Sentenza 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 391-bis,  primo
comma, del codice di procedura civile, come modificato  dall'art.  16
del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 40 (Modifiche  al  codice
di procedura civile in materia di processo di cassazione in  funzione
nomofilattica e di arbitrato, a norma dell'articolo 1, comma 2, della
legge 14 maggio 2005, n. 80), promosso dalla Corte di cassazione  nel
procedimento vertente tra Matera Alfredo  ed  altra  e  l'Immobiliare
Nuvolera di Cottarelli & C. s.a.s.  in  liquidazione  ed  altri,  con
ordinanza del 14  agosto  2008,  iscritta  al  n.  420  del  registro
ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 54, 1ª serie speciale, dell'anno 2008; 
    Visto l'atto di costituzione di Matera Alfredo ed altra; 
    Udito nell'udienza pubblica del 9 giugno 2009 il giudice relatore
Paolo Grossi; 
    Udito l'avvocato Michele Bonetti per Matera Alfredo ed altra. 
                          Ritenuto in fatto 
    1. - Con ordinanza del 7 luglio 2008, la Corte di  cassazione  ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 77  della  Costituzione,
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 391-bis del codice
di procedura civile, nella parte in cui,  prevedendo  l'esperibilita'
del rimedio della revocazione per errore di fatto ai sensi  dell'art.
395, n. 4), del medesimo codice, per le  sole  ordinanze  pronunciate
dalla Corte di cassazione ai sensi dell'art. 375, n. 4) e n.  5),  lo
esclude per le ordinanze pronunciate ai sensi dell'art. 375,  n.  1),
cod. proc. civ. 
    Premette la  Corte  rimettente  di  essere  stata  investita  dal
ricorso per revocazione proposto da Matera  Alfredo  e  Vitale  Maria
Felicita in riferimento alla ordinanza pronunciata dalla stessa Corte
il 29 gennaio 2007, con la quale, in esito al  procedimento  camerale
di  cui  all'art.  375  cod.  proc.  civ.,   era   stato   dichiarato
inammissibile,  per  inosservanza  dell'ordine  di  integrazione  del
contraddittorio, il ricorso  per  cassazione  dai  medesimi  proposto
avverso la sentenza emessa dalla  Corte  di  appello  di  Roma  il  9
gennaio  2001.  Nel  primo  motivo  del  ricorso  per  revocazione  -
puntualizzano i  giudici  a  quibus  -  i  ricorrenti  lamentano  che
l'ordinanza impugnata risulterebbe affetta da  errore  di  fatto,  in
quanto  il  ricorso   per   cassazione   sarebbe   stato   dichiarato
inammissibile  «per  mancata  integrazione  del  contraddittorio  nei
confronti del "Fall. Soro Salvatore", soggetto del tutto estraneo  al
giudizio, mentre la medesima Corte aveva ordinato, all'udienza del 17
novembre 2005, di integrare  il  contraddittorio  nei  confronti  del
Fallimento  Donghi  Giovanni"».  Nel  secondo  motivo,  i  ricorrenti
deducono che l'ordinanza impugnata troverebbe causa  «nell'errore  di
fatto  compiuto  dalla  Corte  nel  momento  in   cui   ha   ordinato
l'integrazione del  contraddittorio  nei  confronti  del  "Fallimento
Donghi Giovanni", trattandosi questo di soggetto inesistente,  atteso
che come  risultava  dalla  certificazione  della  Cancelleria  della
Sezione fallimentare del  Tribunale  di  Monza  del  5  agosto  1998,
depositata nel corso del  giudizio  di  appello  all'udienza  del  21
dicembre 1998 e  nuovamente  allegata  alla  memoria  depositata  dai
ricorrenti dinanzi alla Corte  di  cassazione,  tale  fallimento  era
stato dichiarato chiuso con decreto dell'11 novembre  1997,  sicche',
da un lato, l'ordine disposto dalla Corte non poteva essere osservato
dalla   parte   onerata,   dall'altro   il   contraddittorio   doveva
considerarsi  integro,  essendo  stato  il  ricorso  per   cassazione
notificato personalmente, a cura dei ricorrenti,  a  Donghi  Giovanni
fin dalla introduzione del giudizio di cassazione». 
