ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 6 legge 7 agosto
 1997,  n.  267  (Modifica  delle disposizioni del codice di procedura
 penale in tema di valutazione delle  prove),  in  relazione  all'art.
 513,  comma 2, del codice di procedura penale, promossi con ordinanze
 emesse il 12 dicembre 1997 dalla Corte d'assise  di  Messina,  il  16
 gennaio  1998  dal  Tribunale  di  Genova,  il  20  febbraio 1998 dal
 Tribunale di Roma, il 18 novembre 1997 dal Tribunale di Milano, il 26
 marzo 1998 dal Tribunale di Trieste, il 6 aprile 1998  dal  Tribunale
 di   Pescara   ed   il   5  dicembre  1997  dal  Tribunale  di  Roma,
 rispettivamente iscritte ai nn. 96, 221, 289, 321, 415, 416 e 544 del
 registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta  Ufficiale  della
 Repubblica  nn.  9,  14,  17,  19,  24  e  34,  prima serie speciale,
 dell'anno 1998.
   Visti gli atti di  intervento  del  presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del 27 gennaio 1999 il giudice
 relatore Guido Neppi Modona.
   Ritenuto che la Corte di assise di Messina, il Tribunale di Genova,
 il Tribunale di Roma, il Tribunale di Milano, il Tribunale di Trieste
 e il Tribunale di Pescara hanno sollevato questione  di  legittimita'
 costituzionale  dell'art.  6  della  legge  7  agosto  1997,  n.  267
 (Modifica delle disposizioni del codice di procedura penale  in  tema
 di  valutazione delle prove), in riferimento agli artt. 2, 3, 24, 97,
 101, 111 e 112 della Costituzione;
     che il Tribunale di Milano (r.o. n. 321  del  1998)  censura,  in
 riferimento  agli  artt.  3  e 24 Cost., l'art. 6, commi 2 e 5, della
 legge n. 267  del  1997  nella  parte  in  cui  prevede  la  limitata
 efficacia  probatoria delle dichiarazioni gia' acquisite ai sensi del
 previgente art. 513 cod. proc. pen.,  allorche'  i  soggetti  di  cui
 all'art.  210  cod.  proc. pen., nuovamente citati su richiesta delle
 parti, si avvalgano ancora della facolta' di non rispondere;
     che gli  altri  rimettenti  rivolgono  la  censura  alla  mancata
 estensione della regola di valutazione probatoria contenuta nel comma
 5  dell'art.    6 della legge n. 267 del 1997 alle dichiarazioni rese
 dai soggetti indicati nell'art. 513 cod. proc. pen. che si  avvalgono
 in  dibattimento  della facolta' di non rispondere, al di fuori della
 situazione regolata dal comma 2 della medesima disposizione, e  cioe'
 nel  caso  in  cui  al  momento dell'entrata in vigore della predetta
 legge non sia stata ancora disposta la  lettura  delle  dichiarazioni
 rese in precedenza;
     che la censura e' prospettata in riferimento agli artt. 2, 3, 24,
 101  e  112 della Costituzione dalla Corte di assise di Messina (r.o.
 n. 96 del 1998); in riferimento all'art.  3  della  Costituzione  dal
 Tribunale  di  Genova  (r.o. n. 221 del 1998) e dal Tribunale di Roma
 (r.o. nn. 289 e 544 del 1998); in riferimento agli artt. 3, 97, primo
 comma, 101,  secondo  comma,  della  Costituzione  dal  Tribunale  di
 Trieste (r.o. n. 415 del 1998); in riferimento agli artt. 3, 101, 111
 e  112  della  Costituzione dal Tribunale di Pescara (r.o. n. 416 del
 1998);
     che  le  questioni  di  legittimita'  costituzionale  sono  state
 sollevate dalla Corte di assise di Messina, dal Tribunale di  Genova,
 dal  Tribunale  di  Roma, dal Tribunale di Trieste e dal Tribunale di
 Pescara nel corso  di  dibattimenti  nei  quali  alcuni  imputati  in
 procedimenti  connessi,  citati  per la prima volta dopo l'entrata in
 vigore della legge n.  267 del 1997, si erano avvalsi della  facolta'
 di  non  rispondere, e le parti non avevano prestato il consenso alla
 utilizzazione delle dichiarazioni rese in precedenza;
     che la questione di costituzionalita' prospettata  dal  Tribunale
 di  Milano  e' stata sollevata nel corso di un dibattimento nel quale
 erano gia' stati acquisiti, ai sensi del  previgente  art.  513  cod.
 proc.  pen.,  i  verbali delle dichiarazioni rese durante le indagini
 preliminari  da  numerosi  imputati  di  reato   connesso,   che   in
 dibattimento  si erano avvalsi della facolta' di non rispondere e dei
 quali molti, nuovamente citati dopo l'entrata in vigore  della  legge
 n.  267  del  1997,  si  avvalevano  ancora  della  facolta'  di  non
 rispondere;
     che secondo  il  Tribunale  di  Milano  la  disciplina  impugnata
 contrasta  con  gli artt. 3 e 24 della Costituzione perche' determina
 una irragionevole diversita' di  trattamento,  dipendente  unicamente
 dal dato temporale nel quale si colloca l'esercizio della facolta' di
 non rispondere dell'imputato di reato connesso, in relazione sia alla
 regola  di  valutazione  dettata  dall'art.  192, comma 3, cod. proc.
