Sentenza 
nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma  1-bis,
del decreto legislativo 6 settembre 2001  n.  368  (Attuazione  della
direttiva 1999/70/CE relativa all'accordo quadro sul lavoro  a  tempo
determinato concluso dall'UNICE, dal CEEP e dal CES), degli artt.  1,
comma 1, e 11 del decreto legislativo 6  settembre  2001,  n.  368  e
dell'art.  4-bis,  del  medesimo  decreto   legislativo,   introdotto
dall'art. 21, comma 1-bis, del decreto-legge 25 giugno 2008,  n.  112
(Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la  semplificazione,
la competitivita', la stabilizzazione della  finanza  pubblica  e  la
perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dalla  legge
6 agosto 2008, n. 133, promossi dal Tribunale di Roma  con  ordinanze
del 26 febbraio 2008 e del 26 settembre 2008, dalla  Corte  d'appello
di Torino con ordinanza del 2 ottobre 2008, dal  Tribunale  di  Trani
con ordinanza del 21 aprile 2008, dalla Corte d'appello di Genova con
ordinanza del 26 settembre 2008, dal Tribunale di Ascoli  Piceno  con
due ordinanze del 30 settembre 2008, dal  Tribunale  di  Trieste  con
ordinanza del 16 ottobre 2008, dalla  Corte  d'appello  di  Bari  con
ordinanza del  22  settembre  2008,  dal  Tribunale  di  Viterbo  con
ordinanza del 10 ottobre 2008, dal Tribunale di  Milano  con  quattro
ordinanze  del  19  novembre   2008,   dalla   Corte   d'appello   di
Caltanissetta con ordinanza del 12 novembre 2008,  dal  Tribunale  di
Teramo con ordinanza del 17 ottobre 2008, dal Tribunale di Milano con
due ordinanze del 24 dicembre 2008, dalla Corte d'appello di  Venezia
con ordinanza del 10 dicembre 2008, dalla Corte d'appello di L'Aquila
con ordinanza del 14 gennaio 2009 e dalla Corte d'appello di Roma con
ordinanza del 21 ottobre 2008, ordinanze rispettivamente iscritte  ai
nn. 217, 413, 427, 434, 441, 442 e 443 del registro ordinanze 2008 ed
ai nn. 4, 12, 22, 25, 26, 27, 28, 43, 70, 86, 87, 93, 95  e  102  del
registro ordinanze 2009 e pubblicate nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica nn. 29 e 53, 1a serie speciale, dell'anno 2008 e nn. 1, 2,
3, 4, 5, 6, 8, 11, 13, 14 e 15, 1a serie speciale, dell'anno 2009. 
    Visti gli atti di costituzione di Gennaro Rizzo,  fuori  termine,
di Savino Digiorgio, di Zitouni Chalouach, di Antonio Di Giuseppe, di
Anita Rosati, di Salvatore Giallombardo, di  Sonia  Pirri,  di  Rizzo
Gennaro, fuori termine, di Simona Bulla, di Ignazio Marra, di Antonio
Passavanti, di  Veronica  De  Mitri,  di  Greco  Giuseppe,  di  Poste
Italiane S.p.A., nonche' gli atti di  intervento  della  Associazione
«Articolo 21 Liberi di» e del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    Udito nella udienza pubblica del 23 giugno 2009 e nella Camera di
consiglio del 24 giugno 2009 il Giudice relatore Luigi Mazzella; 
    Uditi gli avvocati  Domenico  Carpagnano  per  Savino  Digiorgio,
Vittorio Angiolini e Gloria Pieri per Zitouni Chalouach, Franco Berti
per Antonio Di Giuseppe, Vittorio Angiolini e Domenico Carpagnano per
Anita Rosati, Sergio Galleano per Sonia Pirri, di Greco Giuseppe,  di
Rizzo Gennaro, fuori termine, Paolo  Molteni  e  Fabio  Fabbrini  per
Simona Bulla, Domenico D'Amati per Ignazio Marra, Sergio  Galleano  e
Sergio Vacirca per Antonio Passavanti, Vincenzo de Michele  e  Sergio
Galleano per Veronica De Mitri,  Luigi  Fiorillo,  Arturo  Maresca  e
Roberto Pessi per Poste Italiane S.p.A. e gli  avvocati  dello  Stato
Fabio Tortora, Paolo Gentili e Sergio Fiorentino  per  il  Presidente
del Consiglio dei ministri. 
                          Ritenuto in fatto 
    1. - Nel corso del giudizio civile promosso da G.  R.  contro  la
Poste Italiane S.p.A.  perche'  fosse  dichiarata  l'invalidita'  del
termine apposto al contratto di lavoro sottoscritto tra le  parti  ai
sensi dell'art. 2, comma 1-bis, del decreto legislativo  6  settembre
2001,  n.  368  (Attuazione  della  direttiva   1999/70/CE   relativa
all'accordo  quadro  sul  lavoro   a   tempo   determinato   concluso
dall'UNICE, dal CEEP e dal CES, come aggiunto dall'art. 1, comma 558,
della legge 23 dicembre 2005, n. 266 - legge  finanziaria  2006),  il
Tribunale di Roma ha sollevato, in riferimento agli  artt.  3,  primo
comma, 101, 102 e 104 della Costituzione, questione  di  legittimita'
costituzionale del richiamato art. 2, comma 1-bis, del d.lgs. n.  368
del 2001 (r.o. n. 217 del 2008). 
    Osserva il rimettente che la norma censurata ha introdotto per le
aziende concessionarie del servizio postale  la  possibilita',  entro
determinati limiti temporali  (sei  mesi  nel  periodo  compreso  tra
aprile  ed  ottobre  di  ogni  anno  e  quattro  mesi   per   periodi
diversamente distribuiti) e quantitativi (15 per cento  dell'organico
aziendale) di procedere  ad  assunzioni  a  tempo  determinato  senza
l'obbligo di indicazione scritta della causale (come invece  previsto
in generale dall'art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001).  Inoltre,  anche
la disciplina sanzionatoria sarebbe  piu'  lieve  rispetto  a  quella
prevista per i contratti stipulati ex art. 1 del d.lgs.  n.  368  del
2001, perche' l'art. 5, comma 3, del medesimo d.lgs. n. 368 del 2001,
richiamando esclusivamente l'ipotesi della successione dei  contratti
stipulati  ex  art.  1  dello   stesso   decreto   legislativo,   non
prevederebbe la conversione in contratto  a  tempo  indeterminato  in
caso di successione di contratti regolati dall'art. 2. 
    Ad avviso del giudice a quo, tale  disciplina  comporterebbe  una
disparita' di trattamento tra  i  lavoratori  in  generale  e  quelli
addetti al servizio postale, per i quali non opera necessariamente la
disciplina - anche sanzionatoria - di carattere generale. Difettando,
nel settore postale, quelle  peculiarita'  che  possano  giustificare
deroghe alla disciplina generale, l'art. 2, comma 1-bis,  del  d.lgs.
n. 368 del 2001 non risponderebbe a criteri di  ragionevolezza  o  di
razionalita'  e   pertanto   sarebbe   lesivo   dell'art.   3   della
Costituzione. 
    Quanto agli altri parametri costituzionali invocati  (artt.  101,
102 e 104 Cost.) il rimettente  afferma  che  l'introduzione  di  una
«acausalita» per le assunzioni a termine nel settore postale  sottrae
in maniera ingiustificata al giudice ordinario il potere di  verifica
delle effettive ragioni oggettive e temporanee  poste  alla  base  di
dette assunzioni con conseguente lesione delle prerogative del potere
giudiziario. 
    2. - Si e' costituita Poste Italiane s.p.a. che ha chiesto che la
questione sia dichiarata inammissibile o manifestamente infondata. 
    La societa'  deduce  che  il  datore  di  lavoro  che  assume  un
lavoratore ai sensi dell'art. 2 del d.lgs. n. 368  del  2001  non  e'
tenuto a specificare le ragioni dell'apposizione del termine,  mentre
resta tenuto a rispettare le altre norme contenute nel citato decreto
legislativo in materia di divieti, di proroghe,  di  successione  dei
contratti, di divieto di discriminazione, di formazione,  di  criteri
di computo e di informazione. 
    Ad avviso della societa', poi, la dedotta violazione degli  artt.
101 e 104 Cost. sarebbe inammissibile per carenza di motivazione, non
essendo dato comprendere in che modo la funzione giurisdizionale  sia
stata limitata con l'introduzione della norma denunciata. 
    3.  -  Nel  giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto   il
Presidente  del  Consiglio   dei   ministri,   assistito   e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, il  quale  ha  chiesto  che  la
questione  sia  dichiarata  inammissibile   e   comunque   infondata,
rinviando al prosieguo ogni difesa. 
    4. - Nel corso di un giudizio civile promosso da M. D. R.  contro
Poste Italiane  s.p.a.,  al  fine  di  ottenere  la  declaratoria  di
nullita' del termine apposto  al  proprio  contratto  di  lavoro  per
insussistenza della ragione  sostitutiva  addotta  a  sostegno  della
clausola temporale e la statuizione della sussistenza di un  rapporto
di lavoro  a  tempo  indeterminato  tra  le  parti,  sin  dalla  data
dell'assunzione, con condanna della societa' convenuta a  riammettere
la ricorrente  nel  suo  posto  di  lavoro  ed  a  corrisponderle  le
retribuzioni maturate dalla scadenza del termine nullo, il  Tribunale
di  Roma  ha  sollevato  questione  di  legittimita'   costituzionale
dell'art. 1, comma  1,  ed  11  del  d.lgs.  n.  368  del  2001,  per
violazione degli artt. 76, 77 e 117, primo comma, Cost., e  dell'art.
4-bis dello stesso d.lgs. n.  368,  introdotto  dall'art.  21,  comma
1-bis, del decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112 (Disposizioni  urgenti
per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitivita',  la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria),
convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, per
violazione degli artt. 3, primo comma, 24, secondo comma,  101,  102,
secondo  comma,  104,  secondo  comma,  e  117,  primo  comma,  della
Costituzione (r.o. n. 413 del 2008). 
    4.1. - Sulla prima questione, il  rimettente  deduce  che,  prima
dell'entrata in vigore del d.lgs. n. 368 del 2001, l'apposizione  del
termine per ragioni sostitutive di personale assente con diritto alla
conservazione del posto, era  consentita  -  dall'art.  1,  comma  2,
lettera b), della legge  18  aprile  1962,  n.  230  (Disciplina  del
contratto di lavoro a tempo determinato) -  a  condizione  che  fosse
indicato il nominativo del lavoratore sostituito e della causa  della
sostituzione.  Aggiunge  che  tale  disposizione  e'  stata  abrogata
(insieme con tutta la legge n. 230 del 1962), dall'art. 11 del d.lgs.
n. 368 del 2001; il  che  comporterebbe  l'abolizione  dell'onere  di
indicazione del lavoratore sostituito, onere non riprodotto nell'art.
1, comma 1, del d.lgs. n. 368 del 2001. 
    Il Tribunale di Roma afferma che il d.lgs. n.  368  del  2001  e'
stato emanato nell'esercizio della delega conferita al Governo  dalla
legge 29 dicembre 2000, n. 422  (Disposizioni  per  l'adempimento  di
obblighi  derivanti  dall'appartenenza  dell'Italia  alle   Comunita'
europee - Legge comunitaria 2000), per l'attuazione  della  direttiva
n. 1999/70/CE, la quale non detta alcun principio  o  obiettivo,  ne'
alcuna regola vincolante per gli Stati membri al fine di garantire ai
lavoratori a termine un livello di tutela minimo per  quanto  attiene
ai presupposti per l'uso del termine in un singolo contratto. 
    Ad avviso del giudice a quo, la  predetta  direttiva  comunitaria
pone solamente, fissandone le linee di perseguimento, due  obiettivi:
la garanzia del principio di non  discriminazione  e  la  prevenzione
degli abusi derivanti dall'utilizzo in  successione  di  contratti  o
rapporti a tempo determinato. Il rimettente aggiunge che la  clausola
di non regresso contenuta nell'art. 8, punto 3,  dell'accordo  quadro
recepito dalla  direttiva  dispone  che  l'applicazione  dell'accordo
quadro «non costituisce motivo valido per ridurre il livello generale
di tutela offerto  ai  lavoratori  nell'ambito  coperto  dall'accordo
stesso» e la legge n. 422 del 2000 delegava  il  Governo  ad  emanare
decreti legislativi recanti le norme occorrenti per dare attuazione a
varie direttive, disponendo che «i decreti legislativi  assicureranno
in ogni caso  che  nelle  materie  trattate  da  tali  direttive,  la
disciplina fosse  pienamente  conforme  alle  prescrizioni  medesime,
tenuto  conto  delle  eventuali  modificazioni  intervenute  fino  al
momento dell'esercizio della delega». 
    Pertanto, secondo il Tribunale di Roma, poiche'  dalla  legge  di
delega non e' desumibile altro mandato al Governo che quello di  dare
puntuale attuazione alla direttiva in questione, l'art. 11 del d.lgs.
n. 368 del 2001, nell'abrogare la previgente disciplina nazionale  in
materia (e, in particolare, l'art. 1,  comma  2,  lettera  b),  della
legge n. 230 del 1962), avrebbe  operato  in  carenza  di  delega  e,
quindi, in violazione degli artt. 76 e 77 della Costituzione. 
    Il rimettente sostiene, inoltre, che gli artt. 1, comma 1, ed  11
del d.lgs. n. 368 del 2001 lederebbero anche l'art. 117, primo comma,
Cost.,  per  violazione  dei   vincoli   derivanti   dall'ordinamento
comunitario.  Infatti  la  Corte  di  giustizia,  nella  sentenza  22
novembre 2005, causa C-144/04, Mangold, ha ritenuto che la  direttiva
in esame non vieta come tale una reformatio in peius della protezione
offerta ai lavoratori a termine, a condizione che  essa  non  sia  in
alcun  modo  collegata  all'applicazione  di  questa;  invece,  nella
fattispecie,  tale  reformatio  e'  stata  realizzata   proprio   nel
provvedimento  destinato  specificamente  a  dare  applicazione  alla
direttiva, e dichiaratamente allo scopo di darvi attuazione. 
