IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE Ha pronunciato la seguente ordinanza sul ricorso n. 395 del 2003, proposto da Grosso Felice Antonio, Cetrullo Erminio, Lepore Michele, Masci Carlo, Diodoro Alessandro, Lino Augusto, Govini Antonio, D'Ascanio Gian Franco, Di Campli Donato, Maglia Guido, Grossi Giuliano, tutti rappresentati e difesi dagli avv. Franco Gaetano Scoca, Marcello Russo e Manuel De Monte, presso il secondo ed il terzo elettivamente domiciliati in Pescara, via Colonna n. 31; Contro il Comune di Pescara, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentato e difeso dall'avv. Paola Di Marco ed elettivamente domiciliato in Pescara, presso la residenza comunale; E nei confronti di: Di Marco Michele, rappresentato e difeso dall'avv. Tommaso Marchese, presso lo stesso elettivamente domiciliato in Pescara, via dei Marrucini n. 11; Damiani Sandro, rappresentato e difeso dagli avv. Attilio Di Camillo e Giulia Di Donato, presso gli stessi elettivamente domiciliato in Pescara, via dei Marruccini n. 80; D'Alfonso Luciano, rappresentato e difeso dagli avv. Vincenzo Cerulli Irelli, Giulio Cerceo e Sergio Della Rocca, presso il secondo elettivamente domiciliato in Pescara, viale D'Annunzio n. 142; Gentile Antonio, quale rappresentante lista Partito Socialista Nuovo PSI, non costituito in giudizio; Iannucci Nando, quale rappresentante lista Semper Fidelis Luci, non costituito in giudizio; Ministero dell'interno, in persona del ministro pro tempore, prefettura di Pescara, in persona del prefetto pro tempore, Ufficio centrale elettorale di Pescara, in persona del Presidente pro tempore, rappresentanti e difesi dall'Avvocatura distrettuale dello Stato di L'Aquila, domiciliataria per legge; Per l'annullamento della proclamazione degli eletti al Consiglio comunale di Pescara, effettuata il 14 giugno 2004 dall'Ufficio elettorale di Pescara, a seguito delle elezioni amministrative svoltesi nei giorni 25 e 26 maggio e 8 e 9 giugno 2003, nella parte in cui sono stati attribuiti 20 Consiglieri (anziche' 19) al raggruppamento di liste collegato al candidato n. 1 alla carica di sindaco sig. D'Alfonso Luciano e quindi sono stati attribuiti 20 Consiglieri (anziche' 21) al raggruppamento di liste collegato al candidato n. 2 alla carica di Sindaco sig. Masci Carlo, nonche' di tutti gli atti connessi nella parte in cui sono stati computati, al fine di determinare la cifra elettorale complessiva, i voti conseguiti dalla lista n. 20 - Nuovo PSI e dalla lista n. 1 - Semper Fidelis Luci, e per la correzione dei risultati elettorali con attribuzione di n. 21 seggi al raggruppamento collegato al candidato Masci e di n. 19 seggi al raggruppamento collegato al candidato D'Alfonso e, quindi, con proclamazione della elezione di Grosso Felice Antonio in luogo di Di Marco Michele. Visto il ricorso con i relativi allegati; Visti gli atti di costituzione in giudizio di: comune di Pescara, Di Marco Michele, Damiani Sandro, D'Alfonso Luciano, Avvocatura distrettuale dello Stato per il Ministero dell'interno, la Prefettura di Pescara e l'Ufficio centrale elettorale di Pescara; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Relatore, alla pubblica udienza del 15 gennaio 2004, il cons. Di Giuseppe; Uditi gli avv. Scoca, Russo e de Monte per la parte ricorrente, gli avv. Cerulli Irelli, Cerceo e Della Rocca per il controinteressato sindaco, l'avv. Di Marco per il comune resistente, l'avv. Marchese per il controinteressato Di Marco, l'avv. Donatella Laureti, su delega degli avv. Di Camillo e Di Donato per il controinteressato Damiani e l'avv. dello Stato Massimo Lucci per l'Amministrazione dell'interno costituita; Ritenuto in fatto e considerato in diritto quanto segue: F a t t o Con ricorso depositato il 27 giugno 2003 e notificato in data 4 e 7 luglio 2003 (e, peraltro, in data 9 luglio 2003 nei confronti di Gentile Antonio e 18 luglio 2003 nei confronti di Iannucci Nando) unitamente al decreto di fissazione dell'udienza di discussione, emesso il 30 giugno 2003 e rilasciato in copia conforme in data 17 luglio 2003, ricorso di nuovo depositato il 24 luglio 2003, il sig. Grosso Felice Antonio ed altri dieci consorti di lite, epigrafe indicati, hanno chiesto l'annullamento della proclamazione degli eletti al Consiglio comunale di Pescara, effettuata il 14 giugno 2003 dall'Ufficio elettorale di Pescara, a seguito delle elezioni amministrative svoltesi nei giorni 25 e 26 maggio e 8 e 9 giugno 2003, nella parte in cui sono stati attribuiti 20 Consiglieri (anziche' 19) al raggruppamento di liste collegato al candidato n. 1 alla carica di Sindaco sig. D'Alfonso Luciano e quindi sono stati attribuiti 20 Consiglieri (anziche' 21) al raggruppamento di liste collegato al candidato n. 2 alla carica di sindaco sig. Masci Carlo, nonche' di tutti gli atti connessi nella parte in cui sono stati computati, al fine di determinare la cifra elettorale complessiva, i voti conseguiti dalla lista n. 20 - Nuovo PSI e dalla lista n. 1 - Semper Fidelis Luci; hanno chiesto, inoltre, la correzione dei risultati elettorali con attribuzione di n. 21 seggi al raggruppamento collegato al candidato Masci e di n. 19 seggi al raggruppamento collegato al candidato D'Alfonso e, quindi, con proclamazione della elezione di Grosso Felice Antonio in luogo di Di Marco Michele. Il ricorso premette che alla succitata consultazione elettorale hanno partecipato sei candidati a sindaco: Valloreia Lorenzo, collegato alla sola lista n. 1 - Semper Fidelis Luci; Teodoro Gianni, collegato alla sola lista n. 2 - Lista Teodoro per Pescara; Masci Carlo, collegato al raggruppamento di liste denominate Forza Italia, Alleanza Nazionale, Partito Democratico Cristiano, U.D.C., Alternativa Femminile, Fiamma Tricolorie, Pescara Futura e Cattolici Democratici per Pescara; D'Alfonso Luciano, collegato al raggruppamento di liste denominate La Margherita, Democratici di Sinistra, U.D.E.U.R., Lista Di Pietro-Italia dei Valori, Pescara Amica, Socialisti Democratici Italiani, Verdi, Comunisti Italiani e Partito Comunista Rifondazione; D'Amico Giorgio, collegato alla sola lista n. 20 Nuovo P.S.I. Partito Socialista; Bosio Fabrizio, collegato alla sola lista n. 21, Fronte Sociale Nazionale. Il ricorso premette, altresi', che al primo turno elettorale le predette liste n. 1 e n. 20 non hanno raggiunto il 3% dei voti; infatti, la n. 1 - semper Fidelis Luci ha conseguito lo 0,1% e la n. 20 - Nuovo P.S.I. Partito Socialista ha conseguito l'l,3%. Peraltro, non avendo alcuno dei candidati a sindaco conseguito la maggioranza assoluta, si e' proceduto al turno di ballottaggio, cui sono stati ammessi i predetti candidati D'Alfonso e Masci. In vista del secondo turno, si sono collegate (o apparentate) al primo di tali candidati, sia le predette liste nn. 1 e 20, sia la lista n. 2 - Lista Teodoro per Pescara. All'esito del turno di ballottaggio, svolto nei giorni 8 e 9 giugno 2003, e' risultato eletto alla carica di sindaco del comune di Pescara il dott. Luciano D'Alfonso con la cifra di 41.570 voti validi. In sede di determinazione della cifra elettorale complessiva delle liste collegate con i candidati a sindaco, al raggruppamento collegato al candidato D'Alfonso e' stata