilizzabili  per  la  decisione, e
 l'imputato attinto dalle dichiarazioni di un imputato in procedimento
 connesso, irripetibili a seguito dell'esercizio della facolta' di non
 rispondere e quindi inutilizzabili ai fini della decisione (r.o.  nn.
 428 e 429 del 1998);
     che  i rimettenti lamentano inoltre che l'art. 513, comma 2, cod.
 proc.  pen.,  vietando   in   mancanza   dell'accordo   delle   parti
 l'acquisizione  delle  dichiarazioni legittimamente assunte prima del
 dibattimento,  deroghi  irragionevolmente   al   principio   di   non
 dispersione  della  prova  e impedisca al giudice la piena conoscenza
 dei fatti del giudizio, cosi' sacrificando l'esercizio della funzione
 giurisdizionale, il cui fine e' quello della ricerca  della  verita',
 con  conseguente  lesione  anche  del  principio dell'obbligatorieta'
 dell'azione penale, in contrasto con gli artt. 3,  25,  101,  secondo
 comma,  della  Costituzione (r.o.   n. 93 del 1998), con gli artt. 3,
 24, secondo comma, 25, secondo comma, 101, secondo comma, 102,  primo
 comma, e 111 della Costituzione (r.o. n. 265 del 1998), con gli artt.
 3,  101  e 112 della Costituzione (r.o. nn. 428 e 429 del 1998, nelle
 quali il principio di non dispersione viene ricondotto agli artt.  2,
 3  e  25,  secondo  comma,  Cost.),  con  gli  artt.  3  e  25  della
 Costituzione (r.o. n. 461 del  1998),  con  gli  artt.  101,  secondo
 comma,  e  111  della  Costituzione  (r.o. n. 494 del 1998, che evoca
 anche l'art. 24 della Costituzione  per  violazione  del  diritto  di
 difesa  della  parte  civile  e del coimputato che abbiano in ipotesi
 interesse alla  utilizzazione  di  dichiarazioni  favorevoli)  e  con
 l'art. 3 della Costituzione (r.o. n. 630 del 1998);
     che,  infine, a giudizio dei rimettenti l'art. 513, comma 2, cod.
 proc. pen., subordinando alla volonta' delle parti  l'ingresso  delle
 dichiarazioni rese in precedenza da imputati in procedimenti connessi
 fra  il materiale probatorio sottoposto alla valutazione del giudice,
 introduce  un  principio  dispositivo  in  materia   probatoria,   in
 contrasto   con  i  principi  di  uguaglianza,  legalita',  esercizio
 dell'azione   penale,   funzione   conoscitiva   del    processo    e
 indefettibilita' della giurisdizione, con violazione degli artt. 101,
 secondo  comma,  e  112 della Costituzione (r.o. n. 93 del 1998, r.o.
 nn. 428 e 429 del 1998; r.o. n. 461 del 1998; r.o. n. 602  del  1998,
 secondo  cui  sarebbe violato anche l'art.  97 Cost.), degli artt. 3,
 25, secondo comma, 102 e 112 della  Costituzione  (r.o.  n.  265  del
 1998);
     che  nei  giudizi  promossi  con le ordinanze iscritte ai nn. 93,
 265, 428, 429, 461, 494 e 630 del r.o. del  1998  e'  intervenuto  il
 Presidente   del  Consiglio  dei  Ministri,  rappresentato  e  difeso
 dall'Avvocatura generale  dello  Stato,  riportandosi  integralmente,
 stante   l'analogia   delle  questioni,  al  contenuto  dell'atto  di
 intervento relativo ai giudizi di costituzionalita' promossi  con  le
 ordinanze  iscritte  ai  nn. 776 e 787 del r.o. del 1997, gia' decisi
 con sentenza n. 361 del 1998, nonche', per  i  giudizi  promossi  con
 ordinanze  iscritte  ai  nn. 265 e 494 del r.o. del 1998, all'atto di
 intervento relativo alla questione  sollevata  con  ordinanza  del  1
 dicembre  1997  dal  Tribunale  di  Lecco,  fissata  per la camera di
 consiglio del 10 febbraio 1999, (r.o. n. 112 del 1998).
   Considerato che tutte le  ordinanze  di  rimessione,  muovendo  dal
 quadro  normativo risultante dalle modifiche introdotte dalla legge 7
 agosto  1997,  n.  267,  sottopongono  a   censura   il   regime   di
 inutilizzabilita'  ai  fini della decisione, in mancanza dell'accordo
 delle parti, delle  dichiarazioni  rese  nella  fase  delle  indagini
 preliminari  dall'imputato in procedimento connesso che si avvalga in
 dibattimento della facolta' di non rispondere;
     che i giudizi, attesa la sostanziale identita'  delle  questioni,
 vanno riuniti;
     che,  successivamente  alla  emissione  delle  ordinanze,  questa
 Corte, con sentenza n. 361 del 1998, ha inciso  sul  predetto  quadro
 normativo, dichiarando la illegittimita' costituzionale, tra l'altro,
 dell'art.    513,  comma  2,  ultimo periodo, del codice di procedura
 penale "nella parte in cui non prevede che,  qualora  il  dichiarante
 rifiuti  o comunque ometta in tutto o in parte di rispondere su fatti
 concernenti la  responsabilita'  di  altri  gia'  oggetto  delle  sue
 precedenti  dichiarazioni,  in mancanza dell'accordo delle parti alla
 lettura si applica l'art.   500, commi  2-bis  e  4,  del  codice  di
 procedura penale";
     che  pertanto  occorre  restituire gli atti ai giudici rimettenti
 affinche'  verifichino  se,  alla   luce   della   nuova   disciplina
 applicabile  a  seguito  della sentenza n. 361 del 1998, le questioni
 sollevate siano tuttora rilevanti;
     che  per   quanto   concerne   la   questione   di   legittimita'
 costituzionale   dell'art.   514   cod.   proc.  pen.  sollevata,  in
 riferimento agli artt.   3, 24, 101,  secondo  comma,  e  111,  primo
 comma,  della Costituzione dal Tribunale di Avezzano, con la sentenza
 richiamata questa Corte ha dichiarato l'inammissibilita'  di  analoga
 questione  sul  presupposto che "l'art. 514 non ha autonomo contenuto
 normativo rispetto alle  regole  di  utilizzazione  probatoria  delle
 dichiarazioni rese in precedenza";
     che   pertanto   la   questione   va   dichiarata  manifestamente
 inammissibile.
   Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11  marzo  1953,  n.
 87  e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.