ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 513, commi 1 e
 2, 238, comma 2-bis del codice di procedura penale  e  dell'art.    6
 della  legge  7  agosto 1997, n. 267 (Modifica delle disposizioni del
 codice di procedura penale  in  tema  di  valutazione  delle  prove),
 promossi  con  ordinanze  emesse  il  16 dicembre 1997 dal pretore di
 Pisa, sezione distaccata di Pontedera, il 3 aprile 1998 dal Tribunale
 di Milano, il 28 marzo 1998 dal Tribunale di Verbania,  il  2  aprile
 1998  (n. 2 ordinanze) dal Tribunale di Milano, l'11 e il 16 febbraio
 1998 e il 14 gennaio 1998 dal Tribunale di Monza e il 1  giugno  1998
 dal  Tribunale  di Pescara, rispettivamente iscritte ai nn. 433, 462,
 463, 464, 465, 470, 471, 634 e 712  del  registro  ordinanze  1998  e
 pubblicate  nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 25, 26, 28,
 38 e 41, prima serie speciale, dell'anno 1998.
   Visti gli atti di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
 Ministri;
   Udito  nella  camera  di  consiglio del 24 febbraio 1999 il giudice
 relatore Guido Neppi Modona.
   Ritenuto che il  pretore  di  Pisa,  il  Tribunale  di  Milano,  il
 Tribunale  di  Verbania,  il  Tribunale  di  Monza  e il Tribunale di
 Pescara  hanno  sollevato,   con   nove   ordinanze,   questione   di
 legittimita'  costituzionale  degli  artt.  513,  comma 2, 238, comma
 2-bis del codice di procedura penale e  dell'art.  6  della  legge  7
 agosto  1997,  n.  267  (Modifica  delle  disposizioni  del codice di
 procedura penale in tema di valutazione delle prove), in  riferimento
 agli artt. 3, 24, 25, 101, 111 e 112 della Costituzione;
     che,  in  particolare, il pretore di Pisa (r.o. n. 433 del 1998),
 il Tribunale di Milano (r.o.  nn.  462,  464  e  465  del  1998),  il
 Tribunale  di Verbania (r.o. n. 463 del 1998) e il Tribunale di Monza
 (r.o.   nn. 470, 471 e 634  del  1998)  dubitano  della  legittimita'
 costituzionale,  in  riferimento  agli  artt.  3,  25, 101, 111 e 112
 Cost., dell'art.   513, comma 2, cod.  proc.  pen.,  come  modificato
 dalla  legge  7  agosto  1997,  n.  267, nella parte in cui subordina
 all'accordo delle parti l'utilizzabilita'  ai  fini  della  decisione
 delle  dichiarazioni  rese  nella fase delle indagini dai soggetti di
 cui all'art. 210 cod. proc.  pen., che si  avvalgono  a  dibattimento
 della facolta' di non rispondere, in quanto, consentendo alle parti e
 ai  dichiaranti ex art. 210 cod.  proc. pen. di disporre della prova,
 ostacola  l'accertamento  della  verita',   cosi'   irragionevolmente
 sacrificando  i principi del giusto processo - nel quale il principio
 dell'oralita' deve essere bilanciato con quello  di  non  dispersione
 degli    elementi    di    prova    legittimamente    acquisiti    -,
 dell'obbligatorieta' dell'azione penale, della soggezione del giudice
 soltanto alla legge, della indefettibilita' della giurisdizione;
     che il pretore di Pisa, il Tribunale di Milano e il Tribunale  di
 Verbania   ritengono,   inoltre,  che  la  disposizione  impugnata  -
 precludendo  la  utilizzazione  ai   fini   della   decisione   delle
 dichiarazioni  contra  alios  rese  in  precedenza da soggetto che si
 avvale in dibattimento della facolta' di non rispondere  e  che,  per
 tale    motivo,    risultano   oggettivamente   e   imprevedibilmente
 irripetibili  -  detta  irragionevolmente  una   disciplina   diversa
 rispetto  ai  casi  consimili,  disciplinati  dagli  artt. 500, comma
 2-bis, e 512 cod.  proc.  pen.,  nei  quali  pure  si  determina  una
 oggettiva  e  non prevedibile impossibilita' di ripetizione dell'atto
 dichiarativo;
     che  il  pretore  di  Pisa  censura,  inoltre,  la  irragionevole
 disparita'  di  trattamento rispetto al testimone che la disposizione
 impugnata  riserverebbe  all'imputato  di  reato  connesso   la   cui
 posizione  sia  stata  definita  con sentenza divenuta irrevocabile e
 che, a differenza del testimone, puo' rifiutare di rispondere;
     che  il  Tribunale  di  Verbania   assume   che,   subordinandosi
 all'accordo  delle  parti  l'utilizzabilita'  delle  dichiarazioni in
 precedenza rese da imputato di reato  connesso,  sarebbe  leso  anche
 l'art.  24  Cost.,  e  cioe'  il diritto di difesa del coimputato che
 abbia,   in   ipotesi,   interesse   all'acquisizione    di    quelle
 dichiarazioni;
     che  il  pretore  di  Pisa  estende  le  medesime censure rivolte
 all'art.  513, comma 2, cod. proc. pen., in riferimento agli artt. 3,
 101, 111 e 112 Cost., all'art. 238, comma 2-bis cod. proc. pen;
     che il Tribunale di Monza impugna formalmente anche  l'art.  513,
 comma  1, cod. proc. pen., non rilevante nel giudizio a quo e censura
 con le medesime argomentazioni  svolte  in  relazione  all'art.  513,
 comma  2,  cod.  proc.  pen. l'art. 6 della legge n. 267 del 7 agosto
 1997, nella parte in cui non prevede  che  la  previgente  disciplina
 continui  a trovare applicazione nei processi nei quali, alla data di
 entrata in vigore della legge, era gia' stato emesso il  decreto  che
 dispone il giudizio;
     che,  infine,  il  Tribunale  di  Pescara  (r.o. n. 712 del 1998)
 dubita della legittimita' costituzionale, in riferimento  agli  artt.