attribuita la cifra complessiva di 36.417 voti, computandovi anche i voti conseguiti dalle liste n. 1 - Semper Fidelis Luci e n. 20 - Nuovo P.S.I. che non hanno conseguito, al primo turno, il 3% dei voti; al raggruppamento collegato al candidato Masci e' stata attribuita la cifra complessiva di 37.693 voti. Cosi' operando, l'Ufficio centrale elettorale ha attribuito 20 quozienti al raggruppamento collegato al candidato D'Alfonso ed altrettanti a quello collegato al candidato Masci. Tanto ha comportato che in sede di proclamazione dei 40 Consiglieri comunali eletti, il ventesimo dei seggi spettanti al primo raggruppamento e' stato attribuito alla lista n. 2 - Teodoro per Pescara, con proclamazione a consigliere del sig. Di Marco Michele. Il ricorso espone che, a favore del primo raggruppamento, dovevano essere, invece, computati soltanto i voti della lista n. 2 - Teodoro per Pescara, che al primo turno aveva superato il 3%, sicche' la relativa cifra elettorale complessiva sarebbe stata determinata in 35.336 voti, con la conseguenza che, in luogo del predetto sig. Di Marco, sarebbe risultato eletto alla carica di consigliere comunale il sig. Grosso Felice Antonio (primo dei ricorrenti), candidato della lista n. 3 - Partito Democratico Cristiano che era collegata al candidato a sindaco avv. Masci. Il ricorso deduce, in diritto, i seguenti motivi: I. - Violazione ed erronea applicazione dell'art. 73 del d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, nonche' eccesso di potere per sviamento, poiche', ai sensi del comma 7 dell'art. 73 cit., non sono ammesse all'assegnazione dei seggi quelle liste che abbiano ottenuto al primo turno meno del 3% dei voti validi e che non appartengano a nessun gruppo di liste che abbia superato tale soglia; tali liste sono escluse, peraltro, dalla valutazione della cifra elettorale del raggruppamento cui i delegati delle stesse decidano di fornire il proprio appoggio in sede di ballottaggio. Tanto, onde evitare lo sconvolgimento, tramite gli apparentamenti, dei risultati elettorali del primo turno, assegnando valore ponderale e addirittura determinante a liste che, per il risultato conseguito, la legge priva di peso specifico. In definitiva, l'apparentamento non priva gli aggregati dei voti conseguiti nel primo turno per aver modificato l'originaria impostazione per la quale gli elettori si erano espressi, ma non accresce l'effetto di quei voti sottraendoli a chi li ha conseguiti sulla base di programmi e accordi rimasti invariati. II. - Violazione ed erronea applicazione dell'art. 73 del d.lgs. n. 267 del 2000 e delle direttive ministeriali, nonche' eccesso di potere per sviamento e difetto di motivazione, poiche' l'Ufficio elettorale centrale ha disatteso le istruzioni ministeriali, in particolare quelle di cui al paragrafo 30, ed ha addirittura modificato ed interpolato, con autonome ed autografe correzioni, il testo del modello ministeriale di verbale, al paragrafo 6, cosi' arbitrariamente, e senza adeguata motivazione, discostandosi dalle univoche direttive impartite dal Ministero dell'interno le quali hanno valore di indirizzo interpretativo per il predetto Ufficio elettorale, essendo questo pur sempre un organo amministrativo, anche se straordinario e temporaneo e comunque non sottoposto a vincolo gerarchico. Cosi' operando, l'Ufficio elettorale centrale ha sottratto una maggioranza consiliare al raggruppamento di liste collegate al candidato Masci, mentre, secondo una precisa e consapevole scelta del legislatore, l'ammissibilita' del voto disgiunto (possibilita' di votare un candidato sindaco e, contemporaneamente, una lista ad esso non collegata) comporta che e' ben possibile che in Consiglio vi sia una maggioranza contrapposta al Sindaco. III. - Violazione ed erronea applicazione dell'art. 73, comma 2 e segg., del d.lgs. n. 267 del 2000, poiche' il candidato D'Alfonso, pur avendo presentato un «programma» comune alle liste originariamente collegate, non ha, in occasione dell'apparentamento successivo, pubblicato un nuovo programma che desse conto della comunanza d'intenti del precedente raggruppamento con le tre nuove liste apparentate. IV. - Attuazione dell'art. 26, ultimo comma, della legge n. 1034 del 1971 e degli artt. 91 e segg. c.p.c., potendosi provvedere sulle spese del giudizio anche nei confronti dei resistenti. Il ricorso conclude per l'annullamento in parte qua degli atti impugnati e per la correzione dei risultati elettorali, con attribuzione di 21 seggi al raggruppamento di liste collegate al candidato Masci, e quindi di 19 seggi a quello collegato al candidato D'Alfonso, oltreche' per la declaratoria della elezione a consigliere comunale del candidato Grosso Felice Antonio in luogo del candidato Di Marco Michele. Per resistere si e' costituito in giudizio il comune di Pescara la cui difesa, con memoria depositata il 21 luglio 2003, ha controdedotto nel merito del ricorso, chiedendone la reiezione. Peraltro, si e' costituito in giudizio il dott. D'Alfonso Luciano la cui difesa, con memorie depositate in data 19 luglio 2003 e 19 settembre 2003, ha sostenuto, in sintesi, che all'indubbio fine di conseguire una compattezza all'interno del Consiglio comunale che offra garanzie di stabilita', efficienza e funzionalita' al governo locale, nell'interesse primario della stessa collettivita' i collegamenti istituiti al momento del turno di elezione del sindaco, e quindi anche del secondo turno, debbono essere considerati per identificare la composizione delle coalizioni e procedere alla ripartizione dei seggi, non potendo prescindersi dalle coalizioni che si sono fronteggiate nel turno di ballottaggio, poiche' quest'ultimo configura la convergenza di interessi tra piu' forze politiche in relazione all'esito del primo turno; infatti, il non tenerne conto determina un risultato disomogeneo, in quanto il collegamento operato ai fini del primo turno, ma superato di fatto dalle scelte dell'elettorato, puo' diventare decisivo per la definitiva assegnazione dei seggi dopo il ballottaggio; peraltro, la tesi propugnata dalla parte ricorrente, in stridente contrasto con il generale principio improntato all'esigenza di salvezza dei voti espressi dagli elettori, finisce per disperdere o non utilizzare i voti conseguiti da quelle liste che, pur irrilevanti ai fini del primo turno, hanno comunque fatto parte nel secondo turno di una coalizione che ha superato lo sbarramento. Si e' costituito in giudizio anche il sig. Di Marco Michele la cui difesa, con memoria depositata il 19 luglio 2003, ha osservato, in sostanza, argomentazioni analoghe a quelle sopra riassunte. La stessa difesa, d'altra parte, con memoria depositata il 19 settembre 2003, ha eccepito l'inammissibilita' del ricorso poiche' non notificato all'effettivo controinteressato dott. Damiani Sandro, sebbene fosse noto il suo subentro nella carica di consigliere gia' all'epoca della notifica del ricorso. Inoltre, si sono costituiti in giudizio il Ministero dell'interno, la prefettura di Pescara e l'Ufficio centrale elettorale di Pescara la cui difesa, con memorie depositate in data 18 agosto 2003 e 17 settembre 2003, ha contestato le censure di parte ricorrente, chiedendone la reiezione. Infine, con