Sentenza 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 2-bis,
del decreto-legge 30 gennaio 1999, n. 15 (Disposizioni urgenti per lo
sviluppo equilibrato  dell'emittenza  televisiva  e  per  evitare  la
costituzione o il mantenimento di  posizioni  dominanti  nel  settore
radiotelevisivo), convertito, con modificazioni, dalla legge 29 marzo
1999, n. 78,  promosso  dal  Consiglio  di  Stato,  nel  procedimento
vertente tra Pubblikappa s.n.c. e l'Autorita' per le  garanzie  nelle
comunicazioni ed altra, con ordinanza del 28 marzo 2008, iscritta  al
n. 225 del  registro  ordinanze  2008  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 30, 1ª serie speciale, dell'anno 2008. 
    Visti l'atto di costituzione di Pubblikappa s.n.c. nonche' l'atto
di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  21  aprile  2009  il  giudice
relatore Alfio Finocchiaro; 
    Uditi l'avvocato Claudio  Chiola  per  la  Pubblikappa  s.n.c.  e
l'avvocato dello Stato Alessandro De Stefano per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri. 
                          Ritenuto in fatto 
    1. - Con ordinanza del 28 marzo 2008, il Consiglio  di  Stato  ha
sollevato,  in  riferimento  agli  articoli  3,   41   e   42   della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  2,
comma 2-bis, del decreto-legge 30 gennaio 1999, n.  15  (Disposizioni
urgenti per lo sviluppo equilibrato dell'emittenza televisiva  e  per
evitare la costituzione o il mantenimento di posizioni dominanti  nel
settore radiotelevisivo), convertito, con modificazioni, dalla  legge
29 marzo 1999, n. 78. 
    In punto  di  fatto,  il  giudice  rimettente  riferisce  che  la
societa' Pubblikappa s.n.c. - avendo acquistato  il  diritto  all'uso
del marchio «Kiss Kiss» per  licenza  della  titolare  Giosa  Service
s.p.a. - gestisce una emittente  radiofonica  locale,  che  trasmette
limitatamente al  territorio  della  Campania  e  del  Lazio  con  la
denominazione «Radio Kiss Kiss Italia», in virtu' di concessione  per
l'esercizio della radiodiffusione sonora rilasciata in data  4  marzo
1994. 
    L'Autorita' per le garanzie nelle comunicazioni, con delibera  n.
63/02/CONS del 27 febbraio 2002 ha diffidato, ai sensi  dell'art.  2,
comma 2-bis, del citato d.l. n. 15 del 1999, la medesima  societa'  a
cessare l'utilizzo della  denominazione  «Radio  Kiss  Kiss  Italia»,
essendo questa denominazione idonea  a  richiamare  in  parte  quella
dell'emittente  nazionale  «Radio  Kiss  Kiss   Network»,   anch'essa
licenziataria, da Giosa Service s.p.a,. del marchio «Kiss Kiss». 
    La  Pubblikappa  s.n.c.  ha  impugnato  la  delibera  dinanzi  al
Tribunale  amministrativo  regionale  per  il  Lazio  chiedendone  la
sospensione, che e' stata rifiutata. Avverso la relativa ordinanza di
rigetto, la ricorrente ha proposto appello, ed il Consiglio di Stato,
in  accoglimento  delle  eccezioni  di  quest'ultima,  ha   sollevato
questione di legittimita' costituzionale dell'art.  2,  comma  2-bis,
del richiamato d.l. n. 15 del 1999. 
    Questa Corte, con ordinanza n. 25  del  2006,  ha  dichiarato  la
questione  manifestamente  inammissibile   per   avere   il   giudice
rimettente mosso alla norma  denunciata  censure  che,  da  un  lato,
apparivano dirette ad investirla nella sua  interezza  e,  dall'altro
lato,  sembravano  rivolte  alla  parte  di  essa  che  pretenderebbe
applicarsi «retroattivamente»; e, inoltre, per  non  avere  precisato
quando, nella  specie,  l'emittente  nazionale  abbia  cominciato  ad
utilizzare la sua denominazione, essendosi limitato  ad  indicare  la
data in cui l'emittente  locale  aveva  ottenuto  il  rilascio  della
concessione per l'esercizio della radiodiffusione sonora. 
