IL TRIBUNALE Ha pronunciato la seguente ordinanza nel procedimento per insinuazione tardiva di credito iscritto al numero 195 del ruolo generale degli affari contenziosi civili dell'anno 2003, promosso da: Depau Maria, rappresentata dall'avv. Giomaria Demuro ed elettivamente domiciliata presso lo studio di questi, a Lanusei, via Zanardelli n. 52; Contro Fallimento cooperativa Arbatex a r.l., in persona del curatore dott.ssa Gisella Deiana. Con ricorso depositato in data 4 giugno 2003 Depau Maria ha chiesto di essere ammessa tardivamente al passivo del fallimento Arbatex, in privilegio ex art. 2751-bis, n. 1), c.c., per l'importo di Euro 18.496, oltre agli interessi e rivalutazione monetaria dalle singole scadenze fino alla data del fallimento, somma dovuta quale risarcimento dei danni in relazione al recesso per giusta causa della stessa Depau dal contratto di formazione e lavoro finalizzato all'attribuzione della qualifica di addetta al finissaggio stipulato in data 26 luglio 1989 con la cooperativa Arbatex a r.l. All'udienza del 2 luglio 2003 e' comparsa la curatrice, la quale non si e' opposta all'ammissione del credito cosi' come richiesto; sollevata la questione dell'applicabilita' al rapporto de quo del privilegio ex art. 2751-bis, n. 1), c.c., all'odierna udienza la ricorrente ha insistito per il riconoscimento del privilegio. Dalla documentazione allegata al ricorso, ed in particolare dalle comunicazioni dell'Ispettorato del lavoro di Nuoro del 29 luglio 1991 e del 22 novembre 1991, risultano gravi inadempimenti della societa' Arbatex nei confronti dei dipendenti assunti con contratto di formazione e lavoro, ed in particolare dell'odierna ricorrente, la quale non percepi' la retribuzione relativa ai mesi di luglio, agosto, settembre, ottobre, novembre e dicembre del 1989 e non ricevette la dovuta formazione professionale, venendo impiegata come lavoratrice subordinata tout court. Si deve pertanto ritenere che il recesso della lavoratrice, formalizzato in data 18 gennaio 1991, sia avvenuto per giusta causa, essendo applicabile anche al contratto di formazione e lavoro il disposto dell'art. 2119 c.c. (v. al riguardo Cass., sez. lav., 9 giugno 1995, n. 6530). La legittimita' del recesso della lavoratrice comporta che debba essere riconosciuto alla medesima un risarcimento del danno per inadempimento del datore di lavoro, da liquidare secondo le regole comuni; puo' in particolare farsi riferimento, trattandosi di un danno futuro, alle retribuzioni che la stessa avrebbe percepito se il contratto avesse avuto la durata prevista (cosi' Cass., sez. lav., 3 febbraio 1996, n. 924; Cass., sez. lav., 15 novembre 1996, n. 10043), salva riduzione ex art. 1227 c.c. in relazione ai danni che avrebbe potuto evitare usando l'ordinaria diligenza, cercando una nuova occupazione ed usando altrimenti le proprie energie lavorative. Nel caso di specie, poiche' la curatela non ha provato il difetto di diligenza della lavoratrice nella ricerca di un'altra occupazione lavorativa o la percezione di proventi da lavoro da parte di quest'ultima, la domanda dev'essere pertanto accolta. Si rileva tuttavia che, sulla base della legislazione vigente, non competerebbe alla Depau il privilegio ex art. 2751-bis, n. 1), c.c. La norma in questione, infatti, accorda un privilegio generale sui mobili ai crediti del lavoratore subordinato per la retribuzione, per le indennita' dovute per la cessazione del rapporto di lavoro, per i danni conseguenti dalla mancata corresponsione dei contributi e per il «risarcimento del danno subito per effetto di un licenziamento inefficace, nullo o annullabile». Il privilegio non e' dunque riconosciuto per tutte le ipotesi di cessazione patologica del rapporto di lavoro per causa imputabile al datore di lavoro, ma solamente per quelle dipendenti da un «licenziamento» - ossia un atto del datore di lavoro - inefficace, nullo o annullabile. Ne' puo' ipotizzarsi una applicazione analogica della norma al caso di specie, in quanto tutte le norme sui privilegi sono eccezionali e, pertanto, di stretta interpretazione ai sensi dell'art. 14 preleggi (v. al riguardo Cass., sez. III, 10 febbraio 2003, n. 1946). Si deve ritenere pero' che si ponga una questione non manifestamente infondata di illegittimita' costituzionale del citato art. 2751-bis, n. 1. c.c., in relazione al principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. e a quello di tutela del lavoro di cui all'art. 35 Cost., nella parte in cui non accorda il privilegio al credito del lavoratore dipendente per risarcimento del danno subito