ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel  giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 604 del codice
 di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 2  giugno  1998
 dalla Corte di appello di Venezia nel procedimento penale a carico di
 V.  G.,  iscritta  al n. 566 del registro ordinanze 1998 e pubblicata
 nella  Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  36,  prima   serie
 speciale, dell'anno 1998.
   Udito  nella  camera  di  consiglio  del  12 maggio 1999 il giudice
 relatore Guido Neppi Modona.
   Ritenuto che con ordinanza del 2 giugno 1998 la Corte di appello di
 Venezia ha sollevato, in riferimento all'art. 3  della  Costituzione,
 questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 604 del codice di
 procedura penale, nella parte  in  cui  non  prevede  il  potere  del
 giudice  di appello di disporre la trasmissione degli atti al giudice
 di primo grado per effetto  della  dichiarazione  di  nullita'  della
 sentenza  di  primo  grado  per incompletezza del dispositivo ex art.
 546, comma 3, cod. proc. pen.;
     che il giudice rimettente  premette  di  essere  stato  investito
 dell'appello  del  pubblico  ministero,  che  con  il primo motivo di
 impugnazione aveva eccepito la nullita' della sentenza con  la  quale
 il  Tribunale  di  Venezia  aveva dichiarato non doversi procedere in
 ordine al reato di esercizio arbitrario delle  proprie  ragioni,  per
 l'omessa    indicazione    nel    dispositivo   della   causa   della
 improcedibilita';
     che il giudice a quo rileva che, ove venga accertata la  nullita'
 della   sentenza   per   carenza   di   motivazione,   per   costante
 interpretazione  giurisprudenziale  della  Corte  di  cassazione   il
 giudice  di  appello deve decidere nel merito, sostituendo la propria
 pronuncia a quella del giudice di primo grado, in quanto le  nullita'
 della  sentenza  previste dall'art. 546, comma 3, cod. proc. pen. non
 sono menzionate dall'art. 604 cod.  proc.  pen.  tra  le  ipotesi  di
 nullita' per le quali deve essere disposta la trasmissione degli atti
 al giudice di primo grado;
     che   ad  avviso  del  rimettente  tale  disciplina  deve  essere
 applicata, per identita' di ratio, all'ipotesi di  incompletezza  del
 dispositivo,  anch'essa  presa in considerazione dall'art. 546, comma
 3, cod. proc.  pen.;
     che peraltro, cosi' operando, il giudice di appello  dovrebbe  in
 sostanza  procedere  ad  una correzione del dispositivo, in contrasto
 con quanto previsto dall'art. 547  cod.  proc.  pen.,  che  vieta  il
 ricorso  alla procedura della correzione degli errori materiali (art.
 130 cod. proc. pen.) nel caso in cui ricorrano le ipotesi di nullita'
 della sentenza contemplate dall'art. 546, comma 3, cod. proc. pen.;
     che ad avviso del rimettente tale disciplina sarebbe in contrasto
 con il principio di ragionevolezza, in quanto imporrebbe  al  giudice
 di   appello  di  decidere  nel  merito,  in  luogo  di  disporre  la
 trasmissione degli atti al giudice di primo grado.
   Considerato che a definire il quadro normativo su cui si innesta la
 questione   di   legittimita'  costituzionale  oggetto  del  presente
 giudizio concorrono gli artt. 529 cod. proc. pen.  (secondo  cui,  se
 manca una condizione di procedibilita', il giudice pronuncia sentenza
 di non doversi procedere enunciandone la causa nel dispositivo), 546,
 comma 3, cod. proc. pen. (che tra le cause di nullita' della sentenza
 contempla  le ipotesi in cui manca o e' incompleto "nei suoi elementi
 essenziali" il dispositivo), 604 e 605 cod. proc. pen. (dai quali  si
 desume  che, fuori dei casi tassativamente previsti di nullita' della
 sentenza di primo  grado  che  importano  l'obbligo  di  disporre  la
 trasmissione  degli  atti  al  giudice  di primo grado, il giudice di
 appello pronuncia  sentenza  con  la  quale  conferma  o  riforma  la
 sentenza  di  primo  grado),  nonche' l'art. 547 cod. proc. pen. (che
 vieta  il  ricorso  alla  procedura  della  correzione  degli  errori
 materiali  nelle  ipotesi  di nullita' della sentenza di cui all'art.
 546, comma 3, cod. proc. pen.);
     che nel caso di specie  si  verserebbe  appunto,  ad  avviso  del
 giudice  a quo, in un'ipotesi di nullita' della sentenza per mancanza
 di un elemento essenziale del dispositivo,  per  la  quale  e'  fatto
 divieto  al  giudice  di  appello (come a qualsiasi altro giudice) di
 ricorrere alla procedura di cui all'art. 130 cod. proc. pen.;
     che, secondo il  giudice  rimettente,  il  sistema  normativo  e'
 connotato  da  una lacuna che gli precluderebbe di adottare qualsiasi
 provvedimento,  risultando  da  un  lato  impossibile   disporre   la
 trasmissione  degli  atti al giudice di primo grado a norma dell'art.
 604 cod. proc. pen., in quanto la nullita'  riscontrata  non  rientra
 tra  quelle  prese in considerazione dalla predetta norma; dall'altro
 essendogli impedito di adottare una pronuncia nel merito,  in  quanto
 cio'   equivarrebbe,  in  sostanza,  alla  correzione  di  un  errore
 materiale, non ammessa dall'art. 547 cod. proc. pen.;
     che il giudice a quo non esplicita pero' le ragioni per le  quali
 la   mancata   indicazione   della   causa  di  improcedibilita'  sia
 configurabile  come  difetto  di   un   "elemento   essenziale"   del
 dispositivo,  cosi'  da  rientrare  tra  le ipotesi di nullita' della
 sentenza menzionate dall'art.  546, comma 3, cod. proc. pen.;
     che, in ogni caso, non risulta nemmeno chiarito per quale  motivo
 l'esercizio  del  potere-dovere  da  parte  del giudice di appello di
 riformare la sentenza impugnata ove ravvisi  errori  o  lacune  della
 stessa,  sanando  in  tal  modo  eventuali  nullita'  che  la vizino,
 equivalga a una correzione  di  errore  materiale,  posto  che,  cio'
 facendo,  il  giudice  applicherebbe  l'art. 605, comma 1, cod. proc.
 pen. e non l'art. 130 dello stesso codice: norma,  quest'ultima,  che
 all'evidenza opera su un terreno diverso rispetto alla prima;
     che   pertanto   la   questione   va   dichiarata  manifestamente
 inammissibile per difetto di motivazione sulla sua rilevanza.
   Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11  marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.