    Il giudice a quo, con l'ordinanza in epigrafe, preso  atto  delle
osservazioni della  Corte  costituzionale,  ha  rilevato  che  il  10
dicembre  1996  la  societa'  Giosa  Service   s.p.a.   (titolare   e
proprietaria piena ed esclusiva della registrazione del marchio  Kiss
Kiss, concessole il 3 luglio 1985) e la  licenziataria  (titolare  di
concessione radiofonica  di  rilevanza  nazionale)  Radio  Kiss  Kiss
Network s.r.l. avevano sottoscritto un contratto di licenza d'uso  di
marchio con cui la predetta licenziataria riconosceva formalmente  la
precedente licenza concessa a Publikappa s.n.c. per l'emittente Radio
Kiss Kiss Italia. 
    Su  questa  situazione  si  innesta   la   disciplina   normativa
impugnata,  la  quale  ha  trovato  applicazione  con   la   delibera
dell'Autorita' 27 febbraio 2002, n.  63/02/CONS,  recante  diffida  a
cessare l'utilizzazione della denominazione Radio  Kiss  Kiss  Italia
per le proprie trasmissioni  radiofoniche,  poiche'  quest'ultima  e'
un'emittente radiofonica locale. 
    Cio'  premesso,  afferma  il  rimettente   che   il   dubbio   di
legittimita' costituzionale della norma attiene  alla  parte  in  cui
essa assegna rilievo determinante alla diffusione su  base  nazionale
delle  trasmissioni  di  una   delle   utilizzatrici   del   marchio,
indipendentemente dal preuso dello stesso, dal momento che  la  norma
puo' trovare applicazione non solo a favore delle emittenti nazionali
radiofoniche che abbiano per prime utilizzato il marchio - analogo  o
comunque similare - rispetto alle  emittenti  locali,  ma  anche  con
riguardo alle emittenti nazionali che abbiano fatto uso  del  marchio
stesso in un momento successivo rispetto alle emittenti locali,  come
e' avvenuto nel caso di specie. 
    La disciplina  in  esame  sembra  incidere,  invero,  in  termini
oggettivamente  rilevanti  e  irrimediabili  sulle  posizioni   delle
emittenti locali che facevano legittimo uso del marchio, costrette  a
dismettere tale determinante segno identificativo  a  causa  soltanto
della loro specificita' territoriale,  anche  e  soprattutto  qualora
esse abbiano  fatto  uso  del  marchio  in  questione  con  priorita'
rispetto  alle  emittenti  nazionali  che   abbiano   successivamente
utilizzato il marchio  medesimo.  La  tutela  del  marchio  d'impresa
risponde, infatti, ad un'esigenza insopprimibile per  lo  svolgimento
dell'iniziativa economica, posto che il diritto all'uso esclusivo del
segno identificativo  concorre  a  delineare  la  concreta  capacita'
concorrenziale   dell'impresa,   oltre   che   la   sua   consistenza
patrimoniale,   traducendosi    in    una    importante    componente
dell'avviamento  commerciale.  Peraltro  il  marchio,   inteso   come
denominazione sotto la quale l'emittente trasmette, assume importanza
ancora maggiore nel settore radiofonico, costituendo l'unico efficace
strumento attraverso cui la platea  degli  ascoltatori  e'  posta  in
grado di identificare le  numerose  emittenti  operanti  sul  mercato
delle radiofrequenze. 
    Alla stregua di tale ricostruzione, pare al rimettente dubbia  la
ragionevolezza di una previsione che, derogando  ai  principi  ed  ai
parametri propri della disciplina generale vigente in tema di  marchi
di impresa, incide su  posizioni  soggettive  consolidate,  garantite
dalla Costituzione con le previsioni poste a tutela della liberta' di
iniziativa economica e della proprieta'. 
