IL CONSIGLIO DI STATO Ha promulgato la seguente ordinanza sul ricorso in appello (n. 1508/1995 e rassegnato con n. 8852/1999 proposto dal Ministero del tesoro, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentato e difesa dall'Avvocatura generale dello Stato presso i cui uffici in Roma, via del Portoghesi n. 12, e' per legge domiciliato; Contro le signore Franca Rossi e Paola Rossi in Aureli, rappresentate e difese dall'avv. Stanislao Aureli presso il cui studio in Roma, via Asiago n. 8, sono selettivamente domiciliate; nonche' contro signori Dario Rossi ed Emanuele Parisi Rossi, non costituiti in questo grado del giudizio; per l'annullamento delle sentenza del tribunale amministrativo regionale del Lazio, I sezione, 10 febbraio 1995, n. 163, resa inter partes ed avente ad oggetto accoglimento del ricorso proposto dai signori Rossi per l'ottemperanza della sentenza del medesimo Tribunale amministrativo regionale, III sezione, 15 dicembre 1988, n. 1847. Visto il ricorso in appello con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio delle signore Paola Rossi Aureli e Franca Rossi; Viste le memorie prodotte dalle resistenti a difesa delle loro ragioni; Data per letta alla pubblica udienza del 14 marzo 2000 la relazione del consigliere Filoreto D'Agostino udito l'avv.to Aureli per gli appellati. Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue. F a t t o 1. - Con sentenza 15 dicembre 1998, n. 1847 il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, accolse il ricorso di vari componenti della famiglia Rossi, in epigrafe indicati, e di un loro dante causa (Raffaele Rossi) avverso il provvedimento dell'intendenza di finanza di Roma 26 febbraio 1985, n. 205557 c/c 443/90278 d.g., che disponeva un limitato indennizzo per la totale spoliazione di un loro magazzino di tessuti, avvenuta nel 1943-44 ad opera di nazifascismi. A fronte di un valore indicato, con domanda del 31 dicembre 1945, il L. 80.000.000, ai prezzi del giugno 1943, depurato di L. 3.500.000 gia' versate delle autorita' militari tedesche, l'intendente aveva, infatti, riconosciuto una somma di L. 4.000.000, derivante da un valore fissato dall'amministrazione in L. 1.500.000, moltiplicato per il coefficiente 5 di cui all'art. 25, primo comma, legge 27 dicembre 1953, n. 968 e depurato dal gia' riscosso durante la spoliazione. Con la succitata sentenza il Tribunale amministrativo regionale riconobbe fondata, nei riguardi del provvedimento del 195 e del parere istruttorio risalente al 1967, la censura di eccesso di potere istruttorio per ingiustizia, contraddittorieta' e illogicita', con assorbimento di ogni altro motivo, fra cui anche eccezioni di illegittimita' costituzionale riguardanti le norme della citata legge n. 968 del 1953 relative ai limiti indennizzo. Argomento' il Tribunale amministrativo regionale che, secondo dichiarazioni non smentite dall'amministrazione e comprovate da certificati dell'ufficio provinciale dell'industria di Roma, la ditta Rossi, all'epoca la piu' importante fra le imprese operanti nel settore della vendita all'ingrosso dei tessuti: a) era tenuta, essendo i suoi titolari "di razza ebraica" a denunce mensili delle giacenze ad un ente (Concordit) dipendente dal Ministero delle corporazioni; b) al pari di tutti i grossisti doveva tenere chiusi in magazzino i tessuti di produzione non autarchica (le cui quantita' risultano nella specie indicate), che salvo casi particolari, non potevano essere venduti; c) pochi mesi prima dello spoglio era stata autorizzata ad acquistare 1.690 pezze di tessuto dal lanificio Marzotto. Risultando, pertanto attendibili i quantitativi della merce denunciati dagli interessati nel 1945, il tribunale amministrativo ritenne contraddittoria e non suffragata dai necessari elementi di prova la tesi dell'amministrazione secondo cui quei quantitativi non fossero in magazzino in ragione dell'attivita' commerciale svolta dalla ditta e, di conseguenza, ritenne illegittima la riduzione dell'entita' dell'indennizzo richiesto, salvi ulteriori provvedimenti da parte dell'amministrazione. 