ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 289,  comma  2,
 del  codice  di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 28
 marzo  1998  dal  giudice  per  le  indagini  preliminari  presso  il
 Tribunale  di  Nola  nel  procedimento  penale  a  carico  di Umberto
 Chiacchio ed altri, iscritta al n. 446 del registro ordinanze 1998  e
 pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale  della Repubblica n. 25, prima
 serie speciale, dell'anno 1998.
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del  10  marzo 1999 il giudice
 relatore Gustavo Zagrebelsky.
   Ritenuto che il giudice  per  le  indagini  preliminari  presso  il
 Tribunale  di Nola, con ordinanza del 28 marzo 1998, ha sollevato, in
 riferimento agli artt.  3  e  24  della  Costituzione,  questione  di
 legittimita'  costituzionale dell'art. 289, comma 2, cod. proc. pen.,
 nel testo modificato dall'art.  2 della legge 16 luglio 1997, n.  234
 (Modifica  dell'articolo  323  del codice penale, in materia di abuso
 d'ufficio, e degli articoli 289, 416 e 555 del  codice  di  procedura
 penale);
     che  il  rimettente  e'  chiamato, nell'ambito di un procedimento
 penale a carico di pubblici ufficiali o  incaricati  di  un  pubblico
 servizio per delitti di peculato e di falso documentale, a provvedere
 sulla  richiesta  del  pubblico  ministero  di applicazione di misure
 cautelari  personali  coercitive  (custodia  cautelare  in   carcere,
 arresti domiciliari) nei confronti di alcuni indagati;
     che  lo  stesso rimettente ritiene che nel caso concreto, ai fini
 della tutela dell'esigenza  cautelare  -  che  e'  ravvisabile  nella
 specie  -  di  prevenzione  rispetto  alla  possibile  commissione di
 ulteriori reati (art. 274, comma 1, lettera c), la  misura  cautelare
 adeguata  e  proporzionata  (alla stregua dei criteri posti dall'art.
 275) sia quella interdittiva della sospensione dall'esercizio  di  un
 pubblico ufficio o servizio, a norma dell'art. 289 cod. proc. pen;
     che  il  suddetto  art.  289,  nel comma 2, come modificato dalla
 legge n.  234  del  1997,  dispone  che  "nel  corso  delle  indagini
 preliminari, prima di decidere sulla richiesta del pubblico ministero
 di  sospensione  dall'esercizio di un pubblico ufficio o servizio, il
 giudice procede all'interrogatorio dell'indagato,  con  le  modalita'
 indicate agli articoli 64 e 65" del codice;
     che  tale  prescrizione dell'interrogatorio, prima di disporre la
 misura interdittiva in argomento, vale, ad avviso del rimettente, nel
 solo caso in cui il pubblico ministero abbia richiesto l'applicazione
 della misura medesima, e  non  anche  nel  caso,  che  ricorre  nella
 specie, in cui il pubblico ministero abbia richiesto misure cautelari
 solo  di tipo coercitivo, ma il giudice ritenga di disporre quella di
 tipo interdittivo;
     che   l'anzidetta   limitazione   dell'ambito   di   operativita'
 dell'interrogatorio,   anteriormente  all'applicazione  della  misura
 della sospensione dall'esercizio di un pubblico ufficio  o  servizio,
 appare  al  giudice  a  quo  in  contrasto:    a)  con l'art. 3 della
 Costituzione,  per  ingiustificata  disparita'  di  trattamento   tra
 indagati,   sottoposti   alla   medesima   misura   interdittiva   ma
 interrogati, o non interrogati, in conseguenza del tipo  di  "domanda
 cautelare" formulata da parte del pubblico ministero, e b) con l'art.
 24  della  Costituzione,  potendo  essere elusa la garanzia difensiva
 costituita dall'interrogatorio in parola attraverso una richiesta  di
 misura   coercitiva,   e   cio'  benche'  poi  si  pervenga  comunque
 all'applicazione della misura interdittiva per decisione del  giudice
 per le indagini preliminari.
   Considerato  che  il  giudice  rimettente, muovendo dal presupposto
 secondo cui, di fronte a una  richiesta  del  pubblico  ministero  di
 applicazione  di  una  misura cautelare coercitiva, il giudice per le
 indagini preliminari possa  disporre  l'applicazione  di  una  misura
 cautelare   interdittiva,   e   ritenendo  altresi'  che  l'impugnata
 disposizione dell'art. 289, comma 2, cod.  proc.  pen.,  in  tema  di
 previo  interrogatorio,  come modificato dalla legge n. 234 del 1997,
 sia  applicabile  esclusivamente  all'ipotesi  -  che  in   esso   e'
 testualmente considerata - di una originaria richiesta di sospensione
 dall'esercizio  di  un  pubblico  ufficio o servizio, chiede a questa
 Corte, attraverso una pronuncia di incostituzionalita', di  estendere
 l'anzidetta prescrizione dell'interrogatorio a ogni ipotesi in cui il
 giudice  per  le  indagini  preliminari disponga l'applicazione della
 citata misura interdittiva, indipendentemente dal tipo  di  richiesta
 del pubblico ministero;
     che,   relativamente   al   primo  e  piu'  generale  presupposto
 interpretativo  circa  la  possibilita'  di   disporre   una   misura
 interdittiva   in  luogo  di  quella  coercitiva,  richiesta  in  via
 esclusiva  dal  pubblico  ministero,  il  rimettente  si  limita   ad
 affermare   tale   possibilita',   facendo   ripetuto  richiamo  alla
 "gradualita'"  propria  del  procedimento  applicativo  delle  misure
 cautelari (art. 275 cod. proc. pen.);
     che  l'asserzione  risulta  peraltro apodittica, giacche' si basa
 esclusivamente su uno dei criteri di scelta delle  misure  cautelari,
 criteri  che, se valgono in via generale (capo I, titolo I, libro IV,
 cod. proc. pen.) sia per la scelta  tra  quelle  di  tipo  coercitivo
 (capo  II)  sia  per  la scelta tra quelle di tipo interdittivo (capo
 III), non implicano tuttavia necessariamente una "graduazione" tra  i
 due tipi di misure;
     che,  infatti, nonostante siano in parte accomunate sul piano del
 procedimento  di  applicazione,  le  misure  interdittive  e   quelle
 coercitive  presentano, nella disciplina del codice e nella ratio che
 informa le relative direttive della legge-delega n. 81 del 1987 (art.