 3,  101,  111 e 112 Cost., dell'art. 6, commi da 2 a 5, della legge 7
 agosto 1997 n. 267, in relazione all'art. 513, comma  2,  cod.  proc.
 pen.,  nella parte in cui non prevede che il regime transitorio debba
 trovare applicazione nei giudizi in corso  anche  quando  al  momento
 dell'entrata  in  vigore  della  legge  n. 267 del 1997 non e' ancora
 stata disposta la lettura  delle  dichiarazioni  rese  dalle  persone
 indicate   dall'art.    513  cod.  proc.  pen.  che  si  avvalgono  a
 dibattimento della facolta' di non rispondere;
     che a parere del Tribunale di Pescara le disposizioni transitorie
 censurate disciplinerebbero diversamente  situazioni  sostanzialmente
 identiche, escludendo l'utilizzazione, sia pure con ridotta efficacia
 probatoria,  delle  dichiarazioni rese dagli imputati in procedimento
 connesso che si  avvalgono  a  dibattimento  della  facolta'  di  non
 rispondere  quando  nei  procedimenti  in  corso  non  sia stata gia'
 disposta la lettura  dei  verbali  dei  precedenti  interrogatori,  e
 recherebbero  in  tal modo irrimediabile pregiudizio all'accertamento
 della verita', fine primario della giurisdizione, e  ai  principi  di
 uguaglianza, legalita' e obbligatorieta' dell'azione penale;
     che  le  questioni sono state sollevate in altrettanti giudizi di
 primo grado nei quali la difesa degli imputati non  aveva  consentito
 alla  utilizzazione  delle  dichiarazioni  rese  durante  le indagini
 preliminari  da  alcuni  imputati  di   reato   connesso,   giudicati
 separatamente, che si erano avvalsi in dibattimento della facolta' di
 non rispondere;
     che in tutti i giudizi e' intervenuto il Presidente del Consiglio
 dei  Ministri,  rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello
 Stato, riportandosi all'atto di intervento prodotto in relazione alla
 questione iscritta  al  n.  776  del  registro  ordinanze  del  1997,
 sollevata  dal  Tribunale  di Bologna e decisa con la sentenza n. 361
 del 1998.
   Considerato che le ordinanze di  rimessione,  muovendo  dal  quadro
 normativo  risultante dalle modifiche introdotte dalla legge 7 agosto
 1997, n. 267, sottopongono a censura il regime  di  inutilizzabilita'
 ai  fini della decisione, in mancanza dell'accordo delle parti, delle
 dichiarazioni   rese   nella   fase   delle   indagini    preliminari
 dall'imputato in procedimento connesso che si avvalga in dibattimento
 della facolta' di non rispondere;
     che,   parimenti,   le   questioni   relative  alla  disposizione
 transitoria censurano tale disciplina nella parte  in  cui  subordina
 l'utilizzazione,    ovvero    assoggetta    la   valutazione,   delle
 dichiarazioni  rese  in  precedenza  dall'imputato  in   procedimento
 connesso  che  si  avvalga  in  dibattimento  della  facolta'  di non
 rispondere, alle regole introdotte dalla legge n. 267 del 1997, sulla
 base del dato meramente occasionale che, al momento  dell'entrata  in
 vigore  della  legge,  le  dichiarazioni fossero gia' state acquisite
 mediante lettura;
     che i giudizi, attesa la sostanziale identita'  delle  questioni,
 vanno riuniti;
     che  successivamente alla emissione delle ordinanze questa Corte,
 con sentenza  n.  361  del  1998,  ha  inciso  sul  quadro  normativo
 modificato dalla legge n. 267 del 1997, dichiarando la illegittimita'
 costituzionale,  tra l'altro, dell'art. 513, comma 2, ultimo periodo,
 cod. proc. pen.   "nella parte in cui non  prevede  che,  qualora  il
 dichiarante  rifiuti  o  comunque  ometta  in  tutto  o  in  parte di
 rispondere su fatti concernenti  la  responsabilita'  di  altri  gia'
 oggetto  delle sue precedenti dichiarazioni, in mancanza dell'accordo
 delle parti alla lettura si applica l'art.  500, commi 2-bis e 4, del
 codice di procedura penale", ed affermando, in relazione a  questioni
 che  avevano impugnato le disposizioni transitorie, che doveva essere
 valutato dai giudici a quibus se le questioni potessero  considerarsi
 superate a seguito della modifica della disciplina a regime, "che ora
 permette  di  recuperare  mediante  il  sistema delle contestazioni i
 singoli contenuti narrativi delle dichiarazioni rese in precedenza";
     che pertanto occorre restituire gli atti  ai  giudici  rimettenti
 affinche'  verifichino  se,  alla luce della disciplina applicabile a
 seguito della sentenza n. 361 del 1998, le questioni sollevate  siano
 tuttora rilevanti.