    4.2. - Per quel che concerne l'art. 4-bis del d.lgs. n.  368  del
2001, il Tribunale  di  Roma  afferma  che  tale  norma  non  sarebbe
applicabile al giudizio a quo, perche' essa, nel prevedere  che  «Con
riferimento ai soli giudizi in corso alla data di entrata  in  vigore
della presente disposizione, e fatte salve  le  sentenze  passate  in
giudicato, in caso di  violazione  delle  disposizioni  di  cui  agli
articoli 1, 2 e 4, il  datore  di  lavoro  e'  tenuto  unicamente  ad
indennizzare il prestatore di lavoro  con  un'indennita'  di  importo
compreso tra un minimo  di  2,5  ed  un  massimo  di  sei  mensilita'
dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai  criteri
indicati nell'articolo 8 della  legge  15  luglio  1966,  n.  604,  e
successive  modificazioni»,  essa  fa  riferimento   solamente   alla
violazione degli artt. 1, 2 e 4 del d.lgs. n. 368  del  2001,  mentre
nel  giudizio  principale,  ove  fosse  accolta   la   questione   di
legittimita' costituzionale degli artt. 1, comma 1, ed 11 del  d.lgs.
n. 368 del 2001, risulterebbe violato l'art. 1, comma 2, lettera  b),
della legge n. 230 del 1962. 
    In subordine, ad avviso  del  giudice  a  quo,  la  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 21, comma 1-bis,  del  d.l.  n.
112 del 2008, in riferimento agli artt. 3 e 117, primo comma,  Cost.,
sarebbe rilevante e non manifestamente infondata. 
    Sotto il primo profilo, il rimettente afferma  che  -  secondo  i
principi dettati dagli artt. 1419, comma 2, e 1339 del codice civile,
che dovrebbero  trovare  applicazione  se  non  fosse  in  vigore  la
disposizione qui  censurata  -  dalla  nullita'  della  clausola  del
termine discenderebbe, secondo il c.d. diritto «vivente», il  diritto
del  lavoratore  al   risarcimento   dei   danni   parametrato   alle
retribuzioni maturate dal momento in cui il prestatore abbia messo in
mora il datore di lavoro, offrendogli le sue prestazioni. 
    Ad avviso del Tribunale di Roma l'art. 4-bis del  d.lgs.  n.  368
del  2001,  sostituendo   retroattivamente   alla   predetta   tutela
risarcitoria una indennitaria, violerebbe  l'art.  3  Cost.,  poiche'
riserva una tutela di rango inferiore ad  alcuni  lavoratori  per  il
solo fatto di avere un giudizio in corso al momento  dell'entrata  in
vigore della nuova disposizione. 
    Secondo il rimettente,  ancora  piu'  ingiustificata  sarebbe  la
discriminazione operata nei confronti dei  lavoratori  in  questione,
rispetto a quelli che hanno giudizi in corso  nei  quali  vengono  in
discussione  le  conseguenze  dell'invalidita'  della  clausola   del
termine che sia disciplinata, ratione temporis, dal sistema normativo
previgente di cui alla legge n. 230 del 1962 e i lavoratori  che  non
abbiano ancora instaurato una controversia. 
    Il giudice a quo sostiene che l'art. 4-bis del d.lgs. n. 368  del
2001 lede anche l'art. 117,  primo  comma,  Cost.  in  rapporto  agli
obblighi assunti dallo Stato  italiano  con  la  Convenzione  per  la
salvaguardia dei diritti  dell'uomo  e  delle  liberta'  fondamentali
firmata a Roma il 4 novembre 1950 (ratificata dalla  legge  4  agosto
1955, n. 848), il cui art. 6 vieta al legislatore di intervenire  con
norme ad hoc per la risoluzione di controversie in corso. 
    Ancora, l'art. 4-bis si pone, secondo il rimettente, in contrasto
con gli artt. 101, 102, secondo comma, e  104,  primo  comma,  Cost.,
perche' un intervento della legge che - come nella specie -  riguardi
esclusivamente un certo tipo di giudizi in corso ad una certa data e'
privo  del  carattere   di   astrattezza   proprio   della   funzione
legislativa, assumendo carattere provvedimentale generale. 
    5. - Si e' costituita in giudizio Poste Italiane s.p.a., la quale
chiede che le questioni siano  dichiarate  inammissibili  o  comunque
infondate. 
    5.1.  -   La   societa'   anzitutto   contesta   la   prospettata
illegittimita' costituzionale degli artt. 1, comma 1, e 11 del d.lgs.
n. 368 del 2001 radicata sulla  violazione  della  «clausola  di  non
regresso» e, per questo tramite, la violazione dell'art.  117,  primo
comma, della Costituzione. 
    Secondo la societa' Poste Italiane, la funzione di detta clausola
e' solo quella di impedire che un arretramento  di  tutele  si  fondi
sulla asserita pretestuosa  necessita'  di  conformare  in  tal  modo
l'ordinamento interno alla direttiva, ma essa non vieta  in  assoluto
ai legislatori nazionali di ridurre le proprie tutele fino al  minimo
comunitario. 
    5.2. - Quanto all'art. 4-bis del  d.lgs.  n.  368  del  2001,  la
societa'  afferma  che  scopo  dell'intervento  legislativo   e'   il
perseguimento della crescita del tasso  di  incremento  del  prodotto
interno lordo rispetto agli andamenti tendenziali per l'anno in corso
e per il successivo triennio attraverso l'immediato avvio di maggiori
investimenti  in  materia  di   innovazione   e   ricerca,   sviluppo
dell'attivita'  imprenditoriale,  diversificazione  delle  fonti   di
energia e rilancio delle privatizzazioni. In tale prospettiva  l'art.
4-bis sarebbe stato introdotto per arginare, nell'interesse generale,
l'eccessivo ampliamento dell'organico delle imprese nel caso  in  cui
numerosi rapporti di lavoro a termine fossero trasformati in rapporti
a tempo indeterminato per via giudiziale. 
    Nessun contrasto sarebbe ravvisabile  con  l'art.  24  Cost.,  in
quanto  la  modifica,   temporanea   ed   eccezionale   dell'apparato
sanzionatorio non incide  sulla  tutela  giurisdizionale  che  rimane
salda, mentre, quanto agli artt. 101,  102  e  104  Cost.,  la  norma
censurata  non  influisce  sulla  funzione  giudiziaria,  poiche'  il
contratto a termine, oggetto del «giudizio in corso»  resta  comunque
soggetto al  sindacato  giurisdizionale  cui  compete  l'accertamento
della legittimita' del contratto medesimo. 
    6. - E' intervenuto il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
eccependo l'inammissibilita' della questione concernente gli artt. 1,
comma 1, e 11 del d.lgs. n.  368  del  2001,  sia  perche'  priva  di
adeguata motivazione, sia perche' posta in  astratto:  il  rimettente
infatti,  pur  non  essendo  provate  le  esigenze  sostitutive   che
potrebbero  giustificare  l'apposizione  del  termine,  dichiara   di
sollevare la questione «a prescindere da ogni valutazione  in  ordine
alla sufficienza della giustificazione quale offerta  e  provata  nel
caso di specie». 
    L'interveniente  rileva  inoltre  che  la  questione   e'   stata
sollevata senza aver preventivamente escluso  che  nella  fattispecie
fosse intervenuto un mutuo consenso  tra  le  parti  in  ordine  alla
risoluzione del rapporto dedotto in giudizio  (ipotesi  configurabile
nel caso di specie, nel quale il lavoro era stato svolto per meno  di
tre mesi, mentre la domanda giudiziale era stata proposta  quasi  tre
anni dopo la scadenza del termine). 
    Tale ragione di irrilevanza si estende, ad  avviso  della  difesa
erariale, anche alla censura mossa all'art. 4-bis, il quale regola le
conseguenze economiche della violazione dell'art. 1, oltre che  degli
artt.  2  e  4:  solo  nel  caso  in  cui  dovesse  pervenirsi   alla
illegittimita' costituzionale dell'art.  1,  la  questione  dell'art.
4-bis diverrebbe rilevante; ove, invece,  non  fosse  possibile  (per
irrilevanza) accertare la violazione dell'art. 1, sarebbe impossibile
pervenire ad un giudizio di illegittimita' dell'art. 4-bis. 
    Secondo il Presidente del Consiglio dei  ministri,  la  questione
e', comunque, infondata nel merito. 
    L'obbligo del datore di lavoro  di  indicare  il  nominativo  del
lavoratore sostituito, quale condizione di liceita'  dell'apposizione
del termine, puo' ritenersi logicamente implicito, o  ricompreso  nel
piu' ampio obbligo - prescritto dall'art. 1 del  d.lgs.  n.  368  del
2001  -  di  indicare,  per  iscritto,  specificandole,  le   ragioni
sostitutive. La  questione  dovrebbe  quindi  risolversi  in  termini
interpretativi (di rigetto). 
    Infondata sarebbe, infine la questione riguardante  l'art.  4-bis
del d.lgs. n. 368  del  2001,  norma  che,  ad  avviso  della  difesa
erariale,  non  discrimina   i   lavoratori   interessati.   Inoltre,
l'ordinanza di rimessione specifica quali  sarebbero  le  conseguenze
economiche della dichiarazione di invalidita' del termine in  assenza
dell'art. 4-bis, e nemmeno dimostra che il  regime  introdotto  dalla
norma censurata sia necessariamente  deteriore  rispetto  agli  altri
possibili  regimi  risarcitori  ipotizzabili  in  base  alle   regole
generali. 
    7. - Nel corso del giudizio di appello proposto  dalla  Compagnia
Internazionale delle Carrozze Letti e del Turismo avverso la sentenza
del Tribunale di Torino del 5 febbraio 2008,  che  aveva  accolto  la
domanda dei lavoratori A.O. e A.G. volta ad ottenere la  declaratoria
di nullita' del termine apposto  al  loro  contratto  di  lavoro,  in
violazione dell'art. 1 del d.lgs.  n.  368  del  2001,  la  Corte  di
appello  di   Torino   ha   sollevato   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 4-bis  del  d.lgs.  n.  368  del  2001,  per
contrasto con gli artt. 3 e 24 Cost., nella parte in cui dispone che,
per i giudizi in corso alla data della sua entrata in vigore, in caso
di violazione degli artt. 1, 2 e 4 del d.lgs. n.  368  del  2001,  il
datore di lavoro e' tenuto unicamente ad indennizzare  il  prestatore
di lavoro secondo predeterminati criteri di  calcolo  dell'indennita'
(r.o. n. 427 del 2008). 
    Ad avviso del giudice a quo, la  norma  censurata  contrasterebbe
con il principio di uguaglianza sancito dall'art.  3  Cost.,  poiche'
prevede una tutela attenuata per i lavoratori  a  termine  che  siano
parti in un giudizio in corso, rispetto a tutti gli altri  lavoratori
a tempo determinato, e con l'art. 24  Cost.,  perche'  un  intervento
legislativo che, come nella specie, riguarda solo un  certo  tipo  di
controversie pendenti ad una certa data sarebbe privo  del  carattere
di astrattezza proprio della legislazione  ed  assumerebbe  carattere
provvedimentale generale con riguardo ai giudizi in corso,  invadendo
cosi' l'area riservata al potere giudiziario. Con la conseguenza  che
ne  sarebbero  pregiudicati  i  soli  ricorrenti  che,  per   ragioni
assolutamente casuali, abbiano introdotto la causa prima dell'entrata
in vigore della legge censurata e la stessa non fosse stata  definita
prima della medesima data. 
    Precisa la Corte di appello di  Torino  che  la  norma  censurata
appare tanto piu' irragionevole, perche' distingue tra coloro che per
motivi indipendenti dalla loro volonta' (attivita'  del  sindacato  o
del legale, durata dei processi) hanno ottenuto una sentenza non piu'
impugnabile e coloro che hanno  ancora  un  giudizio  in  corso,  pur
avendo ipoteticamente stipulato un contratto a termine con lo  stesso
datore di lavoro e nello stesso periodo; e, ancora,  tra  coloro  che
hanno depositato il ricorso introduttivo del giudizio il giorno prima
della pubblicazione della legge e coloro che lo depositano il  giorno
dopo la sua entrata in vigore. 
    8. - E' intervenuto il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
eccependo l'irrilevanza della questione in quanto il  giudice  a  quo
non si e' pronunciato sulla  illegittimita'  del  termine,  prima  di
affrontare la norma censurata. 
    Nel merito, la difesa erariale sostiene  che  il  presupposto  di
fatto  della  norma  censurata  e'  stato  l'enorme  dilatazione  del
contenzioso diretto a contestare la  validita'  dell'apposizione  del
termine ai contratti di lavoro, con possibile vanificazione, a  causa
dell'incertezza delle conseguenze economiche delle  dichiarazioni  di
invalidita' delle clausole oppositive del  termine,  delle  finalita'
della riforma della disciplina  del  contratto  a  tempo  determinato
operata dal d.lgs. n. 368 del 2001  (aumento  delle  possibilita'  di
accesso al lavoro subordinato per lavoratori destinati  altrimenti  a
forme ancora piu' precarie di lavoro). 
    L'interveniente nega, poi, che l'art. 4-bis del d.lgs. n. 368 del
2001 discrimini i lavoratori interessati dai  contenziosi  in  corso,
anche perche' le soluzioni  offerte  dalla  giurisprudenza  circa  le
conseguenze economiche della dichiarazione di invalidita' del termine
apposto al contratto di lavoro non sono mai pervenute a costituire un
«diritto vivente» e il rimettente non ha dimostrato  che  il  sistema
sanzionatorio introdotto dalla norma  censurata  sia  necessariamente
deteriore rispetto ad altri regimi. 
    Infine,   non   sussisterebbe   alcuna   lesione   della   tutela
giurisdizionale, poiche' un intervento legislativo  applicabile  alle
controversie in corso e' in linea di  principio  ammissibile  qualora
giustificato (come nella fattispecie) da una  particolare  situazione
oggettiva rispetto alla quale esso sia logicamente coerente. 
