Sentenza 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 75 della  legge
31 luglio 1954, n. 599 (Stato dei sottufficiali dell'Esercito,  della
Marina e dell'Aeronautica), promosso con ordinanza del 7 aprile  2008
dal Consiglio di Stato sul ricorso proposto Cavalli Andrea contro  il
Ministero della difesa, iscritta al n.  224  del  registro  ordinanze
2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 30, 1ª
serie speciale, dell'anno 2008. 
    Visti l'atto di costituzione di Cavalli Andrea nonche' l'atto  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    Udito nell'udienza pubblica  del  10  febbraio  2009  il  giudice
relatore Paolo Maria Napolitano; 
    Uditi l'avvocato Angelo Fiore  Tartaglia  per  Cavalli  Andrea  e
l'avvocato dello Stato Diana Ranucci per il Presidente del  Consiglio
dei ministri. 
                          Ritenuto in fatto 
    1. - La IV Sezione del  Consiglio  di  Stato,  nel  corso  di  un
giudizio avente ad oggetto la  impugnazione  della  sentenza  con  la
quale il Tribunale amministrativo regionale del Lazio aveva rigettato
il ricorso avverso  la  irrogazione,  nei  confronti  di  un  caporal
maggiore  dell'Esercito  italiano  in  servizio   permanente,   della
sanzione disciplinare della  perdita  del  grado  per  rimozione,  ha
sollevato, con riferimento agli artt.  3  e  97  della  Costituzione,
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 75 della legge  31
luglio 1954, n. 599 (Stato  dei  sottufficiali  dell'Esercito,  della
Marina  e  dell'Aeronautica),  nella  parte   in   cui   prevede   la
possibilita', per l'organo  competente  all'adozione  delle  sanzioni
disciplinari di stato, di discostarsi dal giudizio della  Commissione
di disciplina non solo in senso piu' favorevole all'incolpato ma, sia
pure soltanto in casi di particolare gravita',  anche  a  sfavore  di
questo. 
    1.1. - Riferisce il rimettente che il ricorrente nel  giudizio  a
quo, condannato alla pena detentiva di un  anno  a  quattro  mesi  di
reclusione, a  seguito  di  «patteggiamento»,  in  relazione  ad  una
imputazione  di  detenzione  a  fini   di   «spaccio»   di   sostanze
stupefacenti, aveva impugnato di fronte al giudice amministrativo  il
provvedimento col quale, stante il ricordato pregiudizio  penale,  il
competente direttore generale del Ministero della difesa,  nonostante
il  «parere  favorevole  a  conservare  il   grado   espresso   dalla
Commissione di disciplina», aveva  irrogato  nei  suoi  confronti  la
sanzione disciplinare della perdita del grado per rimozione. 
    Avendo l'adito Tribunale amministrativo  rigettato  il  ricorso -
precisa il Collegio -, la relativa  sentenza  era  stata  gravata  di
appello, affidato a cinque motivi,  quattro  dei  quali  erano  stati
dichiarati infondati con separata sentenza parziale. Con  riferimento
al   restante   motivo,   avente   ad   oggetto   la   compatibilita'
costituzionale del citato art. 75 della legge n.  599  del  1954,  il
Consiglio  di  Stato,  ritenendolo  non  manifestamente  infondato  e
rilevante  ai  fini  della  definizione  del  giudizio -   cio',   in
particolare, in quanto solo la  rimozione  della  norma  in  discorso
avrebbe  consentito  l'accoglimento  del   gravame -   ha   sollevato
questione di legittimita' costituzionale. 
    Riguardo alla non manifesta infondatezza, il  rimettente  osserva
che la norma impugnata, originariamente applicabile ai  sottufficiali
di Esercito, Marina e Aeronautica ed estesa, dall'art. 30 del decreto
legislativo 12 maggio 1995, n.  196  (Attuazione  dell'art.  3  della
legge 6 marzo 1992,  n.  216,  in  materia  di  riordino  dei  ruoli,
modifica  alle  norme  di  reclutamento,  stato  ed  avanzamento  del
personale non direttivo delle Forze armate), ai volontari  di  truppa
in servizio permanente, quale e' l'appellante  nel  giudizio  a  quo,
prevede  che  l'organo  competente  per  l'adozione  della   sanzione
disciplinare possa discostarsi, in casi di particolare gravita',  dal
parere  reso  dalla  Commissione  di  disciplina   anche   in   senso
sfavorevole all'incolpato. 