    Aggiunge ancora il TAR per il Lazio che  la  norma  in  questione
(operante,   eccezionalmente,    solo    nello    specifico    ambito
dell'emittenza radiotelevisiva), privilegiando le emittenti nazionali
rispetto a quelle d'ambito  locale,  appare,  inoltre,  in  grado  di
incidere sui principi di  ragionevolezza  e  parita'  di  trattamento
sanciti dall'art. 3 Cost., dal momento che assicura alle prime, anche
qualora abbiano iniziato ad  utilizzare  il  marchio  successivamente
alle emittenti locali, una posizione di privilegio che non vale  solo
per le situazioni a venire, ma anche con riguardo a quelle pregresse,
trascurando  del  tutto  l'eventuale  preuso  del  marchio  da  parte
dell'emittenza locale; diritto di preuso che il legislatore  assicura
sia  nell'ipotesi  di  preventiva  utilizzazione  del   marchio   non
registrato (art. 2571 cod. civ.), sia, a maggior ragione,  in  quella
di concessione in licenza del marchio registrato ai  sensi  dell'art.
2573 cod. civ. 
    Ne', sempre sul piano della ragionevolezza, sembra al  rimettente
potersi  trascurare  la  circostanza  che  la  norma  sospettata   di
illegittimita' verrebbe, in effetti, a travolgere non solo i  diritti
del licenziatario, ma anche quelli  del  concedente,  privando  anche
quest'ultimo di una specifica utilitas riconducibile al gia'  operato
uso del marchio mediante  concessione  a  terzi,  pregiudicato  dalla
speciale disciplina normativa qui in esame, senza che il  legislatore
abbia introdotto, al riguardo,  alcuna  misura  compensativa,  quanto
meno di carattere indennitario. Cio' induce a ritenere -  osserva  il
giudice a quo - che la norma sia in contrasto  anche  con  l'art.  42
Cost., dal momento che essa - con sostanziale forza  espropriativa  -
e' in grado di privare dei loro diritti, senza contropartita  alcuna,
i legittimi titolari  di  posizioni  giuridiche  altrimenti  tutelate
dall'ordinamento,  quali  quelle  facenti  capo  al   concedente   e,
soprattutto,  al  concessionario  del   marchio.   Appare,   percio',
necessario al giudice a quo  rimettere  nuovamente  al  vaglio  della
Corte costituzionale la questione relativa  alla  compatibilita'  con
gli artt. 3, 41 e 42 Cost. della disposizione citata, nella parte  in
cui, senza tenere conto della priorita' temporale  nell'utilizzazione
di  un  determinato  marchio  in  sede  di  esercizio  dell'emittenza
radiotelevisiva, vieta in modo retroattivo alle emittenti  locali  di
utilizzare un marchio che richiami, anche in  parte,  quelli  di  una
emittente nazionale. 
    2. - Sono intervenuti nel giudizio il  Presidente  del  Consiglio
dei ministri e  l'Autorita'  per  le  garanzie  nelle  comunicazioni,
rappresentati e  difesi  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  la
quale, preliminarmente, ha osservato che non  appaiono  rilevanti  le
considerazioni svolte dal rimettente in  merito  alla  posizione  del
terzo concedente, titolare del marchio, che e' estraneo alla presente
causa. 
    L'ordinanza  di  rimessione   assimilerebbe   indebitamente   due
situazioni diverse: quella dell'acquisto a  titolo  originario  della
titolarita' del diritto di uso di un marchio e quella dell'acquisto a
titolo derivativo di una licenza d'uso a carattere non esclusivo. 
    Nel primo caso si configurerebbe un  problema  di  tutela  di  un
diritto di proprieta' immateriale acquisito in  forza  di  legge  che
potrebbe venir meno per il comportamento di un terzo  usurpatore  che
operi su una piu' ampia  scala  territoriale;  nel  secondo  caso  si
verificherebbe un conflitto tra  piu'  aventi  causa  da  uno  stesso
autore, e percio' un problema di validita' e di efficacia degli  atti
negoziali  posti  in  essere  e  di  limitazione   dei   diritti   di
obbligazione da essi derivati. 