    9. - Nel corso di un giudizio promosso  da  S.  D.  contro  Poste
Italiane    s.p.a.     diretto     ad     ottenere     l'accertamento
dell'illegittimita'  del  termine  apposto  ai  contratti  di  lavoro
sottoscritti dalle parti «per ragioni di carattere  sostitutivo»,  in
quanto nei documenti negoziali  non  sarebbero  stati  specificamente
indicati i lavoratori sostituiti, ne' la ragione per la quale  questi
ultimi sarebbero rimasti assenti dal lavoro, il Tribunale  di  Trani,
ha sollevato questione di legittimita' costituzionale degli artt. 1 e
11 del d.lgs. n. 368 del 2001, in riferimento agli  artt.  76  e  77,
primo comma, Cost. (r.o. n. 434 del 2008). 
    Secondo il giudice a quo,  la  fattispecie  contrattuale  sarebbe
pacificamente disciplinata - ratione  temporis  -  dall'art.  11  del
d.lgs. n 368 del 2001, che ha abrogato la legge n. 230 del 1962,  ivi
compreso l'art. 1, comma  2,  lettera  b),  a  mente  del  quale  era
consentita l'apposizione di un  termine  alla  durata  del  contratto
quando l'assunzione avesse  avuto  luogo  per  sostituire  lavoratori
assenti con diritto alla conservazione  del  posto,  sempre  che  nel
contratto di lavoro fosse  stato  indicato  il  nome  del  lavoratore
sostituito e la causa della sostituzione. 
    Aggiunge il rimettente che  la  norma  censurata  rappresenta  un
arretramento di tutela per il lavoratore,  il  quale  non  puo'  piu'
pretendere che, gia' nel contratto, gli siano fornite le informazioni
che gli consentano  di  valutare  preventivamente  l'opportunita'  di
promuovere o meno l'azione giudiziaria e di evitargli,  nel  caso  in
cui scelga  la  strada  dell'azione,  il  rischio  di  trovarsi,  nel
processo, di fronte a situazioni di fatto non valutabili in anticipo. 
    Premesso che il d.lgs. n. 368 del  2001  e'  stato  adottato  dal
Governo italiano in esecuzione della delega conferitagli dalla  legge
n. 422 del 2000, osserva il rimettente che,  poiche'  il  legislatore
delegante  si  e'  limitato  a  rinviare  alle  «prescrizioni»  della
direttiva 1999/70/CE, a sua volta intervenuta solo su alcuni  aspetti
della disciplina del  contratto  a  termine  ed  in  particolare  sul
«principio di non discriminazione» (clausola  4),  sulle  «misure  di
prevenzione  degli  abusi  [...]  derivanti  dall'utilizzo   di   una
successione di contratti o rapporti di lavoro  a  tempo  determinato»
(clausola 5), nonche' sulle regole da valere in tema di «informazione
e  possibilita'  di  impiego»  (clausola  6)  e  di  «informazione  e
consultazione» (clausola 7), dovrebbe ritenersi assolutamente  «fuori
delega» la scelta del Governo di abrogare tout court la legge n.  230
del 1962 e, per quel che qui interessa,  la  norma  dettata,  per  la
causale sostitutiva, dall'art. 1,  comma  2,  lettera  b),  di  detta
legge. 
    Inoltre, ad avviso del Tribunale di Trani, sarebbe violato l'art.
76 Cost., poiche' la legge di delega n. 422 del  2000  non  prevedeva
principi direttivi ulteriori rispetto all'attuazione della  direttiva
1999/70/CE la quale, alla clausola 8, punto 3, dell'accordo quadro da
essa recepito, dispone che l'applicazione  dell'accordo  non  avrebbe
potuto costituire un motivo per indurre il livello generale di tutela
offerto ai lavoratori nell'ambito coperto dall'accordo stesso, mentre
le  disposizioni   censurate,   sopprimendo   la   necessita'   della
indicazione del nominativo del lavoratore sostituito, determinano  un
arretramento della tutela  garantita  ai  lavoratori  del  precedente
regime. 
    10.  -  Costituitosi  nel  giudizio  di   costituzionalita',   il
lavoratore attore nel giudizio principale,  aderendo  alla  tesi  del
rimettente, rileva che la legge n. 422 del 2000, pur  facendo  «salvi
gli specifici principi e criteri direttivi stabiliti  negli  articoli
seguenti», in  realta',  con  specifico,  riferimento  all'attuazione
della direttiva 1999/70/CE,  non  ne  ha  indicato  alcuno;  pertanto
sarebbe  evidente,  anche  alla  luce  dei  lavori  parlamentari,  la
volonta'  del  legislatore  delegante  di  conservare  la  precedente
disciplina del contratto a termine  e,  comunque,  di  rispettare  la
clausola di non regresso. 
    Ne deriverebbe, ad avviso della parte privata, che le conclusioni
cui e' pervenuta questa Corte nella sentenza n. 44 del  2008  debbano
essere necessariamente estese agli artt. 1 e 11 del d.lgs. n. 368 del
2001, visto che il  legislatore  delegato,  abrogando  la  precedente
normativa sul contratto a termine e ridisciplinando  questo  istituto
nei termini di cui al predetto art.  1,  avrebbe  violato  l'art.  77
della Costituzione. 
    Secondo  il  ricorrente,  l'unica  interpretazione  in  grado  di
garantire la legittimita' costituzionale  degli  artt.  1  e  11  del
d.lgs. n. 368 del 2001 e' quella che, con specifico riferimento  alle
causali «sostitutive», preclude al datore di lavoro  la  possibilita'
di utilizzare il contratto a tempo determinato per  far  fronte  alla
necessita' di sostituire personale in ferie, a maggior ragione quando
manchi, nel documento negoziale, la specificazione del nominativo del
lavoratore sostituito e del motivo della sua assenza. 
    11. - Si e' costituita nell'incidente di costituzionalita'  Poste
Italiane  s.p.a,  chiedendo   che   la   questione   sia   dichiarata
inammissibile o, comunque, infondata. 
    Ad avviso della societa', la clausola  di  non  regresso  sarebbe
diretta ad escludere che un arretramento di tutele, in se' pienamente
legittimo, possa fondarsi sul pretesto della apparente necessita'  di
attuare una direttiva comunitaria. 
    Che questo sia l'obiettivo del legislatore comunitario emerge con
chiarezza  dalle  disposizioni  contenute  nella   stessa   direttiva
1999/70/CE,  la  quale,  al  considerando  n.  3,  afferma  che   «la
realizzazione del mercato interno deve portare  ad  un  miglioramento
delle condizioni di vita e di lavoro dei lavoratori  nella  Comunita'
europea»  precisando  che  «Tale  processo   avverra'   mediante   il
ravvicinamento di tali  condizioni,  che  costituisca  un  progresso,
soprattutto per quanto riguarda le forme di lavoro diverse dal lavoro
a tempo indeterminato, come il lavoro a tempo determinato». 
    Secondo la societa' resistente dalla lettura delle previsioni del
d.lgs. n. 368 del 2001  emergerebbe  che  il  legislatore  nazionale,
lungi dal discostarsi  dalle  finalita'  perseguite  dall'ordinamento
comunitario, le ha compiutamente  realizzate  tramite  una  serie  di
previsioni  tese  ad  attuare  i  precetti  di  cui  alla   direttiva
1999/70/CE. 
    In proposito, la Poste Italiane S.p.A. richiama la sentenza della
Corte di cassazione n. 12985 del 2008  secondo  la  quale  «non  puo'
condividersi la tesi, sostenuta da una parte della dottrina, che,  in
base ad una lettura incompleta  della  direttiva  e  delle  sentenze,
ritiene che il primo ed unico contratto a tempo determinato,  di  per
se',   sia   estraneo   all'oggetto   della   direttiva».   A    tale
considerazione, la Corte di cassazione perviene valorizzando  proprio
i  «considerando»  della  direttiva  citata  e  dell'accordo   quadro
allegato dai quali risulta che la direttiva, oltre  a  stabilire  «in
particolare» un regime con riferimento alla parita' di trattamento  e
alla prevenzione degli abusi derivanti  dall'utilizzo  di  successivi
rapporti a tempo determinato ha una portata «in generale» secondo cui
l'accordo quadro, nello stabilire i principi generali e  i  requisiti
minimi relativi al  lavoro  a  tempo  determinato,  si  riferisce  ai
contratti  e  ai  rapporti  di  lavoro  a  termine.  I   giudici   di
legittimita' rimandano infine, alla lettura del considerando 14,  dal
quale risulta che le parti contraenti  «hanno  voluto  concludere  un
accordo quadro sul  lavoro  a  tempo  determinato  che  stabilisce  i
principi generali ed i requisiti minimi per i contratti e i  rapporti
di lavoro a tempo determinato», senza operare una distinzione tra  il
primo contratto a termine ed i successivi. 
    12. - E' intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, secondo il  quale  la  questione  proposta  e'  manifestamente
inammissibile  per  difetto  di  motivazione  in  ordine   alla   sua
rilevanza. 
    Invero, il rimettente avrebbe omesso di considerare che l'art.  1
del d.lgs. n. 368 del 2001, anche  se  non  riproduce,  al  comma  1,
l'onere dell'indicazione espressa del nome del lavoratore  sostituito
e della causa della sostituzione, introduce tuttavia, al comma 2,  un
dovere  di  specificazione  delle  ragioni  di   carattere   tecnico,
produttivo,   organizzativo   o    sostitutivo    che    giustificano
l'apposizione del termine al contratto di lavoro subordinato.  Dunque
sarebbe  insufficiente  la  mera  indicazione   delle   esigenze   di
sostituzione temporanea, perche', in  forza  dell'art.  1,  comma  2,
devono essere specificate le circostanze che inducono tali esigenze. 
    Ad avviso della  difesa  erariale,  questa  lettura  della  norma
riduce sensibilmente, sino quasi ad annullarle, le differenze tra  il
precetto contenuto nell'art. 1 della legge n. 230 del 1962  e  quello
della disposizione censurata. 
    Il Presidente del Consiglio dei ministri  afferma,  poi,  che  la
questione sarebbe anche infondata. 
    Innanzitutto, la situazione  che  questa  Corte  e'  chiamata  ad
affrontare sarebbe diversa da quella esaminata dalla sentenza  n.  44
del 2008, perche' le norme denunciate nella presente fattispecie sono
volte a regolare la materia trattata  dalla  direttiva,  e  cioe'  la
prevenzione dell'abuso di contratti a termine. 
    Inoltre questa Corte, con  sentenza  n.  41  del  2000,  ha  gia'
affermato che, nel recepire la direttiva  in  esame,  il  legislatore
nazionale  avrebbe  mantenuto  una  considerevole   discrezionalita',
potendo,  nel  rispetto  delle  scelte  di  fondo   della   normativa
comunitaria, modificare le garanzie esistenti. 
    Orbene, secondo l'Avvocatura generale dello Stato, l'art.  1  del
d.lgs. n. 368 del 2001 in una certa misura  rafforza  le  garanzie  a
tutela del lavoratore,  che  -  diversamente  da  quanto  ritiene  il
Tribunale  di  Trani  -  non  sono  significativamente  attenuate   o
peggiorate dalla mancata previsione dell'onere di  indicare  il  nome
del  lavoratore  sostituito.  Tale   opzione   normativa   ricadrebbe
nell'area di discrezionalita' riconosciuta al legislatore interno  ed
appare coerente con l'evoluzione del quadro normativo in  materia  di
diritto alla protezione  dei  dati  personali,  che  in  questo  caso
investe  le  prevalenti  esigenze  di  riservatezza  del   lavoratore
sostituito. 
    13. - Nel corso del giudizio di appello proposto dalla Eso Strade
s.r.l. avverso la sentenza del Tribunale di Genova che aveva  accolto
la domanda di C. Z. diretta ad ottenere la declaratoria  di  nullita'
del termine apposto al proprio contratto  di  lavoro,  in  violazione
dell'art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001, la Corte di appello di Genova
ha sollevato questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4-bis
del d.lgs. n. 368 del 2001, per contrasto con  gli  artt.  3  e  117,
primo comma, Cost. (r.o. n. 441 del 2008). 
    La Corte rimettente afferma che il contratto dedotto in  giudizio
non specifica la  ragione  utile  a  giustificare  l'apposizione  del
termine, con la conseguenza che, dovendosi  ritenere  illegittimo  il
termine medesimo, occorrerebbe affermare la conversione del contratto
da tempo determinato a tempo indeterminato. 
    Sennonche',  una  tale  conseguenza  e'  impedita   dalla   norma
censurata la quale, con riferimento ai giudizi in  corso  al  momento
della sua entrata in vigore, consente  soltanto  l'erogazione  di  un
indennizzo a favore del lavoratore. 
    Ad avviso del giudice a  quo,  tale  disposizione  contrasta  con
l'art. 3 Cost.,  perche'  sostituisce  al  regime  codicistico  della
nullita' parziale (art. 1419 cod. civ.) una disciplina  che  riguarda
pero' solo i contratti a termine per i quali e' in corso un  giudizio
al momento della sua entrata in vigore. Nel fare cio', il legislatore
ha  introdotto  una  diversita'   delle   conseguenze   del   termine
illegittimo ancorata  alla  circostanza  del  tutto  casuale  che  il
lavoratore abbia o meno iniziato il giudizio. 
    La norma denunciata si porrebbe inoltre in contrasto  con  l'art.
117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 6 della CEDU, il quale
impone    al    potere    legislativo    di     non     intromettersi
nell'amministrazione della giustizia allo  scopo  di  influire  sulla
risoluzione  di  una  controversia  o  di  una  data   categoria   di
controversie in atto. Nella fattispecie vengono modificati per factum
principis i diritti sostanziali a tutela dei quali  si  e'  agito  in
giudizio, senza che ricorrano quelle imperiose  esigenze  d'interesse
generale richieste dalla CEDU come condizione per superare il divieto
d'ingerenza. 
