ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 34 del codice di
 procedura penale, promossi con ordinanze emesse il 30 aprile 1997 dal
 pretore di Trani, sezione  distaccata  di  Andria,  nei  procedimenti
 penali  riuniti  a  carico  di  G. R., iscritta al n. 19 del registro
 ordinanze 1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
 n. 5, prima serie speciale, dell'anno 1998 e il 12 ottobre  1998  dal
 pretore  di  Venezia,  sezione  distaccata  di Dolo, nel procedimento
 penale a carico di G. G., iscritta al n. 64  del  registro  ordinanze
 1999  e  pubblicata  nella  Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7,
 prima serie speciale, dell'anno 1999.
   Udito nella camera di consiglio  del  14  aprile  1999  il  giudice
 relatore Guido Neppi Modona.
   Ritenuto  che  il  pretore  di  Trani, sezione distaccata di Andria
 (r.o. n. 19 del 1998), ha sollevato, in  riferimento  agli  artt.  3,
 primo comma, 24, secondo comma, e 76 della Costituzione (in relazione
 all'art.  2,  nn.  67  e 103, della legge-delega 16 febbraio 1987, n.
 81), questione di legittimita' costituzionale dell'art. 34, comma  2,
 del  codice  di  procedura  penale,  nella  parte  in cui non prevede
 l'incompatibilita'   ad   esercitare   le  funzioni  di  giudice  del
 dibattimento del pretore  che  non  abbia  accolto  la  richiesta  di
 oblazione    presentata   dall'imputato   prima   dell'apertura   del
 dibattimento ai sensi  dell'art.    162-bis  del  codice  penale,  in
 considerazione   della   permanenza   delle   conseguenze  dannose  o
 pericolose del reato e della ritenuta gravita' del fatto;
     che, ad avviso del rimettente,  l'accertamento  della  permanenza
 delle conseguenze dannose o pericolose del reato e della gravita' del
 fatto  presuppone  una  valutazione positiva circa la sussistenza del
 fatto e, quindi, una previa  valutazione  di  merito  sul  fondamento
 dell'accusa,  si' che la successiva funzione di giudizio puo' essere,
 o apparire, condizionata dalla cosiddetta forza di prevenzione;
     che, inoltre, il rigetto della domanda di  oblazione  fondato  su
 tali  accertamenti presuppone, secondo il giudice a quo che non possa
 essere pronunciata una immediata declaratoria di non  punibilita'  ex
 art. 129 cod. proc. pen;
     che  in  tale  situazione  l'omessa  previsione  di  una causa di
 incompatibilita' si porrebbe in contrasto: con l'art. 3, primo comma,
 Cost.,  a  causa  della  ingiustificata  disparita'  di   trattamento
 rispetto   ad   analoghe   situazioni  di  incompatibilita'  previste
 dall'art. 34, comma 2, cod.  proc. pen., cosi' come  integrato  dalle
 sentenze  della  Corte costituzionale nn. 502 del 1991, 124 e 186 del
 1992, 432 del 1995; con l'art.  24,  secondo  comma,  Cost.,  per  la
 palese  compromissione  della  genuinita'  e  della  correttezza  del
 processo formativo del convincimento del giudice del dibattimento  e,
 quindi,  della  garanzia del giusto processo; con l'art. 76 Cost., in
 quanto le direttive nn. 67 e 103 della legge-delega n.  81  del  1987
 impongono  la rigorosa affermazione del principio della terzieta' del
 giudice anche nel giudizio pretorile;
     che anche il pretore di Venezia, sezione distaccata di Dolo (r.o.
 n.  64  del   1999),   ha   sollevato   questione   di   legittimita'
 costituzionale,  in  riferimento  all'art.  76 della Costituzione (in
 relazione all'art.  2, n. 67, della legge-delega 16 febbraio 1987, n.
 81), dell'art.  34, comma 2, del codice di  procedura  penale,  nella
 parte   in   cui   non   prevede  l'incompatibilita'  a  procedere  a
 dibattimento del giudice che, prima dell'apertura  del  dibattimento,
 abbia  rigettato la domanda di oblazione per la ritenuta gravita' del
 fatto, in quanto tale provvedimento e' basato su una valutazione  non
 formale,  ma di merito, del fatto, tale da pregiudicare la successiva
 attivita' di giudizio.