2. - Con nuovo decreto in data 3 febbraio 1990 l'intendente di finanza di Roma: a) diede atto della sentenza del Tribunale amministrativo regionale; b) richiamo' una nuova istanza del 18 maggio 1989, con la quale il legale dei ricorrenti aveva sostenuto che per la quantificazione dell'indennizzo occorreva tener conto del danno emergente (valore delle merci rivalutate), del lucro cessante, degli interessi sulla somma rivalutata e di una liquidazione equitativa ex art. 1226 cod. civ. (con contestuale richiamo a precedenti giurisprudenziali e al coefficiente di ragguaglio ex art. 27 legge n. 968 del 1953); c) cito' la nota della direzione generale dei servizi speciali 19 maggio 1989, n. 49627, che aveva interpretato la sentenza del Tribunale amministrativo regionale nel senso che essa avrebbe disposto una nuova liquidazione sulla base di tutti i danni denunciati, con detrazione della somma ottenuta dall'autorita' militare tedesca; d) respinge le domande di indennizzo e di adeguamento con interessi; e) rilievo che la giurisprudenza citata da controparte si riferiva alla situazione di chi si e' visto liquidare l'indennizzo ed e', quindi, titolare di diritto soggettivo; f) stabili che la liquidazione ai prezzi vigenti al 30 giugno 1943, valutati dall'U.P.I.C., ammontava a L. 7.315.000, da moltiplicare per 5, oltre la detrazione della somma gia' ottenuta di L. 3.500.0000 sicche', applicate le deduzioni di cui all'art. 28 legge n. 968 del 1953, l'indennizzo ammontava a L. 27.287.500, da corrispondere in venti rate semestrali. 3. - Contro tale provvedimento gli istanti produssero un ricorso ordinario notificato il 3 ottobre 1990 (di cui non si conosce l'esito) e un ricorso in ottemperanza notificato il 21 ottobre 1994. 4. - Con quest'ultimo gravame i ricorrenti dedussero l'elusivita' del nuovo provvedimento adottato dal-l'amministrazione e precisarono le loro pretese, conducenti (ai sensi dell'art. 28, legge n. 968 del 1953 e successive modificazioni) ad una somma di L. 52.083.330, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria per il decorso del tempo. Sostennero, a quest'ultimo riguardo, che detti accessori potevano essere chiesti per la prima volta nel giudizio di ottemperanza, tanto piu' che il debito da indennizzo doveva considerarsi debito di valore. Conclusero chiedendo: a) che il Tribunale amministrativo regionale pronunciasse un provvedimento sostitutivo che le misure sopra indicate, oltre rivalutazione e interessi sulle somme rivalutate (o sulla sorte del 12 dicembre 1943); b) in via graduata, che il Tribunale amministrativo regionale nominasse un commissario ad acta perche' provvedesse a dare attuazione alle statuizioni contenute nella emanando decisione, con ogni statuizione ritenuta necessaria. 5. - Con sentenza 1o febbraio 1995, n. 163 la I Sezione del Tribunale amministrativo regionale del Lazio accolse il ricorso. Secondo il primo giudice il provvedimento del 1990 era palesemente elusivo del giudicato, non avendo tenuto conto "della dichiarata illegittimita' della riduzione dell'entita' dell'indennizzo richiesto, nonche' del parere fornito dalla commissione provinciale, pure dichiarato illegittimo". La tesi svolta dal Tribunale amministrativo regionale e' che in sede di attuazione del giudicato di annullamento l'amministrazione soccombente non puo' ricadere, nella riproduzione dell'atto destinato e regolare il rapporto giuridico controverso, nei vizi gia' riconosciuti dal giudice, in tal modo pregiudicando l'interesse protetto del ricorrente. Con la sentenza passata in giudicato n. 1847/1988 il Tribunale amministrativo regionale aveva affermato che il danno denunciato dai ricorrenti (di 80 milioni, meno 3 milioni e mezzo) doveva ritenersi veritiero, perche' confermato dalla documentazione versata in atti. Di conseguenza il nuovo decreto intenditizio sarebbe ricaduto nello stesso vizio (errore nei presupposti) che avrebbe dovuto eliminare. Con l'appellata sentenza, il Tribunale amministrativo regionale dichiaro' l'obbligo dell'amministrazione di eseguire puntualmente le prescrizioni contenute nella sentenza n. 1847 del 1o dicembre 1988, "sulla base della normativa vigente". Alla somma cosi' determinata avrebbero dovuto essere aggiunti la svalutazione monetaria e gli interessi legali, tenuto conto del tempo trascorso dalla prima originaria domanda". Per il caso di inerzia venne nominato anche un commissario. Infine, l'amministrazione fu condannata al pagamento delle spese e degli onorari del giudizio. 