ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nei giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  157,  comma
 secondo, del codice penale, promossi con ordinanze emesse il 7 aprile
 e  il  23 marzo 1998 dalla Corte d'appello di Milano nei procedimenti
 penali a carico di M. P. ed altri e di G. G., iscritte ai nn.  744  e
 745 del registro ordinanze 1998 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale
 della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell'anno 1998.
   Visti  gli  atti  di  intervento  del  Presidente del Consiglio dei
 Ministri;
   Udito nella camera di consiglio  del  23  giugno  1999  il  giudice
 relatore Guido Neppi Modona.
   Ritenuto  che  con  due  ordinanze  di  analogo  tenore la Corte di
 appello di Milano ha sollevato, in riferimento agli artt.  112  della
 Costituzione  e 6, comma 1, della convenzione per la salvaguardia dei
 diritti dell'uomo e delle liberta' fondamentali, adottata a Roma il 4
 novembre 1950 e resa esecutiva con  legge  4  agosto  1955,  n.  848,
 questione  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  157,  secondo
 comma, del codice penale, nella parte in cui "consente che il termine
 di prescrizione del reato non sia definibile nella stessa  misura  in
 tutte  le fasi del procedimento" ed in particolare nella parte in cui
 consente che sulla  determinazione  del  termine  della  prescrizione
 abbia  effetto,  anche  mediante  il  giudizio  di  bilanciamento tra
 circostanze eterogenee di cui all'art. 69 cod.  pen., "la concessione
 dell'attenuante di cui all'art. 62-bis cod.   pen.,  ovvero  di  ogni
 altra circostanza del reato non specificamente
  identificabile  nei  suoi  contenuti,  facoltativa  e  comunque  non
 preventivamente individuabile all'atto del rinvio a giudizio";
     che la Corte di appello rimettente premette in fatto:
      in relazione all'ordinanza r.o. n. 744 del  1998,  di  procedere
 per un reato punito con la pena massima di anni cinque di reclusione,
 per  il  quale  la  legge prevede un termine di prescrizione di dieci
 anni,  estensibile  a  quindici  anni  per  l'effetto   interruttivo,
 rilevando che, in caso di conferma della condanna di primo grado, con
 la quale erano state riconosciute le attenuanti generiche, il termine
 prescrizionale  risulterebbe  ridotto  a  sette anni e sei mesi, gia'
 interamente decorsi;
      in relazione all'ordinanza r.o. n. 745 del  1998,  di  procedere
 per  un reato, punito anch'esso con la pena massima di cinque anni di
 reclusione, cui corrisponde, tenuto conto dell'effetto  interruttivo,
 un termine prescrizionale di quindici anni, rilevando che, in caso di
 conferma  della  condanna  di  primo  grado,  l'eventuale giudizio di
 prevalenza delle attenuanti generiche, gia' riconosciute  e  ritenute
 equivalenti  dal Tribunale, comporterebbe la riduzione del termine di
 prescrizione a sette anni e sei mesi, gia' interamente decorsi;
     che  ad avviso del rimettente la disciplina contenuta nella norma
 censurata   ostacolerebbe    irragionevolmente    la    realizzazione
 dell'interesse  punitivo dello Stato, che e' assicurato dal principio
 costituzionale  di  obbligatorieta'  dell'azione  penale,  sia   pure
 "mitigato"  dall'art.    6  della convenzione per la salvaguardia dei
 diritti dell'uomo e delle  liberta'  fondamentali,  la'  dove  impone
 tempi ragionevoli per la celebrazione dei processi;
     che   l'istituto   della   prescrizione  dovrebbe  invece  essere
 improntato al massimo di automaticita' e fondarsi su dati  obiettivi,
 e  i  relativi termini prescrizionali dovrebbero essere tutti certi e
 individuabili a partire dalla fase predibattimentale,  a  prescindere
 dal successivo esame di merito;
     che, in particolare, il secondo comma dell'art. 157 cod. pen.  si
 porrebbe  in  contrasto  con  tali  principi,  in  quanto  prevede la
 possibilita' di calcolare i termini  prescrizionali  non  sulla  base
 dell'imputazione   astratta   formulata  nel  momento  del  rinvio  a
 giudizio, ma tenendo conto del giudizio  formulato  in  concreto  nei
 confronti  dell'autore del reato, cioe' con riferimento a circostanze
 soggettive assolutamente indeterminate (quali quelle  concedibili  ex
 art.  62-bis cod. pen.), o la cui applicazione sia facoltativa (quali
 la recidiva), connesse alla  determinazione  della  pena  e,  quindi,
 fondate su elementi estranei alla struttura del reato;
     che  il  rimettente  lamenta  inoltre che, in caso di concessione
 delle attenuanti e, in particolare, di quelle generiche, la riduzione
 minima della pena venga effettuata  operando  sul  massimo  edittale,
 mentre  la  constatazione che per definizione le attenuanti generiche
 presuppongono l'assenza di gravita' in concreto  del  reato  dovrebbe
 comportare   che   la  riduzione  della  pena  venga  effettuata  con
 riferimento al minimo edittale;
     che il sistema cosi' delineato  sarebbe  quindi,  ad  avviso  del
 rimettente,   intrinsecamente   irrazionale,  in  quanto  l'attivita'
 giurisdizionale,   "esercitata   in   relazione   ad    un    termine
 prescrizionale  che  si prefigurava oggettivamente di una determinata
 durata, puo' essere dichiarata a posteriori priva di effetto  per  il
 rilievo  dato in una diversa fase del giudizio ad una circostanza che
 originariamente   non   sarebbe   stato   possibile    prendere    in
 considerazione o fu addirittura esclusa";
     che  nei  giudizi  e' intervenuto il Presidente del Consiglio dei
 Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, che  ha
 eccepito  l'inammissibilita'  della  questione,  in  quanto  volta  a
 censurare scelte discrezionali del legislatore che, per  quanto  poco
 funzionali, non appaiono manifestamente irragionevoli.