    1.2. - Detta previsione, ad  avviso  del  rimettente,  violerebbe
l'art. 3 della Costituzione. Osserva, sul punto, che la finalita' del
procedimento disciplinare e' quella  di  «salvaguardare  la  corretta
sussistenza dell'ordinamento particolare al quale si  riferisce,  con
l'effetto dissuasivo proprio delle sanzioni»:  percio',  verificatasi
un'infrazione, essa  viene  valutata  da  una  apposita  Commissione,
composta da esperti, che la «ascrive ad una particolare categoria per
la quale e' prevista l'irrogazione di una specifica sanzione». 
    Trattandosi, prosegue il rimettente, di  vicenda  interna  ad  un
ordinamento particolare, la normativa prevede che  il  vertice  della
amministrazione interessata (prima  il  Ministro,  ora,  per  effetto
della differenziazione delle competenze, il  direttore  generale  del
personale  militare)  possa,  «apprezzando  elementi   esterni   alla
fattispecie» applicare, con finalita' essenzialmente umanitarie,  una
sanzione meno grave. 
    Espressione di tale orientamento sono non solo l'art. 114, quinto
comma,  del  d.P.R.  10  gennaio  1957,  n.  3  (Testo  unico   delle
disposizioni concernenti gli impiegati civili dello Stato), ma  anche
l'art. 46 della legge 3 giugno 1961,  n.  833  (Stato  giuridico  dei
vicebrigadieri e dei militari di truppa della  Guardia  di  Finanza),
nonche' l'art. 42 della legge 19 ottobre 1961, n. 1168  (Norme  sullo
stato giuridico dei vicebrigadieri e dei militari di truppa dell'Arma
dei carabinieri), disposizioni, queste ultime, emanate  nello  stesso
arco di tempo che, anche se ne «e' dubbia in giurisprudenza la  sfera
di applicazione», sono, in ogni caso, riferibili «a soggetti  con  il
medesimo stato giuridico dell'appellante». 
    Solamente la disposizione censurata, oltre a  quella  applicabile
al procedimento disciplinare degli ufficiali di  Esercito,  Marina  e
Aeronautica, cioe' l'art. 88 della  legge  10  aprile  1954,  n.  113
(Stato   degli    ufficiali    dell'Esercito,    della    Marina    e
dell'Aeronautica), consente, in  casi  di  particolare  gravita',  un
intervento in malam partem. 
    Ravvisa in cio' il  rimettente  un'ingiustificata  disparita'  di
trattamento in danno di ufficiali, sottufficiali e militari di truppa
delle tre  Armi,  rispetto  al  trattamento  degli  altri  dipendenti
pubblici, ivi compresi quelli appartenenti al medesimo comparto delle
Forze Armate. 
    1.3. - La norma viene, altresi', ritenuta in contrasto con l'art.
97 della Costituzione,  che  e'  volto  a  salvaguardare,  attraverso
l'organizzazione degli uffici, l'imparzialita' e  il  buon  andamento
della amministrazione. 
    Ad avviso del  rimettente,  sarebbe  arduo  giustificare  che  un
organo monocratico possa disattendere le conclusioni, frutto  di  una
collegiale   valutazione   tecnica,   cui,   all'esito   della   fase
procedimentale svoltasi di fronte a  se'  nel  contraddittorio  delle
parti, sia giunta la Commissione di disciplina, se non nel  senso  di
permettere la riduzione, per finalita' umanitarie, della sanzione  in
quel modo individuata. 
