IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE

    Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 395 del 2003,
proposto  da Grosso Felice Antonio, Cetrullo Erminio, Lepore Michele,
Masci  Carlo,  Diodoro  Alessandro,  Lino  Augusto,  Govini  Antonio,
D'Ascanio  Gian  Franco,  Di  Campli  Donato,  Maglia  Guido,  Grossi
Giuliano,  tutti  rappresentati  e  difesi  dagli avv. Franco Gaetano
Scoca,  Marcello  Russo  e  Manuel  De Monte, presso il secondo ed il
terzo elettivamente domiciliati in Pescara, via Colonna n. 31;
    Contro  il Comune di Pescara, in persona del Sindaco pro tempore,
rappresentato  e  difeso  dall'avv.  Paola  Di Marco ed elettivamente
domiciliato in Pescara, presso la residenza comunale;
    E nei confronti di:
        Di  Marco  Michele,  rappresentato e difeso dall'avv. Tommaso
Marchese,  presso lo stesso elettivamente domiciliato in Pescara, via
dei Marrucini n. 11;
        Damiani  Sandro, rappresentato e difeso dagli avv. Attilio Di
Camillo   e   Giulia  Di  Donato,  presso  gli  stessi  elettivamente
domiciliato in Pescara, via dei Marruccini n. 80;
        D'Alfonso Luciano, rappresentato e difeso dagli avv. Vincenzo
Cerulli Irelli, Giulio Cerceo e Sergio Della Rocca, presso il secondo
elettivamente domiciliato in Pescara, viale D'Annunzio n. 142;
        Gentile   Antonio,   quale   rappresentante   lista   Partito
Socialista Nuovo PSI, non costituito in giudizio;
        Iannucci  Nando,  quale  rappresentante  lista Semper Fidelis
Luci, non costituito in giudizio;
        Ministero  dell'interno, in persona del ministro pro tempore,
prefettura  di  Pescara, in persona del prefetto pro tempore, Ufficio
centrale  elettorale  di  Pescara,  in  persona  del  Presidente  pro
tempore,  rappresentanti  e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello
Stato di L'Aquila, domiciliataria per legge;
    Per  l'annullamento della proclamazione degli eletti al Consiglio
comunale   di  Pescara,  effettuata  il  14 giugno 2004  dall'Ufficio
elettorale  di  Pescara,  a  seguito  delle  elezioni  amministrative
svoltesi  nei  giorni 25 e 26 maggio e 8 e 9 giugno 2003, nella parte
in  cui  sono  stati  attribuiti  20  Consiglieri  (anziche'  19)  al
raggruppamento  di  liste  collegato al candidato n. 1 alla carica di
sindaco  sig.  D'Alfonso  Luciano  e  quindi sono stati attribuiti 20
Consiglieri  (anziche'  21)  al  raggruppamento di liste collegato al
candidato  n. 2  alla  carica di Sindaco sig. Masci Carlo, nonche' di
tutti  gli  atti connessi nella parte in cui sono stati computati, al
fine   di   determinare  la  cifra  elettorale  complessiva,  i  voti
conseguiti  dalla lista n. 20 - Nuovo PSI e dalla lista n. 1 - Semper
Fidelis  Luci,  e  per  la  correzione  dei  risultati elettorali con
attribuzione  di n. 21 seggi al raggruppamento collegato al candidato
Masci  e  di  n. 19  seggi  al  raggruppamento collegato al candidato
D'Alfonso  e,  quindi,  con  proclamazione  della  elezione di Grosso
Felice Antonio in luogo di Di Marco Michele.
    Visto il ricorso con i relativi allegati;
    Visti gli atti di costituzione in giudizio di: comune di Pescara,
Di  Marco  Michele,  Damiani  Sandro,  D'Alfonso  Luciano, Avvocatura
distrettuale dello Stato per il Ministero dell'interno, la Prefettura
di Pescara e l'Ufficio centrale elettorale di Pescara;
    Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive
difese;
    Visti gli atti tutti della causa;
    Relatore,  alla pubblica udienza del 15 gennaio 2004, il cons. Di
Giuseppe;
    Uditi  gli  avv. Scoca, Russo e de Monte per la parte ricorrente,
gli   avv.   Cerulli   Irelli,   Cerceo   e   Della   Rocca   per  il
controinteressato  sindaco, l'avv. Di Marco per il comune resistente,
l'avv.  Marchese  per il controinteressato Di Marco, l'avv. Donatella
Laureti,  su  delega  degli  avv.  Di  Camillo  e  Di  Donato  per il
controinteressato  Damiani  e  l'avv.  dello  Stato Massimo Lucci per
l'Amministrazione dell'interno costituita;
    Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue:

                              F a t t o

    Con ricorso depositato il 27 giugno 2003 e notificato in data 4 e
7  luglio  2003  (e, peraltro, in data 9 luglio 2003 nei confronti di
Gentile  Antonio  e  18 luglio  2003 nei confronti di Iannucci Nando)
unitamente  al  decreto  di  fissazione  dell'udienza di discussione,
emesso  il  30 giugno  2003  e  rilasciato  in copia conforme in data
17 luglio  2003,  ricorso  di  nuovo depositato il 24 luglio 2003, il
sig.  Grosso Felice Antonio ed altri dieci consorti di lite, epigrafe
indicati,  hanno  chiesto  l'annullamento  della  proclamazione degli
eletti al Consiglio comunale di Pescara, effettuata il 14 giugno 2003
dall'Ufficio   elettorale   di  Pescara,  a  seguito  delle  elezioni
amministrative  svoltesi  nei  giorni  25  e 26 maggio e 8 e 9 giugno
2003,  nella  parte  in  cui  sono  stati  attribuiti  20 Consiglieri
(anziche'  19) al raggruppamento di liste collegato al candidato n. 1
alla  carica  di  Sindaco  sig. D'Alfonso Luciano e quindi sono stati
attribuiti  20  Consiglieri  (anziche' 21) al raggruppamento di liste
collegato  al candidato n. 2 alla carica di sindaco sig. Masci Carlo,
nonche'  di  tutti  gli  atti  connessi nella parte in cui sono stati
computati,  al fine di determinare la cifra elettorale complessiva, i
voti  conseguiti  dalla  lista n. 20 - Nuovo PSI e dalla lista n. 1 -
Semper  Fidelis  Luci;  hanno  chiesto,  inoltre,  la  correzione dei
risultati   elettorali   con   attribuzione   di   n. 21   seggi   al
raggruppamento  collegato  al  candidato  Masci  e  di n. 19 seggi al
raggruppamento  collegato  al  candidato  D'Alfonso  e,  quindi,  con
proclamazione  della elezione di Grosso Felice Antonio in luogo di Di
Marco Michele.
    Il  ricorso  premette che alla succitata consultazione elettorale
hanno   partecipato  sei  candidati  a  sindaco:  Valloreia  Lorenzo,
collegato alla sola lista n. 1 - Semper Fidelis Luci; Teodoro Gianni,
collegato  alla  sola  lista  n. 2 - Lista Teodoro per Pescara; Masci
Carlo,  collegato al raggruppamento di liste denominate Forza Italia,
Alleanza    Nazionale,   Partito   Democratico   Cristiano,   U.D.C.,
Alternativa  Femminile, Fiamma Tricolorie, Pescara Futura e Cattolici
Democratici    per   Pescara;   D'Alfonso   Luciano,   collegato   al
raggruppamento  di  liste  denominate  La  Margherita, Democratici di
Sinistra,  U.D.E.U.R.,  Lista  Di  Pietro-Italia  dei Valori, Pescara
Amica,  Socialisti  Democratici Italiani, Verdi, Comunisti Italiani e
Partito  Comunista Rifondazione; D'Amico Giorgio, collegato alla sola
lista   n. 20   Nuovo  P.S.I.  Partito  Socialista;  Bosio  Fabrizio,
collegato alla sola lista n. 21, Fronte Sociale Nazionale.
    Il  ricorso  premette, altresi', che al primo turno elettorale le
predette  liste  n. 1  e  n. 20  non  hanno raggiunto il 3% dei voti;
infatti,  la  n. 1  -  semper Fidelis Luci ha conseguito lo 0,1% e la
n. 20  -  Nuovo  P.S.I.  Partito  Socialista  ha  conseguito  l'l,3%.
Peraltro,  non  avendo  alcuno  dei candidati a sindaco conseguito la
maggioranza  assoluta,  si e' proceduto al turno di ballottaggio, cui
sono  stati  ammessi i predetti candidati D'Alfonso e Masci. In vista
del secondo turno, si sono collegate (o apparentate) al primo di tali
candidati,  sia  le  predette  liste  nn. 1 e 20, sia la lista n. 2 -
Lista Teodoro per Pescara.
