ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale  degli  artt.  91  e  92,
 commi  1  e 2, del codice di procedura civile, promosso con ordinanza
 emessa il  15  giugno  1998  dal  giudice  di  pace  di  Firenze  nel
 procedimento civile vertente tra Migliori Monica e Perrotta Domenico,
 iscritta  al  n.  598  del registro ordinanze 1998 e pubblicata nella
 Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  37,  prima  serie  speciale,
 dell'anno 1998.
   Udito  nella  camera  di  consiglio del 10 febbraio 1999 il giudice
 relatore Cesare Ruperto.
   Ritenuto  che  -  nel  corso  di  un  giudizio avente ad oggetto il
 pagamento di somme dovute per il mantenimento della prole, in cui  il
 convenuto,  dichiarato contumace, era tuttavia comparso personalmente
 dimostrando l'avvenuto, seppur tardivo, pagamento  -  il  giudice  di
 pace  di Firenze, chiamato a pronunciarsi sulla richiesta di condanna
 alle spese, ha sollevato, con ordinanza emessa  il  15  giugno  1998,
 questione  di  legittimita' costituzionale degli artt. 91 e 92, comma
 1, "fino a "superflue"", e comma 2, cod. proc. civ.,  in  riferimento
 agli artt. 3 e 24 Cost.;
     che,  secondo  il  rimettente,  "gli  articoli 91 e 92 cod. proc.
 civ. non assicurano la effettiva possibilita' di  pagare  le  proprie
 spese  di  lite  con  quelle poste a carico della controparte in base
 alla sentenza di  condanna",  per  cui  "la  parte  attrice,  benche'
 vincente,  se  non  e'  abbiente, pur non trovandosi nelle condizioni
 molto restrittive di aver diritto al gratuito patrocinio, puo' essere
 nella situazione di non poter far fronte alle spese processuali", con
 conseguente impedimento dell'esercizio del suo  diritto  alla  difesa
 tecnica,  e puo' comunque "essere indotta a rinunciare a far valere i
 propri diritti in giudizio  per  non  correre  il  rischio  di  dover
 rifondere,   in  caso  di  soccombenza,  le  spese  processuali  alla
 controparte,  spesso  di  importo  molto  consistente  rispetto  alle
 possibilita'  economiche  di chi ha mezzi limitati", quand'invece "la
 parte attrice abbiente non ha questi problemi";
     che inoltre - sempre secondo il rimettente - "gli articoli  91  e
 92  cod.  proc.  civ. mettono nelle stesse condizioni di obbligati al
 pagamento delle spese processuali di soccombenza sia il convenuto che
 ha la possibilita' di effettuarlo e sia il convenuto che non ha  tale
 possibilita',  per cui quest'ultimo puo' trovarsi nella situazione di
 non essersi costituito in giudizio per non poter pagare un  difensore
 e  di  essere  poi  condannato a rifondere le spese processuali della
 parte attrice, pur  non  avendo  potuto  pagare  neppure  un  proprio
 difensore  con  il  quale  costituirsi in giudizio, mentre totalmente
 diversa e' la condizione del convenuto abbiente".
   Considerato  che  il  giudice  a  quo,   omettendo   una   puntuale
 motivazione  sulla  rilevanza  della sollevata questione, si limita a
 notare che "il processo (pendente davanti  a  lui)  ha  come  residuo
 oggetto  di controversia solamente le spese processuali, in relazione
 alle quali la decisione va presa in base agli  artt.  91  e  92  cod.
 proc. civ.";
     che  gia'  da  tale  notazione appare evidente, in riferimento ad
 entrambi i parametri evocati, l'irrilevanza  della  questione  stessa
 per  quanto  concerne  chi  agisce in giudizio, proprio perche' nella
 specie l'attrice,  non  solo  ha  gia'  fatto  valere,  ma  ha  anche
 realizzato la sua pretesa creditoria;
     che altrettanto va detto per quanto concerne il diritto di difesa
 di  chi e' chiamato in giudizio, poiche' nella specie il convenuto ha
 avuto modo di paralizzare  in  concreto  l'azione  della  controparte
 dimostrando il proprio adempimento;
     che,  relativamente  poi alla prospettata violazione dell'art.  3
 della Costituzione per  ingiustificata  parita'  di  trattamento  fra
 convenuti   abbienti   e   convenuti  non  abbienti,  risulta  palese
 l'estraneita' della censura alle denunciate disposizioni, le quali si
 limitano infatti a  regolare  l'onere  delle  spese  processuali  fra
 attore  e  convenuto  in base al principio di soccombenza, egualmente
 valido per entrambi e comunque derogabile dal giudice ove  sussistano
 "giusti  motivi",  mentre invece le condizioni economiche di ciascuno
 di essi potrebbero semmai assumere rilievo  (unicamente)  in  diversa
 sede,  come  puo'  essere  quella  del  gratuito patrocinio, alla cui
 attuale estensione andrebbe eventualmente rivolta detta censura;
     che pertanto la questione e' manifestamente inammissibile.
   Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11  marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.