atto del 24 settembre 2003, si e' costituito in giudizio il citato dott Damiani Sandro, subentrato nella carica di consigliere comunale a seguito della nomina ad Assessore del sig. Teodoro Gianni della stessa lista d'appartenenza, concludendo anch'esso per la reiezione del ricorso. Con memoria depositata il 5 dicembre 2003 la difesa dei ricorrenti ha evidenziato come appaia carente d'interesse e tardiva la costituzione in giudizio del Ministero dell'interno e della prefettura di Pescara e dell'Ufficio centrale elettorale, oltre che contraddittoria in relazione alle istruzioni diramate dallo stesso Ministero in materia elettorale, e ne ha chiesto l'estromissione con condanna alle spese di giudizio. D i r i t t o I. - Il ricorso in esame risulta depositato in segreteria il giorno 27 giugno 2003 ed il relativo decreto presidenziale di fissazione dell'udienza di discussione risulta emesso il giorno 30 giugno 2003 e risulta rilasciato alla parte ricorrente il giorno 1° luglio 2003. ll ricorso stesso risulta notificato il giorno 4 luglio 2003 nei confronti sia del comune di Pescara, sia del controinteressato sig. Di Marco Michele. Peraltro, il ricorso stesso risulta notificato (ad iniziativa di parte ricorrente) il giorno 5 luglio 2003, a mezzo servizio postale, nei confronti, sia del Sindaco eletto dott. D'Alfonso Luciano, sia dell'Ufficio centrale elettorale di Pescara presso l'Avvocatura distrettuale dello Stato di L'Aquila, notifica da entrambi ricevuta il 7 luglio 2003. Inoltre, il ricorso stesso risulta notificato (ad iniziativa di parte ricorrente) il giorno 9 luglio 2003 nei confronti del sig. Gentile Antonio, quale rappresentante della lista denominata Partito Socialista Nuovo P.S.I., ed il giorno 18 luglio 2003 nei confronti del sig. lannucci Nando, quale rappresentante della lista denominata Semper Fidelis Luci. Infine, il ricorso in esame, con le prove delle avvenute notificazioni, risulta nuovamente depositato in Segreteria il giorno 24 luglio 2003. II. - Sotto il profilo della completezza del contraddittorio il rapporto processuale deve essere ritenuto completo, giacche' risulta spontaneamente costituito in giudizio anche il controinteressato dott. Damiani Sandro il quale, a seguito della nomina ad assessore del sig. Teodoro Gianni, e' subentrato nella carica di Consigliere comunale divenendo l'effettivo controinteressato nel presente giudizio. D'altra parte, non puo' essere condivisa l'eccezione d'inammissibilita' del ricorso (sollevata dalla difesa del sig. Di Marco Michele) in relazione alla mancata notifica dell'atto introduttivo nei confronti del predetto dott Damiani, poiche', alla data (27 giugno 2003) del primo deposito del ricorso stesso, questi non era stato ancora surrogato nella carica di consigliere; pertanto, la notifica effettuata nei confronti del controinteressato sig. Di Marco appare idonea a rendere ammissibile il ricorso, salva l'eventuale integrazione del contraddittorio che, nel caso di specie, ad avviso del Collegio appare superflua, essendosi il dott. Damiani costituito spontaneamente. III. - Quanto alla domanda di estromissione dal giudizio del Ministero dell'interno, della prefettura di Pescara e dell'Ufficio centrale elettorale di Pescara, proposta (in memoria del 5 dicembre 2003) dalla difesa della parte ricorrente, osserva il collegio, che, in effetti, secondo la giurisprudenza, l'Ufficio centrale elettorale non e' parte necessaria nel giudizio elettorale (Cons. St., Ad. Pl., 31 luglio 1996, n. 16) cosi' come non lo e' il prefetto (Cons. G. A. Sic., 3 giugno 1981, n. 31; Cons. St., sez. V, 2 maggio 1996, n. 499) e cosi' come non puo' essere ritenuto tale il Ministero dell'interno. Tra l'altro, nella specie, sembrerebbe sussistere anche un contrasto tra la posizione assunta dal ministro degli interni quale ricavabile dal testo dei verbali ristampati predisposti in occasione del turno elettorale, e quella dell'Ufficio centrale di Pescara che invece ha ritenuto di seguire un diverso indirizzo. Tuttavia, ognuno di questi organi non e' privo d'interesse a partecipare ai giudizi elettorali, essendo organi della stessa Amministrazione dell'interno comunque coinvolti nel procedimento elettorale, sicche' la relativa costituzione effettuata da parte dell'Avvocatura dello Stato - la quale non ha bisogno allo scopo di uno specifico mandato (Cons. St., sez. IV, 4 ottobre 1999, n. 1509; Cassaz., SS.UU., 21 luglio 1999, n. 484) -non puo', ad avviso del Collegio, essere ritenuta inammissibile, tanto piu' che, nel caso di specie, e' stata proprio la parte ricorrente a notificare (sia pure per notizia) il ricorso all'ufficio centrale elettorale presso l'Avvocatura distrettuale dello Stato. La scelta dell'avvocatura non e', quindi, censurabile da parte di questo collegio visto che ha autonomamente ritenuto di dover sostenere la tesi dell'ufficio elettorale centrale. La Costituzione, poi, non puo' essere ritenuta tardiva perche' successiva ai quindici giorni dalla ricevuta notifica (come sostiene la difesa di parte ricorrente), giacche' la perentorieta' del termine prescritto dal terzo comma dell'art. 83/11 del d.P.R. n. 570 del 1960 riguarda soltanto la proposizione dell'eventuale ricorso incidentale da parte dei controinteressati (Cons. St., sez. V, 2 maggio 1996, n. 499). IV. - Quanto al merito del ricorso in esame giova ricordare che esso e' diretto all'annullamento dell'atto di proclamazione degli eletti al Consiglio comunale di Pescara nella parte in cui, all'esito del turno di ballottaggio, sono stati attribuiti venti seggi di consigliere, anziche' diciannove, al raggruppamento di liste collegate al sindaco eletto dott. D'Alfonso, ed e' diretto, come effetto, alla correzione dei risultati elettorali con attribuzione di ventuno seggi al raggruppamento di liste collegate all'altro candidato a sindaco avv. Masci e, quindi, con declaratoria dell'elezione a Consigliere del ricorrente sig. Grosso Felice Antonio in luogo del sig. Di Marco Michele ed anzi in luogo del dott. Damiani Sandro che gli e' subentrato nella posizione di secondo degli eletti per la stessa lista d'appartenenza. Il ricorso sostiene, in stretta sintesi, che, in fase di determinazione della cifra elettorale complessiva delle liste collegate a ciascuno dei predetti candidati a sindaco, non debbono essere computati i voti conseguiti dalle liste che al primo turno non hanno superato la soglia del 3% dei voti validi. Il Collegio rileva che, sulla specifica questione, esistono due autorevoli, e pur discordanti, orientamenti della giurisprudenza. Un primo indirizzo giurisprudenziale, il quale prende le mosse piu' indietro nel tempo, pur se ribadito anche recentemente, e' nel senso di ritenere che, ai fini dell'attribuzione dei seggi, debba darsi rilievo ai raggruppamenti di liste compiuti in vista del turno c.d. di ballottaggio per l'elezione del sindaco, con la conseguenza che debbono essere computati i voti conseguiti da tutte le liste collegatesi in occasione del secondo turno (Cons. St., sez. V, 19 marzo 1996, n. 290; 20 settembre 2000, n. 4894; 4 maggio 2001, n. 2519; 29 gennaio 2003, n. 455). Tale indirizzo giurisprudenziale risulta prevalentemente basato sulle seguenti considerazioni: il