ha pronunciato la seguente
                                Sentenza
 nel  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  22  regio
 decreto 16  marzo  1942,  n.  267  (Disciplina  del  fallimento,  del
 concordato  preventivo,  della  amministrazione  controllata  e della
 liquidazione coatta amministrativa), promosso con ordinanza emessa il
 27 gennaio 1998 dalla Corte  d'appello  di  Trento  nel  procedimento
 civile  vertente  tra  l'Eurocatering  s.r.l.  e  la  Zanetti s.p.a.,
 iscritta al n. 413 del registro ordinanze  1998  e  pubblicata  nella
 Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  24, prima serie speciale,
 dell'anno 1998.
   Visto l'atto di costituzione dell'Eurocatering s.r.l.;
   Udito nell'udienza pubblica dell'8 giugno 1999 il giudice  relatore
 Annibale Marini;
                           Ritenuto in fatto
   1.  -  La  Corte  d'appello di Trento, con ordinanza del 27 gennaio
 1998,  ha  sollevato,  in  riferimento  agli  artt.  3  e  24   della
 Costituzione,  questione  di legittimita' costituzionale dell'art. 22
 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina  del  fallimento,
 del  concordato preventivo, della amministrazione controllata e della
 liquidazione coatta amministrativa), "nella parte in cui non consente
 al debitore  di  promuovere  reclamo  avverso  il  provvedimento  del
 tribunale  che  pur  respingendo l'istanza di fallimento proposta nei
 suoi confronti, abbia rigettato   (o comunque  non  accolto)  la  sua
 domanda  di  rimborso  delle  spese processuali e di risarcimento per
 responsabilita' aggravata proposta nei confronti del creditore".
   Illustrata la rilevanza della questione - trattandosi nel  giudizio
 a  quo  del  reclamo  proposto da una societa', nei cui confronti era
 stata avanzata istanza di fallimento, avverso il decreto con il quale
 il Tribunale, respingendo l'istanza stessa, aveva tuttavia  disatteso
 la  richiesta  di  condanna  del creditore istante al pagamento delle
 spese giudiziali ed al risarcimento del danno ex art. 96  del  codice
 di  procedura  civile  - il rimettente osserva che, secondo una ormai
 consolidata giurisprudenza del giudice di legittimita',  la  condanna
 al   rimborso   delle   spese   processuali   e'  possibile  in  ogni
 procedimento, pur se di  natura  sommaria  o  cautelare,  e  che,  in
 applicazione  di  tale  principio,  la  Cassazione,  con  sentenza 20
 novembre  1996,  n.    10180,  modificando  il   proprio   precedente
 orientamento,  ha  precisato che, nella procedura per la declaratoria
 di fallimento, il creditore istante, in caso  di  rigetto  della  sua
 istanza,  puo'  essere  condannato al pagamento delle spese sostenute
 dal debitore per la sua difesa.
   Ammessa, dunque, la possibilita' di condanna del creditore  istante
 al  pagamento  delle spese giudiziali (ed anche, conseguentemente, al
 risarcimento del danno per responsabilita' processuale aggravata), ne
 discenderebbe,   ad   avviso   del    rimettente,    l'illegittimita'
 costituzionale dell'art. 22, secondo comma, della legge fallimentare,
 nella  parte  in cui attribuisce al creditore istante la possibilita'
 di  reclamare  avverso  il  provvedimento  di  condanna  alle  spese,
 negandola invece al debitore, la cui domanda, di condanna al rimborso
 delle spese, non sia stata accolta.
   Tale  limitazione risulterebbe in contrasto sia con il principio di
 eguaglianza, per l'ingiustificata disparita' di trattamento che  essa
 determinerebbe  tra  le parti della procedura concorsuale, sia con il
 diritto di difesa, tutelato dall'art. 24 Cost., in quanto  priverebbe
 il  debitore  di  adeguati  strumenti  di  difesa  per il caso di non
 corretta applicazione, da parte del tribunale,  del  principio  della
 soccombenza.
   Ricorda  infine  il giudice a quo che questa Corte, con sentenza n.
 127 del 1975,  ha  gia'  dichiarato  l'illegittimita'  costituzionale
 della  norma  in  questione  nella  parte  in  cui nega al fallito la
 legittimazione  a  proporre  reclamo  avverso  il  provvedimento  del
 tribunale   di   rigetto   dell'istanza   di   fallimento  del  socio
 illimitatamente responsabile.  Proprio la limitata  portata  di  tale
 pronuncia  precluderebbe,  tuttavia,  secondo  lo  stesso giudice, la
 possibilita'  di  una   interpretazione   adeguatrice   della   norma
 censurata,  tale  da  estendere  la  legittimazione  del  debitore ad
 ipotesi di reclamo ulteriori  rispetto  a  quella  considerata  dalla
 sentenza stessa.
