ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel  giudizio  di legittimita' costituzionale dell'articolo 34, comma
 2, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 4
 maggio 1998 dalla  Corte  di  cassazione,  iscritta  al  n.  758  del
 registro  ordinanze  1998 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della
 Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell'anno 1998.
   Udito nella camera di  consiglio  del  7  luglio  1999  il  giudice
 relatore Carlo Mezzanotte;
   Ritenuto  che  con  ordinanza  in  data  4  maggio 1998 la Corte di
 cassazione,  investita  di  un  ricorso  avverso   un'ordinanza   del
 Tribunale   di   Belluno,  con  la  quale  era  stata  rigettata  una
 dichiarazione di ricusazione proposta da un  imputato  nei  confronti
 del  pretore di Belluno, sezione di Pieve di Cadore, ha sollevato, in
 riferimento agli articoli 3 e 24  della  Costituzione,  questione  di
 legittimita'  costituzionale dell'articolo 34, comma 2, del codice di
 procedura penale, nella parte in cui non  prevede  l'incompatibilita'
 per il giudice del dibattimento che abbia precedentemente pronunciato
 sentenza  di  applicazione della pena ex art. 444 cod. proc. pen. nei
 confronti di altro soggetto, valutando lo stesso fatto;
     che  il  remittente  riferisce  che  il  ricusante   era   stato,
 unitamente  ad  altri,  tratto a giudizio per rispondere del reato di
 cui all'art.  221 del regio decreto 27 luglio 1934,  n.  1265  (Testo
 unico  delle  leggi  sanitarie)  e  che  il pretore aveva pronunciato
 sentenza di applicazione della pena  nei  confronti  di  alcuni  suoi
 coimputati, previa separazione delle loro posizioni;
     che,   quanto   alla  rilevanza  della  questione,  la  Corte  di
 cassazione osserva che il pretore con  la  sentenza  di  applicazione
 della  pena emessa nei confronti dei coimputati avrebbe gia' valutato
 la vicenda processuale, escludendo che ricorressero gli  estremi  per
 applicare  l'art.  129  cod.  proc. pen. e, in particolare, ritenendo
 ininfluente un certificato di abitabilita', la  cui  legittimita'  ed
 efficacia  sarebbe determinante ai fini del giudizio nei confronti di
 tutti gli imputati, ivi compreso il ricusante;
     che il giudice remittente, pur dichiarandosi consapevole che  con
 la  sentenza n. 186 del 1992 questa Corte ha escluso che la pronuncia
 di una sentenza di applicazione della pena su richiesta nei confronti
 di un coimputato determini incompatibilita' a celebrare  il  giudizio
 nei  confronti dei concorrenti negli stessi reati, afferma che questa
 pronuncia  nella  sua  assolutezza  sarebbe  stata  "superata"  dalla
 successiva   giurisprudenza   costituzionale,  e  segnatamente  dalla
 sentenza  n.  371  del  1996,  con  la  quale  e'  stata   dichiarata
 l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  34,  comma 2, cod. proc.
 pen., nella parte in cui non prevede che  non  possa  partecipare  al
 giudizio   nei   confronti  di  un  imputato  il  giudice  che  abbia
 pronunciato o concorso a  pronunciare  una  precedente  sentenza  nei
 confronti  di  altri  soggetti,  nella  quale  la posizione di quello
 stesso imputato in ordine alla sua responsabilita'  penale  sia  gia'
 stata comunque valutata;
     che,  pero',  ad  avviso  del giudice a quo quest'ultima sentenza
 riguarderebbe esclusivamente le ipotesi di  concorso  necessario  nel
 reato,  sicche'  occorrerebbe  "ampliarne la sfera di applicazione in
 relazione  all'avvenuto  esame  di  merito  di  tutto  il   materiale
 probatorio comune ai diversi imputati";
     che  in  difetto di una ulteriore dichiarazione di illegittimita'
 costituzionale in parte qua dell'art. 34,  comma  2,  del  codice  di
 procedura  penale  verrebbe violato il principio del giusto processo,
 poiche' per il peculiare atteggiarsi della fattispecie  probatoria  -
 fondandosi  la  responsabilita'  degli imputati sugli stessi ed unici
 elementi di fatto e quindi  sulla  medesima  ed  intera  prova  -  il
 giudice  con  la  sentenza  emessa  ex  art.  444 cod. proc. pen. non
 avrebbe potuto non formarsi un convincimento non soltanto sul  merito
 dell'azione  penale svolta contro gli imputati che hanno richiesto ed
 ottenuto l'applicazione "patteggiata" della pena, ma  anche,  seppure
 incidentalmente,  sul  merito dell'intera vicenda di fatto e, quindi,
 sulla posizione  del  residuo  coimputato  rimasto  estraneo  a  quel
 processo  e  successivamente  sottoposto  al suo giudizio con il rito
 ordinario;
     che, infine, a giudizio  della  Corte  remittente,  escludere  la
 sussistenza   dell'incompatibilita'   soltanto  in  virtu'  del  dato
 meramente formale dell'assenza nella sentenza  di  cui  all'art.  444
 cod.  proc.    pen.  di  qualsiasi  accertamento  di responsabilita',
 significherebbe negare l'evidenza e  trascurare  l'esistenza  di  una
 valutazione  probatoria di analoga pregnanza rispetto a quella svolta
 nel  giudizio  dibattimentale,  destinata  ad  incidere  sul   futuro
 dibattimento.
   Considerato  che la Corte di cassazione dubita, in riferimento agli
 articoli 3 e 24 della Costituzione, della legittimita' costituzionale
 dell'articolo 34, comma 2, del  codice  di  procedura  penale,  nella
 parte   in   cui  non  prevede  l'incompatibilita'  del  giudice  del
 dibattimento  che  abbia  precedentemente  pronunciato  sentenza   di
 applicazione  della pena ex art. 444 cod. proc. pen. nei confronti di
 altri soggetti, valutando lo stesso fatto;
     che questa Corte nella  sentenza  n.  371  del  1996,  richiamata
 nell'ordinanza    di    remissione,    ha    gia'    precisato    che
 l'incompatibilita' sussiste in tutti i casi in cui sia stata espressa
 nella sentenza che definisce il giudizio, sia  pure  incidentalmente,
 una  valutazione in ordine alla responsabilita' penale di un terzo, e
 successivamente  ha  puntualizzato  che  adottare  una  sentenza   di
 applicazione  della pena su richiesta nei confronti di un concorrente
 nel reato non significa necessariamente esprimere  valutazioni  circa
 la  responsabilita'  penale  degli  ulteriori concorrenti estranei al
 processo (ordinanze nn. 281 e 127 del 1999),  come  d'altronde  avere
 valutato  una  prova  nei  confronti  di  un  imputato  non vuol dire
 necessariamente esprimere  una  valutazione  di  responsabilita'  nei
 confronti  di  terzi che non hanno partecipato al giudizio (ordinanza
 n. 135 del 1999);
     che non vi e' ragione di argomentare ulteriormente in ordine agli
 anzidetti precedenti, sicche' la  questione  deve  essere  dichiarata
 manifestamente infondata.
   Visti  gli  artt.  26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.
 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti
 alla Corte costituzionale.