    Il Consiglio  di  Stato  riterrebbe,  erroneamente,  che  le  due
ipotesi  siano  equiparabili,  in  quanto  in  entrambi  i  casi   il
legislatore tutelerebbe allo stesso modo il diritto  di  preuso,  ma,
mentre questo riguarda le situazioni acquisite in via di fatto  ed  a
titolo originario, la stessa ratio non appare rinvenibile in caso  di
conflitto tra piu' aventi causa da uno stesso autore, in  quanto,  in
quest'ultima ipotesi si incide sull'autonomia privata delle  parti  e
sui rapporti obbligatori tra  i  privati,  e  non  potrebbe  pertanto
escludersi la legittimita' di una disciplina che  sacrifichi  non  un
diritto di proprieta' immateriale ma un mero diritto obbligatorio. 
    Pertanto,  manifestamente  infondata  sarebbe  la  questione  con
riferimento all'art. 42 Cost., in quanto nel caso di  specie  non  si
verificherebbe alcuna lesione della titolarita' del diritto reale sul
marchio  ma  semplicemente  una  limitazione  di  una   licenza   per
l'impossibilita' di far coesistere  l'uso  dello  stesso  marchio  su
scala locale e nazionale. 
    La questione sarebbe inoltre  infondata  perche'  la  limitazione
della potesta' di concedere l'uso  a  piu'  aventi  causa  troverebbe
giustificazione nell'intento di  evitare  pregiudizievoli  confusioni
nell'identificazione   dell'effettiva   emittente    dei    programmi
radiotelevisivi, a tutela  del  diritto  delle  stesse  emittenti  ad
identificare con precisione i propri programmi, nonche'  del  diritto
degli utenti  radiotelevisivi  a  riconoscere  le  fonti  dei  propri
servizi pubblicitari  e  delle  proprie  informazioni.  Il  criterio,
scelto dal legislatore per assecondare tale ratio, di privilegiare il
piu' ampio ambito di diffusione territoriale della radio, non  appare
eccedere i limiti della discrezionalita'  legislativa.  Peraltro,  la
vigente legislazione in materia radiotelevisiva avrebbe  operato  una
netta suddivisione tra gli ambiti nazionali e locali  dell'emittenza,
al fine di evitare distorsioni della concorrenza e di  preservare  la
suddivisione delle risorse pubblicitarie a tutela di ciascun settore,
realizzando  un  bilanciamento  teso  a  preservare   il   pluralismo
dell'informazione: il riferimento e' in particolare all'art. 3, comma
11, e all'art. 16, comma  2,  della  legge  6  agosto  1990,  n.  223
(Disciplina del sistema  radiotelevisivo  pubblico  e  privato),  che
prevedono l'attribuzione di frequenze su scala nazionale e locale,  e
all'art. 8 della medesima legge, che disciplina, con  tetti  diversi,
la trasmissione  dei  messaggi  pubblicitari  per  le  concessionarie
locali e quelle nazionali, e stabilisce che la pubblicita' locale  e'
riservata ai concessionari privati locali,  mentre  quelli  nazionali
devono trasmettere identica pubblicita' in tutti  i  bacini  serviti.
Inoltre, l'art. 19  della  stessa  legge  prevede  che  non  si  puo'
ottenere contemporaneamente la titolarita' di una emittente locale  e
di una nazionale. 
    Tale   disciplina   non    violerebbe    neppure    l'affidamento
dell'emittente che abbia acquistato una licenza d'uso  non  esclusivo
di  un  marchio  radiotelevisivo  su  scala  locale,   essendo   egli
consapevole ab origine che il proprio diritto potrebbe venire meno. 
    L'Avvocatura generale  dello  Stato  aggiunge  che  la  Corte  di
cassazione  ha  riconosciuto  la  possibilita'  che  il   legislatore
intervenga per risolvere  i  possibili  conflitti  tra  pre-utente  e
successivo pre-registrante (Cass., sentenza 27 marzo 1998, n.  3236),
ed ha dubitato della legittimita' costituzionale di una norma  (quale
l'art. 88 del decreto legislativo 4 dicembre 1992, n. 480),  che  non
preclude l'uso di un marchio celebre  alle  imprese  che  lo  abbiano
utilizzato in precedenza per prodotti  diversi  (Cass.,  sentenza  20
dicembre 1999, n. 14315). Infine, la  norma  non  sembra  illegittima
all'Autorita'  intervenuta  neppure  per   il   fatto   di   rendersi
applicabile anche a situazioni sorte in precedenza. In  primo  luogo,
infatti, il  rimettente  non  avrebbe  prospettato  tale  profilo  di
incostituzionalita'; in secondo luogo si dovrebbe  escludere  che  la
norma possa essere ritenuta incostituzionale sotto questo subordinato
profilo, in quanto la stessa Corte costituzionale, con la sentenza n.