    2.  -  Si  e'  costituito  nel  giudizio  di  fronte  alla  Corte
costituzionale l'appellante  nel  giudizio  a  quo,  la  cui  difesa,
richiamati ampiamente i  contenuti  della  ordinanza  di  rimessione,
osserva che la irragionevolezza della  disparita'  esistente  fra  il
trattamento del  personale  delle  tre  Armi  e  quello  appartenente
all'Arma dei carabinieri e al Corpo della Guardia di Finanza  non  si
giustifica in forza dei peculiari compiti attribuiti a queste  ultime
- risultando, semmai,  piu'  evidente  proprio  per  le  funzioni  di
repressione degli illeciti e di polizia militare ad esse assegnati  -
ne' in ragione del diverso inquadramento economico e stipendiale  che
possa derivare  dai  distinti  compiti  svolti  dalle  singole  Forze
Armate. 
    Osserva la parte privata che la  conseguenza  della  disposizione
censurata e' la valutazione piu' benevola e garantista  dell'illecito
disciplinare commesso dal militare che  svolge  funzioni  di  polizia
volte alla repressione degli illeciti, rispetto  a  quello,  di  pari
gravita', commesso dal militare che tali funzioni non svolge. 
    3. - E' intervenuto nel giudizio, rappresentato  e  difeso  dalla
Avvocatura generale dello Stato,  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile  o,
comunque, infondata. 
    Il rimettente, infatti, non avrebbe adeguatamente esposto i fatti
di causa,  in  particolare  in  ordine  alla  eventuale  «particolare
gravita»  dell'illecito  commesso,   sicche'   non   sarebbe   chiara
l'effettiva rilevanza della questione nel giudizio a quo. 
    Ulteriore motivo di inammissibilita' deriverebbe dal fatto che il
rimettente ha omesso  di  considerare  come  la  giurisprudenza,  ivi
compreso il giudice che in prime cure ha esaminato la  fattispecie  a
quo, si sia costantemente e ripetutamente espressa nel senso  che  la
norma impugnata sarebbe applicabile anche ai militari  facenti  parte
della Arma dei carabinieri e del Corpo della Guardia di Finanza. 
    Essendo, pertanto,  la  disposizione  censurata  suscettibile  di
un'interpretazione che ne escluda la incostituzionalita', la relativa
questione sarebbe inammissibile. 
    3.1. - In subordine, la difesa pubblica sostiene la  infondatezza
della questione. 
    Premesso, infatti, che il censurato art. 75 della  legge  n.  599
del 1954 trova applicazione nei confronti di qualunque militare,  non
v'e' dubbio che la diversita' di disciplina applicabile ai dipendenti
civili dello Stato trovi la sua  ratio  nella  peculiare,  oggettiva,
diversita' di  status  esistente  fra  le  due  categorie,  civile  e
militare, interessate. 
    Ma, aggiunge l'Avvocatura, la questione sarebbe  infondata  anche
ove si volesse ritenere che il citato art. 75 della legge n. 599  del
1954 fosse  applicabile  solo  ai  militari  di  Esercito,  Marina  e
Aeronautica; infatti la possibilita' pel Ministro di  discostarsi  in
pejus rispetto al divisamento del Consiglio di disciplina, invece che
porsi  in  contrasto  coi  principi  di  uguaglianza   e   di   buona
amministrazione, ne costituisce applicazione. 
    Deve,  infatti,   considerarsi   che   le   tre   predette   Armi
costituiscono un organismo piu' articolato e disomogeneo rispetto  ai
corpi di polizia ad ordinamento militare; in  tal  senso,  posto  che
«sia le istanze sanzionatorie» che  i  criteri  di  loro  valutazione
possono variare fra l'una e l'altra, il potere di reformatio in pejus
attribuito al Ministro consente l'armonizzazione ed  omogeneizzazione
dei criteri sanzionatori che,  diversamente,  data  la  segmentazione
delle Forze Armate, potrebbe mancare. 
    La difesa pubblica prosegue osservando che erra il rimettente la'
dove attribuisce una specifica competenza tecnica alla Commissione di
disciplina: questa e' infatti un organo costituito ad hoc  senza  che
sia garantita una particolare qualificazione o  specializzazione  dei
suoi componenti. 
