ha pronunciato la seguente
                               Ordinanza
 nel giudizio di legittimita' costituzionale del conflitto tra  poteri
 dello  Stato sorto a seguito della delibera della Camera dei Deputati
 del 30 settembre 1998 relativa alla insindacabilita'  delle  opinioni
 espresse  dall'on.  Vittorio  Sgarbi  nei confronti del dott. Antonio
 Abrami, promosso dal Tribunale  di  Roma,  sezione  5.a  penale,  con
 ricorso  depositato  il  25  gennaio  1999  ed iscritto al n. 108 del
 registro ammissibilita' conflitti.
   Udito nella camera di  consiglio  del  7  luglio  1999  il  giudice
 relatore Fernando Santosuosso;
   Ritenuto  che nel corso di un procedimento penale a carico dell'on.
 Vittorio Sgarbi, imputato del reato di  diffamazione  in  conseguenza
 delle dichiarazioni dal medesimo rilasciate nei confronti del pretore
 di  Venezia  dott.  Abrami, il Tribunale di Roma, con ordinanza del 1
 dicembre 1998, ha sollevato conflitto di attribuzione  nei  confronti
 della Camera dei deputati in relazione alla delibera del 30 settembre
 1998 con la quale quest'ultima ha dichiarato che le opinioni espresse
 dallo  Sgarbi,  per  le  quali pende il relativo procedimento penale,
 sono  da  ritenersi  espresse  nell'esercizio   delle   funzioni   di
 parlamentare, ai sensi dell'art. 68 della Costituzione;
     che il Tribunale ricorrente, dopo aver richiamato alcune sentenze
 di  questa  Corte che hanno contribuito a chiarire il contenuto della
 prerogativa di cui all'art. 68 Cost., osserva che la  delibera  della
 Camera  e'  andata  di  contrario  avviso rispetto al parere espresso
 dalla Giunta per le autorizzazioni  a  procedere,  che  aveva  invece
 ritenuto  di  dover  escludere  l'insindacabilita' in conseguenza del
 carattere prettamente personale della polemica intercorsa  tra  l'on.
 Sgarbi ed il giudice Abrami;
     che  nel  caso  specifico il deputato aveva espresso delle accuse
 nei confronti del dott. Abrami a causa  di  una  sentenza  penale  di
 condanna  da  quest'ultimo emessa nei suoi confronti; ne consegue che
 tali dichiarazioni, profferite  in  ambito  estraneo  al  Parlamento,
 debbono  ritenersi,  ad  avviso  del  ricorrente,  null'altro che una
 questione personale tra i due, alla quale non  puo'  ricollegarsi  in
 alcun modo l'esercizio della funzione di deputato.
   Considerato che in questa fase del giudizio, a norma dell'art.  37,
 terzo  e  quarto comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, la Corte e'
 chiamata preliminarmente a deliberare, in assenza di contraddittorio,
 se il ricorso sia ammissibile, in quanto  esista  la  materia  di  un
 conflitto devoluto alla sua competenza, impregiudicata ogni ulteriore
 decisione;
     che  il  Tribunale  di  Roma,  in ordine al giudizio del quale e'
 investito, e' legittimato a sollevare il conflitto, in quanto  organo
 abilitato  a  dichiarare in via definitiva la volonta' del potere cui
 appartiene  nell'ambito  delle  funzioni  giurisdizionali   da   esso
 esercitate,  in conformita' del principio, ripetutamente affermato da
 questa Corte, secondo il  quale  i  singoli  organi  giurisdizionali,
 svolgendo  le  loro  funzioni  in  posizione  di  piena indipendenza,
 costituzionalmente garantita, sono legittimati ad essere parti in  un
 conflitto di attribuzione;
     che,  allo  stesso modo, la Camera dei deputati e' legittimata ad
 essere parte del presente  conflitto,  essendo  organo  competente  a
 dichiarare  in  via definitiva la volonta' del potere che rappresenta
 in  ordine  all'applicabilita'  dell'art.  68,  primo  comma,   della
 Costituzione;
     che,  per  quanto  attiene al profilo oggettivo del conflitto, il
 Tribunale  di  Roma  lamenta  la  lesione  della  propria  sfera   di
 attribuzione    costituzionalmente    garantita,    in    conseguenza
 dell'esercizio, ritenuto illegittimo per erroneita' dei  presupposti,
 del  potere,  spettante alla Camera dei deputati in base all'art. 68,
 primo comma, Cost., di dichiarare l'insindacabilita'  delle  opinioni
 espresse dai propri membri nell'esercizio delle loro funzioni.