sistema elettorale appare finalizzato a perseguire la stabilita' del governo delle amministrazioni locali attraverso l'attribuzione del c.d. premio di maggioranza al raggruppamento di liste collegate con il candidato eletto sindaco, ma appare finalizzato anche alla eliminazione della frantumazione delle minoranze in seno ai consigli comunali, il tutto a beneficio del complessivo andamento dell'amministrazione locale; tutto il procedimento elettorale per l'elezione del sindaco e del consiglio comunale non puo' essere visto nei singoli momenti, ma deve essere considerato come un unicum, che sulla base delle libere scelte delle forze politiche quanto al loro raggrupparsi, ferma l'elezione del sindaco, tiene in effetti di mira la composizione del consiglio comunale; la razionalita' del criterio della considerazione unitaria del gruppo di liste non viene meno nell'ipotesi in cui, per la ripartizione dei seggi di minoranza, concorrano liste che si sono presentate al corpo elettorale singolarmente e liste che si sono presentate in raggruppamento, dovendo darsi prevalenza ai diversi programmi politici sottoposti al giudizio dell'elettorato, considerazione ugualmente valida con riguardo al gruppi formatisi nel turno di ballottaggio; non si deve tener conto dell'eventuale collegamento tra due o piu' liste operato nell'ambito del primo turno di votazione, stante l'ontologica ed insopprimibile differenza tra detto collegamento e quello instaurato ai fini del ballottaggio, rispondendo l'uno all'accordo tra liste diverse per unire le proprie forze ad eleggere subito il candidato sindaco appoggiato anche in competizione con altri candidati sia pure della medesima area politica, l'altro invece alla convergenza di interessi tra piu' forze politiche in relazione all'esito del primo turno, diversamente determinandosi un risultato disomogeneo, ossia la circostanza che il collegamento operato ai fini del primo turno, ma superato di fatto dalle scelte dell'elettorato, possa diventare decisivo per la definitiva assegnazione dei seggi dopo il ballottaggio; in difetto di diversa precisazione, i riferimenti legislativi al computo della predetta cifra elettorale sembrano riguardare i collegamenti esistenti al momento in cui si effettuano le operazioni di cui trattasi e quindi i collegamenti come definiti al secondo turno, non spiegandosi altrimenti l'utilita' del collegamento in sede di ballottaggio, collegamento che e' preordinato a facilitare ulteriori aggregazioni di liste, nella prospettiva di stabilita' e di efficienza operativa degli organi comunali, e che, quindi, nella distribuzione dei seggi impone una considerazione unitaria del gruppo. D'altra parte, il secondo, e del tutto recente indirizzo giurisprudenziale e' nel senso di ritenere che, ai sensi dell'art. 73 del d.lgs. n. 267 del 2000, le liste elettorali che non abbiano conseguito almeno il 3% dei voti sono escluse, sia dall'attribuzione dei seggi nel primo turno, sia dalla valutazione della cifra elettorale del raggruppamento cui i delegati di tali liste decidano di fornire il proprio appoggio in sede di ballottaggio, a nulla valendo che nel secondo turno le stesse liste siano confluite in un raggruppamento che abbia superato tale soglia (Cons. St., sez. V, 10 febbraio 2003, n. 652; 4 giugno 2003, n. 3083). Tale indirizzo giurisprudenziale risulta prevalentemente basato sulle seguenti considerazioni: l'utilizzazione dei voti ottenuti dalle liste che non hanno superato lo sbarramento al fine di integrare la cifra elettorale del raggruppamento indicato dai delegati di dette liste per l'appoggio nel turno di ballottaggio, e quindi per la scelta di uno dei due candidati a sindaco rimasti in lizza, contrasta, sia con l'espressione del voto degli elettori che e' stata formulata con riguardo ad una lista che si e' presentata autonomamente al primo turno elettorale con un proprio candidato a sindaco e con uno specifico programma elettorale, sia con la scelta che tali elettori possono aver effettuato in sede di ballottaggio per sostenere l'uno o l'altro dei candidati rimasti in corsa per l'elezione, scelta avente tre possibilita': a) non votare alcuno dei candidati perche' non ritenuti meritevoli di sostegno; b) votare a favore del candidato indicato dal delegato di lista; c) votare a favore dell'altro dandidato in quanto preferito rispetto al candidato cui la lista per la quale avevano votato al primo turno si e' associata nel ballottaggio; ben due delle tre suindicate possibilita' - lett. a) e c) - contrastano con la scelta dei delegati di lista di far convergere necessariamente sul candidato prescelto i voti conseguiti nel primo turno, mentre nel procedimento elettorale non puo' essere privilegiata un'interpretazione che non sia nel massimo grado possibile rispettosa della volonta' degli elettori e che, invece, consentirebbe ai delegati di lista di sostituirsi ai singoli elettori nella espressione del voto integrando, per cosi' dire, la loro volonta' attraverso lo spostamento, non solo a favore del candidato a sindaco prescelto, ma anche a favore delle liste che lo sostenevano al primo turno, i voti conseguiti dalle liste che non hanno superato lo sbarramento; nel primo turno i raggruppamenti avrebbero potuto presentarsi uniti e se non l'hanno fatto cio' ha determinato una fase della competizione elettorale in cui sono stati avversari, sostenendo diversi candidati con differenti programmi, sicche' non e' possibile sapere come il singolo elettore si sarebbe regolato per l'ipotesi che fosse stato chiamato a scegliere tra raggruppamenti diversi da quello cui ha attribuito il proprio consenso nel primo turno; pertanto, se non si vuole incidere sul libero esercizio del diritto costituzionale all'elettorato attivo, non deve essere consentito altro che agli elettori stessi di modificare il proprio orientamento nel segreto dell'urna, ma non di certo ai delegati delle liste di appartenenza, non essendo affatto pacifico che la scelta dell'apparentamento operata dai delegati di lista corrisponda alla scelta dei singoli elettori; elementi letterali d'interpretazione delle norme consentono d'individuare una netta distinzione tra le due tornate elettorali, impedendo l'utilizzazione dei risultati del primo turno per la fase successiva del ballottaggio: il voto di lista si riferisce solo al primo turno elettorale (comma 3 dell'art. 73 cit.), mentre nel turno di ballottaggio il voto si esprime con riguardo al solo candidato a sindaco prescelto (comma 8 dell'art. 72, d.lgs. cit.), rimanendo ininfluenti le liste collegate ai fini dell'espressione del voto; la cifra elettorale e' costituita dai voti di lista e, quindi, ragionevolmente dai voti conseguiti dalle liste nel primo turno, l'unico nel quale esse sono direttamente rilevanti (comma 5 dell'art. 73 cit.); l'assegnazione dei seggi e' effettuata avendo riguardo alla cifra elettorale «nel turno di elezione del sindaco» che, appunto, e' il primo nel quale assumono rilievo le liste, singole o collegate, che hanno riportato voti che compongono la cifra elettorale (comma 8 dell'art. 73 cit.); lo sbarramento del 3% dei voti validi si riferisce al primo turno ed il mancato superamento comporta l'esclusione dall'assegnazione