    14. - Nel giudizio  di  costituzionalita'  si  e'  costituito  il
lavoratore appellato, aggiungendo alle argomentazioni  dell'ordinanza
di  rimessione  il  rilievo  che  la  norma  impugnata   crea   gravi
inconvenienti anche nel caso di procedimenti i quali, alla data della
sua  entrata  in  vigore,  erano  pendenti  davanti  alla  Corte   di
cassazione che li  aveva  gia'  decisi  con  sentenza  in  attesa  di
pubblicazione. 
    La  norma,  poi,  sarebbe  foriera  di  discriminazioni   fra   i
lavoratori, a seconda che i  datori  di  lavoro  siano  o  meno  gia'
costituiti nelle  cause  pendenti;  infatti,  solamente  in  caso  di
contumacia della controparte i lavoratori potrebbero rinunziare  agli
atti del giudizio - non abbisognando,  ai  sensi  dell'art.  306  del
codice di procedura civile, dell'accettazione del  datore  di  lavoro
convenuto  -  e  ripresentare   la   medesima   domanda   giudiziale,
sottraendosi cosi' alla disciplina penalizzante introdotta  dall'art.
4-bis del d.lgs. n. 368 del 2001. 
    Ne'  tali  discriminazioni  potrebbero  trovare   giustificazione
nell'esigenza di regolare  una  situazione  di  «assoluta  necessita»
quale quella positivamente apprezzata dalla sentenza n. 419 del  2000
di questa Corte. 
    15. - Il Presidente del Consiglio dei ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  e'  intervenuto  nel
giudizio di costituzionalita'  ed  ha  eccepito  l'irrilevanza  della
questione, osservando che alla conversione del contratto a termine in
contratto a  tempo  indeterminato  puo'  pervenirsi  solo  dopo  aver
verificato  che,  una   volta   scaduto   il   termine   illegittimo,
l'interruzione della prestazione lavorativa non sia dipesa  da  mutuo
consenso tra le parti del rapporto, circostanza,  questa,  desumibile
anche dalla brevita' del rapporto di lavoro  e  dal  lungo  lasso  di
tempo intercorso tra la cessazione della  prestazione  e  la  domanda
giudiziale diretta ad  ottenere  la  conversione.  Nella  fattispecie
oggetto del giudizio principale, il ricorso con  il  quale  e'  stata
richiesta la conversione e' stato depositato dopo un anno e  un  mese
dalla cessazione del rapporto. 
    Nel merito la  difesa  erariale  sostiene  che  la  questione  e'
infondata, per i motivi gia' indicati  nell'atto  di  intervento  nel
giudizio relativo all'ordinanza n. 427 del 2008 (v.,  supra,  sub  n.
8). 
    16. - Nel corso di due giudizi promossi da altrettanti lavoratori
al fine di  ottenere,  previo  accertamento  dell'illegittimita'  del
termine apposto ai rispettivi contratti di lavoro  e  delle  relative
proroghe, la condanna del datore di lavoro al ripristino dei rapporti
di lavoro ed al pagamento delle retribuzioni nel frattempo  maturate,
il Tribunale di Ascoli Piceno, con due distinte ordinanze  (r.o.  nn.
442  e  443  del  2008),  ha  sollevato  questione  di   legittimita'
costituzionale dell'art. 4-bis  del  d.lgs.  n.  368  del  2001,  per
contrasto con gli artt. 3, 11 e 117, primo comma, della Costituzione. 
    Secondo il rimettente, i contratti oggetto dei giudizi principali
sono privi di idonea indicazione delle ragioni della apposizione  del
termine e delle relative proroghe. 
    Secondo il giudice a quo, pertanto, applicando la  legge  vigente
al momento della instaurazione del rapporto e della introduzione  del
giudizio,  si  dovrebbe  dichiarare  la  conversione  del  primo  dei
contratti a termine in contratto a tempo indeterminato  e  condannare
il  convenuto  al  ripristino  del  rapporto.  L'entrata  in   vigore
dell'art. 4-bis del d.lgs. n. 368 del 2001  precluderebbe,  tuttavia,
una pronuncia di tal fatta, ma la norma sarebbe lesiva del canone  di
ragionevolezza desumibile dall'art. 3,  primo  comma,  Cost.,  e  non
ispirata da preminenti ed eccezionali ragioni di interesse generale. 
    Inoltre essa colliderebbe anche con il principio  di  uguaglianza
enunciato dall'art. 3 Cost., perche' introduce un'evidente disparita'
di trattamento fra  i  lavoratori  assunti  a  tempo  determinato  in
violazione delle condizioni previste dagli artt. 1, 2 e 4, del d.lgs.
n. 368 del 2001 che abbiano avviato una  controversia  prima  del  23
agosto 2008 e  non  l'abbiano  vista  ancora  definita  con  sentenza
passata in giudicato, ed i lavoratori che,  versando  nella  identica
situazione, abbiano promosso  la  controversia  successivamente  alla
suddetta data. 
    Infine, il Tribunale di Ascoli Piceno sostiene che  l'art.  4-bis
del d.lgs. n. 368 del 2001 lederebbe gli artt. 11, secondo periodo, e
117, primo comma, Cost., perche' esso, riducendo la tutela  accordata
in precedenza dall'ordinamento ai lavoratori assunti con contratto  a
tempo determinato, viola la clausola 8, punto 3, dell'accordo  quadro
sul lavoro a tempo determinato recepito dalla direttiva 1999/70/CE e,
conseguentemente, l'obbligo del legislatore interno di  rispettare  i
vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario ed internazionale. 
    17. - Nei due giudizi  di  costituzionalita'  e'  intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello  Stato,  chiedendo  che  le  questioni
siano  dichiarate  manifestamente  inammissibili   o   manifestamente
infondate. 
    Secondo la difesa erariale, le questioni sarebbero  inammissibili
a causa della insufficiente motivazione della rilevanza, in relazione
all'affermazione  secondo  cui  si  verterebbe  in  casi  nei  quali,
accertata l'illegittimita' del termine, si  dovrebbe  pronunciare  la
conversione in rapporto di  lavoro  a  tempo  indeterminato,  il  che
sarebbe  impedito  soltanto  dall'operativita'  dell'art.  4-bis  del
d.lgs. n. 368 del 2001. 
    Ad  avviso  della  medesima  difesa,  le   questioni   sarebbero,
comunque, infondate nel merito. 
    In particolare, con riferimento alla  presunta  violazione  degli
artt. 11 e 117 Cost., il Presidente del Consiglio dei ministri rileva
che la norma censurata non e' stata introdotta  in  attuazione  della
direttiva 1999/70/CE, essendo quindi estranea all'ambito del  divieto
di  reformatio  in  peius  stabilito  dalla  clausola  8,  punto   3,
dell'accordo quadro da essa recepito. 
    Rispetto alla dedotta violazione dell'art. 3  Cost.,  invece,  la
difesa erariale deduce  i  medesimi  argomenti  svolti  nell'atto  di
intervento nel giudizio relativo all'ordinanza n. 427 del  2008  (v.,
supra, sub n. 8). 
    18. - Nel corso di un giudizio promosso da A.  D.  G.  contro  il
Teatro  stabile  del  Friuli-Venezia  Giulia  al  fine  di   ottenere
l'annullamento del termine apposto ai contratti di  lavoro  stipulati
con il convenuto, l'accertamento della sussistenza di un  rapporto  a
tempo indeterminato a  far  data  dal  1°  gennaio  2002  e,  in  via
subordinata,  la  condanna  del  Teatro   stabile   del   Friuli   al
risarcimento dei danni per tutto il periodo  di  mancata  prestazione
del lavoro,  il  Tribunale  di  Trieste  ha  sollevato  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 4-bis del  d.lgs.  n.  368  del
2001, per contrasto con gli artt. 3 e 117, primo comma,  Cost.  (r.o.
n. 4 del 2009). 
    Circa il primo dei  due  predetti  parametri  costituzionali,  il
giudice a quo ritiene che la norma  censurata  abbia  introdotto  una
normativa non riguardante tutti i rapporti a termine stipulati ad una
certa data, ma soltanto quelli per i quali il giudizio e'  in  corso,
penalizzando cosi' coloro che hanno sollecitamente adito il giudice a
tutela dei propri diritti. 
    La disposizione - a giudizio del  rimettente  -  non  e'  neanche
idonea a realizzare lo scopo per il quale era stata  introdotta,  dal
momento che essa concerne soltanto il contenzioso  in  essere  e  non
tutto quello potenziale. Essa, poi, non e' giustificata da  interessi
costituzionalmente  rilevanti,  ne'  dalle  dimensioni   dell'impresa
interessata. 
    Quanto all'art. 117, primo comma, Cost., il Tribunale di  Trieste
sostiene che esso sarebbe violato perche' la norma censurata si  pone
in  contrasto  con  l'art.  6  della  CEDU,  il  quale  impedisce  al
legislatore di intervenire con norme ad hoc  per  la  risoluzione  di
controversie in corso. 
    19. - Nel giudizio di costituzionalita' si e' costituito l'attore
nella  causa  principale,  riportandosi  ai  motivi  espressi   dalla
ordinanza di rimessione. 
    20. - E' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale
ha  eccepito  preliminarmente  l'inammissibilita'  della   questione,
osservando che l'ipotesi della risoluzione del rapporto di lavoro per
mutuo consenso andrebbe sempre verificata preliminarmente ed esclusa,
prima di affermare l'applicabilita' dell'art. 4-bis del d.lgs. n. 368
del 2001 alla fattispecie concreta. 
    Nel merito la  difesa  erariale  sostiene  che  la  questione  e'
infondata, per i motivi gia' indicati  nell'atto  di  intervento  nel
giudizio relativo all'ordinanza n. 427 del 2008 (v.,  supra,  sub  n.
8). 
    21. - E' intervenuta anche  l'Associazione  «Articolo  21  Liberi
di»,  che  ha  concluso  per  la  fondatezza   della   questione   di
legittimita' costituzionale. 
    22. - Nel corso del giudizio d'appello proposto da A.R. contro la
sentenza con la quale il Tribunale di Trani  aveva  respinto  il  suo
ricorso diretto ad ottenere, previa declaratoria della  nullita'  del
termine apposto al contratto in questione, fosse dichiarato  che  fra
le parti  si  era  instaurato  ab  origine  un  contratto  di  lavoro
subordinato a tempo indeterminato e che la societa'  convenuta  fosse
condannata a riammetterla in servizio ed al  pagamento  di  tutte  le
retribuzioni maturate dal momento  in  cui  aveva  posto  le  proprie
attivita' a disposizione del datore di lavoro, la Corte d'appello  di
Bari ha sollevato questione di legittimita' costituzionale  dell'art.
4-bis del d.lgs. n. 368 del 2001, per contrasto con  gli  artt.  3  e
117, primo comma, Cost. (r.o. n. 12 del 2009). 
    La Corte rimettente premette che, ove dovesse  ritenersi  fondata
la tesi del lavoratore appellante circa la genericita' della  formula
adottata nel contratto di lavoro stipulato dalle  parti  al  fine  di
indicare   le   ragioni   sostitutive   poste    a    giustificazione
dell'apposizione  del   termine,   quest'ultima   clausola   dovrebbe
ritenersi nulla. Pertanto, in ipotesi, il contratto di lavoro dedotto
nel  giudizio  principale  dovrebbe  essere   considerato   a   tempo
indeterminato sin dall'inizio. 
    Tuttavia una simile conseguenza e' impedita dall'art.  4-bis  del
d.lgs. n. 368 del 2001, norma che pero', ad avviso del giudice a quo,
e' contraria al principio di eguaglianza di cui all'art. 3 Cost. 
    Infatti,  ove  mai  altro  lavoratore  nelle   stesse   identiche
condizioni dell'appellante nel giudizio principale facesse valere  le
stesse  ragioni  di  illegittimita'  con   un   giudizio   introdotto
successivamente alla data di entrata in vigore dell'art.  4-bis,  del
d.lgs. n. 368  del  2001,  avrebbe  diritto  alla  riassunzione,  non
essendo a lui applicabile l'art. 4-bis medesimo. 
    La norma censurata sembra  alla  Corte  rimettente  in  contrasto
anche con il  principio  dell'affidamento  legittimamente  posto  dal
cittadino sulla certezza dell'ordinamento  giuridico  quale  elemento
essenziale dello Stato di diritto. 
    Ad avviso del giudice  a  quo,  la  norma  denunciata  contrasta,
altresi', con l'art. 117, primo comma, Cost., in relazione all'art. 6
della CEDU. 
    23. - Si e'  costituita  nel  giudizio  di  costituzionalita'  la
lavoratrice A. R.,  chiedendo  l'accoglimento  della  questione,  per
motivi analoghi a quelli svolti nelle ordinanze di rimessione. 
    24. - Si e' costituita anche la  Poste  Italiane  S.p.A.  che  ha
chiesto   che   la   questione   sia   dichiarata   inammissibile   o
manifestamente infondata. 
    Secondo la societa', l'art. 4-bis del d.lgs. n. 368 del  2001  e'
norma  avente  natura  transitoria,  espressione  di  un  ragionevole
esercizio  della  discrezionalita'  del  legislatore.   Essa,   lungi
dall'introdurre una diversita' di trattamento per lavoratori  che  si
trovino nella medesima situazione, riporta ad equita' il  contenzioso
sui contratti a termine, disciplinando le  conseguenze  di  eventuali
violazioni in tutti i casi in cui l'eventuale cumulo dei contratti  a
termine non abbia superato i  trentasei  mesi  (fattispecie  prevista
dall'art. 5, comma 4-bis, del d.lgs. n. 368 del 2001). Il legislatore
sarebbe intervenuto per porre  fine  al  contrasto  giurisprudenziale
circa la possibile applicazione dell'art.  1419,  primo  comma,  cod.
civ., chiarendo - per il futuro - il regime sostanziale e  l'apparato
sanzionatorio. 