    La Corte rimettente  ritiene  di  dover  aderire  alla  relazione
predisposta, a norma dell'art. 380-bis cod.  proc.  civ.,  in  merito
alla inammissibilita' del ricorso per  revocazione,  considerato  che
l'art. 391-bis cod. proc. civ. espressamente  limita  la  revocazione
per errore di fatto alle sole ordinanze pronunciate a norma dell'art.
375, primo comma, numeri 4) e 5) cod. proc. civ. - come novellato  ad
opera dell'art. 16, comma 1, lettera a), del  decreto  legislativo  2
febbraio 2006, n. 40 (Modifiche al  codice  di  procedura  civile  in
materia di processo di cassazione  in  funzione  nomofilattica  e  di
arbitrato, a norma dell'articolo 1, comma 2, della  legge  14  maggio
2005, n. 80) - con cio' evidentemente escludendo (avuto  riguardo  al
carattere tassativo della elencazione) i restanti numeri dello stesso
articolo, fra i quali rientra  l'ordinanza  di  inammissibilita'  del
ricorso principale, adottata - a norma del n. 1)  del  medesimo  art.
375 cod. proc. civ. - in applicazione dell'art. 331,  secondo  comma,
dello stesso codice. 
    Nell'escludere la possibilita' di una interpretazione adeguatrice
del  dettato  normativo,  stante  la  univoca  scelta   operata   dal
legislatore di limitare a quelli espressamente  previsti  i  casi  di
revocazione avverso i provvedimenti della  Corte  di  cassazione,  la
Corte rimettente reputa la disciplina anzidetta in contrasto  con  il
principio di uguaglianza e del diritto di  difesa.  Se,  infatti,  lo
scopo della revocazione per errore di fatto e'  quello  di  eliminare
una decisione fondata su un accertamento smentito dalle risultanze di
causa, appare priva di ragionevolezza la scelta  del  legislatore  di
limitare tale rimedio alle sole ordinanze che accolgono o  respingono
il ricorso nel merito o che lo dichiarano inammissibile per  mancanza
dei motivi o per difetto dei requisiti di cui all'art.  366-bis  cod.
proc. civ. (art. 375 n. 5), escludendolo, invece,  per  le  ordinanze
che dichiarino la inammissibilita' del ricorso per altre cause, posto
che l'errore revocatorio puo' riscontrarsi  anche  in  queste  ultime
ipotesi. Ne', d'altra parte, puo' essere dirimente la circostanza che
l'errore cada su una pronuncia sul processo,  piuttosto  che  su  una
pronuncia di merito, posto che, proprio la  inammissibilita'  per  il
difetto dei requisiti di cui all'art.  366-bis,  testimonia  come  la
disciplina  della  revocazione  non  sia  fondata  su  quel  tipo  di
distinzione. 
    La Corte rimettente reputa la norma impugnata in contrasto  anche
con l'art. 77 Cost., per  eccesso  di  delega.  L'art.  1,  comma  3,
lettera a), in fine,  della  legge  delega  14  maggio  2005,  n.  80
(Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge, 14 marzo
2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell'ambito  del  Piano  di
azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe  al
Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia  di
processo di cassazione e di arbitrato nonche' per la riforma organica
della disciplina delle procedure  concorsuali),  aveva  stabilito  la
direttiva, in tema  di  revocazione,  di  «Prevedere  la  revocazione
straordinaria e l'opposizione di terzo contro le sentenze  di  merito
della Corte di cassazione, disciplinandone la competenza»:  direttiva
che veniva attuata dall'art. 17 del d.lgs. n. 40 del  2006,  mediante
l'inserimento dell'art. 391-ter del codice di  procedura  civile.  La
legge di delegazione  non  prevedeva  invece  nulla  in  merito  alla
revocazione di pronunce della Corte che  non  decidessero  il  merito
della causa; sicche' la  novellazione  dell'art.  391-bis  -  operata
dall'art. 16 del richiamato d.lgs. n. 40 del 2006 - risulterebbe,  in
parte qua, in contrasto  con  i  limiti  della  delega,  determinando
effetti addirittura  modificativi  dello  stesso  «diritto  vivente»,
posto che le «Sezioni Unite,  avevano  affermato  in  piu'  occasioni
(ordinanza n. 9287 del 25 giugno 2002, cui e' seguita la sentenza  n.