dei seggi; in tale fase procedimentale, il primo momento e' costituito dall'individuazione della cifra elettorale cui rimangono estranee le liste che non hanno superato lo sbarramento (comma 7 dell'art. 73 cit.); la disposizione che contempla il procedimento per l'assegnazione dei seggi (comma 8 dell'art. 73 cit.) si riferisce solo al primo turno e non al ballottaggio che, a ben vedere, non e' in alcun modo considerato dalle norme sull'assegnazione dei seggi; la previsione normativa (comma 7 dell'art. 73 cit.) delle due condizioni negative per la non assegnazione di seggi (mancato conseguimento del 3% dei voti e non appartenenza a nessun gruppo di liste che abbia superato tale soglia), lungi dal riferirsi al turno di ballottaggio, vuole evitare che siano escluse dall'assegnazione di seggi quelle liste che, pur non avendo conseguito il 3% dei voti, abbiano tuttavia aderito ad un raggruppamento di liste che tale limite ha superato, prevedendo l'eccezione alla regola del c.d. sbarramento, onde incentivare le aggregazioni delle forze politiche; tale disposizione si colloca, comunque, nell'ambito della disciplina del primo turno e non in quella del turno di ballottaggio, dove l'indicazione delle liste, pur riportata nelle schede, non entra nella determinazione dei risultati che sono esclusivamente ricondotti ai voti attribuiti ai candidati a sindaco. Dinanzi a due diversi, comunque autorevoli indirizzi della giurisprudenza, il collegio deve porsi il problema di quale dei due sia da ritenere il piu' conforme al sistema vigente. Entrambi manifestano argomentazioni degne di considerazione, non prive di elementi a favore dell'una o dell'altra soluzione. Il collegio, comunque, deve effettuare una necessaria premessa. Il sistema elettorale vigente e' stato introdotto con il preciso intento di evitare che si verificasse un continuo ricorso alle urne e ricambi nel governo degli enti locali a seguito di mutamenti di posizioni nell'ambito della maggioranza e dei partiti che la compongono, con la precisa volonta' di garantire una stabile maggioranza e uno stabile governo dell'ente locale. Si e' scelto cosi' di spingere le varie componenti a coagularsi attorno ad una persona indicata quale sindaco che governi con una stabile maggioranza durante l'intero mandato. E' stato, percio', previsto un premio di maggioranza da assegnare a colui che avesse ottenuto la vittoria nel primo o secondo turno e maggiori attribuzioni di poteri alla giunta rispetto al consiglio in un'ottica di rovesciamento della precedente disposizione che conferiva alla competenza residuale del consiglio e non della giunta, come accade ora, i compiti che non fossero stati espressamente conferiti ad uno dei due organi, scegliendo cosi' la strada di un esecutivo piu' forte. Si e' voluto, pero', mantenere un doppio sistema e conservare, percio', un notevole valore al vecchio principio proporzionale introducendo, anche, la possibilita' del voto disgiunto tra il candidato a sindaco e le liste che lo sostengono. Il sistema ha, poi, subito delle modi.che, anche a seguito della pronuncia n. 197/1996 della Corte costituzionale, le cui motivazioni che hanno portato al rigetto della questione sottopostagli, hanno indotto, pero', il legislatore a modificare la percentuale di voti necessaria al primo turno per disporre il premio di maggioranza; di recente, poi, dopo, percio', che la Corte si era gia' pronunciata, e' stata introdotta una norma la quale, per evitare che si riproducessero i guasti della eccessiva frammentazione del voto, ha escluso dalla ripartizione dei seggi quelle liste che, non appartenendo a nessuna coalizione, non avessero raggiunto al primo turno almeno il 3% dei voti validi. Il collegio deve subito osservare che il principio in realta' ha scarsa consistenza e poco importa se una lista possa ottenere un seggio nella coalizione, quando abbia effettuato la scelta di appartenere ad un raggruppamento, mentre assume rilevante importanza proprio nel caso che la lista abbia effettuato una scelta di autonoma presentazione dinanzi all'elettorato. Nel primo caso, infatti, ai sensi di quanto previsto dall'art. 73 del decreto legislativo n. 267 del 2000, l'appartenenza ad un gruppo di liste che comunque abbia superato la soglia del 3%, provoca effetti favorevoli anche nei confronti di quelle liste che tale soglia non abbiano raggiunto. E' questo il significato della norma in questione la quale, appunto, esclude dall'ammissione all'assegnazione dei seggi solo quelle liste che, non avendo ottenuto al primo turno almeno il 3% dei voti validi, non appartengano a nessun gruppo di liste che abbia superato tale soglia. Effettuata tale indispensabile premessa osserva il collegio come l'argomento posto a base dell'indirizzo giurisprudenziale piu' recente, ovvero che i raggruppamenti che non si sono presentati uniti al primo turno hanno sostenuto diversi candidati con differenti programmi, sicche' non e' possibile sapere come il singolo elettore si sarebbe regolato per l'ipotesi che fosse chiamato a scegliere tra raggruppamenti diversi, incide sul libero esercizio del diritto costituzionale all'elettorato attivo, e' valido non solo nell'ipotesi di liste che non abbiano raggiunto la soglia del 3%, ma anche di quelli che tale soglia abbiano superato e che comunque vengano indirizzate nel turno di ballottaggio a favore di una o dell'altra delle liste. In entrambi i casi, cioe', la scelta dell'apparentamento operata dai delegati di lista non e' pacifico che corrisponda alla scelta dei singoli elettori. In alcuno dei due casi, cioe', la soluzione ipotizzata garantisce all'elettorato una scelta consapevole. Non sembra, pertanto, questo un elemento sufficiente a giustificare l'attribuzione della possibilita' di apparentamento solo nel caso di raggiungimento della soglia del 3%. E', invece, molto piu' degna di considerazione l'argomentazione che rimanda ad elementi letterali di interpretazione delle norme le quali consentono di individuare una netta distinzione tra le due tornate elettorali, dato che il voto di lista e' richiamato solo nel primo turno, mentre nel turno di ballottaggio il voto e' espresso con riguardo al solo candidato a sindaco. Nella sentenza n. 152/2003 della quinta sezione del Consiglio di Stato si legge, in effetti, che «dal punto di vista di elementi letterali d'interpretazione che consentono d'individuare una netta distinzione tra le due tornate elettorali (primo turno e ballottaggio) impedendo l'utilizzazione dei risultati del primo turno per una fase successiva e relativa all'effettuazione del ballottaggio, si osserva che: a) il voto di lista si riferisce solo al primo turno elettorale (cfr. l'articolo 73, comma terzo 1 del decreto legislativo n. 267/2000) mentre nel turno di ballottaggio il voto si esprime con riguardo al solo nome del candidato prescelto (cfr. art. 72, comma 1) rimanendo ininfluenti le liste collegate ai fini dell'espressione del voto; b) la cifra elettorale e' costituita dai voti di lista e, quindi, ragionevolmente dai voti conseguiti dalle liste del primo turno, l'unico nel quale esse sono rilevanti direttamente (cfr. art. 73, comma 5); c) l'assegnazione dei seggi e' effettuata avendo riguardo alla cifra elettorale