    Diversamente da quanto sostenuto dal rimettente, la sede  ove  si
opera la valutazione tecnica  dell'illecito  disciplinare  e'  quella
ministeriale, sicche' risponde a un criterio di buona amministrazione
attribuire agli organi ministeriali, dotati di dirigenti in  possesso
di  «specializzazioni  post-universitarie  in  diritto   disciplinare
militare», la funzione di raccordo  e  necessario  adeguamento  delle
sanzioni ai criteri generali che presiedono l'azione disciplinare. 
    Osserva, da ultimo, la  Avvocatura  che  comunque  il  potere  di
reformatio in pejus  e'  attribuito  al  Ministro  solo  in  casi  di
particolare  gravita' -  non  costituendo  un  ordinario  potere   di
revisione  delle   deliberazioni   assunte   dalla   Commissione   di
disciplina -  che  dovranno  essere   adeguatamente   evidenziati   e
motivati. In questo modo, conclude la difesa  erariale,  e'  altresi'
possibile accedere ad una lettura costituzionalmente orientata  della
norma tale da escludere, data l'inconfigurabilita' di  un  potere  di
reformatio in pejus meramente discrezionale, che il suo esercizio sia
fonte di disuguaglianza. 
                       Considerato in diritto 
    1. - La IV sezione del  Consiglio  di  Stato  ha  sollevato,  con
riferimento agli artt.  3  e  97  della  Costituzione,  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 75 della legge 31 luglio  1954,
n.  599  (Stato  dei  sottufficiali  dell'Esercito,  della  Marina  e
dell'Aeronautica), nella parte in cui  prevede  la  possibilita'  per
l'organo competente alla  adozione  delle  sanzioni  disciplinari  di
stato di discostarsi dal giudizio della Commissione di disciplina non
solo in senso piu' favorevole all'incolpato ma, sia pure soltanto  in
casi di particolare gravita', anche a sfavore di questo. 
    1.1. - Il rimettente, in particolare, dubita  della  legittimita'
costituzionale   della   indicata   disposizione   in   quanto   essa
determinerebbe un'ingiustificata disparita' di trattamento  in  danno
dei sottufficiali - nonche'  dei  volontari  di  truppa  in  servizio
permanente, per effetto della estensione a costoro, operata dall'art.
30,  comma  2,  del  decreto  legislativo  12  maggio  1995,  n.  196
(Attuazione dell'art. 3 della legge 6 marzo 1992, n. 216, in  materia
di riordino dei ruoli, modifica delle norme di reclutamento, stato ed
avanzamento del personale non direttivo delle  Forze  armate),  della
disciplina dettata dalla  legge  n.  599  del  1954 -  rispetto  alla
analoga normativa,  sempre  in  tema  di  procedimento  disciplinare,
applicabile al personale civile dello Stato, contenuta nell'art. 114,
quinto comma, del d.P.R. 10 gennaio 1957, n.  3  (Testo  unico  delle
disposizioni concernenti lo  statuto  degli  impiegati  civili  dello
Stato),  ai  sottufficiali  e  militari  di  truppa   dell'Arma   dei
carabinieri, contenuta nell'art. 42, quarto  comma,  della  legge  18
ottobre 1961, n. 1168 (Norme sullo stato giuridico dei vicebrigadieri
e dei militari di truppa dell'Arma dei carabinieri), ai sottufficiali
e militari di truppa del Corpo della Guardia  di  finanza,  contenuta
nell'art. 46, terzo comma, della legge 3 agosto 1961, n.  833  (Stato
giuridico dei vicebrigadieri e dei militari di truppa  della  Guardia
di finanza), la quale prevede che il giudizio  della  Commissione  di
disciplina  possa   essere   disatteso   dall'organo   che   infligge
concretamente la sanzione disciplinare solo in senso piu'  favorevole
all'incolpato. 