24170 del 30 dicembre 2004) che, benche' non espressamente  previsto,
anche le ordinanze della Corte adottate ai sensi dell'art.  375  sono
assoggettabili, senza distinzioni, al rimedio della  revocazione  per
errore di fatto». 
    Nella specie, la questione sarebbe rilevante, in quanto  l'errore
denunciato si configura come errore  di  tipo  meramente  percettivo,
stante la presenza in  atti  della  certificazione  di  chiusura  del
fallimento  nel  1998;  sicche',  non  apparendo   coinvolta   alcuna
attivita' valutativa  della  Corte,  l'istanza  di  revocazione  deve
ritenersi sotto questo profilo ammissibile, e tale da rendere  dunque
pregiudiziale   la   soluzione   del    quesito    di    legittimita'
costituzionale. 
    2. - Nel giudizio davanti  a  questa  Corte  si  sono  costituiti
Matera Alfredo e Vitale Maria  Felicita,  depositando  memoria  nella
quale, riproponendo nella sostanza le  considerazioni  gia'  poste  a
fondamento della ordinanza  di  rimessione,  hanno  concluso  per  la
declaratoria di illegittimita' costituzionale della  norma  censurata
in riferimento agli artt. 3, 24 e 111 della Costituzione. 
                       Considerato in diritto 
    1. - La Corte di cassazione - adita  a  seguito  di  ricorso  per
revocazione proposto in relazione alla  ordinanza  pronunciata  dalla
medesima Corte ai sensi dell'art. 375 cod. proc. civ., con  la  quale
era stato dichiarato inammissibile un ricorso  per  cassazione  -  ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24 e 77  della  Costituzione,
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 391-bis del codice
di procedura civile, nella parte in cui, prevedendo  la  possibilita'
di esperire il rimedio della revocazione  per  errore  di  fatto,  ai
sensi dell'art. 395, primo comma, numero 4), dello stesso codice, per
le sole ordinanze pronunciate dalla  Corte  di  cassazione  ai  sensi
dell'art. 375, primo comma, numeri 4)  e  5),  cod.  proc.  civ.,  lo
esclude per le ordinanze pronunciate in camera di consiglio  a  norma
dell'art. 375, primo comma, numero 1), del medesimo  codice,  con  le
quali  venga  dichiarata  la   inammissibilita'   del   ricorso   per
cassazione. 
    Al riguardo, la Corte rimettente preliminarmente sottolinea come,
alla luce dell'univoco tenore testuale della disposizione colpita dal
dubbio di costituzionalita', debba  escludersi  l'ammissibilita'  del
rimedio in questione riguardo alle ordinanze pronunciate dalla stessa
Corte di cassazione ai sensi dei primi tre numeri del  medesimo  art.
375. Ordinanze fra le quali  rientra,  appunto,  la  declaratoria  di
inammissibilita' del ricorso principale, nella  specie  adottata,  in
applicazione di quanto disposto dall'art. 331,  secondo  comma,  cod.
proc. civ., ai sensi dell'art.  375,  primo  comma,  numero  1),  del
codice di rito. 
    Alla stregua della riferita ricostruzione ermeneutica del  quadro
normativo coinvolto dal dubbio  di  legittimita'  costituzionale,  ed
avuto riguardo  alla  conseguente  impossibilita'  di  addivenire,  a
parere della Corte rimettente, ad  una  soluzione  interpretativa  in
chiave  adeguatrice,  ne  deriva,  secondo  il  giudice  a  quo,   la
concorrente violazione tanto dell'art. 3 Cost., sul duplice  versante
del principio di uguaglianza e di ragionevolezza,  che  dell'art.  24
della stessa Carta,  sotto  il  profilo  del  diritto  di  azione  in
giudizio. Ad avviso della  Corte  rimettente,  infatti,  risulterebbe
priva  di  ragionevolezza  la  scelta  normativa   di   circoscrivere
l'istituto della revocazione per errore di fatto alle sole  ordinanze
della Corte  di  cassazione,  le  quali,  all'esito  della  procedura
camerale di cui all'art. 375 cod. proc. civ., accolgono o  respingono
il ricorso nel merito o lo dichiarano inammissibile per mancanza  dei
motivi o difetto dei quesiti, precludendo, invece, la possibilita' di
adottare il rimedio  straordinario  -  il  cui  scopo  e'  quello  di
«eliminare una decisione fondata su un accertamento la cui verita' e'
smentita e contraddetta dalle risultanze di causa» -  in  riferimento
alle altre ordinanze che abbiano dichiarato inammissibile il  ricorso
per altre ragioni. 