aperte «nel turno di elezioni del sindaco» che, appunto e' il primo nel quale assumono rilievo le liste, singole o collegate, che hanno riportato i voti che compongono la cifra elettorale (art. 73, comma 8); d) lo sbarramento si riferisce al primo turno e comporta l'esclusione dalla assegnazione dei seggi. In tale ultimo procedimento il primo momento e', pero', costituito dall'individuazione della cifra elettorale operazione cui rimangono estranee le liste che lo sbarramento non hanno superato (art. 73, comma 7); e) la disposizione che contempla il procedimento per l'assegnazione dei seggi (art. 73, comma 8) si riferisce solo al primo turno e non al ballottaggio che, a ben vedere, non e' in alcun modo considerato dalle norme sull'assegnazione dei seggi». A questi elementi di carattere lessicale va aggiunto che anche l'interpretazione del Ministero degli interni, rilevabile, del resto, dai modelli di verbale prestampati, e' quella gia' considerata nell'indirizzo piu' recente del Consiglio di Stato, visto che l'ufficio elettorale e' stato costretto a modificare il verbale per sostenere l'interpretazione da esso adottata. Queste considerazioni, difficilmente contestabili sul piano letterale, posto anche che l'interprete nell'applicazione della legge non puo' ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole, come si esprime l'art. 12 delle disposizioni sulla legge in generale, condurrebbero necessariamente all'accoglimento del ricorso in aderenza con questo orientamento del Consiglio di Stato. D'altro canto che questa debba essere l'interpretazione piu' conforme al dettato legislativo e' dimostrato dal fatto che, altrimenti, ove fosse consentito cioe' l'apparentamento al secondo turno, la norma non avrebbe significato o meglio lo avrebbe soltanto in quei casi, peraltro piuttosto limitati, nei quali uno dei candidati a sindaco abbia raggiunto la maggioranza direttamente al primo turno. Ma se queste considerazioni fanno propendere il collegio per una siffatta interpretazione della norma, lo inducono, tuttavia, in perplessita' sul fatto che l'introduzione della soglia di sbarramento, disposta dall'art. 5 della legge 30 aprile 1999, n. 120, sia del tutto conforme all'ordinamento costituzionale in ordine al principio di parita' e di uguaglianza di cui all'art. 3 della nostra carta fondamentale, dato che si inserisce in un ordinamento basato su un doppio turno elettorale nel quale alcune formazioni verrebbero del tutto escluse dal secondo turno; si pensi alla circostanza che anche due o tre gruppi politici potrebbero arrestarsi poco prima della soglia del 3%, permettendo, in tal modo, l'esclusione di una parte consistente dell'elettorato pari, in consimili casi, a circa il 9%. In questo caso, tra l'altro, la questione di illegittimita' costituzionale, che il collegio non ritiene manifestamente infondata, assumerebbe certo rilevanza. A siffatto riguardo, poi, non varrebbe ribattere alla tesi di possibile incostituzionalita' che, comunque, gli elettori sarebbero chiamati ad esprimersi. Infatti, il loro voto sarebbe indirizzato solo alla indicazione del sindaco e si verificherebbe una netta divaricazione nel calcolo del numero complessivo degli elettori tra il primo e il secondo turno, con conseguenze distorte rispetto alla composizione del consiglio. Ne' va dimenticato che sussiste anche una palese contraddittorieta' insita nella norma di preclusione perche' consente l'apparentamento a quelle formazioni che hanno raggiunto il 3% e non alle altre, impedendo la valutazione di una sola parte dell'elettorato espressosi al primo turno. Si potrebbe anche a questo obiettare che si tratta di una scelta del legislatore che ha voluto impedire una eccessiva frammentazione del voto, ma questa obiezione non convince dal momento che, una volta disposto un apparentamento, la frammentazione verrebbe comunque evitata. Il Consiglio comunale, poi, con un'operazione di dubbia legittimita', viene composto dal numero dei votanti al primo turno, con esclusione di una parte dell'elettorato, e con inevitabili aggiustamenti rispetto al totale dei voti gia' espressi al primo turno che necessariamente finirebbero per individuare una percentuale diversa da quella gia' calcolata per evitare l'attribuzione del premio di maggioranza. E' vero, come ha gia' affermato il Consiglio di Stato nella richiamata sentenza n. 3083/03, che la norma tende ad incentivare le aggregazioni delle forze politiche, prevedendo la possibilita' di un accorpamento dei voti e risponde, come gia' accennato dalla Corte costituzionale, ad una precisa scelta del legislatore ma, ad avviso del collegio, se si giustifica in un sistema proporzionale puro, e' dubbio che possa trovare una logica collocazione in un sistema elettorale maggioritario che e' indirizzato a garantire la governabilita' dell'ente locale per tutto il mandato; tale sbarramento, infatti, non consentendo la valutazione al secondo turno, finisce col lasciare fuori dalle scelte, comunque, una parte dell'elettorato e stravolge o quanto meno incide in modo reale sul principio di governabilita'. Tali considerazioni sono, poi, avvalorate da un ulteriore disposizione presente nel sistema elettorale vigente e, cioe', dalla condizione apposta nel comma 8 dell'art. 73 del Testo unico sugli enti locali, la quale prevede che non possa scattare il premio di maggioranza per il sindaco eletto, quando un altro gruppo di liste abbia superato nel primo turno il 50% dei voti validi. A siffatto riguardo va, poi, considerato che le argomentazioni introdotte dalle sentenze del Consiglio di Stato piu' innanzi richiamate sono state formulate proprio in rapporto a fattispecie nelle quali non si era verificata la condizione di cui al comma 8 dell'art. 73 del testo unico n. 267/2000, consentendo in quel caso l'attribuzione del premio di maggioranza. Tale aspetto della questione va indubbiamente considerato perche' fa emergere ulteriori elementi in ordine alla possibile incostituzionalita' di tutto il sistema, cosi' come oggi risulta conformato, per quanto riguarda il principio di ragionevolezza e il principio cardine del buon andamento della Pubblica amministrazione di cui all'art. 97 della Costituzione. Ne costituisce evidente dimostrazione la circostanza che il presente ricorso sia stato presentato non soltanto da colui che aspira alla posizione di consigliere ma da molti di coloro che, appartenendo al gruppo di opposizione al sindaco eletto, hanno cercato in qualsiasi modo di ottenere la maggioranza in consiglio con l'evidente intento di porre in difficolta' il governo del sindaco eletto e, quindi, del Comune di Pescara. Infatti, l'apparentamento delle liste, operato dall'ufficio elettorale, ha consentito ad entrambe le formazioni che appoggiavano i due candidati del turno di ballottaggio di ottenere venti consiglieri, determinando, quindi, in favore del sindaco eletto, una maggioranza anche nell'organo consiliare, attraverso l'utilizzazione della sua posizione di ventunesimo consigliere. Di qui anche la ragione del ricorso. E' certamente vero che l'apparentamento si sarebbe potuto indirizzare anche nei confronti del candidato a sindaco non eletto ma tale elemento avvalora ancor piu' la possibilita' che