    All'esito  del  turno  di  ballottaggio,  svolto nei giorni 8 e 9
giugno 2003, e' risultato eletto alla carica di sindaco del comune di
Pescara  il  dott.  Luciano  D'Alfonso  con  la  cifra di 41.570 voti
validi.
    In  sede  di  determinazione  della  cifra elettorale complessiva
delle  liste  collegate  con i candidati a sindaco, al raggruppamento
collegato  al  candidato  D'Alfonso  e'  stata  attribuita  la  cifra
complessiva  di  36.417  voti,  computandovi  anche i voti conseguiti
dalle liste n. 1 - Semper Fidelis Luci e n. 20 - Nuovo P.S.I. che non
hanno  conseguito,  al primo turno, il 3% dei voti; al raggruppamento
collegato al candidato Masci e' stata attribuita la cifra complessiva
di 37.693 voti.
    Cosi'  operando,  l'Ufficio  centrale elettorale ha attribuito 20
quozienti  al  raggruppamento  collegato  al  candidato  D'Alfonso ed
altrettanti   a   quello  collegato  al  candidato  Masci.  Tanto  ha
comportato  che  in sede di proclamazione dei 40 Consiglieri comunali
eletti,  il  ventesimo dei seggi spettanti al primo raggruppamento e'
stato   attribuito  alla  lista  n. 2  -  Teodoro  per  Pescara,  con
proclamazione a consigliere del sig. Di Marco Michele.
    Il  ricorso  espone  che,  a  favore  del  primo  raggruppamento,
dovevano essere, invece, computati soltanto i voti della lista n. 2 -
Teodoro per Pescara, che al primo turno aveva superato il 3%, sicche'
la relativa cifra elettorale complessiva sarebbe stata determinata in
35.336  voti,  con  la conseguenza che, in luogo del predetto sig. Di
Marco,  sarebbe  risultato eletto alla carica di consigliere comunale
il sig. Grosso Felice Antonio (primo dei ricorrenti), candidato della
lista  n. 3  -  Partito  Democratico  Cristiano  che era collegata al
candidato a sindaco avv. Masci.
    Il ricorso deduce, in diritto, i seguenti motivi:
    I.  -  Violazione ed erronea applicazione dell'art. 73 del d.lgs.
18  agosto  2000,  n. 267,  nonche'  eccesso di potere per sviamento,
poiche',  ai  sensi  del  comma 7 dell'art. 73 cit., non sono ammesse
all'assegnazione dei seggi quelle liste che abbiano ottenuto al primo
turno  meno  del  3%  dei voti validi e che non appartengano a nessun
gruppo  di  liste  che  abbia  superato  tale soglia; tali liste sono
escluse,  peraltro,  dalla  valutazione  della  cifra  elettorale del
raggruppamento  cui  i  delegati  delle stesse decidano di fornire il
proprio  appoggio  in  sede  di  ballottaggio. Tanto, onde evitare lo
sconvolgimento,  tramite gli apparentamenti, dei risultati elettorali
del   primo   turno,   assegnando   valore  ponderale  e  addirittura
determinante a liste che, per il risultato conseguito, la legge priva
di  peso  specifico.  In  definitiva,  l'apparentamento non priva gli
aggregati  dei  voti  conseguiti  nel primo turno per aver modificato
l'originaria   impostazione  per  la  quale  gli  elettori  si  erano
espressi,  ma  non accresce l'effetto di quei voti sottraendoli a chi
li ha conseguiti sulla base di programmi e accordi rimasti invariati.
    II.  - Violazione ed erronea applicazione dell'art. 73 del d.lgs.
n. 267  del  2000  e delle direttive ministeriali, nonche' eccesso di
potere  per  sviamento  e  difetto  di motivazione, poiche' l'Ufficio
elettorale  centrale  ha  disatteso  le  istruzioni  ministeriali, in
particolare  quelle  di  cui  al  paragrafo  30,  ed  ha  addirittura
modificato  ed  interpolato, con autonome ed autografe correzioni, il
testo  del  modello  ministeriale  di  verbale, al paragrafo 6, cosi'
arbitrariamente,  e  senza  adeguata motivazione, discostandosi dalle
univoche  direttive  impartite  dal  Ministero  dell'interno le quali
hanno  valore  di  indirizzo  interpretativo  per il predetto Ufficio
elettorale, essendo questo pur sempre un organo amministrativo, anche
se  straordinario  e  temporaneo  e comunque non sottoposto a vincolo
gerarchico.   Cosi'   operando,   l'Ufficio  elettorale  centrale  ha
sottratto  una  maggioranza  consiliare  al  raggruppamento  di liste
collegate   al   candidato  Masci,  mentre,  secondo  una  precisa  e
consapevole   scelta   del  legislatore,  l'ammissibilita'  del  voto
disgiunto   (possibilita'   di   votare   un   candidato  sindaco  e,
contemporaneamente,  una lista ad esso non collegata) comporta che e'
ben possibile che in Consiglio vi sia una maggioranza contrapposta al
Sindaco.
    III. - Violazione ed erronea applicazione dell'art. 73, comma 2 e
segg.,  del  d.lgs.  n. 267 del 2000, poiche' il candidato D'Alfonso,
pur    avendo   presentato   un   «programma»   comune   alle   liste
originariamente  collegate,  non ha, in occasione dell'apparentamento
successivo,  pubblicato  un  nuovo  programma  che  desse conto della
comunanza  d'intenti  del  precedente raggruppamento con le tre nuove
liste apparentate.
    IV.  - Attuazione dell'art. 26, ultimo comma, della legge n. 1034
del  1971 e degli artt. 91 e segg. c.p.c., potendosi provvedere sulle
spese del giudizio anche nei confronti dei resistenti.
    Il  ricorso  conclude  per l'annullamento in parte qua degli atti
impugnati   e   per  la  correzione  dei  risultati  elettorali,  con
attribuzione  di  21  seggi  al  raggruppamento di liste collegate al
candidato Masci, e quindi di 19 seggi a quello collegato al candidato
D'Alfonso, oltreche' per la declaratoria della elezione a consigliere
comunale  del  candidato Grosso Felice Antonio in luogo del candidato
Di Marco Michele.
    Per  resistere  si e' costituito in giudizio il comune di Pescara
la  cui  difesa,  con  memoria  depositata  il  21  luglio  2003,  ha
controdedotto nel merito del ricorso, chiedendone la reiezione.
    Peraltro, si e' costituito in giudizio il dott. D'Alfonso Luciano
la  cui  difesa,  con  memorie  depositate  in  data 19 luglio 2003 e
19 settembre 2003, ha sostenuto, in sintesi, che all'indubbio fine di
conseguire  una  compattezza  all'interno  del Consiglio comunale che
offra  garanzie  di stabilita', efficienza e funzionalita' al governo
locale,   nell'interesse   primario   della  stessa  collettivita'  i
collegamenti  istituiti al momento del turno di elezione del sindaco,
e  quindi  anche  del  secondo  turno, debbono essere considerati per
identificare  la  composizione  delle  coalizioni  e  procedere  alla
ripartizione dei seggi, non potendo prescindersi dalle coalizioni che
si  sono fronteggiate nel turno di ballottaggio, poiche' quest'ultimo
configura  la  convergenza  di  interessi tra piu' forze politiche in
relazione  all'esito  del  primo turno; infatti, il non tenerne conto
determina un risultato disomogeneo, in quanto il collegamento operato
ai   fini  del  primo  turno,  ma  superato  di  fatto  dalle  scelte
dell'elettorato,   puo'   diventare   decisivo   per   la  definitiva
assegnazione  dei  seggi  dopo  il  ballottaggio;  peraltro,  la tesi
propugnata  dalla  parte  ricorrente,  in  stridente contrasto con il
generale  principio  improntato  all'esigenza  di  salvezza  dei voti
espressi  dagli  elettori,  finisce per disperdere o non utilizzare i
voti  conseguiti  da  quelle  liste  che, pur irrilevanti ai fini del
primo  turno,  hanno  comunque  fatto  parte nel secondo turno di una
coalizione che ha superato lo sbarramento.