6. - Con atto notificato in data 22 febbraio 1995 il soccombente Ministero del tesoro impugnava la sentenza del Tribunale amministrativo regionale Sostiene l'amministrazione appellante che il giudicato non avrebbe fissato, ne' avrebbe potuto farlo, l'importo dell'indennizzo spettante ai ricorrenti, a dire di parte appellante, in L. 80.000.000, essendosi pronunciato non sul valore, ma solo sui quantitativi di merce. La relativa stima spetterebbe all'amministrazione. Pertanto, il provvedimento non sarebbe affatto elusivo, ma costituirebbe frutto di un nuovo ed autonomo esercizio del potere, da sindacare, semmai, con una nuova impugnazione ordinaria, avendo l'amministrazione utilizzato spazi di potere lasciati intatti dal comando del giudice. In subordine, la sentenza di primo grado sarebbe censurabile laddove attribuisce, sulla somma in questione, interessi e rivalutazione, e cio' per una duplice ragione: a) perche' avrebbe emesso la relativa statuizione in carenza di giurisdizione (dopo l'esaurimento del procedimento liquidatorio sussisterebbe una posizione di diritto soggettivo, sicche' interessi e rivalutazione, attenendo a fase successiva e addirittura a fattispecie risarcitoria, dovrebbero essere conosciuti dal giudice ordinario); b) perche' la legge sui danni di guerra gia' determina coefficienti di aggiornamento e di rivalutazione non duplicabili dal calcolo di ulteriori interessi. 7. - Con decisione n. 565 depositata il 10 aprile 1998 questa sezione accoglieva in parte l'appello e, per l'effetto, dichiarava inammissibili per difetto di giurisdizione le domande aventi ad oggetto rivalutazione monetaria ed interessi, confermando per il resto l'impugnata sentenza 1o febbraio 1995, n. 163, del tribunale amministrativo regionale del Lazio - sezione prima. 8. - Franca Rossi e Paola Rossi in Aureli (quest'ultima quale cessionaria dei crediti di Emanuela e Dario Rossi) interponevano avverso la suindicata decisione di questo consiglio ricorso per cassazione relativamente alla declaratoria di inammissibilita' delle domande di rivalutazione monetaria e di interessi sulle somme liquidate a titolo di indennizzo ed, in via subordinata, per dirimere il conflitto negativo di giurisdizione ex art. 362, comma 2 c.p.c. tra quella pronuncia e la sentenza n. 1770/1993 del tribunale civile di Roma. 9. - Con sentenza n. 376, depositata il 30 giugno 1999, le sezioni unite civili della Corte suprema di Cassazione, rilevato che le voci relative agli interessi ed alla rivalutazione monetaria costituiscono diritti accessori facenti parte del danno complessivo e, in quanto tali, necessariamente devoluti alla stessa autorita' giurisdizionale competente a liquidarlo cioe', nel caso di specie, il Consiglio di Stato quale giudice dell'ottemperanza, dichiarava la giurisdizione di quest'ultimo. Per l'effetto l'impugnata decisione veniva cassata e la causa veniva rinviata al Consiglio di Stato. 10. - Presso quest'ultimo la causa e' stata riassunta con ricorso notificato l'11 e 13 ottobre 1999, con la richiesta di conferma della impugnata sentenza del Tribunale amministrativo regionale Lazio n. 163 del 1o febbraio 1995 in sede di ottemperanza. 11. - L'amministrazione intimata si e' costituita. 12. - All'udienza di discussione del 7 marzo 2000 parti e causa sono state nuovamente assegnate in decisione. D i r i t t o 13. - L'unica questione devoluta alla presente decisione concerne la computabiita' di interessi legali e rivalutazione su somma liquidata a favore degli appellati, ricorrenti in riassunzione, a titolo di refusione di danni di guerra. 