    Inoltre, l'effetto della disposizione, limitato «ai soli  giudizi
in corso alla data di entrata in vigore» della legge n. 133 del 2008,
evidenzia  l'adesione  del  legislatore  al  prevalente  orientamento
giurisprudenziale, di legittimita' e di  merito,  per  cui  non  puo'
darsi per esistente una volonta'  di  prosecuzione  del  rapporto  di
lavoro in capo a colui che pretende di esserne parte dopo un cospicuo
lasso di tempo, decorso  dallo  spirare  del  termine  in  questione.
Nell'ottica del legislatore i giudizi  non  in  corso  alla  data  di
entrata in vigore della norma censurata si dovrebbero concludere  con
il rigetto del ricorso per risoluzione del  rapporto  di  lavoro  per
mutuo consenso. 
    Quanto alla pretesa lesione dell'art. 117, primo comma, Cost., la
societa' eccepisce l'inammissibilita' della questione per difetto  di
motivazione,   non   potendosi   comprendere   in   che   modo,   con
l'introduzione della norma di cui si discute, sia stata  limitata  la
funzione  giurisdizionale.  Il  contratto  a  termine   oggetto   del
«giudizio in corso» e' comunque soggetto al sindacato giudiziale  cui
compete l'accertamento della legittimita' del contratto stesso, senza
alcuna   compromissione   del   libero   esercizio   della   funzione
giurisdizionale. 
    25.  -  Nel  giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale  reputa  insufficiente
la motivazione della rilevanza in relazione all'affermazione  secondo
cui, nel caso in esame, si verterebbe in un'ipotesi in cui, accertata
l'illegittimita' del termine, si dovrebbe pronunciare la  conversione
in rapporto di lavoro a tempo indeterminato, e cio' sarebbe  impedito
soltanto dall'operativita' dell'art. 4-bis  del  d.lgs.  n.  368  del
2001. 
    Nel merito la  difesa  erariale  sostiene  che  la  questione  e'
infondata, per i motivi gia' indicati  nell'atto  di  intervento  nel
giudizio relativo all'ordinanza n. 427 del 2008 (v.,  supra,  sub  n.
8). 
    26. - Nel corso di un giudizio promosso dalla Airri  Medical  con
reclamo avverso l'ordinanza pronunciata ai sensi  dell'art.  700  del
codice di procedura civile dal Tribunale di Viterbo con la  quale  le
era stato ordinato di riammettere in servizio C. L. da essa  occupata
da alcuni anni ed ininterrottamente come fisioterapista, in virtu' di
reiterati contratti a termine, il Tribunale di Viterbo  ha  sollevato
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4-bis  del  d.lgs.
n. 368 del 2001, per contrasto con gli  artt.  3,  primo  comma,  24,
secondo comma, 101, 102, secondo comma, 104, secondo  comma,  e  117,
primo comma, della Costituzione (r.o. n. 22 del 2009). 
    Ad avviso del rimettente, la norma censurata violerebbe l'art.  3
Cost., perche' il legislatore avrebbe introdotto una regolamentazione
delle conseguenze scaturenti  dalla  illegittimita'  dell'apposizione
del termine che riguarda non tutti i contratti a termine stipulati ad
una certa data, ma solamente quelli  per  i  quali  e'  in  corso  un
giudizio; per tutti i contratti per  i  quali  non  era  pendente  un
giudizio alla data di entrata in vigore della legge, stipulati  prima
o successivamente a tale data, le conseguenze  continuano  ad  essere
invece  quelle  derivanti  dall'azione  di   annullamento   parziale.
Sennonche', se scopo della disposizione e' quello di  sottrarre  alle
aziende i costi che derivano dalla  illegittimita'  dei  contratti  a
termine, allora non sarebbe dato comprendere il discrimine  temporale
volto a includere i  soli  contenziosi  in  essere  e  non  tutto  il
potenziale  contenzioso.  La  norma   penalizzerebbe   proprio   chi,
comportandosi lealmente, non ha atteso anni ma ha iniziato subito  la
causa, finendo  col  premiare  invece  coloro  che  hanno  tardato  a
promuovere il contenzioso. 
    Inoltre la differenziazione di regime non sarebbe  finalizzata  a
realizzare interessi costituzionalmente  rilevanti  e  non  si  fonda
neppure sulle dimensioni dell'impresa. In sostanza, tra i  lavoratori
a tempo determinato verrebbe enucleata una quota (quelli che  avevano
un giudizio pendente)  che  viene  sottratta  alla  tutela  ordinaria
accordata a tutti  gli  altri  lavoratori  (che  non  avevano  ancora
iniziato la causa e che costituiscono il tertium comparationis  nella
valutazione della violazione del principio di eguaglianza). 
    Ad avviso del Tribunale di Viterbo l'art. 4-bis del d.lgs. n. 368
del 2001 violerebbe anche gli artt. 3, primo comma, e 24  Cost.,  per
contrasto con il generale principio  dell'affidamento  legittimamente
posto dal cittadino sulla certezza dell'ordinamento giuridico. 
    Sarebbero lesi, poi, gli artt. 101, 102, secondo  comma,  e  104,
primo comma, Cost., poiche'  un  intervento  legislativo  concernente
solamente alcuni giudizi in corso ad una  certa  data  e'  privo  del
carattere di astrattezza proprio delle norme giuridiche ed assume  un
carattere provvedimentale  generale  invasivo  dell'ambito  riservato
alla giurisdizione. 
    Infine, il rimettente denuncia la violazione dell'art. 117, primo
comma, Cost., in connessione  con  l'art.  6  della  CEDU,  il  quale
impedisce al legislatore di intervenire  con  norme  ad  hoc  per  la
risoluzione di controversie in corso. 
    27. - E' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale
ha   eccepito   l'irrilevanza   della    questione    o,    comunque,
l'insufficiente motivazione della rilevanza. Infatti, secondo  quanto
riferito dal rimettente, la  lavoratrice  ricorrente  ha  chiesto  ed
ottenuto in via d'urgenza la riammissione nel posto di lavoro  «dalla
medesima  occupato  da   alcuni   anni   e   ininterrottamente   come
fisioterapista, in virtu'  di  reiterati  contratti  a  termine».  Se
questa e' la fattispecie oggetto di causa, sembra  probabile  che  ad
essa si applichi l'art. 5 del d.lgs. n. 368 del 2001, ipotesi esclusa
dall'ambito di operativita' dell'art. 4-bis del  d.lgs.  n.  368  del
2001. 
    Nel merito la  difesa  erariale  sostiene  che  la  questione  e'
infondata, per i motivi gia' indicati  nell'atto  di  intervento  nel
giudizio relativo all'ordinanza n. 427 del 2008 (v.,  supra,  sub  n.
8). 
    28. - Con sei ordinanze (r.o nn. 25, 26, 27,  28,  86  e  87  del
2009) di  identico  contenuto,  pronunciate  in  altrettanti  giudizi
promossi contro  la  Poste  Italiane  S.p.A.  aventi  ad  oggetto  la
legittimita' dell'apposizione del  termine  ai  contratti  di  lavoro
stipulati dai lavoratori attori, il Tribunale di Milano ha  sollevato
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4-bis  del  d.lgs.
n. 368 del 2001. 
    Il rimettente deduce la violazione: 
        a) dell'art. 3 Cost., per la disparita'  di  trattamento  tra
coloro che hanno gia' ottenuto una sentenza passata  in  giudicato  o
che promuoveranno un giudizio dopo l'entrata in  vigore  della  nuova
disposizione e coloro  che,  invece,  anche  a  parita'  assoluta  di
situazioni di fatto, si trovano compresi in tale forbice temporale; 
        b) dell'art. 10 Cost., poiche' il  principio  di  parita'  di
trattamento e' principio generale del diritto internazionale che  gli
Stati  membri  si  sono  obbligati  a  rispettare,  con   conseguente
violazione dell'art. 117 Cost.; 
        c)  del  divieto  di  non  regresso  posto  dalla   direttiva
1999/70/CE, atteso che la norma censurata, emanata in  esecuzione  di
tale direttiva, costituisce un evidente arretramento  di  tutela  dei
lavoratori, rispetto allo standard comunitario; 
        d) dell'art. 6 della CEDU, il quale, nell'affermare che  ogni
persona ha diritto ad un giusto  processo  dinanzi  ad  un  tribunale
indipendente  e  imparziale,   vieta   al   potere   legislativo   di
intromettersi nell'amministrazione  della  giustizia  allo  scopo  di
influire nella risoluzione di una controversia o di  una  determinata
categoria; 
        e) dell'art. 24 Cost., avendo la norma censurata  compromesso
il diritto di difesa dei ricorrenti, sottraendo loro la  possibilita'
di ottenere il vantaggio della conversione del contratto  irregolare,
la cui prospettiva aveva direttamente  condizionato  l'esercizio  del
loro diritto di azione. 
    29. - In tutti i giudizi di costituzionalita' si sono  costituiti
i lavoratori ricorrenti nei giudizi a quibus, i quali hanno condiviso
integralmente le motivazioni delle ordinanze di rimessione  ed  hanno
segnalato che durante i lavori parlamentari erano  state  manifestate
da piu'  parti  forti  riserve  circa  la  legittimita'  della  norma
impugnata. 
    30. - Anche Poste Italiane S.p.A. si e'  costituita  in  tutti  i
giudizi di costituzionalita' ed ha chiesto  che  le  questioni  siano
dichiarate inammissibili o manifestamente infondate. 
    Circa le dedotte violazioni degli artt. 3  e  117,  primo  comma,
Cost.,  la  societa'  ha  svolto  argomentazioni  analoghe  a  quelle
contenute   nell'atto   di   costituzione   nel   giudizio   relativo
all'ordinanza della Corte di appello di Bari (v., supra, n. 24). 
    Con riferimento alla denunciata lesione dell'art. 10 Cost., Poste
Italiane s.p.a. afferma che la norma censurata  e'  razionale  e  non
viola il principio di uguaglianza, poiche' il diverso trattamento dei
lavoratori che non avevano una causa pendente al  momento  della  sua
entrata  in  vigore  si   giustifica   con   l'esigenza   di   tutela
dell'interesse generale al buon andamento dell'economia del Paese. 
    Quanto, infine,  alla  pretesa  violazione  dell'art.  24  Cost.,
anch'essa, ad avviso della societa', e' insussistente, perche' l'art.
4-bis del d.lgs. n. 368 del 2001 non vieta, ne' limita il diritto dei
lavoratori di agire in giudizio. 
    31. - In  tutti  i  giudizi  e'  intervenuto  il  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato, chiedendo,  che  la  questione  sia  dichiarata
manifestamente inammissibile o infondata. 
    Ad  avviso  della  difesa   erariale   le   questioni   sarebbero
inammissibili perche' i rimettenti non formulano indicazioni circa le
vicende dei rapporti di lavoro, ne' spiegano per quale motivo - nelle
fattispecie in esame - non si potrebbe ritenere  che  i  rapporti  di
lavoro si siano estinti per mutuo consenso. Le questioni sollevate in
riferimento agli artt. 10 e 117 Cost. sarebbero,  poi,  ulteriormente
inammissibili perche' non rientra tra i poteri del giudice  nazionale
interpretare in via definitiva il diritto comunitario. 
    Nel merito, il Presidente del Consiglio dei ministri sostiene che
non sussiste le pretesa violazione degli artt. 10 e 117, primo comma,
Cost., in rapporto alla clausola di  non  regresso,  poiche',  da  un
lato,  la  direttiva  1999/70/CE  non  si  occupa  delle  conseguenze
dell'illegittima  apposizione  del  termine   e,   dall'altro   lato,
l'introduzione  di  una  specifica  disposizione,   prima   mancante,
relativa a quelle conseguenze completa il sistema di tutela e non  ne
determina un arretramento. 
    Circa le denunciate lesioni dell'art.  3  Cost.  e  dei  principi
sulla tutela giurisdizionale, la difesa erariale  sostiene  che  esse
sono  insussistenti,  per  i  motivi  gia'  indicati   nell'atto   di
intervento nel giudizio relativo all'ordinanza n. 427  del  2008  (v.
supra, sub n. 8). 
    32. - Nel corso del giudizio di appello proposto da C.A.  avverso
la sentenza con la quale il Tribunale di Gela aveva respinto  la  sua
domanda volta ad ottenere la declaratoria  di  nullita'  del  termine
apposto al contratto di lavoro stipulato con la Poste Italiane S.p.A.
e la conversione del contratto come contratto a tempo  indeterminato,
la Corte di  appello  di  Caltanissetta  ha  sollevato  questione  di
legittimita' costituzionale dell'art. 4-bis del  d.lgs.  n.  368  del
2001, per contrasto con gli artt. 3, 24 e  117,  primo  comma,  della
Costituzione (r.o. n. 43 del 2009). 
    In relazione alla rilevanza  della  questione,  rileva  la  Corte
rimettente che, per effetto della norma censurata, non  sarebbe  piu'
possibile stabilizzare il rapporto della lavoratrice. 
    Quanto  alla  non  manifesta  infondatezza  della  questione,  il
giudice a quo osserva che: 
        a) in relazione all'art. 3 Cost., l'art. 4-bis del d.lgs.  n.
368 del 2001 introduce un'irragionevole disparita' di trattamento tra
i  lavoratori  collegata  al  solo  dato  temporale  della  data   di
proposizione del ricorso; 
        b) in relazione all'art. 24 Cost., costituisce  ius  receptum
il principio secondo cui  la  sovrana  volonta'  del  legislatore  di
emanare una  norma  incontra  una  serie  di  limiti  attinenti  alla
salvaguardia di fondamentali valori di civilta' giuridica tra cui  il
rispetto dell'affidamento legittimamente sorto negli  interessati  in
ordine  ad  un  determinato  assetto  giuridico,  nella   fattispecie
«stravolto in corso  di  causa,  con  una  indebita  limitazione  del
diritto di difesa per coloro che hanno giudizi in corso»; 
        c) la norma censurata si pone in conflitto con l'art. 6 della
CEDU (con conseguente violazione dell'art. 117, primo comma,  Cost.),
il quale impone all'amministrazione della giustizia di uno  Stato  di
non influire con norme ad hoc nella risoluzione  di  controversie  in
corso. 