per effetto di qualsiasi cessazione patologica del rapporto di lavoro per causa imputabile al datore di lavoro, ed in particolare al danno subito per recesso del lavoratore per giusta causa. Infatti, sebbene la specifica individuazione dei crediti risarcitori del lavoratore assistiti dal privilegio ai sensi dell'art. 2751-bis, n. 1), c.c. corrisponda a scelte discrezionali del legislatore (v. Cass. 1946/2003, cit.), e' pur vero che tale discrezionalita' dev'essere utilizzata secondo criteri di ragionevolezza, e che quindi non e' consentito al legislatore discriminare tra situazioni accomunate dall'identita' di ratio. Gia' con la sentenza n. 326 del 17 novembre 1983 la Corte costituzionale pervenne alla declaratoria di illegittimita' costituzionale dell'art. 2751-bis, n. 1), c.c., per contrasto con il principio di eguaglianza, sul rilievo che la norma - ispirata ad una finalita' di ampliamento, a favore del lavoratore dipendente, della disciplina positiva del privilegio generale sui mobili - muniva del suddetto privilegio il credito per il risarcimento del danno subito per effetto di un licenziamento inefficace, nullo o annullabile ed il credito del lavoratore per i danni conseguenti alla mancata corresponsione da parte del datore di lavoro dei contributi previdenziali ed assistenziali, ma non anche il credito per risarcimento del danno spettante al lavoratore a seguito di infortunio sul lavoro cagionato dal datore di lavoro. Analogamente, la pronuncia n. 220 del 29 maggio 2002, in relazione alla medesima esigenza di attribuire trattamenti equipollenti a situazioni omogenee, ha ritenuto sussistente un'ulteriore, palese violazione dell'art. 3 della Costituzione nella mancata attribuzione del privilegio generale sui mobili al credito risarcitorio per danni patiti dal lavoratore a causa di una malattia professionale contratta nello svolgimento dell'attivita' lavorativa e rispetto alla quale sia stata accertata la responsabilita' del datore di lavoro. Il caso di specie - credito risarcitorio del lavoratore in dipendenza del recesso per un grave inadempimento del datore di lavoro - appare, in particolare, del tutto omogeneo rispetto al credito per il risarcimento del danno dipendente da licenziamento illegittimo. L'elemento distintivo tra le due fattispecie, infatti, e' dato dal fatto che nel caso in esame lo scioglimento del rapporto dipende da un atto di volonta' del lavoratore, mentre nell'ipotesi del licenziamento ne e' indipendente; ma cio' non appare giustificare una diversa considerazione del rango del credito. Si deve infatti sottolineare, da un lato, che la volonta' del lavoratore receduto per un grave inadempimento del datore di lavoro e' coartata e non libera (cosi' Cass. 1021/1998, cit.): il dipendente e' costretto a presentare le proprie dimissioni dalla giusta causa che le rende legittime, cosicche' l'aspetto volitivo non appare assumere una rilevanza tale da distinguere in modo significativo le due fattispecie. Ma soprattutto, si deve osservare che l'incidenza della volonta' del lavoratore sull'effetto risolutivo del rapporto non presenta alcuna attinenza alla ratio della norma, che e' quella di accordare un amplissima tutela del lavoro subordinato attraverso il riconoscimento della particolare meritevolezza dei crediti retributivi o di quelli risarcitori legati allo svolgimento del rapporto di lavoro, in attuazione del principio stabilito dall'art. 35 Cost.; tant'e' vero che viene ad essi attribuito un privilegio collocato immediatamente dopo quello per le spese di giustizia (art. 2777 c.c.). In altri termini, se la ratio legis dev'essere rinvenuta nella primaria rilevanza costituzionale del diritto al lavoro e, pertanto, nel particolare favore con cui vengono considerati i crediti retributivi ed i crediti risarcitori del dipendente - ed in particolare, tra questi ultimi, i crediti derivanti da un'illegittima cessazione del rapporto per effetto del licenziamento inefficace, nullo o annullabile -, non appare che sia consentito al legislatore ordinario considerare di rango deteriore un credito dipendente dalla stessa causa solo perche' l'effetto risolutivo del rapporto dipende dalla volonta' (peraltro coartata) del lavoratore, pretermettendo al tempo stesso il principio costituzionale della tutela del lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni (art. 35). La questione e' rilevante nel giudizio a quo, in quanto, come si e' detto, non potendosi applicare analogicamente l'art. 2751-bis, n. 1) c.c., il credito della Depau dovrebbe essere ammesso al passivo in chirografo.