14. - La sentenza delle sezioni unite della Corte suprema di Cassazione ha riconosciuto la giurisdizione in subiecta materia del Consiglio di Stato quale giudice dell'ottemperanza, sul coerente presupposto che rivalutazione e interessi non costituiscono diritti consequenziali provvisti di una qualche autonomia, bensi' diritti accessori confluenti nella nozione di danno complessivo, alla cui liquidazione il giudice dell'esecuzione, fornito anche di cognizione di merito, e' legittimato, anche tramite l'uso di penetranti poteri di amministrazione attiva. 15. - Quella pronuncia non affronta, tuttavia, in modo esplicito il tema dei limiti entro i quali riconoscere i predetti diritti accessori, limitandosi, sul punto, a richiamare un principio derivante da un risalente arresto della medesima Corte di cassazione (Sezioni unite civili, 12 maggio 1975, n. 1828, peraltro confermato, ad esempio, da Sezioni unite civili 13 gennaio 1989, n. 96), in forza del quale la posizione giuridica del privato, rispetto all'indennizzo per danni di guerra regolato dalla legge 27 dicembre 1953, n. 968, e' di interesse legittimo fino all'adozione del provvedimento di concessione, costitutivo quest'ultimo di un diritto soggettivo in capo al medesimo richiedente. Fino al provvedimento concessorio, pertanto, non puo' ipotizzarsi alcuna concreta consolidazione di posizione soggettiva da cui scaturiscano oltre che il diritto all'indennizzo anche quello agli accessori idonei a reintegrare la lesione patita. 16. - I ricorrenti in riassunzione insistono, per contro, per un piu' ampio concetto di refusione, sostanzialmente richiedendo interessi e rivalutazione dal momento dell'evento lesivo. 17. - Questa conclusione, almeno nella sua sostanziale ampiezza, non puo', in ogni caso, essere accolta. La stessa, infatti, assume una nozione di danno di guerra priva di supporto normativo e poco coerente alla sistematica delle responsabilita' civili. Invero, se fosse vera la prospettazione suggerita dagli appellati, la stessa legislazione sui danni di guerra non avrebbe senso alcuno, potendosi ricondurre l'intera materia alla clausola generale del neminem iniuria laedere contenuta nell'art. 2043 del codice civile. 18. - In realta', nel diritto interno italiano il danno di guerra costituisce un fatto giuridico in senso stretto, e come tale non imputabile a nessun soggetto, per cui l'indennizzo spettante si connette al fatto stesso del danno. Esso si configura, rispetto allo Stato, come misura volta a ricostruire l'equilibrio patrimoniale del soggetto colpito in vista di un fine di interesse generale cosi' da assolvere il dovere etico e sociale di solidarieta' nei confronti dei cittadini danneggiati anche indirettamente da eventi bellici (cosi' Cassazione penale 8 ottobre 1983, n. 509). 19. - L'individuazione della natura del danno di guerra quale fatto giuridico, come configurata dalla Cassazione penale nella suindicata sentenza, e' pienamente condivisa da questo Collegio. Ne consegue la non applicabilita', almeno di massima, dei principi attinenti i debiti di valore. A questo indirizzo si e' peraltro gia' uniformata questa sezione con decisione n. 864 del 16 luglio 1996, secondo la quale la legislazione speciale in tema di indennizzo per danni di guerra (legge 27 dicembre 1953, n. 968 e successive integrazioni e modificazioni, legge 29 settembre 1967, n. 955, legge 22 ottobre 1981, n. 593) non prevede ne' rivalutazione dell'indennizzo, al di la' dei previsti coefficienti di ristoro integrativo, ne' l'obbligo di corresponsione degli interessi legali sulle indennita' versate in sede di liquidazione. 20. - Le conclusioni cui e' pervenuta la sezione con la decisione appena richiamata non sembrano, in realta', pienamente condivisibili, posto che, una volta emesso il provvedimento di concessione, il privato acquista la titolarita' di un diritto di credito, normalmente fruttifero. 