    33. - Nel giudizio di costituzionalita' si  e'  costituita  Poste
Italiane S.p.A. che ha chiesto  che  le  questioni  siano  dichiarate
inammissibili o manifestamente  infondate,  svolgendo  argomentazioni
analoghe a quelle contenute nell'atto di  costituzione  nel  giudizio
relativo all'ordinanza della Corte di appello di Bari (v.  supra,  n.
24). 
    34.  -  E'  intervenuto  nel  giudizio  di  costituzionalita'  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,   il   quale   ha   eccepito
l'inammissibilita' della questione,  perche'  il  rimettente  non  ha
verificato se nella fattispecie il rapporto di lavoro si sia  estinto
per mutuo consenso. 
    Nel merito la  difesa  erariale  sostiene  che  la  questione  e'
infondata, per i motivi gia' indicati  nell'atto  di  intervento  nel
giudizio relativo all'ordinanza n. 427 del 2008 (v. supra, sub n. 8). 
    35. - Nel corso di un giudizio instaurato da M. V. nei  confronti
di Poste Italiane S.p.A., per  ottenere  l'annullamento  del  termine
apposto al proprio contratto di lavoro, con  conseguente  conversione
del proprio rapporto di lavoro in rapporto a tempo indeterminato  sin
dalla data  di  assunzione,  il  Tribunale  di  Teramo  ha  sollevato
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4-bis  del  d.lgs.
n. 368 del 2001, per violazione degli artt. 3  e  117,  primo  comma,
Cost. (r.o. n. 70 del 2009). 
    Rileva  il  rimettente  che  la  norma  censurata  e'  priva   di
razionalita',  poiche',  ove  un  altro  lavoratore,   nelle   stesse
condizioni della attrice nel giudizio principale, facesse  valere  le
stesse ragioni di illegittimita' in  una  causa  introdotta  in  data
successiva  all'entrata  in  vigore  del  citato  art.  4-bis,   quel
lavoratore avrebbe diritto alla riassunzione,  e  non  all'indennita'
prevista dalla norma censurata, non  essendo  a  lui  applicabile  la
nuova disciplina. Inoltre, per effetto  del  menzionato  art.  4-bis,
paradossalmente e'  penalizzato  proprio  colui  che  ha  gia'  fatto
ricorso al  giudice,  di  modo  che  la  norma  e'  irragionevolmente
punitiva  nei  confronti  di  chi  ha  mostrato  di   voler   reagire
prontamente ad una violazione di legge. 
    Secondo il rimettente, la norma censurata si  pone  in  contrasto
anche  con  il  generale  principio  dell'affidamento  legittimamente
assunto dal cittadino sulla certezza e sicurezza del  diritto,  quale
elemento essenziale di uno Stato di diritto, piu'  volte  valorizzato
da questa Corte. 
    Quanto all'art. 117,  primo  comma,  Cost.,  in  connessione  con
l'art. 6 della CEDU, osserva il Tribunale  di  Teramo  che  la  norma
impugnata  comporta  una  indebita  intromissione   del   legislatore
nazionale nell'amministrazione della giustizia allo scopo di influire
sulla risoluzione di una controversia o di una determinata  categoria
di controversie. 
    36. - Nel giudizio di costituzionalita' si  e'  costituita  Poste
Italiane  s..p.a.,  la  quale  ha   eccepito   l'inammissibilita'   o
l'infondatezza della questione, invocando,  preliminarmente,  l'ampia
sfera di discrezionalita' propria del legislatore nell'innovare  alla
disciplina vigente e, per il resto, ribadendo  quanto  esposto  nella
memoria di costituzione depositata in relazione  all'ordinanza  della
Corte di appello di Bari (v., supra, n. 24). 
    37. - E' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura   generale   dello   Stato,
ribadendo  le  medesime  argomentazioni   formulate   nei   confronti
dell'ordinanza n. 427 del 2008 (v. supra, sub n. 8). 
    38. - Nel corso di un giudizio  di  appello,  proposto  da  Poste
Italiane S.p.A. avverso la sentenza del Tribunale di Verona che aveva
accertato l'illegittimita' del termine apposto al contratto di lavoro
stipulato con  S.R.  e  condannato  la  societa'  al  ripristino  del
rapporto di lavoro ed al pagamento delle  retribuzioni  maturate  dal
giorno della messa in  mora,  la  Corte  di  appello  di  Venezia  ha
sollevato questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.  4-bis
del d.lgs. n. 368 del 2001, per contrasto con gli artt. 3, 24, 111  e
117 Cost. (r.o. n. 93 del 2009). 
    La Corte rimettente, premesso che il termine apposto al contratto
di lavoro dedotto nel giudizio principale e' nullo per contrasto  con
l'art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001 e che dunque,  nella  fattispecie
occorre far applicazione dell'art. 4-bis del d.lgs. n. 368 del  2001,
sostiene che quest'ultima disposizione viola: 
        a) l'art. 3 Cost., poiche' e' introduttiva  di  irragionevoli
disparita' di trattamento  tra  lavoratori  che  hanno  stipulato  un
contratto a termine in pari data; 
        b) l'art.  24  Cost.,  perche'  lede  il  diritto  all'azione
proprio nei confronti dei piu' solleciti nell'esercitarlo; 
        c) l'art. 111 Cost., per aver,  nel  corso  del  procedimento
giudiziario, modificato la tutela sostanziale accordabile al  diritto
azionato, in assenza di motivi oggettivi o di  imperiose  ragioni  di
interesse generale; 
        d) l'art. 117, primo comma, Cost., in  relazione  all'art.  6
della CEDU, il quale impedisce  al  legislatore  di  intervenire  con
norme ad hoc per la risoluzione di controversie in corso. 
    39. - E' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale
invoca la declaratoria di manifesta inammissibilita' della questione,
perche' la Corte rimettente non ha verificato se nella fattispecie il
rapporto si sia estinto per mutuo consenso. 
    Nel merito, la difesa erariale sostiene la manifesta infondatezza
della  questione  sulla  base  delle  stesse  argomentazioni  esposte
nell'atto di intervento nel giudizio relativo  all'ordinanza  n.  427
del 2008 (v. supra, sub n. 8). 
    40. - Nel corso di un  giudizio  di  appello  proposto  da  Poste
Italiane  S.p.A.  avverso  la  sentenza  del  Tribunale  di  Lanciano
relativa al risarcimento del danno spettante  ad  J.C.,  assunto  con
contratto a termine, la Corte di appello  di  L'Aquila  ha  sollevato
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 4-bis  del  d.lgs.
n. 368 del 2001 per contrasto con gli artt. 3, primo  comma,  e  117,
primo comma, Cost. (r.o. n. 95 del 2009). 
    La Corte rimettente  afferma  che  la  norma  censurata  lede  il
principio di uguaglianza  sia  con  riferimento  alla  posizione  dei
soggetti che svolgono attivita' economica  (unica  beneficiata  dalla
disposizione in esame essendo la  Poste  Italiane  S.p.A.),  sia  con
riferimento ai lavoratori (irrazionalmente discriminati in base  alla
mera pendenza del processo). 
    Invece la violazione  dell'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  che
impone al legislatore nazionale di  rispettare  i  vincoli  derivanti
dall'ordinamento  comunitario  e   dagli   obblighi   internazionali,
deriverebbe dal contrasto dell'art. 4-bis del d.lgs. n. 368 del  2001
con la clausola di non regresso prevista dalla clausola 8,  punto  3,
dell'accordo quadro recepito dalla direttiva 1999/70/CE e con  l'art.
6 della CEDU che vieta interventi legislativi diretti a favorire  una
delle parti in causa. 
    41. - Nel giudizio di costituzionalita' si  e'  costituita  Poste
Italiane  S.p.A.,  eccependo  l'inammissibilita',  o   la   manifesta
infondatezza  della  questione,   riproponendo   sostanzialmente   le
argomentazioni gia' svolte nelle memorie depositate in  relazione  ad
altre ordinanze di rimessione, piu' sopra riassunte. 
    In particolare, quanto all'art. 117 Cost., la  societa'  sostiene
che la Corte rimettente  avrebbe  dovuto  disapplicare  la  normativa
censurata, in quanto contrastante con la  clausola  di  non  regresso
contenuta nella direttiva del 1999,  o  quanto  meno  avrebbe  dovuto
esperire il rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia. 
    Quanto, poi,  all'art.  6  della  CEDU,  la  deducente  eccepisce
l'inammissibilita' della questione per carenza  di  motivazione,  non
comprendendosi  in  che  modo  la   norma   censurata   comprimerebbe
l'esercizio della funzione giurisdizionale. 
    42. - E' intervenuto il Presidente del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, il quale
ha eccepito l'inammissibilita' della questione,  perche'  l'ordinanza
di rimessione e' del tutto priva di indicazioni  di  fatto  circa  le
vicende del  rapporto  controverso  (durata  del  contratto,  singolo
contratto o reiterazione di contratti, intervallo tra l'uno e l'altro
contratto seguente, data di proposizione del ricorso). 
    Inoltre la questione sollevata  per  asserito  contrasto  con  la
clausola comunitaria di  non  regresso  sarebbe  inammissibile  anche
perche' il giudice a quo non ha preventivamente acquisito dalla Corte
di giustizia l'interpretazione pregiudiziale della norma censurata. 
    Nel merito  la  difesa  erariale  sostiene  l'infondatezza  della
questione, svolgendo argomentazioni analoghe a quelle contenute negli
atti di intervento nei giudizi relativi  alle  ordinanze  pronunciate
dal Tribunale di Milano (v. supra, sub n. 31). 
    43. - Nel corso del giudizio di appello promosso da  G.C.  contro
la sentenza con la quale il giudice di primo grado aveva respinto  la
sua domanda volta  ad  ottenere  l'accertamento  della  nullita'  del
termine apposto  al  contratto  di  lavoro  stipulato  con  la  Poste
Italiane S.p.A. e la declaratoria dell'esistenza di  un  rapporto  di
lavoro a tempo indeterminato dal 4 ottobre 2003, o in subordine,  per
il ripristino del rapporto e la condanna della  societa'  datrice  di
lavoro alla corresponsione delle retribuzioni mensili maturate, anche
a titolo risarcitorio, fino all'effettiva  reintegrazione,  la  Corte
d'appello  di   Roma   ha   sollevato   questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 4-bis  del  d.lgs.  n.  368  del  2001,  per
contrasto con gli artt. 3, 24, primo comma, 111, primo comma, e  117,
primo comma, Cost. (r.o. n. 102 del 2009). 
    Ad avviso della Corte  rimettente,  la  clausola  appositiva  del
termine di scadenza al contratto di lavoro dedotto  in  giudizio  non
reca gli elementi di specificazione che ne legittimano  l'apposizione
e pertanto, in base ai  principi  generali  in  materia  di  nullita'
parziale  del  contratto  e  di  eterointegrazione  della  disciplina
contrattuale, all'illegittimita' del termine, consegue  l'invalidita'
parziale relativa alla sola clausola e l'instaurarsi di  un  rapporto
di lavoro a tempo indeterminato. 
    Tali conseguenze della eventuale declaratoria  di  illegittimita'
del contratto sarebbero tuttavia precluse per effetto dell'entrata in
vigore della norma censurata, la quale, pero', violerebbe,  in  primo
luogo, l'art.  3  Cost.,  poiche'  il  legislatore  non  ha  regolato
diversamente - come bene avrebbe potuto -  gli  effetti  di  tutti  i
contratti stipulati da una certa  data  in  poi,  ma  ha  scelto,  in
maniera  del  tutto  irragionevole,  di  modificare   la   disciplina
sostanziale rispetto ad una categoria  di  soggetti,  riducendone  la
tutela mentre pendono i giudizi e solo per  il  fatto  di  avere  una
causa in corso. 
    Quanto al contrasto con gli artt. 24,  primo  comma,  111,  primo
comma, e 117, primo comma, Cost., l'art. 4-bis del d.lgs. n. 368  del
2001 violerebbe il  principio  costituzionale  del  giusto  processo,
perche', nel corso del procedimento  giudiziario,  ha  modificato  la
tutela sostanziale accordabile al diritto azionato  senza  che  siano
ravvisabili ragioni oggettive e generali che sostengano  tale  scelta
legislativa. 
    Inoltre  la  norma  censurata  determina   un'alterazione   della
condizione di parita' nell'esercizio del diritto  di  difesa  tra  la
parti in causa, perche' il legislatore e' intervenuto allo  scopo  di
favorire una definizione delle controversie pendenti  in  termini  di
minor impatto economico per le parti datoriali, senza che tale scelta
sia sorretta da imperiose ragioni d'interesse generale. 
    Cio' in contrasto anche con l'art. 6 della  CEDU  (e  conseguente
violazione dell'art. 117, primo comma, Cost.) secondo  il  quale  gli
Stati aderenti  alla  Convenzione  devono  astenersi  dall'esercitare
ingerenze normative finalizzate ad ottenere una determinata soluzione
delle controversie in corso. 
    44.  -  Costituitosi  nel  giudizio  di   costituzionalita',   il
lavoratore ha  invocato  l'accoglimento  della  sollevata  questione,
riproponendo gran parte delle argomentazioni tratte dall'ordinanza di
rimessione, in riferimento a tutti  i  parametri  costituzionali  ivi
considerati. 
    Il ricorrente denuncia, in aggiunta, la  violazione  degli  artt.
77, 101, 102, secondo comma, e 104, primo comma, della Costituzione. 
    45. - Si e' costituita in giudizio anche  Poste  Italiane  S.p.A.
che ha chiesto  che  la  questione  sia  dichiarata  inammissibile  o
manifestamente infondata. 
    La societa' sostiene che l'art. 4-bis del d.lgs. n. 368 del  2001
non e' irragionevole, essendo finalizzata ad arginare, nell'interesse
generale, l'eccessivo ampliamento dell'organico delle imprese  dovuto
alla conversione a  tempo  indeterminato  di  numerosi  contratti  di
lavoro a termine. 