    1.2. - Ulteriore profilo di illegittimita'  costituzionale  viene
ravvisato dal giudice a quo nella norma censurata -  con  riferimento
alla violazione dell'art. 97  della  Costituzione  posto  a  presidio
della imparzialita' e del buon  andamento  dell'amministrazione -  in
quanto  essa  consente  ad  un  organo  monocratico  di   modificare,
irrogando una  sanzione  piu'  afflittiva,  la  valutazione  tecnica,
comparata e ponderata, gia' operata, nel rispetto del contraddittorio
e  con  le  garanzie  della  collegialita',  dalla   Commissione   di
disciplina. 
    2. -  Occorre  valutare,   preliminarmente,   le   eccezioni   di
inammissibilita' formulate dalla difesa erariale. 
    2.1. - Con la prima di  esse  si  contesta  la  mancanza  di  una
adeguata descrizione della  fattispecie,  ridondante  in  difetto  di
motivazione  sulla  rilevanza  della  questione,  non  essendosi   il
rimettente, atteso che il potere  di  modifica  in  malam  partem  e'
subordinato al positivo  riscontro  della  particolare  gravita'  del
caso, espresso chiaramente sulla ricorrenza di tale condizione. 
    L'eccezione non merita accoglimento. 
    Il rimettente, infatti, nella descrizione  della  fattispecie  al
suo esame, ha rilevato  che  l'illecito  disciplinare  contestato  al
militare in questione era connesso alla commissione di un delitto  di
considerevole gravita' e dal quale era scaturita, previa richiesta ai
sensi dell'art. 444 del codice di procedura penale,  la  applicazione
della pena detentiva di ben un anno e  quattro  mesi  di  reclusione;
evidente e', pertanto, la ricorrenza del caso di particolare gravita'
che,  in  via  astratta,  legittima  l'intervento  in  malam   partem
dell'organo cui compete l'adozione della sanzione disciplinare. 
    Sul punto va anche rilevato che nella ordinanza di rimessione  si
da', altresi', atto del fatto che la sentenza emessa  in  prime  cure
era stata impugnata, fra l'altro, anche in quanto  non  aveva  tenuto
conto della carenza di motivazione del provvedimento irrogativo della
sanzione  disciplinare  riguardo  alla  presenza  della  ipotesi  «di
particolare gravita».  La  circostanza -  esplicitata  con,  sia  pur
sintetica, puntualita' dal rimettente - che tale specifico motivo  di
impugnazione era stato rigettato con sentenza parziale  emessa  nella
stessa data  dell'ordinanza  di  rimessione,  vale  ad  escludere  la
sussistenza del dedotto  profilo  di  carenza  di  motivazione  della
ordinanza stessa. 
    2.2. -  Ulteriore  motivo  di  inammissibilita'  della  questione
consisterebbe, secondo la prospettazione dell'Avvocatura dello Stato,
nel non aver considerato il rimettente il fatto che, diversamente  da
quanto da lui affermato, l'art. 75 della legge n. 599 del 1954, sulla
base degli  orientamenti  giurisprudenziali  amministrativi,  sarebbe
applicabile non ai  soli  sottufficiali  e  volontari  di  truppa  di
Esercito, Marina e Aeronautica, ma anche  agli  stessi  sottufficiali
dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della Guardia  di  finanza,  di
tal che' la stessa prospettata disparita' di trattamento non  sarebbe
in   realta'   sussistente,   stante   la   possibilita'   di    dare
un'interpretazione della norma censurata che ne  assicuri  l'uniforme
applicazione. 
    Anche in questo caso l'eccezione non merita accoglimento. 
    Infatti,  se  e'  pur   vero   che   la   ampiamente   prevalente
giurisprudenza amministrativa appare orientata nel senso di  ritenere
applicabile  l'art.  75  della  legge  n.  599  del  1954  anche   ai
sottufficiali dell'Arma dei carabinieri e del Corpo della Guardia  di
finanza o, come piu' correttamente si deve dire, agli appartenenti ai
ruoli degli Ispettori e dei Sovrintendenti di tali Forze armate, tale
applicazione e' stata, tuttavia, esclusa dalla medesima  magistratura
amministrativa nei confronti  del  personale  appartenente  al  ruolo
degli  appuntati  e  carabinieri  ed  al  ruolo  degli  appuntati   e
finanzieri,  nei  cui  confronti  sono  invece  tuttora  applicabili,
rispettivamente, le disposizioni contenute nei  ricordati  artt.  42,
quarto comma, della legge n. 1168 del 1961 e 46, terzo  comma,  della
legge n. 833 del 1961. 