42 del 1986, ha escluso l'incostituzionalita' di una norma  di  legge
(l'articolo unico della  legge  11  marzo  1967,  n.  158 -  Modifica
dell'art. 13 del r.d. 21 giugno 1942, n. 929, in materia di  brevetti
per marchi d'impresa) che, modificando la normativa ed  incidendo  su
posizioni giuridiche gia' acquisite, aveva disposto la cessazione del
diritto all'uso di un marchio. 
    3. - Si e' costituita ritualmente la  Pubblikappa  s.r.l.,  (gia'
Pubblikappa s.n.c.), ricorrente nel giudizio a quo, chiedendo che  la
questione venga accolta  per  i  motivi  dedotti  nell'ordinanza  del
rimettente. In particolare, secondo la parte privata, il Consiglio di
Stato avrebbe, con la nuova ordinanza di rimessione, emendato i  vizi
della precedente. 
    Nel merito, l'irragionevolezza della norma impugnata si manifesta
gia' solo per la circostanza che essa travolge  non  solo  i  diritti
della Pubblikappa, licenziataria su  base  locale,  ma  anche  quelli
della societa' titolare del marchio registrato, che si  vede  privata
di una specifica utilizzazione economica  di  quest'ultimo.  Inoltre,
l'intervento del legislatore risulterebbe altresi'  «paradossale»  in
quanto incide su interessi privati  che  erano  gia'  stati  regolati
dalle parti in maniera condivisa e  non  contenziosa.  La  preferenza
indiscriminatamente   accordata   alle   emittenti    nazionali    si
risolverebbe in un privilegio lesivo del principio di uguaglianza, in
quanto, da un lato, opererebbe a danno di soggetti  normalmente  piu'
deboli  e,  dall'altro,  sovvertirebbe  lo   statuto   dell'emittenza
radiotelevisiva, il quale invece riconosce alle emittenti  locali  un
pieno titolo costituzionale per l'esercizio della loro attivita'. 
    Peraltro, la preferenza incondizionata accordata  alle  emittenti
nazionali lederebbe posizioni giuridiche riconducibili alla  liberta'
di iniziativa economica e alla tutela della proprieta', sia sotto  il
profilo  della  perdita  di  un   essenziale   segno   identificativo
dell'impresa sia della portata sostanzialmente  espropriativa  di  un
bene che fa parte del patrimonio aziendale. Neppure sarebbe possibile
invocare il limite all'iniziativa economica costituito  dall'utilita'
sociale, dato che  la  norma  impugnata  non  persegue  finalita'  di
interesse generale, ma  esclusivamente  l'interesse  della  categoria
delle emittenti a carattere nazionale.  Infine,  la  norma  impugnata
lederebbe  altresi'  il  valore  della   concorrenza,   riconducibile
all'iniziativa economica privata, travolgendo il principio del  prior
in  tempore  potior  in   iure -   riconosciuto   sia   dalla   Corte
costituzionale con la sentenza n. 42 del 1986, sia dall'art.  12  del
decreto legislativo 10 febbraio 2005, n. 30 (Codice della  proprieta'
industriale), a norma dell'art. 15 della legge 12 dicembre  2002,  n.
273 - senza sostituirlo con altro criterio socialmente utile. 
                       Considerato in diritto 
    1.  -  Il  Consiglio   di   Stato   dubita   della   legittimita'
costituzionale dell'art. 2, comma 2-bis, del decreto-legge 30 gennaio
1999,  n.  15  (Disposizioni  urgenti  per  lo  sviluppo  equilibrato
dell'emittenza  televisiva  e  per  evitare  la  costituzione  o   il
mantenimento di posizioni  dominanti  nel  settore  radiotelevisivo),
convertito, con modificazioni, dalla legge  29  marzo  1999,  n.  78,
nella parte in cui, senza  tenere  conto  della  priorita'  temporale
nell'utilizzazione di un determinato marchio  in  sede  di  esercizio
dell'emittenza radiotelevisiva, vieta con  effetto  retroattivo  alle
emittenti locali di utilizzare un  marchio  che  richiami,  anche  in
parte, quello di una emittente nazionale. 