    Si  e'  costituito  in giudizio anche il sig. Di Marco Michele la
cui  difesa,  con memoria depositata il 19 luglio 2003, ha osservato,
in  sostanza,  argomentazioni  analoghe  a quelle sopra riassunte. La
stessa  difesa, d'altra parte, con memoria depositata il 19 settembre
2003,   ha   eccepito  l'inammissibilita'  del  ricorso  poiche'  non
notificato  all'effettivo  controinteressato  dott.  Damiani  Sandro,
sebbene  fosse  noto il suo subentro nella carica di consigliere gia'
all'epoca della notifica del ricorso.
    Inoltre,   si   sono   costituiti   in   giudizio   il  Ministero
dell'interno,   la   prefettura   di  Pescara  e  l'Ufficio  centrale
elettorale  di  Pescara la cui difesa, con memorie depositate in data
18 agosto 2003 e 17 settembre 2003, ha contestato le censure di parte
ricorrente, chiedendone la reiezione.
    Infine,  con  atto  del  24 settembre  2003,  si e' costituito in
giudizio  il  citato  dott Damiani Sandro, subentrato nella carica di
consigliere  comunale  a  seguito  della nomina ad Assessore del sig.
Teodoro   Gianni   della  stessa  lista  d'appartenenza,  concludendo
anch'esso per la reiezione del ricorso.
    Con   memoria   depositata  il  5 dicembre  2003  la  difesa  dei
ricorrenti  ha  evidenziato come appaia carente d'interesse e tardiva
la  costituzione  in  giudizio  del  Ministero  dell'interno  e della
prefettura  di  Pescara e dell'Ufficio centrale elettorale, oltre che
contraddittoria  in  relazione  alle istruzioni diramate dallo stesso
Ministero  in materia elettorale, e ne ha chiesto l'estromissione con
condanna alle spese di giudizio.

                            D i r i t t o

    I.  -  Il  ricorso  in  esame risulta depositato in segreteria il
giorno  27 giugno  2003  ed  il  relativo  decreto  presidenziale  di
fissazione  dell'udienza  di  discussione  risulta  emesso  il giorno
30 giugno  2003  e risulta rilasciato alla parte ricorrente il giorno
1° luglio 2003.
    ll  ricorso stesso risulta notificato il giorno 4 luglio 2003 nei
confronti  sia  del comune di Pescara, sia del controinteressato sig.
Di Marco Michele.
    Peraltro,  il ricorso stesso risulta notificato (ad iniziativa di
parte  ricorrente) il giorno 5 luglio 2003, a mezzo servizio postale,
nei  confronti,  sia  del Sindaco eletto dott. D'Alfonso Luciano, sia
dell'Ufficio  centrale  elettorale  di  Pescara  presso  l'Avvocatura
distrettuale  dello  Stato di L'Aquila, notifica da entrambi ricevuta
il 7 luglio 2003.
    Inoltre,  il  ricorso stesso risulta notificato (ad iniziativa di
parte  ricorrente)  il  giorno  9 luglio  2003 nei confronti del sig.
Gentile  Antonio, quale rappresentante della lista denominata Partito
Socialista  Nuovo  P.S.I.,  ed il giorno 18 luglio 2003 nei confronti
del  sig. lannucci Nando, quale rappresentante della lista denominata
Semper Fidelis Luci.
    Infine,  il  ricorso  in  esame,  con  le  prove  delle  avvenute
notificazioni,  risulta nuovamente depositato in Segreteria il giorno
24 luglio 2003.
    II.  -  Sotto il profilo della completezza del contraddittorio il
rapporto  processuale deve essere ritenuto completo, giacche' risulta
spontaneamente  costituito  in  giudizio  anche  il controinteressato
dott.  Damiani  Sandro  il quale, a seguito della nomina ad assessore
del  sig.  Teodoro  Gianni, e' subentrato nella carica di Consigliere
comunale   divenendo   l'effettivo   controinteressato  nel  presente
giudizio.
    D'altra    parte,   non   puo'   essere   condivisa   l'eccezione
d'inammissibilita'  del  ricorso  (sollevata dalla difesa del sig. Di
Marco   Michele)   in   relazione  alla  mancata  notifica  dell'atto
introduttivo  nei  confronti del predetto dott Damiani, poiche', alla
data  (27 giugno  2003) del primo deposito del ricorso stesso, questi
non era stato ancora surrogato nella carica di consigliere; pertanto,
la  notifica  effettuata  nei confronti del controinteressato sig. Di
Marco   appare   idonea  a  rendere  ammissibile  il  ricorso,  salva
l'eventuale integrazione del contraddittorio che, nel caso di specie,
ad  avviso  del Collegio appare superflua, essendosi il dott. Damiani
costituito spontaneamente.
    III.  -  Quanto  alla  domanda  di estromissione dal giudizio del
Ministero  dell'interno,  della  prefettura di Pescara e dell'Ufficio
centrale  elettorale  di Pescara, proposta (in memoria del 5 dicembre
2003)  dalla difesa della parte ricorrente, osserva il collegio, che,
in  effetti, secondo la giurisprudenza, l'Ufficio centrale elettorale
non  e' parte necessaria nel giudizio elettorale (Cons. St., Ad. Pl.,
31  luglio 1996, n. 16) cosi' come non lo e' il prefetto (Cons. G. A.
Sic., 3 giugno 1981, n. 31; Cons. St., sez. V, 2 maggio 1996, n. 499)
e cosi' come non puo' essere ritenuto tale il Ministero dell'interno.
    Tra  l'altro,  nella  specie,  sembrerebbe  sussistere  anche  un
contrasto  tra  la posizione assunta dal ministro degli interni quale
ricavabile  dal testo dei verbali ristampati predisposti in occasione
del  turno  elettorale, e quella dell'Ufficio centrale di Pescara che
invece ha ritenuto di seguire un diverso indirizzo.
    Tuttavia,  ognuno  di  questi  organi  non e' privo d'interesse a
partecipare  ai  giudizi  elettorali,  essendo  organi  della  stessa
Amministrazione  dell'interno  comunque  coinvolti  nel  procedimento
elettorale,  sicche'  la  relativa  costituzione  effettuata da parte
dell'Avvocatura  dello  Stato - la quale non ha bisogno allo scopo di
uno  specifico  mandato (Cons. St., sez. IV, 4 ottobre 1999, n. 1509;
Cassaz.,  SS.UU.,  21  luglio  1999, n. 484) -non puo', ad avviso del
Collegio,  essere ritenuta inammissibile, tanto piu' che, nel caso di
specie,  e'  stata proprio la parte ricorrente a notificare (sia pure
per  notizia)  il  ricorso  all'ufficio  centrale  elettorale  presso
l'Avvocatura distrettuale dello Stato.
    La scelta dell'avvocatura non e', quindi, censurabile da parte di
questo   collegio  visto  che  ha  autonomamente  ritenuto  di  dover
sostenere la tesi dell'ufficio elettorale centrale.
    La  Costituzione,  poi,  non puo' essere ritenuta tardiva perche'
successiva  ai quindici giorni dalla ricevuta notifica (come sostiene
la difesa di parte ricorrente), giacche' la perentorieta' del termine
prescritto dal terzo comma dell'art. 83/11 del d.P.R. n. 570 del 1960
riguarda  soltanto la proposizione dell'eventuale ricorso incidentale
da  parte  dei  controinteressati  (Cons. St., sez. V, 2 maggio 1996,
n. 499).
    IV.  -  Quanto al merito del ricorso in esame giova ricordare che
esso  e'  diretto  all'annullamento  dell'atto di proclamazione degli
eletti al Consiglio comunale di Pescara nella parte in cui, all'esito
del  turno  di  ballottaggio,  sono  stati  attribuiti venti seggi di
consigliere,   anziche'   diciannove,   al  raggruppamento  di  liste
collegate  al  sindaco  eletto  dott.  D'Alfonso, ed e' diretto, come
effetto, alla correzione dei risultati elettorali con attribuzione di
ventuno   seggi   al  raggruppamento  di  liste  collegate  all'altro
candidato   a   sindaco   avv.  Masci  e,  quindi,  con  declaratoria
dell'elezione a Consigliere del ricorrente sig. Grosso Felice Antonio
in luogo del sig. Di Marco Michele ed anzi in luogo del dott. Damiani
Sandro  che gli e' subentrato nella posizione di secondo degli eletti
per la stessa lista d'appartenenza.
    Il  ricorso  sostiene,  in  stretta  sintesi,  che,  in  fase  di
determinazione   della   cifra  elettorale  complessiva  delle  liste
collegate  a  ciascuno  dei predetti candidati a sindaco, non debbono
essere computati i voti conseguiti dalle liste che al primo turno non
hanno superato la soglia del 3% dei voti validi.