la governabilita' dell'ente locale in questo caso potesse ancor piu' essere posta in notevoli difficolta'. Si deve ritenere, quindi, che la condizione di cui all'art. 8 costituisca un ulteriore elemento per censurare le scelte legislative e rimettere la questione al giudice delle leggi per valutame la costituzionalita'. A suffragare, infatti, l'ipotesi del collegio che la condizione di cui al sesto comma dell'art. 73 del Testo unico sugli enti locali possa in qualche modo rappresentare un contrasto con il buon andamento dell'amministrazione ed il principio di ragionevolezza, e' la innanzi richiamata sentenza della Corte costituzionale n. 197 del 4 aprile 1996, la quale, pur chiamata ad esprimersi su questione diversa, ha comunque effettuato alcune considerazioni che possono essere prese in esame sia a favore che contro la tesi del collegio. Si legge in un passo di questa decisione che «una volta che non e' contestato - come il giudice a quo non contesta - la legittimita' costituzionale del principio del voto disgiunto, e si ammette che l'adozione di tale principio rientra nei possibili modelli elettorali che il legislatore puo', nell'esercizio della sua discrezionalita', disegnare, deve necessariamente riconoscersi anche che la governabilita' dell'ente locale non e' assunta come un valore assoluto, ma e' apprezzata come valore specificamente tutelabile (giustificandosi l'alterazione del criterio proporzionale) soltanto nel caso, di maggior allarme, della, frammentazione dei consensi espressi, che e quello del sindaco «debole» collegato ad una o piu' liste «deboli» (nel senso sopra precisato). D'altra parte, che la governabilita' non sia un valore assoluto e' dimostrato proprio dall'ipotesi, che puo' verificarsi e della cui legittimita' non si dubita, della maggioranza assoluta conseguita (al primo turno) dalla lista contrapposta, o comunqe non collegata, al candidato eletto sindaco. In questo caso (in cui il rischio della cosiddetta in governabilita' e' massimo) il sindaco, salva la facolta' di dimettersi cosi' provocando lo scioglimento del consiglio, deve convivere con una maggioranza a lui contrapposta; ma cio' e' conseguenza della divaricazione del consenso espresso dall'elettorato con il voto disgiunto, divaricazione che il legislatore intende rispettare per non premiare (se non proprio penalizzare) il sindaco che si e' collegato alla lista che non riscuote sufficienti consensi». In altri termini sembrerebbe di comprendere dalla sentenza della Corte che il legislatore ha stabilito che la governabilita' e' maggiormente meritevole di tutela in ordine all'eventuale frammentazione dei voti piu' che dalla presenza di un sindaco debole. Cio' e' fonte di ulteriore perplessita' per la contraddittorieta' intrinseca che manifesta tale soluzione, se questo e' stato veramente l'intento del legislatore. Non si comprende, infatti, visto il sistema elettorale in questione nel suo contesto perche' la governabilita' possa essere meglio garantita se esiste un sindaco debole rispetto ad un quadro politico frammentato. Sulle argomentazioni delle decisioni della Corte, osserva il collegio che il giudice delle leggi, ha preso, pero', in esame una situazione diversa da quella proposta oggi al giudizio del collegio ed ha considerato come il giudice a quo abbia omesso ogni riferimento ad eventuali problemi di legittimita' costituzionale del voto disgiunto o della condizione di cui al sesto comma dell'art. 73 del Testo unico oggi vigente. Pur ritenendo, poi, astrattamente possibile e conseguente ad una scelta legislativa la possibilita' del voto disgiunto, sul quale, peraltro, non era stata chiamata ad esprimersi, ha affermato che la governabilita' non e' stata assunta come un valore assoluto, ma e' comunque apprezzata come valore specificamente tutelabile; ha fatto discendere la sua considerazione proprio dalla circostanza che puo' verificarsi l'ipotesi in cui al primo turno vi sia la maggioranza assoluta della lista contrapposta (ipotesi anche questa nella quale, peraltro, la Corte non era stata chiamata ad esprimersi) nel qual caso, peraltro, ha anche osservato che il rischio della ingovernabilita' e' massimo. Ritiene allora il collegio che, comunque, anche sotto siffatto profilo, anch'esso rilevante nella presente questione, visto che non si e' potuta applicare la norma che consente l'attribuzione del premio di maggioranza, vada proposta la questione alla Corte costituzionale perche' la esamini direttamente in ordine alle due ipotesi del voto disgiunto e della condizione posta per impedire che scatti il premio di maggioranza nel turno di ballottaggio, ovvero all'ipotesi che la lista che non abbia espresso il sindaco, abbia comunque ottenuto la maggioranza assoluta dei voti validi. La tesi del collegio scaturisce da alcune considerazioni che attengono alla specificita' della questione in esame e alla possibilita' che, in fondo, un esame dettagliato proprio sulla questione cosi' com'e' gli e' stata sottoposta, possa determinare nella Corte costituzionale un convincimento diverso da quello che sembrava nascere dalla sentenza cui il collegio si richiama, ma che, pero', si ribadisce riguardava un aspetto che non era stato preso in esame in via diretta, ma costituiva, come e' evidente dalle motivazioni della decisione n. 197/ 1996, un mero obiter dictum. In effetti, se il voto disgiunto non e' in se' un male e puo' anche essere giustificato, e' evidente che tale aspetto del problema non puo' non tener conto del sistema nel quale esso si inserisce. Situazioni nelle quali una maggioranza di segno politico diverso dall'esecutivo espresso non e' una novita' assoluta e trova corrispondenza in alcuni ordinamenti democratici. Tuttavia, la situazione va sempre valutata in rapporto all'ordinamento nel quale si inserisce e (come lo stesso giudice delle leggi riconosce nella sentenza citata), nel caso che e' stato sottoposto al collegio il rischio di ingovernabilita' e' massimo e potrebbe essere addirittura piu' grave la' dove le liste non collegate al primo turno abbiano deciso di spostare i loro voti (senza riuscire a esprimere il sindaco), in favore della maggioranza del consiglio. In una siffatta ipotesi la divaricazione tra maggioranza e sindaco sarebbe ancora maggiore per cui non resterebbe, come la stessa corte osserva, che la soluzione di dimissioni del sindaco eletto e di scioglimento conseguente del consiglio. Pero', tale soluzione non sembra corrispondere al principio di buon andamento del governo della cosa pubblica, perche' verrebbe completamente frustrata la volonta' dell'elettorato il quale vedrebbe compromesse le sue scelte e chiamato nuovamente alle urne. Anche un eventuale tentativo di governo troverebbe continui ostacoli e la spada di Damocle della mozione di sfiducia, contenuta nella disposizione dell'art. 52 del Testo unico n. 267/2000 la quale prevede, appunto, che il sindaco e le rispettive giunte cessano dalla carica in caso di approvazione di una mozione di sfiducia della maggioranza assoluta dei componenti del consiglio. D'altronde, che la contemporanea presenza delle due disposizioni, che si rimettono al giudizio della Corte, possa creare degli effetti distorti, e' emblematicamente rappresentata