    Secondo il collegio rimettente, la norma censurata si porrebbe in
contrasto: a) con l'art. 3 della Costituzione sotto il profilo  della
disparita' di trattamento, in quanto alle emittenti  locali  verrebbe
riservato un trattamento deteriore rispetto alle emittenti nazionali;
b)  ancora  con  l'art.  3  Cost.  con  riguardo  al   principio   di
ragionevolezza,  in  quanto,  derogando  ai  principi  propri   della
disciplina  generale  vigente  in  tema   di   marchi   di   impresa,
sacrificherebbe  irragionevolmente  le  posizioni  soggettive   delle
emittenti locali, soprattutto nelle  ipotesi  in  cui  queste  ultime
godevano  di  una  priorita'  temporale  nell'uso   del   marchio   e
nell'ipotesi in cui la norma incida non solo su situazioni  a  venire
ma anche pregresse; c) con l'art. 41 Cost., in quanto, sopprimendo il
diritto all'uso  esclusivo  del  marchio,  menomerebbe  la  capacita'
concorrenziale  delle  emittenti  locali,  cosi'   comprimendone   la
liberta' di iniziativa economica privata, soprattutto  tenendo  conto
del fatto che il marchio, inteso come denominazione  sotto  la  quale
l'emittente trasmette, assume importanza ancora maggiore nel  settore
radiofonico, costituendo l'unico efficace strumento attraverso cui la
platea degli  ascoltatori  e'  posta  in  grado  di  identificare  le
numerose emittenti operanti  sul  mercato  delle  radiofrequenze;  d)
nonche' con l'art. 42 Cost., in quanto, inibendo  l'uso  del  marchio
senza  alcuna  misura   compensativa   quanto   meno   di   carattere
indennitario, determinerebbe  una  sostanziale  espropriazione  dello
stesso. 
    2. - La questione e' fondata. 
    2.1.  -  L'art.  2,  comma  2-bis,  del  d.l.  n.  15  del  1999,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 78  del  1999,  dispone
che  «Le  emittenti  radiotelevisive  locali,  comprese  quelle   che
diffondono programmi in contemporanea o programmi comuni, non possono
utilizzare, ne' diffondere,  un  marchio,  una  denominazione  o  una
testata identificativi che richiamino in tutto o in parte  quelli  di
una emittente nazionale». La disposizione  prosegue  con  i  seguenti
periodi, non impugnati  dal  ricorrente,  secondo  i  quali  «Per  le
emittenti locali che alla data del 30 novembre 1993 hanno  presentato
domanda  e  successivamente  hanno   ottenuto   il   rilascio   della
concessione  con  un  marchio,  una  denominazione  o   una   testata
identificativi che richiamino in tutto  o  in  parte  quelli  di  una
emittente nazionale, il divieto di cui al presente comma  si  applica
dopo un  anno  dalla  data  di  entrata  in  vigore  della  legge  di
conversione del presente decreto. L'Autorita' per le  garanzie  nelle
comunicazioni vigila sul rispetto del predetto divieto e provvede  ai
sensi del comma 31 dell'articolo 1 della legge  31  luglio  1997,  n.
249». 
    La censura investe, dunque, solo  il  primo  periodo  del  citato
comma 2-bis, che incide su un regolamento convenzionale di  interessi
escludendo, per l'avvenire,  la  legittimita'  di  comportamenti  che
avevano la loro  base  in  accordi  validamente  intervenuti  fra  le
parti. E' infatti pacifico, in  punto  di  fatto,  da  un  lato,  che
l'emittente  nazionale  aveva  conseguito  il  diritto  all'uso   del
marchio,  che  richiama  in  tutto  o  in  parte  quello   utilizzato
dall'emittente locale, successivamente a quest'ultima, e, dall'altro,
che la societa', ricorrente avverso la delibera dell'Autorita' per le
garanzie nelle comunicazioni, aveva titolo  per  l'utilizzazione  del
marchio prima dell'entrata in vigore della disposizione impugnata. 