    Il  Collegio  rileva che, sulla specifica questione, esistono due
autorevoli, e pur discordanti, orientamenti della giurisprudenza.
      Un  primo indirizzo giurisprudenziale, il quale prende le mosse
piu'  indietro  nel tempo, pur se ribadito anche recentemente, e' nel
senso  di  ritenere  che,  ai fini dell'attribuzione dei seggi, debba
darsi  rilievo ai raggruppamenti di liste compiuti in vista del turno
c.d.  di  ballottaggio per l'elezione del sindaco, con la conseguenza
che  debbono  essere  computati  i  voti conseguiti da tutte le liste
collegatesi  in  occasione  del  secondo turno (Cons. St., sez. V, 19
marzo  1996,  n. 290;  20  settembre  2000,  n. 4894;  4 maggio 2001,
n. 2519; 29 gennaio 2003, n. 455).
    Tale  indirizzo  giurisprudenziale risulta prevalentemente basato
sulle seguenti considerazioni:
        il  sistema  elettorale  appare  finalizzato  a perseguire la
stabilita'   del  governo  delle  amministrazioni  locali  attraverso
l'attribuzione  del  c.d.  premio di maggioranza al raggruppamento di
liste   collegate   con   il  candidato  eletto  sindaco,  ma  appare
finalizzato   anche   alla  eliminazione  della  frantumazione  delle
minoranze  in  seno  ai  consigli  comunali, il tutto a beneficio del
complessivo andamento dell'amministrazione locale;
        tutto il procedimento elettorale per l'elezione del sindaco e
del  consiglio comunale non puo' essere visto nei singoli momenti, ma
deve  essere  considerato come un unicum, che sulla base delle libere
scelte  delle  forze  politiche  quanto  al  loro raggrupparsi, ferma
l'elezione  del sindaco, tiene in effetti di mira la composizione del
consiglio comunale;
        la  razionalita'  del  criterio della considerazione unitaria
del  gruppo  di  liste  non  viene  meno  nell'ipotesi in cui, per la
ripartizione  dei  seggi  di  minoranza, concorrano liste che si sono
presentate  al  corpo  elettorale  singolarmente  e liste che si sono
presentate  in  raggruppamento,  dovendo  darsi prevalenza ai diversi
programmi    politici   sottoposti   al   giudizio   dell'elettorato,
considerazione ugualmente valida con riguardo al gruppi formatisi nel
turno di ballottaggio;
        non si deve tener conto dell'eventuale collegamento tra due o
piu'  liste  operato nell'ambito del primo turno di votazione, stante
l'ontologica  ed  insopprimibile  differenza tra detto collegamento e
quello   instaurato  ai  fini  del  ballottaggio,  rispondendo  l'uno
all'accordo  tra liste diverse per unire le proprie forze ad eleggere
subito  il  candidato  sindaco  appoggiato  anche in competizione con
altri candidati sia pure della medesima area politica, l'altro invece
alla  convergenza  di interessi tra piu' forze politiche in relazione
all'esito  del  primo turno, diversamente determinandosi un risultato
disomogeneo, ossia la circostanza che il collegamento operato ai fini
del  primo  turno, ma superato di fatto dalle scelte dell'elettorato,
possa  diventare  decisivo  per  la definitiva assegnazione dei seggi
dopo il ballottaggio;
        in difetto di diversa precisazione, i riferimenti legislativi
al  computo  della  predetta  cifra  elettorale sembrano riguardare i
collegamenti  esistenti al momento in cui si effettuano le operazioni
di  cui  trattasi  e  quindi  i collegamenti come definiti al secondo
turno, non spiegandosi altrimenti l'utilita' del collegamento in sede
di   ballottaggio,  collegamento  che  e'  preordinato  a  facilitare
ulteriori aggregazioni di liste, nella prospettiva di stabilita' e di
efficienza  operativa  degli  organi  comunali,  e che, quindi, nella
distribuzione  dei  seggi  impone  una  considerazione  unitaria  del
gruppo.
    D'altra   parte,  il  secondo,  e  del  tutto  recente  indirizzo
giurisprudenziale e' nel senso di ritenere che, ai sensi dell'art. 73
del  d.lgs.  n. 267  del  2000,  le  liste elettorali che non abbiano
conseguito  almeno il 3% dei voti sono escluse, sia dall'attribuzione
dei  seggi  nel  primo  turno,  sia  dalla  valutazione  della  cifra
elettorale  del  raggruppamento cui i delegati di tali liste decidano
di  fornire  il  proprio  appoggio  in  sede di ballottaggio, a nulla
valendo  che  nel secondo turno le stesse liste siano confluite in un
raggruppamento  che abbia superato tale soglia (Cons. St., sez. V, 10
febbraio 2003, n. 652; 4 giugno 2003, n. 3083).
    Tale  indirizzo  giurisprudenziale risulta prevalentemente basato
sulle seguenti considerazioni:
        l'utilizzazione  dei  voti ottenuti dalle liste che non hanno
superato  lo sbarramento al fine di integrare la cifra elettorale del
raggruppamento  indicato  dai  delegati di dette liste per l'appoggio
nel  turno  di  ballottaggio,  e  quindi per la scelta di uno dei due
candidati   a   sindaco   rimasti   in   lizza,  contrasta,  sia  con
l'espressione  del  voto  degli  elettori  che e' stata formulata con
riguardo  ad  una  lista  che si e' presentata autonomamente al primo
turno  elettorale  con  un  proprio  candidato  a  sindaco  e con uno
specifico  programma  elettorale, sia con la scelta che tali elettori
possono aver effettuato in sede di ballottaggio per sostenere l'uno o
l'altro  dei candidati rimasti in corsa per l'elezione, scelta avente
tre  possibilita':  a)  non  votare  alcuno dei candidati perche' non
ritenuti  meritevoli  di  sostegno;  b) votare a favore del candidato
indicato  dal  delegato  di  lista;  c)  votare  a  favore dell'altro
dandidato  in quanto preferito rispetto al candidato cui la lista per
la   quale  avevano  votato  al  primo  turno  si  e'  associata  nel
ballottaggio;
        ben  due  delle tre suindicate possibilita' - lett. a) e c) -
contrastano  con  la  scelta  dei delegati di lista di far convergere
necessariamente  sul  candidato prescelto i voti conseguiti nel primo
turno,   mentre   nel   procedimento   elettorale   non  puo'  essere
privilegiata   un'interpretazione  che  non  sia  nel  massimo  grado
possibile  rispettosa  della  volonta'  degli elettori e che, invece,
consentirebbe ai delegati di lista di sostituirsi ai singoli elettori
nella  espressione  del  voto  integrando,  per  cosi'  dire, la loro
volonta' attraverso lo spostamento, non solo a favore del candidato a
sindaco  prescelto,  ma anche a favore delle liste che lo sostenevano
al  primo turno, i voti conseguiti dalle liste che non hanno superato
lo sbarramento;
        nel primo turno i raggruppamenti avrebbero potuto presentarsi
uniti  e  se  non  l'hanno  fatto  cio' ha determinato una fase della
competizione  elettorale  in  cui  sono  stati  avversari, sostenendo
diversi  candidati con differenti programmi, sicche' non e' possibile
sapere come il singolo elettore si sarebbe regolato per l'ipotesi che
fosse stato chiamato a scegliere tra raggruppamenti diversi da quello
cui  ha  attribuito il proprio consenso nel primo turno; pertanto, se
non si vuole incidere sul libero esercizio del diritto costituzionale
all'elettorato  attivo,  non  deve  essere  consentito altro che agli
elettori  stessi  di  modificare  il proprio orientamento nel segreto
dell'urna,  ma  non di certo ai delegati delle liste di appartenenza,
non  essendo  affatto  pacifico  che  la  scelta  dell'apparentamento
operata  dai  delegati  di  lista corrisponda alla scelta dei singoli
elettori;
        elementi  letterali  d'interpretazione delle norme consentono
d'individuare  una  netta  distinzione tra le due tornate elettorali,
impedendo  l'utilizzazione  dei risultati del primo turno per la fase
successiva  del  ballottaggio:  il voto di lista si riferisce solo al
primo  turno elettorale (comma 3 dell'art. 73 cit.), mentre nel turno
di  ballottaggio  il voto si esprime con riguardo al solo candidato a
sindaco  prescelto  (comma  8  dell'art. 72,  d.lgs. cit.), rimanendo
ininfluenti  le liste collegate ai fini dell'espressione del voto; la
cifra   elettorale  e'  costituita  dai  voti  di  lista  e,  quindi,
ragionevolmente  dai  voti  conseguiti  dalle  liste nel primo turno,
l'unico   nel   quale  esse  sono  direttamente  rilevanti  (comma  5
dell'art. 73  cit.);  l'assegnazione  dei  seggi e' effettuata avendo
riguardo  alla  cifra  elettorale «nel turno di elezione del sindaco»
che,  appunto,  e'  il  primo  nel  quale  assumono rilievo le liste,
singole o collegate, che hanno riportato voti che compongono la cifra
elettorale  (comma  8  dell'art. 73  cit.); lo sbarramento del 3% dei
voti  validi  si  riferisce  al primo turno ed il mancato superamento
comporta  l'esclusione  dall'assegnazione  dei  seggi;  in  tale fase
procedimentale,  il  primo  momento e' costituito dall'individuazione
della  cifra elettorale cui rimangono estranee le liste che non hanno
superato  lo sbarramento (comma 7 dell'art. 73 cit.); la disposizione
che  contempla  il procedimento per l'assegnazione dei seggi (comma 8
dell'art. 73  cit.)  si  riferisce  solo  al  primo  turno  e  non al
ballottaggio  che,  a  ben  vedere,  non e' in alcun modo considerato
dalle norme sull'assegnazione dei seggi;
        la previsione normativa (comma 7 dell'art. 73 cit.) delle due
condizioni  negative  per  la  non  assegnazione  di  seggi  (mancato
conseguimento  del  3% dei voti e non appartenenza a nessun gruppo di
liste  che  abbia superato tale soglia), lungi dal riferirsi al turno
di ballottaggio, vuole evitare che siano escluse dall'assegnazione di
seggi  quelle  liste  che,  pur non avendo conseguito il 3% dei voti,
abbiano  tuttavia  aderito  ad  un  raggruppamento  di liste che tale
limite  ha  superato,  prevedendo  l'eccezione  alla  regola del c.d.