   Considerato che, stante la sostanziale  identita'  delle  questioni
 sollevate  dalle  due ordinanze, deve essere disposta la riunione dei
 relativi giudizi;
     che  le  censure  oggetto  delle  due  ordinanze  si  basano  sul
 presupposto che il giudice del dibattimento, avendo gia' espresso una
 valutazione  di  merito  in  ordine  alla  sussistenza  del fatto nel
 momento in cui, prima dell'apertura del dibattimento, ha respinto  la
 domanda  di  oblazione  ex  art.  162-bis cod. pen. per la permanenza
 delle conseguenze dannose o pericolose del reato o  per  la  ritenuta
 gravita'  del  fatto,  versi  in  una  situazione di incompatibilita'
 analoga a quelle previste dall'art.  34, comma 2,  cod.  proc.  pen.,
 cosi' come integrato dalle decisioni di questa Corte;
     che  il provvedimento con il quale il giudice respinge la domanda
 di oblazione e' stato gia' preso in esame dalla sentenza n.  453  del
 1994,  con  la  quale  questa  Corte  ha  dichiarato l'illegittimita'
 dell'art.   34, comma 2, cod. proc.  pen.  nella  parte  in  cui  non
 prevede  l'incompatibilita' alla funzione di giudizio del giudice per
 le indagini preliminari che abbia rigettato la domanda  di  oblazione
 per  la  ritenuta diversita' del fatto, sulla base di una valutazione
 complessiva delle indagini preliminari;
     che la situazione allora presa  in  esame  riguardava  pero'  una
 funzione  svolta  dal  giudice per le indagini preliminari e, quindi,
 riferibile ad una fase del procedimento diversa rispetto a quella  in
 cui deve essere esercitata la funzione che si assume pregiudicata;
     che  la  situazione oggetto del presente giudizio, nella quale la
 domanda di ammissione all'oblazione  e'  stata  rivolta  allo  stesso
 giudice  del dibattimento, non puo' quindi essere assimilata a quella
 esaminata  nella  citata  sentenza,  avendo  questa  Corte  in   piu'
 occasioni  affermato il principio che l'imparzialita' del giudice non
 puo'  ritenersi  intaccata  da  una  valutazione,  anche  di  merito,
 compiuta  all'interno  della  medesima fase del procedimento, "intesa
 quale ordinata  sequenza  di  atti,  ciascuno  dei  quali  legittima,
 prepara  e  condiziona  quello  successivo"  al  fine  di evitare una
 "assurda frammentazione del procedimento mediante  l'attribuzione  di
 ciascun  segmento di esso ad un giudice diverso" (ordinanza n. 24 del
 1996 e, in precedenza, per una situazione analoga,  sentenza  n.  448
 del 1995);
     che   tale   principio   generale   ha  trovato  espressione  con
 particolare incisivita' in materia di  provvedimenti  sulla  liberta'
 personale  (v. sentenza n. 177 del 1996 e ordinanza n. 267 del 1996),
 consentendo alla Corte di precisare che non  puo'  attribuirsi  "alle
 parti  la  potesta' di determinare l'incompatibilita' nel corso di un
 giudizio del quale il giudice e' gia' investito" con  la  conseguenza
 che "lo stesso giudice verrebbe spogliato di tale giudizio in ragione
 del  compimento  di  un  atto  processuale cui e' tenuto a seguito di
 un'istanza di  parte;  esito  (...)  non  solo  irragionevole  ma  in
 contrasto  con  il  principio  del giudice naturale precostituito per
 legge" nonche' di escludere che alla scelta processuale di una  parte
 possa essere "rimessa la permanenza della titolarita' del giudizio in
 capo  al  giudice  che  ne  e'  investito" (sentenza n. 51 del 1997 e
 ordinanza n. 206 del 1998);
     che - ove venisse riconosciuta una situazione di incompatibilita'
 nei sensi prospettati dai  rimettenti  -  la  possibilita',  prevista
 dall'art.  162-bis, quinto comma, cod. pen., di riproporre la domanda
 di  oblazione  sino   all'inizio   della   discussione   finale   del
 dibattimento  di  primo  grado provocherebbe effetti paralizzanti sul
 processo del tipo di quelli che  questa  Corte  ha  inteso  prevenire
 mediante le decisioni sopra menzionate;
     che   la   giurisprudenza  di  questa  Corte,  nell'affermare  il
 principio  generale  che   l'imparzialita'   del   giudice   non   e'
 pregiudicata  da  una  valutazione,  anche  di merito, compiuta nella
 medesima fase del procedimento,  consente  di  ritenere  superate  le
 conclusioni  cui  e' pervenuta questa Corte nella sentenza n. 186 del
 1992,  che  aveva  ravvisato  un'ipotesi  di  incompatibilita'   alla
 funzione  di  giudizio  del  giudice  che,  prima  dell'apertura  del
 dibattimento, avesse respinto la richiesta di applicazione della pena
 concordata tra le parti;
     che  la  questione deve pertanto essere dichiarata manifestamente
 infondata.
   Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11  marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.