21. - Non puo' tuttavia nascondersi perplessita' quando, come nel caso di specie, la richiesta di corresponsione dei danni di guerra e' stata tempestivamente avanzata dai soggetti colpiti dall'evento bellico (precisamente il 31 dicembre 1945 protocollata ai n. 83467 dell'intendenza di finanza di Roma) e solo a cagione della estenuante sequenza di reiezioni, reclami gerarchici, conferme di precedenti istanze, ulteriori reclami, pareti, istruttorie, la prima liquidazione (peraltro eccessivamente ridotta rispetto alla misura della perdita patrimoniale dimostrata dagli istanti) e' stata disposta nel febbraio del 1985, cioe' quasi quaranta anni dopo. 22. - Questo reiterato contegno dell'amministrazione, protratto nel tempo, ha finito per ridurre in limiti estremamente esigui il ristoro apprestato dall'ordinamento, quasi snaturandone la natura di ausilio finanziario pubblico preordinato a rendere concreto il dovere etico e sociale di solidarieta' della Repubblica con i propri cittadini. 23. - In altre parole, il giudice dell'ottemperanza ritiene che l'applicazione del combinato disposto degli articoli 4, lettera b), 37, lettera c), 25 comma 1, e 28 della legge 27 dicembre 1953, n. 968 non consenta di far conseguire agli appellati una somma diversa da quella indicata a pagina 15 della decisione di questa sezione n. 565 del 10 aprile 1998, (cioe' una refusione nella misura di L. 48.583.330.=), aumentata degli interessi legali dalla data del passaggio in giudicato della sentenza per cui si e' instaurato il giudizio di esecuzione fino all'effettivo soddisfo. 24. - E' evidente, tuttavia, la netta sproporzione tra una liquidazione operata in tempi ragionevoli rispetto alla domanda (finanche precedente l'entrata in vigore della citata legge 27 dicembre 1953, n. 968) e la presente liquidazione. 25. - La normazione appena richiamata, peraltro, non lascia spazio a pronunce giurisdizionali in cui si esprima il diritto vivente: infatti, il meccanismo di moltiplicazione della misura indennizzabile per cinque, come prescritto dal comma 1, dell'art. 25 della legge 27 dicembre 1953, n. 968, assicura di per se' una forma di rivalutazione forfettaria legislativamente predeterminata. 26. - E' pertanto sostanzialmente inibito a questo Consiglio introdurre parametri di rivalutazione che non trovino nel precetto suindicata una specifica giustificazione. E' altresi' evidente che l'ostacolo a una piu' ampia refusione (non certo, come gia' osservato, nella misura richiesta dalle parti appellate e' dato dal comma 1, dell'art. 25, nella parte in cui indica il moltiplicatare cinque per i prezzi vigenti in Italia al 30 giugno 1943: 27. - Il Collegio, in definitiva, dubita della legittimita' costituzionale di quella prescrizione, perche' la stessa, isolando la determinazione complessiva dell'indennizzo in un momento storico di gran lunga anteriore a quello di effettivo soddisfo delle richieste dei soggetti colpiti dagli eventi bellici (oltre che da persecuzione razziale), finisce per ledere il principio di ragionevolezza intrinseco al sistema e per eludere, in concreto il principio di solidarieta' sociale ed etica alla cui riaffermazione e' preordinata la legislazione in materia di concessione di indennizzi e contributi per danni di guerra. 28. - In altre parole, il mantenimento di un coefficiente di moltiplicazione non piu' idoneo a mantenere un minimo di proporzionalita' tra misura dell'indennizzo e danni effettivamente patiti, sembra ledere i principi scaturenti dagli artt. 2 (afferente i doveri di solidarieta' sociale cui si ispira la normazione sui danni di guerra) e 3 (quale cardine del principio di ragionevolezza) della Costituzione. 29. - Apparendo la questione rilevante e non manifestamente infondata, si deve disporre la trasmissione degli atti alla Corte costituzionale per il giudizio di legittimita' costituzionale sul comma 1, dell'art. 25 della legge 27 dicembre 1953, n. 968, nella parte in cui limita tuttora per cinque il moltiplicatore utile ai fini della determinazione dell'indennizzo in relazione agli artt. 2 e 3 della Costituzione.