   Considerato  che,  stante  l'analogo  tenore  delle questioni, deve
 essere disposta la riunione dei relativi giudizi;
     che il rimettente - constatato che, a seguito del tempo trascorso
 tra la pronuncia della sentenza di primo grado e la celebrazione  del
 giudizio  di  appello,  i  termini  prescrizionali risultavano oramai
 decorsi  per  effetto  del  gia'  intervenuto  riconoscimento   delle
 attenuanti  generiche  nel  giudizio  di primo grado (r.o. n. 744 del
 1998) ovvero della asserita possibilita'  di  ritenere  d'ufficio  in
 grado di appello tali attenuanti prevalenti sulle aggravanti (r.o. n.
 745  del 1998) - in sostanza vorrebbe che i termini prescrizionali di
 cui all'art.    157  cod.  pen.  fossero  determinati  con  esclusivo
 riferimento  al  reato  contestato nel momento del rinvio a giudizio,
 escludendo la possibilita' di tenere conto nelle diverse e successive
 fasi  del  giudizio,  ai fini del computo del tempo necessario per la
 prescrizione del reato, sia delle circostanze attenuanti,  sia  della
 prevalenza delle attenuanti sulle aggravanti;
     che   la   disciplina  auspicata  consentirebbe,  ad  avviso  del
 rimettente, di superare il contrasto della norma  censurata  con  gli
 artt.   112   e  3  della  Costituzione  (quest'ultimo,  seppure  non
 espressamente indicato nel dispositivo, implicitamente richiamato  in
 numerosi passaggi della motivazione);
     che   tuttavia   un   simile  intervento  si  tradurrebbe  in  un
 trattamento deteriore nei confronti dell'imputato, in violazione  del
 principio di legalita' sancito dall'art. 25, secondo comma, Cost., in
 base al quale e' precluso alla Corte qualsiasi intervento additivo in
 malam  partem  in  materia  penale,  sempre che la disciplina non sia
 frutto di una scelta palesemente arbitraria o ingiustificata (v.   da
 ultimo ordinanze n. 413 del 1998 e n. 297 del 1997);
     che   l'effetto   estintivo   della  prescrizione  trova  ragione
 "nell'interesse generale di non piu' perseguire i reati  rispetto  ai
 quali  il  lungo  tempo  decorso dopo la loro commissione abbia fatto
 venir meno, o notevolmente attenuato, (...) l'allarme della coscienza
 comune" (vedi sentenze n. 202 del 1971 e n.  254  del  1985),  e  che
 pertanto  non puo' ritenersi ingiustificata la scelta del legislatore
 di rapportare i termini entro cui si produce tale  effetto  estintivo
 alla concreta gravita' del fatto-reato, quale risulta anche a seguito
 del  riconoscimento  delle  attenuanti  generiche e del bilanciamento
 delle circostanze;
     che, in particolare, questa Corte ha costantemente affermato  che
 il  principio  di legalita' preclude di pronunciare sentenze additive
 in malam partem del tipo di quella richiesta dal rimettente, volte ad
 integrare la serie di atti  che  producono  effetti  interruttivi  (o
 sospensivi)  del corso della prescrizione (in tema di introduzione di
 una nuova ipotesi  di  sospensione  v.  sentenza  n.  114  del  1994;
 riguardo  all'introduzione  di nuove ipotesi di interruzione, v., tra
 le tante, ordinanze n. 412 del 1998, n. 178  del  1997,  n.  315  del
 1996, n. 144 del 1994, nn. 193 e 188 del 1993, n. 7 del 1990, n.  114
 del 1983);
     che  pertanto  la questione deve essere dichiarata manifestamente
 inammissibile.
   Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11  marzo  1953,  n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.