    La ragionevolezza della previsione normativa  e'  confermata  dal
suo carattere temporaneo ed  eccezionale  e  dalla  razionalita'  del
modello sanzionatorio da essa previsto che  realizza  un  equilibrato
contemperamento dei contrapposti interessi in gioco. 
    Neppure sussisterebbe violazione dell'art. 24 Cost.,  perche'  la
norma censurata non pone  alcun  divieto  o  limite  al  diritto  dei
lavoratori di agire in giudizio. 
    46. - E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio  dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, il  quale  ha  eccepito  l'inammissibilita'  della  questione,
perche' la Corte rimettente non ha verificato se nella fattispecie il
rapporto si sia estinto per mutuo consenso. 
    Nel merito, la difesa erariale sostiene la manifesta infondatezza
della  questione  sulla  base  delle  stesse  argomentazioni  esposte
nell'atto di intervento nel giudizio relativo  all'ordinanza  n.  427
del 2008 (v., supra, sub n. 8). 
    47. - In prossimita' dell'udienza di discussione hanno depositato
memorie i lavoratori costituiti nei giudizi relativi  alle  ordinanze
nn. 434 e 441 del 2008 e 4, 12, 26, 27, 86, 87 e  102  del  2009,  la
Poste Italiane S.p.A. nei giudizi relativi alle  ordinanze  nn.  217,
413 e 434 del 2008, 12, 25, 26, 27, 28, 43, 70, 86, 87, 93, 95 e  102
del 2009 ed il Presidente del  Consiglio  dei  ministri  nei  giudizi
relativi alle ordinanze nn. 413 e 434 del 2008, 4, 12,  25,  26,  27,
28, 43, 70, 86, 87, 93, 95 e 102 del 2009. 
    Tutte le parti insistono nelle conclusioni  gia'  rassegnate  nei
rispettivi precedenti scritti difensivi. 
                       Considerato in diritto 
    1. - Con separate ordinanze,  le  Corti  di  appello  di  Torino,
Genova, Bari, Caltanissetta, Venezia, L'Aquila e Roma ed i  Tribunali
di Roma, Trani, Ascoli Piceno,  Trieste,  Viterbo,  Milano  e  Teramo
hanno sollevato, in riferimento agli artt. 3, 10,  11,  24,  76,  77,
101, 102, 104, 111 e 117, primo comma, della Costituzione,  questioni
di legittimita' costituzionale degli  artt.  1,  comma  1,  2,  comma
1-bis, 4-bis ed 11 del decreto legislativo 6 settembre 2001,  n.  368
(Attuazione della direttiva 1999/70/CE  relativa  all'accordo  quadro
sul lavoro a tempo determinato concluso dall'UNICE, dal  CEEP  e  dal
CES). 
    2. - La parziale identita' di molte delle  questioni  proposte  e
l'appartenenza  di  tutte  le  norme  censurate  allo  stesso   testo
normativo rendono opportuna la riunione dei  giudizi  al  fine  della
loro decisione con un'unica sentenza. 
    3. - I Tribunali di Roma (r.o. n. 413 del 2008) e di Trani  (r.o.
n. 434 del 2008) dubitano, in particolare, della  legittimita'  degli
artt. 1, comma 1, e 11 del d.lgs. n. 368 del 2001. 
    La prima delle  predette  norme  stabilisce  che  «E'  consentita
l'apposizione di un termine  alla  durata  del  contratto  di  lavoro
subordinato a fronte di ragioni  di  carattere  tecnico,  produttivo,
organizzativo o  sostitutivo,  anche  se  riferibili  alla  ordinaria
attivita' del datore di lavoro» [le parole  «,  anche  se  riferibili
alla ordinaria attivita' del datore di lavoro», sono  state  aggiunte
dall'art. 21, comma 1,  del  decreto-legge  25  giugno  2008  n.  112
(Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la  semplificazione,
la competitivita', la stabilizzazione della  finanza  pubblica  e  la
perequazione tributaria), convertito dalla legge 6  agosto  2008,  n.
133]. 
    L'art. 11 del d.lgs. n. 368 del 2001, invece, dispone,  al  comma
1, l'abrogazione, tra l'altro, dell'intera legge 18 aprile  1962,  n.
230 (Disciplina del contratto di  lavoro  a  tempo  determinato),  la
quale,  all'art.   1,   secondo   comma,   lettera   b),   consentiva
l'apposizione del termine al contratto di lavoro subordinato  «quando
l'assunzione abbia luogo per sostituire lavoratori assenti  e  per  i
quali sussiste il diritto alla conservazione  del  posto,  sempreche'
nel contratto di lavoro a termine sia indicato il nome del lavoratore
sostituito e la causa della sua sostituzione». 
    Ad avviso dei rimettenti,  le  norme  censurate,  nel  sopprimere
l'art. 1, secondo comma, lettera b), della legge n. 230 del  1962  e,
quindi, nell'abolire  l'onere  dell'indicazione  del  nominativo  del
lavoratore sostituito quale condizione di liceita' dell'assunzione  a
tempo determinato di altro dipendente, violerebbero l'art. 77  Cost.,
poiche' la legge di delega 29 dicembre 2000, n. 422 (Disposizioni per
l'adempimento di  obblighi  derivanti  dall'appartenenza  dell'Italia
alle Comunita' Europee - Legge comunitaria 2000), in esecuzione della
quale e' stato emanato il d.lgs.  n.  368  del  2001,  attribuiva  al
Governo esclusivamente il potere di attuare la direttiva  1999/70/CE,
la quale non conteneva alcuna disposizione in tema di presupposti per
l'apposizione delle clausole del  termine.  Sussisterebbe  contrasto,
poi, con l'art. 76 Cost., poiche' la menzionata legge n. 422 del 2000
non prevedeva principi direttivi  ulteriori  rispetto  all'attuazione
della direttiva 1999/70/CE  la  quale,  alla  clausola  8,  punto  3,
dell'accordo quadro da  essa  recepito,  dispone  che  l'applicazione
dell'accordo non puo' costituire un motivo  per  ridurre  il  livello
generale  di  tutela  offerto  ai  lavoratori   nell'ambito   coperto
dall'accordo stesso, mentre le disposizioni censurate, eliminando  la
necessita' dell'indicazione del nominativo del lavoratore sostituito,
determinerebbero un arretramento della tutela garantita ai lavoratori
dal precedente regime. Infine, ad avviso del solo Tribunale di  Roma,
sarebbe leso anche l'art. 117, primo comma, Cost., per violazione dei
vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario. 
    3.1. - La  questione  non  e'  fondata  nei  termini  di  seguito
precisati. 
    Entrambi i rimettenti omettono di considerare  adeguatamente  che
l'art. 1 del d.lgs. n. 368 del 2001, dopo aver stabilito, al comma 1,
che l'apposizione del termine al contratto di lavoro e' consentita  a
fronte di ragioni di  carattere  (oltre  che  tecnico,  produttivo  e
organizzativo,  anche)  sostitutivo,  aggiunge,  al  comma   2,   che
«L'apposizione del termine  e'  priva  di  effetto  se  non  risulta,
direttamente  o  indirettamente,  da  atto  scritto  nel  quale  sono
specificate le ragioni di cui al comma 1». 
    L'onere di specificazione previsto da  quest'ultima  disposizione
impone che, tutte le volte in cui l'assunzione  a  tempo  determinato
avvenga per soddisfare ragioni di carattere sostitutivo, risulti  per
iscritto anche il nome del lavoratore sostituito e la causa della sua
sostituzione. Infatti, considerato che per «ragioni  sostitutive»  si
debbono intendere motivi connessi con l'esigenza di sostituire uno  o
piu'  lavoratori,  la   specificazione   di   tali   motivi   implica
necessariamente anche l'indicazione del lavoratore o  dei  lavoratori
da sostituire e delle cause della  loro  sostituzione;  solamente  in
questa maniera, infatti, l'onere che l'art. 1, comma 2, del d.lgs. n.
368 del 2001 impone alle parti che intendano stipulare  un  contratto
di lavoro subordinato a tempo determinato puo' realizzare la  propria
finalita',  che  e'  quella  di  assicurare  la  trasparenza   e   la
veridicita'   della   causa   dell'apposizione    del    termine    e
l'immodificabilita' della stessa nel corso del rapporto. 
    Non avendo gli impugnati artt. 1, comma 1, ed 11  del  d.lgs.  n.
368 del 2001 innovato, sotto questo profilo, rispetto alla disciplina
contenuta nella legge n. 230 del 1962,  non  sussiste  la  denunciata
violazione dell'art. 77 della Costituzione. 
    Invero, l'art. 2, comma 1, lettera b), della legge di  delega  n.
422  del  2000  consentiva  al  Governo  di  apportare  modifiche   o
integrazioni alle discipline vigenti nei singoli settori  interessati
dalla normativa da attuare e cio' al fine di evitare  disarmonie  tra
le norme introdotte in sede di attuazione delle direttive comunitarie
e, appunto, quelle gia' vigenti. 
    In base a tale  principio  direttivo  generale,  il  Governo  era
autorizzato a riprodurre, nel decreto legislativo di attuazione della
direttiva  1999/70/CE,  precetti  gia'  contenuti  nella   previgente
disciplina  del  settore   interessato   dalla   direttiva   medesima
(contratto di lavoro a tempo determinato). Infatti, inserendo  in  un
unico testo normativo  sia  le  innovazioni  introdotte  al  fine  di
attuare la direttiva comunitaria, sia le disposizioni previgenti che,
attenendo alla medesima fattispecie contrattuale,  erano  alle  prime
intimamente connesse, si sarebbe garantita la  piena  coerenza  della
nuova disciplina anche sotto il profilo sistematico,  in  conformita'
con quanto richiesto dal citato art. 2, comma 1,  lettera  b),  della
legge di delega. 
    Non sussiste neppure la denunciata lesione  dell'art.  76  Cost.,
poiche' le norme censurate, limitandosi a  riprodurre  la  disciplina
previgente, non determinano  alcuna  diminuzione  della  tutela  gia'
garantita ai lavoratori dal precedente regime  e,  pertanto,  non  si
pongono in contrasto  con  la  clausola  n.  8.3  dell'accordo-quadro
recepito dalla direttiva 1999/70/CE, secondo la quale  l'applicazione
dell'accordo non avrebbe potuto costituire un motivo per  ridurre  il
livello generale di tutela gia' goduto dai lavoratori. 
    Per la stessa ragione (insussistenza, sotto il profilo in  esame,
di un contrasto con la normativa comunitaria) e' infondata la censura
formulata in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost.,  il  quale
impone   al   legislatore   di   rispettare   i   vincoli   derivanti
dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. 
    4. - Il Tribunale di Roma (r.o. n. 217  del  2008)  dubita  della
legittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 1-bis, del  d.lgs.  n.
368 del 2001,  aggiunto  dall'art.  1,  comma  558,  della  legge  23
dicembre 2005, n. 266 (Disposizioni per la  formazione  del  bilancio
annuale e pluriennale dello  Stato  -  Legge  finanziaria  2006).  In
virtu' di tale disposizione e' consentita l'apposizione di un termine
alla durata del contratto di lavoro subordinato  quando  l'assunzione
sia effettuata da imprese concessionarie di servizi nei settori delle
poste per un periodo massimo complessivo di sei  mesi,  compresi  tra
aprile ed ottobre di  ogni  anno,  e  di  quattro  mesi  per  periodi
diversamente distribuiti e nella percentuale non superiore al 15  per
cento dell'organico aziendale, riferito al 1° gennaio  dell'anno  cui
le assunzioni si riferiscono. 
    Ad avviso del rimettente,  la  norma,  consentendo  alle  aziende
concessionarie di  servizi  nei  settori  delle  poste  di  stipulare
contratti di lavoro a tempo determinato (oltre che per le  causali  e
nelle forme previste dall'art. 1 dello stesso d.lgs. n. 368 del 2001)
anche liberamente entro i limiti temporali  e  quantitativi  in  essa
indicati, violerebbe, da un  lato,  l'art.  3,  primo  comma,  Cost.,
poiche' introdurrebbe, ai danni dei lavoratori operanti  nel  settore
delle poste, una disciplina differenziata del lavoro a termine  priva
di ragionevolezza e di valide ragioni giustificatrici e,  dall'altro,
gli artt. 101,  102  e  104  Cost.,  perche'  l'introduzione  di  una
«acasualita»  per  le  assunzioni  a  termine  nel  settore   postale
sottrarrebbe ingiustificatamente al giudice ordinario  il  potere  di
verifica delle effettive ragioni oggettive e  temporanee  poste  alla
base di dette assunzioni. 
    4.1. - La questione non e' fondata. 
    Innanzitutto non e' ravvisabile alcuna lesione dell'art. 3  della
Costituzione. 
    La norma censurata costituisce  la  tipizzazione  legislativa  di
un'ipotesi di valida apposizione del termine. Il legislatore, in base
ad una valutazione - operata una volta per tutte in  via  generale  e
astratta - delle esigenze delle  imprese  concessionarie  di  servizi
postali  di  disporre  di  una  quota  (15  per  cento)  di  organico
flessibile, ha previsto che tali imprese  possano  appunto  stipulare
contratti di  lavoro  a  tempo  determinato  senza  necessita'  della
puntuale indicazione, volta per volta, delle ragioni  giustificatrici
del termine. 
    Tale valutazione preventiva ed astratta operata  dal  legislatore
non e' manifestamente irragionevole. 
    Infatti, la  garanzia  alle  imprese  in  questione,  nei  limiti
indicati, di una sicura flessibilita' dell'organico, e'  direttamente
funzionale all'onere  gravante  su  tali  imprese  di  assicurare  lo
svolgimento dei servizi relativi alla raccolta, allo smistamento,  al
trasporto ed alla  distribuzione  degli  invii  postali,  nonche'  la
realizzazione e l'esercizio  della  rete  postale  pubblica  i  quali
«costituiscono attivita' di preminente interesse generale», ai  sensi
dell'art. 1, comma 1, del decreto legislativo 22 luglio 1999, n.  261
(Attuazione della direttiva 1997/67/CE concernente regole comuni  per
lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e  per
il miglioramento della qualita' del servizio). 