    La norma impugnata si porrebbe in contrasto, secondo il giudice a
quo, anche con l'art. 77 Cost.,  in  quanto  attuata  in  assenza  di
espressa  delega  legislativa.  A  parere  della  Corte   rimettente,
infatti, la legge delega 14 maggio 2005, n. 80 (Conversione in legge,
con modificazioni, del decreto-legge 14 marzo 2005,  n.  35,  recante
disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo  sviluppo
economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la modifica
del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e
di arbitrato nonche' per la riforma organica della  disciplina  delle
procedure concorsuali), non conterrebbe  alcuna  specifica  direttiva
circa  la  possibilita'  di  intervenire   sulla   disciplina   della
revocazione delle pronunce della Corte di cassazione e  stabilire  la
«facolta' di ricorrere a tale rimedio  per  taluni  provvedimenti  ed
escludendolo per altri». La violazione della legge di delega  sarebbe
tanto piu' evidente - osserva conclusivamente la Corte  rimettente  -
in considerazione del fatto che la riforma normativa  avrebbe  inciso
in chiave limitativa sullo stesso «diritto  vivente»,  posto  che  la
giurisprudenza di legittimita',  anche  a  Sezioni  unite,  aveva  in
precedenza ammesso il rimedio della revocazione per errore  di  fatto
anche per le ordinanze della Corte di cassazione, senza distinzioni. 
    2. - La questione e' fondata in riferimento agli  artt.  3  e  24
Cost. 
    Questa Corte ha infatti reiteratamente avuto  modo  di  affermare
che il diritto di  difesa,  garantito  in  ogni  stato  e  grado  del
procedimento dall'art. 24, secondo comma, della  Carta  fondamentale,
risulterebbe gravemente offeso  se  l'errore  di  fatto,  cosi'  come
descritto dall'art. 395, primo comma, numero 4), cod. proc. civ., non
fosse suscettibile di emenda per essere stato  commesso  dal  giudice
cui spetta il potere-dovere della nomofilachia. Ne', si e'  aggiunto,
«le peculiarita' del magistero della Cassazione svuotano di rilevanza
il comandamento di giustizia  che  di  per  se'  permea  la  ripetuta
disposizione del codice di rito civile, perche' l'indagine cognitoria
cui da' luogo il n. 4 dell'art. 360 non e' diversa da quella condotta
da ogni  e  qualsiasi  giudice  di  merito  allorquando  scrutina  la
ritualita' degli atti del processo sottoposto al suo esame» (sentenza
n. 17 del 1986). Da cio'  l'ulteriore  assunto  secondo  il  quale  i
rilievi svolti «per l'errore di fatto - per l'errore cioe', meramente
percettivo (svista, puro equivoco) - in cui la  Corte  di  cassazione
incorra nel controllo degli atti del processo a quo,  ai  fini  della
decisione  sulla  sussistenza  di  eventuali  nullita'  dello  stesso
procedimento  o  della  correlativa  sentenza  denunciate  ai   sensi
dell'art. 395 c.p.c.», non potesse «non valere (anzi, a fortiori) per
l'analogo errore in cui quella Corte incorra nella lettura degli atti
interni al suo stesso giudizio» (sentenza n. 36 del 1991). 
