ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel  giudizio  di  legittimita' costituzionale dell'art. 32, comma 2,
 della legge 23 dicembre 1994, n.  724  (Misure  di  razionalizzazione
 della finanza pubblica), cosi' come modificato dall'art. 5, commi 6 e
 7,  del  d.-l.  2  ottobre  1995,  n.  415,  convertito in legge, con
 modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 29 novembre 1995, n.
 507 promosso con ordinanza emessa il 30 settembre 1997 dal pretore di
 Roma nel procedimento civile vertente tra Amati Tullia e il Ministero
 delle finanze iscritta al  n.  859  del  registro  ordinanze  1997  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 52, prima
 serie speciale, dell'anno 1997;
   Udito nella camera di consiglio del 10  febbraio  1999  il  giudice
 relatore Fernando Santosuosso;
   Ritenuto che nel corso del giudizio civile promosso da Amati Tullia
 nei  confronti  del  Ministero  delle  finanze  il pretore di Roma ha
 sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di
 legittimita' costituzionale dell'art. 32, comma  2,  della  legge  23
 dicembre  1994,  n.  724  (Misure  di razionalizzazione della finanza
 pubblica), cosi' come modificato dall'art. 5, commi 6 e 7, del  d.-l.
 2  ottobre  1995,  n.  415,  convertito  in legge, con modificazioni,
 dall'art. 1, comma 1, della legge 29 novembre 1995, n. 507;
     che la norma impugnata dispone, a decorrere dal 1  gennaio  1995,
 un  aumento  dei  canoni  dei  beni immobili dello Stato (demaniali e
 patrimoniali), destinati  ad  uso  abitativo,  concessi  o  locati  a
 privati,  nella  misura  del  doppio o del quintuplo a seconda che il
 reddito annuo del nucleo familiare cui appartiene il  conduttore  sia
 superiore od inferiore ad ottanta milioni di lire;
     che,  secondo il giudice rimettente, siffatta previsione, benche'
 parzialmente modificata dall'art. 5, commi 6 e 7, del d.-l. 2 ottobre
 1995, n. 415 sopra  richiamato,  crea  una  serie  di  ingiustificate
 discriminazioni,  poiche'  da un lato assoggetta all'aumento soltanto
 gli immobili appartenenti allo Stato e non anche  quelli  degli  enti
 territoriali minori, e dall'altro fissa tale incremento sulla base di
 due  sole  fasce  di  reddito,  il  che implica grandi differenze tra
 soggetti che godono di redditi di poche lire superiori o inferiori ad
 ottanta milioni;
     che  il  testo  della  norma  impugnata  lascia  intendere  senza
 possibilita'  di  dubbio  che  l'aumento  va applicato in costanza di
 rapporto contrattuale (dal 1 gennaio 1995), il che si traduce,  anche
 per  i  beni  dati  in  locazione  dallo Stato iure privatorum in una
 ingiustificata posizione di forza del locatore, che  potrebbe  essere
 accettabile  soltanto in presenza di una concessione amministrativa;
     che  il  pretore sostiene la rilevanza della questione poiche' il
 giudizio verte sul riconoscimento, chiesto dalla parte  privata,  che
 il canone e' quello fissato secondo gli articoli 12-24 della legge n.
 392 del 1978.
   Considerato  che,  successivamente all'ordinanza istruttoria emessa
 da questa Corte in data 9 marzo 1998, la materia in oggetto e'  stata
 regolata  diversamente  dall'art.  23  della  legge 8 maggio 1998, n.
 146;
     che tale norma ha stabilito, con efficacia retroattiva decorrente
 dal 1 gennaio 1994, che "il rapporto di locazione avente  ad  oggetto
 gli  immobili  del  demanio e del patrimonio dello Stato destinati ad
 uso abitativo dei dipendenti pubblici e' disciplinato dalla legge  27
 luglio 1978, n. 392, e successive modifiche";
     che   la   normativa   sul  cosiddetto  "equo  canone"  e'  stata
 profondamente modificata dalla successiva legge 9 dicembre  1998,  n.
 431,  senza  peraltro  che le nuove norme si applichino ai giudizi in
 corso (art.  14, comma 5, della legge ora citata);
     che dalla documentazione pervenuta a  questa  Corte  in  ossequio
 alle  richieste  istruttorie formulate risulta che nel giudizio a quo
 la conduttrice dell'immobile e' anche una dipendente pubblica;
     che  pertanto,  alla  luce  delle   intervenute   modifiche   che
 costituiscono  ius  superveniens  e' opportuno restituire gli atti al
 pretore di Roma, affinche' valuti la permanenza del  requisito  della
 rilevanza.