    Poiche', nel caso che interessa,  l'aggravamento  della  sanzione
disciplinare  e'  stato  operato  nei  confronti   di   un   militare
appartenente al ruolo dei volontari di truppa in servizio permanente,
che, per essere quello iniziale  nella  scala  gerarchica  delle  tre
Armi, puo' essere utilmente comparato con quello  degli  appuntati  e
carabinieri e appuntati e finanzieri, ruoli egualmente iniziali nella
scala gerarchica, rispettivamente, dell'Arma dei  carabinieri  e  del
Corpo della Guardia di finanza, non  puo',  in  linea  di  principio,
disconoscersi l'inconciliabile diversita' della  normativa  regolante
il particolare aspetto in  questione  del  procedimento  disciplinare
rispetto a quello relativo alle tre categorie  di  appartenenti  alle
Forze armate, tale da escludere  l'inammissibilita'  della  questione
sotto il profilo della asserita disparita' di trattamento. 
    3. - La questione e' fondata. 
    3.1. - E'  opportuna  una  sintetica  ricostruzione  del  sistema
disciplinare previsto dalla legge n. 599 del 1954  che,  in  base  al
rinvio disposto dall'art. 30 del decreto legislativo n. 196 del 1995,
si applica al militare in questione (ed ai sottufficiali  e  militari
di truppa dell'Esercito, della  Marina  militare  e  dell'Aeronautica
militare). 
    L'art. 63 della citata legge n. 599 del  1954  contempla  quattro
sanzioni disciplinari di stato: 
        a) la sospensione disciplinare dall'impiego, di cui  all'art.
21; 
        b) la cessazione dalla ferma volontaria o dalla rafferma  per
motivi disciplinari, di cui all'art. 40, lettera c); 
        c) la sospensione disciplinare dalle attribuzioni del  grado,
prevista dall'art. 48; 
        d) la perdita del grado per rimozione, di cui al primo comma,
n. 6, dell'art. 60. 
    Solo per la piu' grave di dette sanzioni, e cioe' per la  perdita
del  grado  per  rimozione,  e'  prevista  la   sottoposizione   alla
valutazione del Consiglio di disciplina. Negli articoli da  67  a  74
della predetta legge sono specificamente indicate  le  procedure  che
regolano l'attivazione ed il funzionamento del  collegio  nonche'  la
sua composizione. In particolare, per quello che  interessa  ai  fini
della presente decisione, l'art. 69 prevede che  «La  Commissione  di
disciplina [sia] formata, di volta in volta»  e  l'art.  74  che,  al
termine dei suoi lavori, quando «la Commissione  [ritenga]  di  poter
deliberare, il Presidente [ponga] ai voti il seguente  quesito:  ''il
... e' meritevole di conservare il grado?"». 
    Risulta, quindi, che la  Commissione  di  disciplina  non  e'  un
organo permanente ma un collegio che  viene  convocato  ad  hoc  ogni
volta che si presenti la  necessita'  di  giudicare  in  merito  alla
irrogazione della sanzione della perdita del grado  per  rimozione  e
che essa, a differenza dell'analogo organo competente a valutare  gli
illeciti disciplinari del personale civile  dello  Stato,  puo'  solo
pronunciarsi sull'applicazione o meno di tale sanzione. 