da alcune situazioni che, come accennato piu' avanti, possono in pratica verificarsi. Si' esaminino i casi seguenti, prendendo in considerazione 5 liste come e' accaduto nel caso sottoposto al collegio: IPOTESI A. 1) - I gruppo di liste apparentate 50,01%; 2) - II gruppo di liste apparentate 41,29%; 3) - lista autonoma 2,90%; 4) - lista autonoma 2,90%; 5) - lista autonoma 2,90%. In questa fattispecie non sarebbe possibile alcun apparentamento al secondo turno e se il sindaco risultato eletto fosse il candidato della lista con il 41,20% dei voti, il Consiglio comunale risulterebbe cosi' composto: I gruppo di liste apparentato 22, II gruppo di liste apparentato 18, per il gioco dei resti. In effetti, rapportando a 100 le percentuali calcolabili, in un comune di 40 consiglieri, ad ogni lista doveva essere assegnato un seggio ogni 2,28 voti percentuali, anziche' 2,25. In questo caso, cioe', sarebbero state penalizzate, cosi' come voluto dal legislatore le liste non apparentate, ma, nello stesso tempo, avrebbe avuto un premio, al di la della stessa percentuale ottenuta, la lista che non avesse espresso il sindaco. Sarebbe, cioe', scattato un premio di maggioranza alla rovescia. Si consideri, invece il caso che il I gruppo di liste non avesse raggiunto al primo turno il 50,01% dei voti ma, per ipotesi solo il 49,09%; in questo caso l'altro raggruppamento avrebbe conseguito il premio di maggioranza, ottenendo 24 seggi su 40 mentre il I, per una differenza % di solo 0,2, ben 6 seggi in meno. IPOTESI B. 1) - I raggruppamento di liste 50,01%; 2) - II raggruppamento di liste 40,09%; 3) - Lista autonoma 3%; 4) - Lista autonoma 3%; 5) - Lista autonoma 3%. In questo caso ognuno dei due raggruppamenti, ove le liste autonome, le quali in un caso di questo tipo si potrebbero apparentare, avessero espresso il loro consenso per il II raggruppamento, avrebbe ottenuto 20 consiglieri. A riprova, poi, che le scelte legislative non sembrano dettate da una logica stringente, mutuando dalle considerazioni della Corte nella richiamata sentenza n. 197 del 1996, si puo' osservare che l'eletto sindaco sarebbe maggiormente tutelato in una posizione di partenza piu' debole, quella cioe' nella quale al primo turno avesse ottenuto il 40,09 anziche' il 41,29. E' vero, come afferma il Consiglio di Stato nella sua decisione, che in questo caso si sarebbe verificata l'ipotesi che, in pratica, gli elettori, potendo essi, comunque, manifestaieil loro voto, avrebbero cosi confermato le indicazioni del delegato di lista, ma si dovrebbe pur sempre spiegare come mai questa conferma, con le inevitabili conseguenze sulla composizione del consiglio, e' possibile in un caso e non nell'altro. Resta, cioe', difficile accettare un principio che esclude comunque dal gioco delle elezioni per uno degli organi eletti, una parte dell'elettorato dal secondo turno che, in ogni caso, rappresenta anch'esso un momento di consenso del corpo elettorale. Ma vi e' un'ulteriore considerazione da fare: si consideri che nell'ipotesi B, le liste non apparentate decidano di spostare, attraverso i delegati di lista, sul I raggruppamento il loro consenso ma che gli elettori spostino il loro voto, comunque, sul candidato de1 II che ottenga cosi' l'elezione a sindaco nel turno di ballottaggio. Orbene, in questo caso il Consiglio sarebbe composto da 24 consiglieri della «minoranza» e da 16 della «maggioranza», facendo verificare cioe' quell'ipotesi di assoluta ingovernabilita' individuato dalla Corte nella sua precedente sentenza ed in contrasto palese con le scelte dell'elettorato che, avendo individuato nel turno di ballottaggio il sindaco nel candidato del II raggruppamento, ha indubbiamente con cio' manifestato la sua preferenza. Verrebbero, percio', completamente frustrate le scelte dell'elettorato facendo verificare proprio quell'ipotesi che il Consiglio di Stato, scegliendo il suo ultimo orientamento, aveva paventato che si potessero altrimenti verificare. Di qui, secondo il parere del collegio, l'illogicita' del sistema e la violazione di ogni principio di ragionevolezza. Ritiene, percio', il collegio che la questione debba essere sottoposta alla Corte costituzionale sotto il duplice profilo della violazione del principio di eguaglianza, nella misura in cui non permette al turno di ballottaggio che alcune formazioni politiche trovino la loro considerazione nel secondo turno elettorale il quale, comunque, puo' modificare le scelte gia' effettuate dagli elettori, e, sotto il profilo della non manifesta infondatezza della illegittimita' costituzionale, per violazione del principio di ragionevolezza e del buon andamento dell'amministrazione, della condizione, posta nell'ottavo comma di cui all'art. 73 del Testo unico, nella misura in cui, qualora la componente che non abbia espresso il sindaco abbia ottenuto la maggioranza assoluta dei voti validi al primo turno, impedisca l'attribuzione di qualsiasi premio di maggioranza al sindaco risultato eletto; sembra, infatti, necessaria una modifica del sistema in modo da evitare, quanto meno, che non si verifichi il rischio della cosiddetta ingovernabilita' assoluta, rilevato, del resto, dalla stessa Corte costituzionale. Una circostanza peculiare e poi emblematica della situazione particolare che si e' verificata e potrebbe verificarsi in futuro nel sistema cosi' com'e' studiato attualmente, e' costituito dal fatto, verificatosi nella presente fattispecie, che al primo turno, il numero dei voti ottenuti dalle liste, che hanno poi ottenuto la maggioranza in consiglio, e' inferiore alla manifestazione complessiva di voto che ha ottenuto il sindaco eletto nel turno di ballottaggio, in conseguenza del sistema del voto disgiunto e delle condizioni assunte per stabilire quando scatti il premio di maggioranza. Questo, pertanto, in siffatti casi, risulterebbe eccessivamente penalizzato rispetto alla volonta' espressa dagli elettori laddove la condizione gia' richiamata di cui all'art. 73, non attribuisca in qualche modo la possibilita' di valutare in modo piu' favorevole il risultato elettorale ottenuto dall'eletto nel turno di ballottaggio, limitando adeguatamente la condizione di cui al n. 8 dell'art. 73 del Testo unico sugli enti locali, contenuto nel decreto legislativo 18 agosto 2000. Ritiene, pertanto, il collegio che, cosi come esposto nelle considerazioni innanzi avanzate, si possa ritenere rilevante nella fattispecie e non manifestamente infondata una questione di costituzionalita', delle norme di cui ai numeri 7 e 8 dell'art. 73 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, per contrasto con gli articoli 3 e 97 della Costituzione. La prima perche' tratta in modo difforme alcune liste di candidati nel primo e secondo turno in dipendenza dell'avvenuto o meno apparentamento al primo turno, la seconda perche' porre condizioni per evitare l'attribuzione del premio di maggioranza, non soltanto costituisce una violazione del desiderio degli elettori, non valutando le scelte da questi operate in un secondo turno di elezione, ma comporta inevitabilmente un forte pericolo di ingovernabilita' dell'ente locale. Il giudizio deve, pertanto, essere sospeso con remissione degli atti alla Corte costituzionale.