   2.  - E' intervenuta in giudizio la Eurocatering s.r.l., reclamante
 nel  giudizio  a  quo,  che  ha  concluso  per  la  declaratoria   di
 illegittimita' costituzionale della norma denunciata.
   La    parte    privata,   richiamate   le   argomentazioni   svolte
 nell'ordinanza di rimessione, sottolinea in particolare come, secondo
 la dottrina e la giurisprudenza, le domande di rimborso  delle  spese
 giudiziali   e   di   risarcimento   del  danno  per  responsabilita'
 processuale aggravata non possano essere proposte  in  via  autonoma,
 essendo esclusivamente competente a conoscerne il giudice della causa
 di merito, nel corso del medesimo procedimento. Da cio' discenderebbe
 -  ad  avviso  della stessa parte privata - l'evidente illegittimita'
 costituzionale della norma, con riferimento ad entrambi  i  parametri
 evocati, nella parte in cui preclude al debitore di reclamare avverso
 il  decreto  di rigetto dell'istanza di fallimento che abbia respinto
 la  sua domanda di condanna al rimborso delle spese o al risarcimento
 del danno per responsabilita' processuale aggravata.
                         Considerato in diritto
   1. - La Corte d'appello di  Trento  dubita,  con  riferimento  agli
 artt.  3  e  24 della Costituzione, della legittimita' costituzionale
 dell'art. 22 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina  del
 fallimento,   del   concordato   preventivo,   della  amministrazione
 controllata e  della  liquidazione  coatta  amministrativa),  e  piu'
 precisamente  del  secondo comma di tale articolo, nella parte in cui
 non consente al debitore di reclamare avverso il decreto  di  rigetto
 dell'istanza  di fallimento avanzata nei suoi confronti, per la parte
 riguardante il mancato accoglimento  della  domanda  di  condanna  al
 rimborso  delle  spese  processuali  ed al risarcimento del danno per
 responsabilita'  aggravata  da  lui  proposta   nei   confronti   del
 creditore.
   2. - La questione e' fondata, nei termini di seguito precisati.
   3. - L'art. 22, secondo comma, della legge fallimentare dispone che
 avverso  il  decreto  di  rigetto del ricorso per la dichiarazione di
 fallimento "il creditore istante puo', entro  quindici  giorni  dalla
 comunicazione,  proporre  reclamo  alla  corte  d'appello,  la  quale
 provvede in camera di consiglio, sentiti il creditore  istante  e  il
 debitore".
   Il  rimettente,  con interpretazione non implausibile fondata sulla
 sentenza di questa Corte n. 127 del  1975,  ritiene  che,  atteso  il
 carattere  tassativo della previsione legislativa, deve escludersi la
 legittimazione  del  debitore   a   proporre   reclamo   avverso   il
 provvedimento  negativo  di  cui alla norma denunciata. Provvedimento
 che non appare necessariamente limitato al rigetto del ricorso per la
 dichiarazione  di  fallimento,   ma   puo'   abbracciare   anche   la
 statuizione,  conseguenziale  a  detto  rigetto, su eventuali domande
 proposte dal debitore.
   Ed e' appunto in relazione a  tale  piu'  ampio  contenuto  che  il
 precludere  al  debitore  la  legittimazione al reclamo accordandola,
 invece,  al  creditore  viene  a  determinare  un   evidente   quanto
 ingiustificato squilibrio tra le parti in causa.
   Il  principio sancito dall'art. 3, primo comma, della Costituzione,
 posto in correlazione con quello di cui all'art.  24  Cost.,  implica
 necessariamente,   come   affermato   da   questa  Corte,  "la  piena
 uguaglianza delle parti  stesse  dinanzi  al  giudice  ed  impone  al
 legislatore  di  disciplinare  la  distribuzione di poteri, doveri ed
 oneri processuali secondo criteri di pieno equilibrio"  (sentenza  n.
 253 del 1994).
   Considerazioni  tutte  che non possono non valere anche riguardo al
 procedimento, di natura sostanzialmente contenziosa,  introdotto  dal
 ricorso  del  creditore  per la dichiarazione di fallimento, "essendo
 indubbia  la  contrapposizione  di  posizione  ed  interesse  tra  il
 creditore   istante   ed  il  debitore  che  resiste  all'istanza  di
 fallimento" (Cass.  20 novembre 1996 n. 10180).
   Il principio  di  "parita'  delle  armi"  impone,  dunque,  che  la
 legittimazione  a  proporre reclamo avverso il decreto di rigetto del
 ricorso per  la  dichiarazione  di  fallimento  sia  riconosciuta  al
 debitore,  nei  cui  confronti  l'istanza  e'  proposta, negli stessi
 termini in cui e' riconosciuta al creditore istante, con  conseguente
 dichiarazione    di   illegittimita'   costituzionale   della   norma
 denunciata.