sbarramento,  onde incentivare le aggregazioni delle forze politiche;
tale  disposizione si colloca, comunque, nell'ambito della disciplina
del  primo  turno  e  non  in  quella del turno di ballottaggio, dove
l'indicazione  delle  liste,  pur  riportata  nelle schede, non entra
nella determinazione dei risultati che sono esclusivamente ricondotti
ai voti attribuiti ai candidati a sindaco.
    Dinanzi  a  due  diversi,  comunque  autorevoli  indirizzi  della
giurisprudenza,  il  collegio deve porsi il problema di quale dei due
sia da ritenere il piu' conforme al sistema vigente.
    Entrambi  manifestano argomentazioni degne di considerazione, non
prive di elementi a favore dell'una o dell'altra soluzione.
    Il collegio, comunque, deve effettuare una necessaria premessa.
    Il  sistema elettorale vigente e' stato introdotto con il preciso
intento di evitare che si verificasse un continuo ricorso alle urne e
ricambi  nel  governo  degli  enti  locali  a seguito di mutamenti di
posizioni   nell'ambito  della  maggioranza  e  dei  partiti  che  la
compongono,   con  la  precisa  volonta'  di  garantire  una  stabile
maggioranza e uno stabile governo dell'ente locale.
    Si  e'  scelto cosi' di spingere le varie componenti a coagularsi
attorno  ad  una  persona  indicata quale sindaco che governi con una
stabile maggioranza durante l'intero mandato.
    E' stato, percio', previsto un premio di maggioranza da assegnare
a  colui  che avesse ottenuto la vittoria nel primo o secondo turno e
maggiori  attribuzioni di poteri alla giunta rispetto al consiglio in
un'ottica   di   rovesciamento   della  precedente  disposizione  che
conferiva alla competenza residuale del consiglio e non della giunta,
come  accade  ora,  i  compiti  che  non  fossero stati espressamente
conferiti  ad  uno  dei  due organi, scegliendo cosi' la strada di un
esecutivo piu' forte.
    Si  e'  voluto,  pero', mantenere un doppio sistema e conservare,
percio',  un  notevole  valore  al  vecchio  principio  proporzionale
introducendo,  anche,  la  possibilita'  del  voto  disgiunto  tra il
candidato a sindaco e le liste che lo sostengono.
    Il  sistema ha, poi, subito delle modi.che, anche a seguito della
pronuncia  n. 197/1996 della Corte costituzionale, le cui motivazioni
che  hanno  portato  al  rigetto della questione sottopostagli, hanno
indotto,  pero',  il  legislatore a modificare la percentuale di voti
necessaria  al  primo turno per disporre il premio di maggioranza; di
recente, poi, dopo, percio', che la Corte si era gia' pronunciata, e'
stata   introdotta   una   norma   la   quale,  per  evitare  che  si
riproducessero  i  guasti della eccessiva frammentazione del voto, ha
escluso   dalla   ripartizione   dei  seggi  quelle  liste  che,  non
appartenendo  a  nessuna  coalizione, non avessero raggiunto al primo
turno almeno il 3% dei voti validi.
    Il  collegio deve subito osservare che il principio in realta' ha
scarsa  consistenza  e  poco  importa  se una lista possa ottenere un
seggio  nella  coalizione,  quando  abbia  effettuato  la  scelta  di
appartenere  ad un raggruppamento, mentre assume rilevante importanza
proprio nel caso che la lista abbia effettuato una scelta di autonoma
presentazione dinanzi all'elettorato.
    Nel primo caso, infatti, ai sensi di quanto previsto dall'art. 73
del  decreto legislativo n. 267 del 2000, l'appartenenza ad un gruppo
di  liste  che  comunque  abbia  superato  la  soglia del 3%, provoca
effetti  favorevoli  anche  nei  confronti  di  quelle liste che tale
soglia non abbiano raggiunto.
    E'  questo  il  significato  della  norma  in questione la quale,
appunto,  esclude  dall'ammissione  all'assegnazione  dei  seggi solo
quelle liste che, non avendo ottenuto al primo turno almeno il 3% dei
voti  validi,  non  appartengano  a  nessun gruppo di liste che abbia
superato tale soglia.
    Effettuata  tale indispensabile premessa osserva il collegio come
l'argomento   posto  a  base  dell'indirizzo  giurisprudenziale  piu'
recente, ovvero che i raggruppamenti che non si sono presentati uniti
al  primo  turno  hanno  sostenuto  diversi  candidati con differenti
programmi,  sicche'  non e' possibile sapere come il singolo elettore
si  sarebbe regolato per l'ipotesi che fosse chiamato a scegliere tra
raggruppamenti  diversi,  incide  sul  libero  esercizio  del diritto
costituzionale all'elettorato attivo, e' valido non solo nell'ipotesi
di  liste  che  non  abbiano  raggiunto la soglia del 3%, ma anche di
quelli  che  tale  soglia  abbiano  superato  e  che comunque vengano
indirizzate  nel  turno  di ballottaggio a favore di una o dell'altra
delle liste.
    In  entrambi i casi, cioe', la scelta dell'apparentamento operata
dai delegati di lista non e' pacifico che corrisponda alla scelta dei
singoli elettori.
    In alcuno dei due casi, cioe', la soluzione ipotizzata garantisce
all'elettorato una scelta consapevole.
    Non   sembra,   pertanto,   questo   un  elemento  sufficiente  a
giustificare l'attribuzione della possibilita' di apparentamento solo
nel caso di raggiungimento della soglia del 3%.
    E',  invece,  molto piu' degna di considerazione l'argomentazione
che  rimanda  ad elementi letterali di interpretazione delle norme le
quali  consentono  di  individuare  una  netta distinzione tra le due
tornate  elettorali, dato che il voto di lista e' richiamato solo nel
primo turno, mentre nel turno di ballottaggio il voto e' espresso con
riguardo al solo candidato a sindaco.