 pen., sia ai casi in cui le  dichiarazioni  acquisite  ai  sensi  del
 previgente  art.  513 cod. proc. pen. siano riferibili a soggetti dei
 quali non e' stata chiesta nuova  citazione  ai  sensi  del  comma  2
 dell'art. 6 della legge n. 267 del 1997: con incidenza sul diritto di
 difesa  dell'imputato,  che  puo'  essere leso dalla diversita' delle
 regole di valutazione probatoria applicabili a situazioni di identico
 contenuto processuale;
     che,  ad  avviso  degli   altri   rimettenti,   la   disposizione
 transitoria,  nella  parte  in  cui  non  e'  applicabile  a  tutti i
 dibattimenti in corso, contrasta  con  l'art.  3  della  Costituzione
 perche'  determina  una  irragionevole  disparita' di trattamento tra
 imputati, limitando o escludendo nei loro confronti, in ragione dello
 stato del procedimento, l'utilizzabilita'  delle  dichiarazioni  rese
 dai  soggetti  indicati  nell'art. 513 cod.  proc. pen. anteriormente
 all'entrata in vigore della novella  e  assunte  nel  rispetto  della
 normativa allora vigente;
     che  la  mancata  estensione  della  regola  di  utilizzabilita',
 quantunque attenuata, prevista dall'art. 6, comma 5, della  legge  n.
 267  del 1997, alle dichiarazioni in precedenza rese dall'imputato in
 procedimento connesso, che si avvalga in dibattimento della  facolta'
 di  non  rispondere per la prima volta dopo l'entrata in vigore della
 legge, violerebbe altresi',  sotto  altro  profilo,  l'art.  3  della
 Costituzione  nonche'  gli  artt.  2,  24,  97,  101, 111 e 112 della
 Costituzione perche', comportando  la  irragionevole  dispersione  di
 elementi  di  prova  legittimamente  raccolti,  sacrifica l'esercizio
 della funzione giurisdizionale, il cui fine e' quello  della  ricerca
 della   verita'   (r.o.   nn.  96/1998,  415/1998  e  416/1998),  con
 conseguente lesione dei principi di uguaglianza e di  obbligatorieta'
 dell'azione penale (r.o. nn. 96/1998 e 415/1998) e pregiudizio per il
 buon  andamento  della  giustizia  e l'efficienza del processo penale
 (r.o. n. 415/1998);
     che  e'  intervenuto  il  Presidente  del Consiglio dei Ministri,
 rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
 riportandosi  integralmente,  stante  l'analogia  delle questioni, al
 contenuto  dell'atto   di   intervento   relativo   ai   giudizi   di
 costituzionalita' promossi con le ordinanze iscritte ai nn. 776 e 787
 del r.o. del 1997, gia' decisi con sentenza n. 361 del 1998.
   Considerato che, pur nelle loro diverse articolazioni, le questioni
 di  costituzionalita'  sono  tutte  riconducibili alla denuncia della
 irragionevolezza - e delle  ricadute  in  termini  di  ingiustificata
 disparita'   di  trattamento  e  di  violazione  dei  principi  della
 indefettibilita'   della   giurisdizione,    della    obbligatorieta'
 dell'azione  penale  e  del  giusto  processo - di una disciplina che
 assoggetta la  valutazione  delle  dichiarazioni  acquisite  a  norma
 dell'art.  513,  commi 1 e 2, cod. proc. pen. ad un nuovo criterio di
 giudizio, ovvero ne subordina l'utilizzazione alle regole  introdotte
 dalla  legge n. 267 del 1997, in base al mero dato occasionale che al
 momento dell'entrata in vigore della legge le  dichiarazioni  fossero
 gia' state acquisite mediante lettura;
     che i giudizi, attesa l'analogia delle questioni, vanno riuniti;
     che,  successivamente  alla  emissione  delle  ordinanze,  questa
 Corte, con sentenza n. 361 del 1998,  nel  disporre  la  restituzione
 degli  atti  relativi  a  questioni che avevano censurato la medesima
 normativa transitoria, ha affermato che doveva  essere  valutato  dai
 giudici  a  quibus  se le questioni potessero considerarsi superate a
 seguito della modifica della disciplina a regime, "che  ora  permette
 di  recuperare  mediante  il  sistema  delle  contestazioni i singoli
 contenuti narrativi delle dichiarazioni rese in precedenza";
     che pertanto occorre restituire gli atti  ai  giudici  rimettenti
 affinche'  verifichino  se,  alla luce della disciplina applicabile a
 seguito della sentenza n. 361 del 1998, le questioni sollevate  siano
 tuttora rilevanti.