    E', pertanto, manifestamente irragionevole  che  il  Ministro  o,
attualmente,   il   responsabile   della   struttura   amministrativa
competente,  possa  effettuare  una  reformatio  in  pejus  di   tale
giudizio, dato  che,  cosi'  facendo,  verrebbe  non  a  integrare  o
correggere tale decisione, ma a capovolgerla. Il quesito rivolto alla
Commissione ha  un  esclusivo  contenuto:  essa  deve  dichiarare  se
l'illecito disciplinare che le viene sottoposto debba  comportare  la
perdita del grado del militare che lo ha commesso. Nel  caso  in  cui
l'Organo competente dell'Amministrazione militare non si  attenga  al
verdetto  quando  esso  e'  favorevole  all'incolpato,   verrebbe   a
sostituire una valutazione favorevole al mantenimento del  grado  con
una di segno opposto. 
    La disposizione censurata, nel discostarsi da quanto al  riguardo
previsto dagli artt. 46, terzo comma, della legge n. 833 del  1961  e
42, quarto comma, della legge n. 1168 del 1961, non viene, quindi,  a
porre  in  essere   una   disciplina   che,   secondo   la   costante
giurisprudenza  di  questa  Corte,  rientra  negli  ampi  limiti   di
discrezionalita'  di  cui  gode  il  legislatore  in  questa  materia
(sentenza n. 356 del 1995, ordinanze n. 182 del 2008  e  n.  295  del
2001). Essa, al contrario, trasmoda nella manifesta  irragionevolezza
(sentenze n. 375 del 2000, n. 104 del 1991, n. 1128  del  1988),  con
violazione dell'art. 3 Cost., dato che attribuisce ad un soggetto che
non ha partecipato allo svolgimento del procedimento, e  che  non  ha
quindi acquisito e valutato direttamente  tutti  gli  elementi  e  le
argomentazioni che ne hanno caratterizzato  l'iter,  la  facolta'  di
rovesciare  il  giudizio  che   l'Organo   collegiale   appositamente
costituito e' stato chiamato a pronunciare. 
    3.2. - Ne' puo' condividersi la tesi secondo cui, poiche'  l'art.
75 della legge  n.  599  del  1954  limita  questo  ribaltamento  del
giudizio «soltanto in  casi  di  particolare  gravita»,  si  potrebbe
giungere ad una interpretazione della disposizione costituzionalmente
orientata, nel senso di escludere che  il  potere  di  revisione  sia
attribuito in via ordinaria e in via meramente discrezionale, ma  sia
esercitabile solo  nei  riguardi  di  situazioni  che  presentino  il
carattere dell'estrema gravita'. 
    E' opportuno sottolineare che la  Commissione,  nel  pronunciarsi
sul mantenimento o  sulla  perdita  del  grado,  non  limita  la  sua
valutazione a verificare l'esistenza dell'illecito disciplinare e  la
responsabilita'  del  militare  incolpato,  ma  esprime  un  giudizio
globale. Vale a dire  che  una  volta  accertata  la  responsabilita'
disciplinare, la quale costituisce, generalmente, il primo  passaggio
che il suddetto organo  deve  compiere,  quest'ultimo  deve  valutare
tutto  l'insieme  dei  fatti  relativi  alla   mancanza   contestata,
l'incidenza che essa viene ad avere  sulla  disciplina  militare,  la
lesione che arreca  all'elevato  livello  di  onorabilita'  che  deve
essere posseduto dagli appartenenti alle  Forze  Armate,  nonche'  la
personalita' del  militare,  ivi  compresi,  quindi,  quei  «casi  di
particolare  gravita»  che,  secondo   la   censurata   disposizione,
facoltizzerebbero il ribaltamento della decisione. Tra  l'altro,  nel
caso in questione, dato che si trattava di  giudicare  in  merito  ai
riflessi disciplinari di una sentenza penale di condanna  passata  in
giudicato,  il  Consiglio  di  disciplina  doveva  solo  operare   la
valutazione circa la possibilita' che il militare che aveva  compiuto
tale reato fosse «meritevole di conservare il grado». 
    Ne deriva, quindi, che se i fatti posti alla base di tali  «casi»
hanno fatto parte del giudizio, su di essi gia' si e' pronunciata  la
Commissione  di  disciplina,  non  ritenendo  che  legittimassero  la
perdita del grado. 