    Nella  sentenza n. 152/2003 della quinta sezione del Consiglio di
Stato  si  legge,  in  effetti,  che  «dal punto di vista di elementi
letterali  d'interpretazione  che  consentono d'individuare una netta
distinzione   tra   le   due   tornate   elettorali  (primo  turno  e
ballottaggio) impedendo l'utilizzazione dei risultati del primo turno
per   una   fase   successiva   e   relativa   all'effettuazione  del
ballottaggio,  si  osserva che: a) il voto di lista si riferisce solo
al  primo  turno  elettorale  (cfr.  l'articolo 73, comma terzo 1 del
decreto  legislativo n. 267/2000) mentre nel turno di ballottaggio il
voto  si  esprime  con  riguardo al solo nome del candidato prescelto
(cfr.  art.  72, comma 1) rimanendo ininfluenti le liste collegate ai
fini  dell'espressione del voto; b) la cifra elettorale e' costituita
dai  voti  di  lista  e,  quindi, ragionevolmente dai voti conseguiti
dalle  liste  del  primo turno, l'unico nel quale esse sono rilevanti
direttamente  (cfr. art. 73, comma 5); c) l'assegnazione dei seggi e'
effettuata avendo riguardo alla cifra elettorale aperte «nel turno di
elezioni  del  sindaco»  che,  appunto e' il primo nel quale assumono
rilievo le liste, singole o collegate, che hanno riportato i voti che
compongono  la cifra elettorale (art. 73, comma 8); d) lo sbarramento
si   riferisce   al   primo   turno  e  comporta  l'esclusione  dalla
assegnazione  dei seggi. In tale ultimo procedimento il primo momento
e',  pero',  costituito  dall'individuazione  della  cifra elettorale
operazione  cui  rimangono  estranee  le liste che lo sbarramento non
hanno  superato  (art. 73, comma 7); e) la disposizione che contempla
il  procedimento  per  l'assegnazione dei seggi (art. 73, comma 8) si
riferisce  solo  al  primo  turno  e  non  al ballottaggio che, a ben
vedere,    non   e'   in   alcun   modo   considerato   dalle   norme
sull'assegnazione dei seggi».
    A  questi  elementi  di carattere lessicale va aggiunto che anche
l'interpretazione del Ministero degli interni, rilevabile, del resto,
dai  modelli  di  verbale  prestampati,  e'  quella  gia' considerata
nell'indirizzo  piu'  recente  del  Consiglio  di  Stato,  visto  che
l'ufficio  elettorale  e' stato costretto a modificare il verbale per
sostenere l'interpretazione da esso adottata.
      Queste  considerazioni,  difficilmente  contestabili  sul piano
letterale, posto anche che l'interprete nell'applicazione della legge
non  puo'  ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal
significato  proprio  delle  parole,  come si esprime l'art. 12 delle
disposizioni  sulla  legge in generale, condurrebbero necessariamente
all'accoglimento  del ricorso in aderenza con questo orientamento del
Consiglio di Stato.
    D'altro  canto  che  questa  debba  essere l'interpretazione piu'
conforme   al  dettato  legislativo  e'  dimostrato  dal  fatto  che,
altrimenti,  ove  fosse  consentito cioe' l'apparentamento al secondo
turno,  la norma non avrebbe significato o meglio lo avrebbe soltanto
in  quei  casi,  peraltro  piuttosto  limitati,  nei  quali  uno  dei
candidati  a  sindaco  abbia raggiunto la maggioranza direttamente al
primo turno.
    Ma  se queste considerazioni fanno propendere il collegio per una
siffatta  interpretazione  della  norma,  lo  inducono,  tuttavia, in
perplessita'   sul   fatto   che   l'introduzione   della  soglia  di
sbarramento, disposta dall'art. 5 della legge 30 aprile 1999, n. 120,
sia  del  tutto  conforme all'ordinamento costituzionale in ordine al
principio  di parita' e di uguaglianza di cui all'art. 3 della nostra
carta fondamentale, dato che si inserisce in un ordinamento basato su
un doppio turno elettorale nel quale alcune formazioni verrebbero del
tutto  escluse dal secondo turno; si pensi alla circostanza che anche
due  o  tre  gruppi  politici  potrebbero arrestarsi poco prima della
soglia  del  3%,  permettendo, in tal modo, l'esclusione di una parte
consistente dell'elettorato pari, in consimili casi, a circa il 9%.
    In  questo  caso,  tra  l'altro,  la  questione di illegittimita'
costituzionale, che il collegio non ritiene manifestamente infondata,
assumerebbe certo rilevanza.
    A  siffatto  riguardo,  poi,  non varrebbe ribattere alla tesi di
possibile  incostituzionalita'  che, comunque, gli elettori sarebbero
chiamati  ad  esprimersi.  Infatti,  il loro voto sarebbe indirizzato
solo  alla  indicazione  del  sindaco  e  si verificherebbe una netta
divaricazione  nel  calcolo del numero complessivo degli elettori tra
il  primo  e il secondo turno, con conseguenze distorte rispetto alla
composizione del consiglio.
       Ne'   va   dimenticato   che   sussiste   anche   una   palese
contraddittorieta' insita nella norma di preclusione perche' consente
l'apparentamento  a quelle formazioni che hanno raggiunto il 3% e non
alle   altre,   impedendo   la   valutazione   di   una   sola  parte
dell'elettorato espressosi al primo turno.
    Si  potrebbe anche a questo obiettare che si tratta di una scelta
del  legislatore  che ha voluto impedire una eccessiva frammentazione
del voto, ma questa obiezione non convince dal momento che, una volta
disposto  un  apparentamento,  la  frammentazione  verrebbe  comunque
evitata.
    Il   Consiglio   comunale,   poi,  con  un'operazione  di  dubbia
legittimita',  viene  composto dal numero dei votanti al primo turno,
con  esclusione  di  una  parte  dell'elettorato,  e  con inevitabili
aggiustamenti  rispetto  al  totale  dei  voti gia' espressi al primo
turno che necessariamente finirebbero per individuare una percentuale
diversa  da  quella  gia'  calcolata  per  evitare l'attribuzione del
premio di maggioranza.
    E'  vero,  come  ha  gia'  affermato  il Consiglio di Stato nella
richiamata  sentenza n. 3083/03, che la norma tende ad incentivare le
aggregazioni  delle forze politiche, prevedendo la possibilita' di un
accorpamento  dei  voti  e  risponde, come gia' accennato dalla Corte
costituzionale,  ad  una precisa scelta del legislatore ma, ad avviso
del  collegio,  se si giustifica in un sistema proporzionale puro, e'
dubbio  che  possa  trovare  una  logica  collocazione  in un sistema
elettorale   maggioritario   che   e'   indirizzato  a  garantire  la
governabilita'   dell'ente   locale   per   tutto  il  mandato;  tale
sbarramento,  infatti,  non  consentendo  la  valutazione  al secondo
turno,  finisce  col lasciare fuori dalle scelte, comunque, una parte
dell'elettorato  e  stravolge  o quanto meno incide in modo reale sul
principio di governabilita'.
    Tali   considerazioni  sono,  poi,  avvalorate  da  un  ulteriore
disposizione  presente nel sistema elettorale vigente e, cioe', dalla
condizione  apposta  nel  comma  8 dell'art. 73 del Testo unico sugli
enti  locali,  la  quale  prevede che non possa scattare il premio di
maggioranza  per  il  sindaco eletto, quando un altro gruppo di liste
abbia superato nel primo turno il 50% dei voti validi.
    A  siffatto  riguardo  va, poi, considerato che le argomentazioni
introdotte  dalle  sentenze  del  Consiglio  di  Stato  piu'  innanzi
richiamate  sono  state  formulate  proprio in rapporto a fattispecie
nelle  quali  non  si  era verificata la condizione di cui al comma 8
dell'art.  73  del  testo unico n. 267/2000, consentendo in quel caso
l'attribuzione del premio di maggioranza.
    Tale aspetto della questione va indubbiamente considerato perche'
fa   emergere   ulteriori   elementi   in   ordine   alla   possibile
incostituzionalita'  di  tutto  il  sistema,  cosi' come oggi risulta
conformato,  per  quanto riguarda il principio di ragionevolezza e il
principio  cardine  del buon andamento della Pubblica amministrazione
di cui all'art. 97 della Costituzione.
    Ne  costituisce  evidente  dimostrazione  la  circostanza  che il
presente  ricorso  sia  stato  presentato  non  soltanto da colui che
aspira  alla  posizione  di  consigliere  ma  da molti di coloro che,
appartenendo  al  gruppo  di  opposizione  al  sindaco  eletto, hanno
cercato in qualsiasi modo di ottenere la maggioranza in consiglio con
l'evidente  intento  di  porre  in difficolta' il governo del sindaco
eletto e, quindi, del Comune di Pescara.
    Infatti,   l'apparentamento  delle  liste,  operato  dall'ufficio
elettorale,  ha consentito ad entrambe le formazioni che appoggiavano
i   due  candidati  del  turno  di  ballottaggio  di  ottenere  venti
consiglieri,  determinando, quindi, in favore del sindaco eletto, una
maggioranza  anche nell'organo consiliare, attraverso l'utilizzazione
della sua posizione di ventunesimo consigliere.
    Di qui anche la ragione del ricorso.