    Dai   richiamati   principii   deriva,   dunque,   che   l'errore
«percettivo» in cui sia incorso il  giudice  di  legittimita'  e  dal
quale sia derivata, come nella  specie,  l'indebita  declaratoria  di
inammissibilita' del  ricorso  -  con  l'ovvia  conseguenza  di  aver
determinato l'irrevocabilita' della pronuncia oggetto di  impugnativa
- rappresenta eventualita' tutt'altro che priva  di  conseguenze  sul
piano del rispetto dei relativi principii costituzionali,  nel  senso
che,  ove  a  quell'errore  non  risulti  possibile   porre   rimedio
attraverso uno specifico istituto processuale,  una  siffatta  lacuna
normativa verrebbe a porsi «in  automatico  e  palese  contrasto  non
soltanto con l'art. 3, ma anche con l'art. 24 della Costituzione, per
di piu' sotto uno specifico e significativo aspetto, quale e'  quello
di assicurare la effettivita' del giudizio di  cassazione»  (sentenza
n. 395  del  2000).  Tale  garanzia,  infatti  -  ha  avuto  modo  di
sottolineare questa Corte - si qualifica  ulteriormente  in  funzione
dell'art. 111 Cost., il quale, anche dopo il profondo  intervento  di
novellazione subito ad opera della legge costituzionale  23  novembre
1999,  n.  2  (Inserimento   dei   principi   del   giusto   processo
nell'articolo  111  della  Costituzione),  non  a  caso  continua   a
prevedere, quale nucleo  essenziale  del  «giusto  processo  regolato
dalla legge», il principio secondo il quale contro tutte le  sentenze
ed i provvedimenti sulla liberta' personale  «e'  sempre  ammesso  il
ricorso in cassazione per violazione di legge».  Cio'  sta  dunque  a
significare - ha sottolineato, ancora, questa Corte -  «non  soltanto
che  il   giudizio   di   cassazione   e'   previsto   come   rimedio
costituzionalmente  imposto  avverso  tale  tipo  di  pronunzie;  ma,
soprattutto,  che  il  presidio  costituzionale   -   il   quale   e'
testualmente rivolto ad assicurare il controllo sulla  legalita'  del
giudizio  (a  cio'  riferendosi,  infatti,  l'espresso  richiamo   al
paradigmatico vizio di violazione di legge) - contrassegna il diritto
a fruire del controllo di legittimita' riservato alla Corte  Suprema,
cioe' il diritto al processo in  cassazione»  (sentenza  n.  395  del
2000). 
    Le richiamate affermazioni di questa Corte,  d'altra  parte,  non
sono rimaste prive di conseguenze sul versante  del  «riallineamento»
degli istituti processuali, giacche', mentre nel processo  penale  si
e' provveduto ad introdurre nel codice di rito, con l'art.  6,  comma
5, della legge 23 marzo 2001,  n.  128,  l'art.  625-bis,  destinato,
appunto, a prevedere il ricorso straordinario per emendare  «l'errore
materiale o di fatto contenuto nei  provvedimenti  pronunciati  dalla
corte di cassazione», nel processo civile l'errore  «revocatorio»  in
cui sia incorsa la Corte di cassazione,  e'  stato  esteso  dall'art.
391-bis anche alle ordinanze pronunciate con rito camerale  ai  sensi
dell'art.  375  dello  stesso  codice,  ma  con  la  limitazione  che
costituisce oggetto della presente questione. 
    Ne deriva,  dunque,  che,  in  presenza  di  un  errore  di  tipo
«percettivo»   che   abbia    determinato    la    declaratoria    di
inammissibilita' del ricorso, a norma  dell'art.  375,  primo  comma,
numero 1), cod. proc.  civ.,  all'interno  dello  stesso  sistema  di
garanzie previsto dal legislatore, che ha riformato, in parte qua, il
richiamato art. 391-bis del medesimo codice, non e' previsto  rimedio
alcuno; con correlativa, evidente compromissione, tanto dell'art.  3,
che dell'art. 24 della Costituzione: quest'ultimo  riguardato  anche,
come  si  e'  detto,  nella  prospettiva  della  garanzia   specifica
approntata dall'art. 111, settimo comma,  della  medesima  Carta,  in
tema di controllo di legalita' riservato  alla  Corte  di  cassazione
avverso tutte le sentenze. 
    Avuto  riguardo,  quindi,  alla  non  implausibile  ricostruzione
interpretativa del quadro normativo offerta dalla  Corte  rimettente,
deriva che l'art. 391-bis cod.  proc.  civ.  deve  essere  dichiarato
costituzionalmente illegittimo, per contrasto con gli artt.  3  e  24
Cost., nella parte in cui non prevede la  esperibilita'  del  rimedio
della revocazione per errore di fatto, ai sensi dell'art. 395,  primo
comma, n. 4), cod. proc. civ., per  le  ordinanze  pronunciate  dalla
Corte di cassazione a norma dell'art. 375, primo comma, n. 1),  dello
stesso  codice.  Restano   assorbiti   gli   ulteriori   profili   di
illegittimita' costituzionale dedotti.