    Qualora, invece, la  situazione  che  determinerebbe  la  diversa
conclusione del procedimento non sia stata contestata,  o,  comunque,
fatta presente al militare durante lo  svolgimento  del  procedimento
stesso,  si  sarebbe  verificata  l'evidente   anomalia   della   non
conoscenza, da parte dell'incolpato, di tutti gli elementi su cui  si
fondano le accuse,  con  l'impossibilita'  di  potersi  difendere  in
contraddittorio. 
    Questa  Corte  «Di  fronte  alla  distinzione  tra   procedimenti
disciplinari    giurisdizionali    e    procedimenti     disciplinari
amministrativi,  [...]  ha  gia'  ricordato  che   la   proclamazione
contenuta nell'art. 24 Cost.,  se  indubbiamente  si  dispiega  nella
pienezza del suo valore prescrittivo solo con riferimento  ai  primi,
non manca tuttavia di riflettersi, seppure in maniera piu' attenuata,
sui secondi, in relazione ai quali, in compenso, si impongono al piu'
alto grado di cogenza le garanzie di imparzialita' e  di  trasparenza
che circondano l'agire della pubblica amministrazione. V'e', insomma,
un sensibile accostamento tra i  due  diversi  tipi  di  procedimento
disciplinare, che trova ragione  «nella  natura  sanzionatoria  delle
pene disciplinari, che sono destinate ad incidere sullo  stato  della
persona nell'impiego o nella professione» (sentenza n. 71 del  1995).
L'approdo del procedimento, nell'un caso e nell'altro,  puo'  toccare
invero la sfera lavorativa e, con essa, le condizioni di  vita  della
persona e postula percio', anche in  relazione  ai  procedimenti  non
aventi carattere giurisdizionale, talune  garanzie  che  non  possono
mancare, quali la contestazione degli addebiti e  la  conoscenza,  da
parte dell'interessato, dei  fatti  e  dei  documenti  sui  quali  si
fondano (sentenza n. 505 del 1995).» (sentenza n. 460 del 2000). 
    In questa  seconda  ipotesi  verrebbero,  pertanto,  meno  quelle
«garanzie»  che   la   giurisprudenza   di   questa   Corte   ritiene
ineliminabili anche nell'ambito di una procedura disciplinare. 
    Si deve, infine, osservare che sia l'art.  60  della  piu'  volte
citata legge n. 599 del 1954, laddove enuncia i motivi che comportano
la perdita  del  grado,  sia,  in  piu'  punti,  l'art.  74,  laddove
prescrive i passaggi procedurali che regolano il funzionamento  della
Commissione, sia il censurato art. 75, laddove afferma che il vertice
dell'Amministrazione  puo'  discostarsi   dalle   conclusioni   della
Commissione di disciplina «anche a sfavore» del militare, definiscono
quest'ultima decisione col termine «giudizio». Vale a dire  che  essa
non costituisce un parere obbligatorio ma non vincolante,  bensi'  la
fase  conclusiva  di  un  procedimento   che,   pur   avendo   natura
amministrativa, deve essere rispettato dall'Amministrazione  militare
di  appartenenza  dell'incolpato  (fatta   salva   la   possibilita',
riconosciuta, in virtu' di  un  principio  generale  che  attualmente
impronta  i  processi  disciplinari,  dell'irrogazione,  per   motivi
umanitari, di  una  sanzione  piu'  lieve)  sia  per  non  vanificare
l'attivita' defensionale ivi dispiegata dall'incolpato, sia  per  non
rendere inutile lo svolgimento della fase  procedurale  davanti  alla
Commissione di  disciplina,  con  violazione  del  canone  del  «buon
andamento» previsto dall'art. 97 della Costituzione. 
    4. -  All'accoglimento  della  questione  sotto  il  profilo  del
contrasto con  gli  artt.  3  e  97  della  Costituzione,  stante  la
manifesta irragionevolezza della norma ridondante in  violazione  del
principio di buon andamento e  imparzialita'  della  amministrazione,
consegue l'assorbimento del restante motivo  di  censura  riguardante
l'asserita disparita' di trattamento.