    E'   certamente  vero  che  l'apparentamento  si  sarebbe  potuto
indirizzare anche nei confronti del candidato a sindaco non eletto ma
tale   elemento   avvalora   ancor   piu'   la  possibilita'  che  la
governabilita'  dell'ente  locale  in  questo caso potesse ancor piu'
essere posta in notevoli difficolta'.
    Si  deve  ritenere,  quindi,  che la condizione di cui all'art. 8
costituisca un ulteriore elemento per censurare le scelte legislative
e  rimettere  la  questione  al  giudice  delle leggi per valutame la
costituzionalita'.
    A  suffragare,  infatti, l'ipotesi del collegio che la condizione
di  cui al sesto comma dell'art. 73 del Testo unico sugli enti locali
possa  in  qualche  modo  rappresentare  un  contrasto  con  il  buon
andamento  dell'amministrazione ed il principio di ragionevolezza, e'
la  innanzi richiamata sentenza della Corte costituzionale n. 197 del
4  aprile  1996,  la  quale,  pur chiamata ad esprimersi su questione
diversa,  ha  comunque  effettuato  alcune considerazioni che possono
essere prese in esame sia a favore che contro la tesi del collegio.
    Si  legge  in un passo di questa decisione che «una volta che non
e'  contestato - come il giudice a quo non contesta - la legittimita'
costituzionale  del  principio  del  voto disgiunto, e si ammette che
l'adozione di tale principio rientra nei possibili modelli elettorali
che  il  legislatore puo', nell'esercizio della sua discrezionalita',
disegnare,   deve   necessariamente   riconoscersi   anche   che   la
governabilita'  dell'ente  locale  non  e'  assunta  come  un  valore
assoluto,  ma  e'  apprezzata  come  valore specificamente tutelabile
(giustificandosi  l'alterazione  del criterio proporzionale) soltanto
nel  caso,  di  maggior  allarme,  della, frammentazione dei consensi
espressi,  che  e quello del sindaco «debole» collegato ad una o piu'
liste  «deboli»  (nel  senso  sopra precisato). D'altra parte, che la
governabilita'  non  sia  un  valore  assoluto  e' dimostrato proprio
dall'ipotesi,  che  puo'  verificarsi e della cui legittimita' non si
dubita,  della maggioranza assoluta conseguita (al primo turno) dalla
lista  contrapposta,  o  comunqe  non  collegata, al candidato eletto
sindaco.  In  questo  caso  (in  cui  il  rischio della cosiddetta in
governabilita'   e'   massimo)  il  sindaco,  salva  la  facolta'  di
dimettersi  cosi'  provocando  lo  scioglimento  del  consiglio, deve
convivere  con  una  maggioranza  a  lui  contrapposta;  ma  cio'  e'
conseguenza della divaricazione del consenso espresso dall'elettorato
con  il  voto  disgiunto,  divaricazione  che  il legislatore intende
rispettare  per  non premiare (se non proprio penalizzare) il sindaco
che   si  e'  collegato  alla  lista  che  non  riscuote  sufficienti
consensi».
    In  altri termini sembrerebbe di comprendere dalla sentenza della
Corte  che  il  legislatore  ha  stabilito  che  la governabilita' e'
maggiormente   meritevole   di   tutela   in   ordine   all'eventuale
frammentazione dei voti piu' che dalla presenza di un sindaco debole.
    Cio' e' fonte di ulteriore perplessita' per la contraddittorieta'
intrinseca che manifesta tale soluzione, se questo e' stato veramente
l'intento del legislatore.
    Non  si  comprende,  infatti,  visto  il  sistema  elettorale  in
questione  nel  suo  contesto  perche' la governabilita' possa essere
meglio  garantita  se  esiste un sindaco debole rispetto ad un quadro
politico frammentato.
    Sulle  argomentazioni  delle  decisioni  della  Corte, osserva il
collegio  che  il  giudice delle leggi, ha preso, pero', in esame una
situazione  diversa  da quella proposta oggi al giudizio del collegio
ed ha considerato come il giudice a quo abbia omesso ogni riferimento
ad   eventuali  problemi  di  legittimita'  costituzionale  del  voto
disgiunto  o  della condizione di cui al sesto comma dell'art. 73 del
Testo unico oggi vigente.
    Pur  ritenendo, poi, astrattamente possibile e conseguente ad una
scelta  legislativa  la  possibilita'  del voto disgiunto, sul quale,
peraltro,  non  era stata chiamata ad esprimersi, ha affermato che la
governabilita'  non  e'  stata assunta come un valore assoluto, ma e'
comunque  apprezzata  come valore specificamente tutelabile; ha fatto
discendere  la  sua considerazione proprio dalla circostanza che puo'
verificarsi  l'ipotesi  in  cui  al primo turno vi sia la maggioranza
assoluta  della lista contrapposta (ipotesi anche questa nella quale,
peraltro,  la  Corte  non  era stata chiamata ad esprimersi) nel qual
caso,   peraltro,   ha   anche   osservato   che   il  rischio  della
ingovernabilita' e' massimo.
    Ritiene  allora  il  collegio che, comunque, anche sotto siffatto
profilo,  anch'esso rilevante nella presente questione, visto che non
si  e'  potuta  applicare  la  norma  che consente l'attribuzione del
premio   di  maggioranza,  vada  proposta  la  questione  alla  Corte
costituzionale  perche'  la  esamini  direttamente in ordine alle due
ipotesi  del voto disgiunto e della condizione posta per impedire che
scatti  il  premio  di  maggioranza nel turno di ballottaggio, ovvero
all'ipotesi  che  la  lista  che non abbia espresso il sindaco, abbia
comunque ottenuto la maggioranza assoluta dei voti validi.
    La  tesi  del  collegio  scaturisce  da alcune considerazioni che
attengono   alla   specificita'  della  questione  in  esame  e  alla
possibilita'  che,  in  fondo,  un  esame  dettagliato  proprio sulla
questione  cosi'  com'e'  gli  e' stata sottoposta, possa determinare
nella  Corte  costituzionale  un  convincimento diverso da quello che
sembrava  nascere dalla sentenza cui il collegio si richiama, ma che,
pero',  si ribadisce riguardava un aspetto che non era stato preso in
esame   in  via  diretta,  ma  costituiva,  come  e'  evidente  dalle
motivazioni della decisione n. 197/ 1996, un mero obiter dictum.
    In  effetti,  se  il  voto disgiunto non e' in se' un male e puo'
anche  essere giustificato, e' evidente che tale aspetto del problema
non puo' non tener conto del sistema nel quale esso si inserisce.
    Situazioni  nelle quali una maggioranza di segno politico diverso
dall'esecutivo   espresso   non  e'  una  novita'  assoluta  e  trova
corrispondenza   in  alcuni  ordinamenti  democratici.  Tuttavia,  la
situazione  va  sempre valutata in rapporto all'ordinamento nel quale
si  inserisce  e  (come lo stesso giudice delle leggi riconosce nella
sentenza  citata),  nel  caso  che e' stato sottoposto al collegio il
rischio  di ingovernabilita' e' massimo e potrebbe essere addirittura
piu'  grave  la'  dove  le liste non collegate al primo turno abbiano
deciso  di  spostare  i  loro  voti  (senza  riuscire  a esprimere il
sindaco), in favore della maggioranza del consiglio.
    In  una  siffatta  ipotesi  la  divaricazione  tra  maggioranza e
sindaco  sarebbe  ancora  maggiore  per  cui  non resterebbe, come la
stessa  corte  osserva,  che  la  soluzione di dimissioni del sindaco
eletto e di scioglimento conseguente del consiglio.
    Pero',  tale  soluzione  non sembra corrispondere al principio di
buon  andamento  del  governo  della  cosa pubblica, perche' verrebbe
completamente frustrata la volonta' dell'elettorato il quale vedrebbe
compromesse le sue scelte e chiamato nuovamente alle urne.
    Anche  un  eventuale  tentativo  di  governo  troverebbe continui
ostacoli  e  la spada di Damocle della mozione di sfiducia, contenuta
nella  disposizione dell'art. 52 del Testo unico n. 267/2000 la quale
prevede, appunto, che il sindaco e le rispettive giunte cessano dalla
carica  in  caso  di  approvazione  di  una mozione di sfiducia della
maggioranza assoluta dei componenti del consiglio.
    D'altronde, che la contemporanea presenza delle due disposizioni,
che  si rimettono al giudizio della Corte, possa creare degli effetti
distorti, e' emblematicamente rappresentata da alcune situazioni che,
come accennato piu' avanti, possono in pratica verificarsi.