 2, direttive nn. 59  e  64)  numerosi  e  significativi  elementi  di
 difformita'  (quanto  a  contenuto,  durata,  rimedi  esperibili) che
 delineano,  tra  esse,  una  differenza  di  ordine   categoriale   e
 qualitativo,  come  si  desume  anche dall'art. 276, comma 1, secondo
 periodo, cod.  proc. pen;
     che,  rispetto  a  tale  differenziazione  sostanziale  tra   due
 categorie  di misure, del resto gia' sottolineata da questa Corte (v.
 sentenza  n.  5  del  1994),  cui  corrispondono  distinti  parametri
 costituzionali  di  riferimento, come ad esempio il principio di buon
 andamento della pubblica amministrazione proprio  per  la  misura  ex
 art.  289  cod. proc.  pen. (v. sentenza n. 147 del 1996), e altresi'
 in mancanza di un puntuale orientamento giurisprudenziale  nel  senso
 della   piena  fungibilita'  tra  le  misure  medesime,  la  premessa
 interpretativa della questione di costituzionalita' riveste carattere
 assertivo;
     che, per questo primo profilo, e' ravvisabile  nell'ordinanza  di
 rimessione   una  insufficiente  motivazione  sulla  rilevanza  della
 questione sollevata, giacche' la richiesta del giudice rimettente, di
 generalizzazione dell'interrogatorio,  sta  e  cade  insieme  con  la
 possibilita',  per  lo stesso giudice, di determinarsi - di ufficio -
 nel  senso  della  interdizione,  in  luogo  della  -   richiesta   -
 coercizione:    possibilita',  dunque,  che  e' onere del giudice del
 rinvio argomentare e motivare, ai fini del controllo sulla  rilevanza
 del   dubbio  di  costituzionalita'  rispetto  alla  definizione  del
 giudizio  principale  (art.  23,  secondo comma, della legge 11 marzo
 1953, n. 87);
     che, relativamente all'ulteriore  aspetto  della  impossibilita',
 per  il  giudice,  di  svolgere l'interrogatorio previsto dalla norma
 impugnata allorche' egli si  determini  nel  senso  dell'applicazione
 della  misura  interdittiva  di  cui  all'art.  289 cod. proc. pen. a
 fronte di una richiesta cautelare coercitiva da parte dell'accusa, si
 deve rilevare comunque - e cioe' indipendentemente dalla  gia'  detta
 lacuna   argomentativa   quanto   al   profilo  che  precede  -  che,
 prospettando l'incostituzionalita'  della  norma,  il  rimettente  ne
 trascura  ogni  possibile interpretazione alternativa a quella che lo
 porta a sollevare la questione di costituzionalita';
     che in tal modo il giudice a quo  e'  venuto  meno  all'onere  di
 ricercare,  e  privilegiare,  le possibili ipotesi interpretative che
 consentano di adeguare la disposizione di legge ai parametri che egli
 invoca a sostegno del suo dubbio sulla costituzionalita' della  norma
 impugnata;
     che  tale ricerca, come questa Corte ha numerose volte affermato,
 e' viceversa necessaria, poiche', in via di principio, "le leggi  non
 si  dichiarano  costituzionalmente  illegittime  perche' e' possibile
 darne interpretazioni incostituzionali (e qualche giudice ritenga  di
 darne),    ma    perche'   e'   impossibile   darne   interpretazioni
 costituzionali" (sentenza n. 356 del 1996);
     che l'interpretazione del rimettente risulta viceversa prescelta,
 tra le possibili, appunto in vista del promovimento  della  questione
 di costituzionalita';
     che,  pertanto,  impropriamente  il giudice rimettente richiede a
 questa Corte una pronuncia che risolva i dubbi che egli  nutre  circa
 la  possibile  contraddizione  tra  la  norma cosi' interpretata e la
 Costituzione, essendo allo stesso giudice affidato  primariamente  il
 compito  -  tanto  piu'  ineludibile,  in  assenza  di  un  contrario
 orientamento giurisprudenziale (v., da ultimo, ordinanza n.  167  del
 1998)  - di ricostruire il sistema normativo e di prescegliere, nella
 misura del possibile  e  con  gli  strumenti  interpretativi  di  cui
 dispone, la lettura che eviti l'anzidetta contraddizione;
     che  sotto  entrambi  i profili la questione di costituzionalita'
 sollevata   deve   pertanto    essere    dichiarata    manifestamente
 inammissibile.
   Visti  gli  artt.  26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.