    Ove si tenga presente che la norma interviene su un contratto  di
durata che viene ad essere modificato nei suoi elementi  costitutivi,
non puo' escludersi la sostanziale retroattivita' di tale modifica. 
    Se   e'   pur   vero   che   costituisce   manifestazione   della
discrezionalita' del legislatore di collocare nel tempo  gli  effetti
delle disposizioni legislative (ordinanze nn. 346 e 137 del 2008), e'
da  tenere  presente  che  l'emanazione  di   leggi   con   efficacia
retroattiva incontra una serie di limiti che questa Corte ha da tempo
individuato e  che  attengono  alla  salvaguardia,  tra  l'altro,  di
fondamentali  valori  di  civilta'  giuridica  posti  a  tutela   dei
destinatari della norma e dello stesso ordinamento, tra i quali vanno
compresi il rispetto del principio generale di  ragionevolezza  e  di
eguaglianza e la tutela  dell'affidamento  legittimamente  sorto  nei
soggetti quale principio connaturato allo stato di diritto  (sentenze
n. 156 del 2007 e n. 282 del 2006). 
    La norma  denunciata  e',  dunque,  intrinsecamente  irrazionale,
perche' - in  contrasto  con  la  rubrica,  recante  «disciplina  per
evitare posizioni dominanti nel mercato televisivo» -  confligge  con
la liberta' economica di disporre  del  marchio  e  con  la  liberta'
spettante a tutti di manifestare il proprio pensiero. 
    Essa, infatti, si  pone  in  antitesi  rispetto  alla  previsione
dell'art. 3, comma 10, della legge 6 agosto 1990, n. 223  (Disciplina
del sistema radiotelevisivo  pubblico  e  privato),  secondo  cui  «i
bacini di utenza per la radiodiffusione sonora devono  consentire  la
coesistenza del maggior numero di  emittenti  e  reti  specificamente
nelle zone con maggiore densita' di popolazione», nonche' dell'art. 3
della legge 3 maggio 2004, n. 112 (Norme di principio in  materia  di
assetto del  sistema  radiotelevisivo  e  della  RAI-Radiotelevisione
italiana S.p.a., nonche' delega al Governo per l'emanazione del testo
unico  della  radiotelevisione),  per   il   quale   «sono   principi
fondamentali del sistema radiotelevisivo il pluralismo dei  mezzi  di
comunicazione radiotelevisiva, l'apertura alle diverse opinioni». 
    La  disposizione  di  cui   si   tratta   riduce   l'effettivita'
dell'accesso al mercato delle comunicazioni alle emittenti non aventi
dimensioni  nazionali.  L'esigenza  generale  di   cui   sopra,   pur
legittima, non puo' porsi in contrasto con la finalita'  della  norma
stessa, espressione diretta  della  liberta'  di  manifestazione  del
pensiero di cui all'art. 21 della Costituzione. 
    Il sacrificio degli interessi che le parti avevano  regolato  nel
rispetto della disciplina previgente risulta dunque irragionevole per
contraddittorieta' della norma con la sua ratio (cfr. sentenza n. 399
del 2008). 
    Cio' non esclude il potere del legislatore,  per  l'avvenire,  di
privilegiare le emittenti nazionali rispetto a quelle locali,  ma  e'
irragionevole incidere su diritti gia' legittimamente acquisiti sulla
base di una normativa anteriore, quando questi ultimi  non  solo  non
contrastano con norme costituzionali, ma concorrono a realizzarne  le
finalita'. 
    Va, pertanto, dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale  della
norma  impugnata  nella  parte  in  cui  fa  divieto  alle  emittenti
radiotelevisive locali di utilizzare o  diffondere  un  marchio,  una
denominazione e una testata identificativi che richiamino in tutto  o
in parte quelli di una emittente nazionale, qualora le stesse abbiano
iniziato ad usarli legittimamente prima dell'entrata in vigore  della
legge stessa.