    Si'  esaminino  i  casi  seguenti,  prendendo in considerazione 5
liste come e' accaduto nel caso sottoposto al collegio:
IPOTESI A.
    1) - I gruppo di liste apparentate 50,01%;
    2) - II gruppo di liste apparentate 41,29%;
    3) - lista autonoma 2,90%;
    4) - lista autonoma 2,90%;
    5) - lista autonoma 2,90%.
    In  questa fattispecie non sarebbe possibile alcun apparentamento
al  secondo turno e se il sindaco risultato eletto fosse il candidato
della   lista   con   il  41,20%  dei  voti,  il  Consiglio  comunale
risulterebbe  cosi'  composto:  I gruppo  di liste apparentato 22, II
gruppo  di  liste apparentato 18, per il gioco dei resti. In effetti,
rapportando  a  100  le  percentuali  calcolabili, in un comune di 40
consiglieri,  ad  ogni  lista  doveva essere assegnato un seggio ogni
2,28 voti percentuali, anziche' 2,25.
    In  questo  caso,  cioe', sarebbero state penalizzate, cosi' come
voluto  dal  legislatore  le  liste non apparentate, ma, nello stesso
tempo,  avrebbe  avuto  un  premio, al di la della stessa percentuale
ottenuta,  la  lista  che  non  avesse  espresso il sindaco. Sarebbe,
cioe', scattato un premio di maggioranza alla rovescia.
    Si  consideri, invece il caso che il I gruppo di liste non avesse
raggiunto  al  primo turno il 50,01% dei voti ma, per ipotesi solo il
49,09%;  in  questo caso l'altro raggruppamento avrebbe conseguito il
premio  di maggioranza, ottenendo 24 seggi su 40 mentre il I, per una
differenza % di solo 0,2, ben 6 seggi in meno.
IPOTESI B.
    1) - I raggruppamento di liste 50,01%;
    2) - II raggruppamento di liste 40,09%;
    3) - Lista autonoma 3%;
    4) - Lista autonoma 3%;
    5) - Lista autonoma 3%.
    In  questo  caso  ognuno  dei  due  raggruppamenti,  ove le liste
autonome,   le  quali  in  un  caso  di  questo  tipo  si  potrebbero
apparentare,   avessero   espresso   il   loro  consenso  per  il  II
raggruppamento, avrebbe ottenuto 20 consiglieri.
    A riprova, poi, che le scelte legislative non sembrano dettate da
una  logica  stringente,  mutuando  dalle  considerazioni della Corte
nella  richiamata  sentenza  n. 197  del  1996, si puo' osservare che
l'eletto  sindaco  sarebbe  maggiormente tutelato in una posizione di
partenza  piu' debole, quella cioe' nella quale al primo turno avesse
ottenuto il 40,09 anziche' il 41,29.
    E'  vero, come afferma il Consiglio di Stato nella sua decisione,
che  in  questo caso si sarebbe verificata l'ipotesi che, in pratica,
gli  elettori,  potendo  essi,  comunque,  manifestaieil  loro  voto,
avrebbero cosi confermato le indicazioni del delegato di lista, ma si
dovrebbe  pur  sempre  spiegare  come  mai  questa  conferma,  con le
inevitabili   conseguenze   sulla   composizione  del  consiglio,  e'
possibile in un caso e non nell'altro.
    Resta,  cioe',  difficile  accettare  un  principio  che  esclude
comunque  dal  gioco  delle elezioni per uno degli organi eletti, una
parte   dell'elettorato   dal   secondo  turno  che,  in  ogni  caso,
rappresenta anch'esso un momento di consenso del corpo elettorale.
    Ma  vi  e'  un'ulteriore considerazione da fare: si consideri che
nell'ipotesi  B,  le  liste  non  apparentate  decidano  di spostare,
attraverso i delegati di lista, sul I raggruppamento il loro consenso
ma  che  gli  elettori spostino il loro voto, comunque, sul candidato
de1   II  che  ottenga  cosi'  l'elezione  a  sindaco  nel  turno  di
ballottaggio.
    Orbene,  in  questo  caso  il  Consiglio  sarebbe  composto da 24
consiglieri  della  «minoranza»  e da 16 della «maggioranza», facendo
verificare   cioe'   quell'ipotesi   di   assoluta   ingovernabilita'
individuato dalla Corte nella sua precedente sentenza ed in contrasto
palese  con  le  scelte  dell'elettorato  che, avendo individuato nel
turno di ballottaggio il sindaco nel candidato del II raggruppamento,
ha indubbiamente con cio' manifestato la sua preferenza.
    Verrebbero,    percio',   completamente   frustrate   le   scelte
dell'elettorato  facendo  verificare  proprio  quell'ipotesi  che  il
Consiglio  di  Stato,  scegliendo  il  suo ultimo orientamento, aveva
paventato che si potessero altrimenti verificare.
    Di qui, secondo il parere del collegio, l'illogicita' del sistema
e la violazione di ogni principio di ragionevolezza.
    Ritiene,  percio',  il  collegio  che  la  questione debba essere
sottoposta  alla  Corte costituzionale sotto il duplice profilo della
violazione  del  principio  di  eguaglianza,  nella misura in cui non
permette  al  turno  di  ballottaggio che alcune formazioni politiche
trovino la loro considerazione nel secondo turno elettorale il quale,
comunque,  puo'  modificare le scelte gia' effettuate dagli elettori,
e,   sotto   il   profilo  della  non  manifesta  infondatezza  della
illegittimita'   costituzionale,  per  violazione  del  principio  di
ragionevolezza  e  del  buon  andamento  dell'amministrazione,  della
condizione,  posta  nell'ottavo  comma  di  cui all'art. 73 del Testo
unico,  nella  misura  in  cui,  qualora  la componente che non abbia
espresso  il  sindaco abbia ottenuto la maggioranza assoluta dei voti
validi  al  primo turno, impedisca l'attribuzione di qualsiasi premio
di   maggioranza   al  sindaco  risultato  eletto;  sembra,  infatti,
necessaria  una modifica del sistema in modo da evitare, quanto meno,
che  non  si  verifichi  il rischio della cosiddetta ingovernabilita'
assoluta, rilevato, del resto, dalla stessa Corte costituzionale.
    Una  circostanza  peculiare  e  poi  emblematica della situazione
particolare che si e' verificata e potrebbe verificarsi in futuro nel
sistema  cosi'  com'e' studiato attualmente, e' costituito dal fatto,
verificatosi  nella  presente  fattispecie,  che  al  primo turno, il
numero  dei  voti  ottenuti  dalle  liste,  che hanno poi ottenuto la
maggioranza   in   consiglio,   e'   inferiore   alla  manifestazione
complessiva  di  voto  che ha ottenuto il sindaco eletto nel turno di
ballottaggio,  in  conseguenza del sistema del voto disgiunto e delle
condizioni   assunte   per  stabilire  quando  scatti  il  premio  di
maggioranza.
    Questo,  pertanto,  in siffatti casi, risulterebbe eccessivamente
penalizzato rispetto alla volonta' espressa dagli elettori laddove la
condizione  gia'  richiamata  di  cui all'art. 73, non attribuisca in
qualche  modo  la possibilita' di valutare in modo piu' favorevole il
risultato  elettorale ottenuto dall'eletto nel turno di ballottaggio,
limitando adeguatamente la condizione di cui al n. 8 dell'art. 73 del
Testo  unico  sugli enti locali, contenuto nel decreto legislativo 18
agosto 2000.
    Ritiene,  pertanto,  il  collegio  che,  cosi  come esposto nelle
considerazioni  innanzi  avanzate,  si possa ritenere rilevante nella
fattispecie   e   non   manifestamente  infondata  una  questione  di
costituzionalita',  delle  norme  di cui ai numeri 7 e 8 dell'art. 73
del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, per contrasto con gli
articoli 3 e 97 della Costituzione.
    La  prima  perche'  tratta  in  modo  difforme  alcune  liste  di
candidati  nel  primo  e  secondo turno in dipendenza dell'avvenuto o
meno   apparentamento  al  primo  turno,  la  seconda  perche'  porre
condizioni  per evitare l'attribuzione del premio di maggioranza, non
soltanto costituisce una violazione del desiderio degli elettori, non
valutando  le  scelte  da  questi  operate  in  un  secondo  turno di
elezione,   ma   comporta   inevitabilmente   un  forte  pericolo  di
ingovernabilita' dell'ente locale.
    Il  giudizio  deve, pertanto, essere sospeso con remissione degli
atti alla Corte costituzionale.