    In particolare,  poi,  in  esecuzione  degli  obblighi  di  fonte
comunitaria  derivanti  dalla  direttiva  1997/67/CE,  l'Italia  deve
assicurare lo svolgimento del c.d. «servizio  universale»  (cioe'  la
raccolta, il trasporto, lo smistamento e la distribuzione degli invii
postali  fino  a  2  chilogrammi;  la  raccolta,  il  trasporto,   lo
smistamento  e  la  distribuzione  dei  pacchi  postali  fino  a   20
chilogrammi; i servizi relativi agli invii raccomandati ed agli invii
assicurati: art. 3, comma 2,  del  d.lgs.  n.  261  del  1999);  tale
servizio universale «assicura le prestazioni in esso  ricomprese,  di
qualita' determinata, da fornire permanentemente in tutti i punti del
territorio nazionale, incluse le situazioni particolari  delle  isole
minori e delle zone rurali e montane, a prezzi  accessibili  a  tutti
gli utenti» (art. 3, comma 1); l'impresa fornitrice del servizio deve
garantire tutti i giorni lavorativi, e come minimo  cinque  giorni  a
settimana, salvo circostanze eccezionali valutate  dall'autorita'  di
regolamentazione, una raccolta ed una distribuzione al  domicilio  di
ogni persona fisica o giuridica (art. 3, comma 4); il  servizio  deve
esser prestato in via continuativa  per  tutta  la  durata  dell'anno
(art. 3, comma 3). 
    Non e',  dunque,  manifestamente  irragionevole  che  ad  imprese
tenute per legge all'adempimento di simili oneri sia riconosciuta una
certa flessibilita' nel ricorso (entro limiti  quantitativi  comunque
fissati  inderogabilmente  dal  legislatore)   allo   strumento   del
contratto a tempo determinato. 
    Si aggiunga che l'art. 2, comma 1-bis, del d.lgs. n. 368 del 2001
impone alle aziende  di  comunicare  ai  sindacati  le  richieste  di
assunzioni a termine, prevedendo cosi' un meccanismo  di  trasparenza
che agevola il  controllo  circa  l'effettiva  osservanza,  da  parte
datoriale, dei limiti posti dalla norma. 
    La questione non  e'  fondata  neppure  sotto  il  profilo  della
pretesa violazione degli artt. 101, 102 e 104 della Costituzione. 
    La norma censurata si limita a  richiedere,  per  la  stipula  di
contratti a termine da parte delle imprese concessionarie di  servizi
nei settori delle poste, requisiti diversi rispetto a quelli valevoli
in generale (non gia' l'indicazione di specifiche ragioni  temporali,
bensi' il rispetto di una durata massima e di una  quota  percentuale
dell'organico complessivo). Pertanto il giudice ben  puo'  esercitare
il proprio potere giurisdizionale al fine di verificare la ricorrenza
in concreto di tutti gli elementi  di  tale  dettagliata  fattispecie
legale. 
    5. - Con diciannove distinte ordinanze, le Corti  di  appello  di
Torino (r.o. n. 427 del 2008), Genova (r.o. n. 441  del  2008),  Bari
(r.o. n. 12 del 2009), Caltanissetta (r.o. n. 43 del  2009),  Venezia
(r.o. n. 93 del 2009), L'Aquila (r.o. n. 95 del 2009) e Roma (r.o. n.
102 del 2009), ed i Tribunali di Roma (r.o. n. 413 del 2008),  Ascoli
Piceno (r.o. nn. 442 e 443 del 2008), Trieste (r.o. n. 4  del  2009),
Viterbo (r.o. n. 22 del 2009), Milano (r.o. nn. 25, 26, 27, 28, 86  e
87 del 2009)  e  Teramo  (r.o.  n.  70  del  2009),  hanno  sollevato
questioni di legittimita' costituzionale dell'art. 4-bis  del  d.lgs.
n. 368 del 2001, introdotto dall'art. 21, comma 1-bis,  del  d.l.  n.
112 del 2008. 
    La norma censurata dispone che «Con riferimento ai  soli  giudizi
in corso alla data di entrata in vigore della presente  disposizione,
e fatte salve le sentenze passate in giudicato, in caso di violazione
delle disposizioni di cui agli articoli 1, 2 e 4, il datore di lavoro
e' tenuto unicamente ad indennizzare  il  prestatore  di  lavoro  con
un'indennita' di importo compreso tra un minimo di 2,5 ed un  massimo
di sei mensilita' dell'ultima retribuzione globale  di  fatto,  avuto
riguardo ai criteri indicati nell'articolo 8 della  legge  15  luglio
1966, n. 604 (Norme  sui  licenziamenti  individuali),  e  successive
modificazioni». 
    I  giudici  rimettenti,  premettendo  che,  secondo  il  «diritto
vivente»,  in  caso  di  violazione  delle   prescrizioni   contenute
nell'art. 1 del d.lgs. n. 368  del  2001,  puo'  essere  disposta  la
conversione del contratto in rapporto di lavoro a tempo indeterminato
e riconosciuta al lavoratore una tutela risarcitoria piena, affermano
che l'art. 4-bis del d.lgs. n. 368  del  2001  violerebbe:  l'art.  3
Cost., poiche' e' fonte di irragionevole disparita'  di  trattamento,
collegata al solo dato temporale  del  momento  di  proposizione  del
ricorso giudiziale, tra lavoratori  che  si  trovano  nella  identica
situazione di fatto (r.o. nn. 413, 427, 441, 442 e 443 del  2008;  4,
12, 25, 26, 27, 28, 43, 86, 87 e 93 del 2009);  l'art.  3  Cost.,  in
quanto introduce una disciplina priva di ragionevolezza, perche':  a)
interviene   nei   rapporti   di   diritto    privato    sacrificando
arbitrariamente il diritto del lavoratore assunto illegittimamente  a
tempo determinato a godere della tutela garantita dalla legge vigente
all'epoca    dell'instaurazione    del    rapporto    e     favorendo
contemporaneamente  il  datore  di   lavoro   che   ha   dato   luogo
all'illegittimita'  (r.o.  nn.  442  e  443  del  2008);  b)  non  e'
ravvisabile  alcuna  giustificazione  razionale  nel  fatto  che   la
disposizione  modifichi  la  regola  sostanziale  rispetto   ad   una
categoria di soggetti, riducendo la tutela mentre pendono i  giudizi,
proprio e solo per il fatto di avere una causa in corso (r.o  n.  102
del  2009);   c)   la   delimitazione   temporale   del   trattamento
discriminatorio si riferisce  alla  mera  pendenza  del  processo,  e
quindi ad una circostanza assolutamente accidentale (r.o. nn. 22,  70
e 95 del 2009); gli artt. 3, primo comma, e 24 Cost.,  perche'  viola
il  generale  principio  dell'affidamento  legittimamente  posto  dal
cittadino sulla certezza dell'ordinamento giuridico (r.o. nn. 413 del
2008; 12, 22 e 70  del  2009);  l'art.  10  Cost.,  poiche'  lede  il
principio di parita' di trattamento che  e'  principio  generale  del
diritto internazionale e comunitario che l'Italia si e'  impegnata  a
rispettare (r.o. nn. 25, 26, 27, 28, 86 e 87 del 2009); gli artt. 11,
secondo periodo, e 117, primo comma,  Cost.,  perche',  riducendo  la
tutela accordata in precedenza dall'ordinamento ai lavoratori assunti
con contratto a tempo determinato, viola  la  clausola  8,  punto  3,
dell'accordo quadro sul lavoro a  tempo  determinato  recepito  dalla
direttiva 1999/70/CE e, conseguentemente, l'obbligo  del  legislatore
interno  di   rispettare   i   vincoli   derivanti   dall'ordinamento
comunitario ed internazionale (r.o. nn. 442 e 443 del  2008);  l'art.
24 Cost., perche' compromette il diritto  di  difesa  dei  lavoratori
ricorrenti, sottraendo loro la possibilita' di ottenere il  vantaggio
della conversione  del  contratto  in  rapporto  di  lavoro  a  tempo
indeterminato, la cui  prospettiva  aveva  direttamente  condizionato
l'esercizio del loro diritto di azione (r.o. nn. 427  del  2008;  24,
25, 26, 27, 28, 43, 86, 87, 93 e 102 del 2009); l'art. 111 Cost., con
riferimento al  principio  del  giusto  processo,  perche'  la  norma
censurata modifica, nel corso dei procedimenti giudiziali, la  tutela
sostanziale accordabile al  diritto  azionato,  senza  che  ricorrano
idonee ragioni oggettive o generali (r.o. nn. 93 e 102 del 2009); gli
artt. 101, 102, secondo comma, e 104, primo comma, Cost., poiche'  un
intervento legislativo che riguardi solamente alcuni giudizi in corso
ad una certa data e' privo del requisito di astrattezza proprio delle
norme giuridiche ed  assume  un  carattere  provvedimentale  generale
invasivo dell'ambito riservato alla giurisdizione (r.o. nn.  413  del
2008 e 22 del 2009); l'art. 117, primo comma, Cost.,  in  connessione
con l'art. 6  della  Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti
dell'uomo e delle liberta' fondamentali firmata a Roma il 4  novembre
1950 (ratificata dalla  legge  4  agosto  1955,  n.  848),  il  quale
impedisce al legislatore di intervenire  con  norme  ad  hoc  per  la
risoluzione di controversie in corso (r.o. nn. 413 e 441 del 2008; 4,
12, 22, 43, 25, 26, 27, 28, 70, 86, 87,  93,  95  e  102  del  2009);
l'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  poiche'   la   norma   censurata
costituisce un completamento o una modifica del  d.lgs.  n.  368  del
2001 e dunque un'applicazione della direttiva  1999/70/CE  e  avrebbe
pertanto dovuto rispettare la  clausola  di  non  regresso  enunciata
nella  clausola  8,  punto  3,  dell'accordo  quadro  recepito  dalla
medesima direttiva (r.o. nn. 25, 26, 27, 28, 86 e 87 del 2009). 
    5.1. - Nel giudizio introdotto dall'ordinanza n. 4  del  2009  e'
intervenuta l'associazione "Articolo 21 Liberi di", che non era parte
nel relativo giudizio a quo. 
    Per costante giurisprudenza di questa Corte, possono  partecipare
al giudizio incidentale di legittimita' costituzionale le sole  parti
del  giudizio  principale  e  i  terzi  portatori  di  un   interesse
qualificato, immediatamente inerente al rapporto sostanziale  dedotto
in giudizio (da ultimo, sentenza  n.  47  del  2008).  L'associazione
«Articolo  21  Liberi  di»  motiva  il  proprio  intervento  con   la
necessita' di rappresentare alla Corte  che  il  lavoro  precario  e'
largamente  diffuso  anche  nel   settore   dell'editoria   e   della
radiotelevisione. L'interesse dell'associazione e', quindi, privo  di
correlazione con  le  specifiche  e  peculiari  posizioni  soggettive
dedotte nel giudizio principale ed  il  suo  intervento  deve  essere
dichiarato inammissibile. 
    5.2. - Le questioni sollevate dalle Corti di appello  di  Torino,
Caltanissetta, Venezia e L'Aquila e  dal  Tribunale  di  Teramo  sono
inammissibili per insufficiente motivazione sulla rilevanza. 
    Infatti gli atti di rimessione nulla dicono circa la legittimita'
o meno del  termine  apposto  ai  contratti  di  lavoro  oggetto  dei
relativi giudizi a quibus. Pertanto questa  Corte  non  e'  posta  in
condizione di verificare la sussistenza, nelle  singole  fattispecie,
del requisito della rilevanza, perche' ben  potrebbe  darsi  che,  in
quelle  ipotesi,  non  sussista  violazione  ne'  dell'art.  1,   ne'
dell'art. 2, ne'  dell'art.  4  del  d.lgs.  n.  368  del  2001,  con
conseguente inapplicabilita' dell'art. 4-bis del d.lgs.  n.  368  del
2001 nei giudizi principali. 
    5.3. - La questione sollevata dalla Corte d'appello  di  Bari  e'
inammissibile per un'analoga ragione. Infatti, il giudice  a  quo  si
esprime in termini meramente possibilistici circa la fondatezza della
tesi - sostenuta dal lavoratore - della nullita' del termine  apposto
al contratto per cui e' causa e, quindi, neppure in tal  caso  questa
Corte puo' essere certa della rilevanza della questione. 
    5.4. - Le  questioni  sollevate  dal  Tribunale  di  Milano  sono
inammissibili per difetto di rilevanza, perche' nella motivazione  di
ciascun atto di rimessione si legge che il relativo giudizio a quo e'
stato promosso dopo l'entrata in vigore della norma censurata, mentre
l'art. 4-bis del d.lgs. n. 368 del 2001  si  applica  solamente  alle
controversie in corso alla data della sua entrata in vigore. 
    5.5. - Residuano, pertanto, le questioni  sollevate  dalle  Corti
d'appello di Genova e di Roma e dai Tribunali di Roma, Ascoli Piceno,
Trieste e Viterbo. 
    Il  Presidente   del   Consiglio   dei   ministri   ha   eccepito
l'inammissibilita'  di  tali  questioni  (ad  eccezione   di   quella
sollevata dal Tribunale di Roma),  perche'  i  rimettenti  non  hanno
spiegato per quale ragione, nella fattispecie  concreta  oggetto  del
loro  giudizio,   pur   ammettendo   che   il   termine   sia   stato
illegittimamente apposto, non si dovrebbe dichiarare l'estinzione del
rapporto per mutuo consenso. 
    L'eccezione non e' fondata. 
    In effetti, l'ordinanza del Tribunale di Ascoli Piceno n. 442 del
2008  espressamente  da'  atto  dell'infondatezza  dell'eccezione  di
estinzione del rapporto per mutuo consenso sollevata  dal  datore  di
lavoro nel giudizio principale. 
    Nelle ordinanze delle Corti di appello di Genova e di  Roma  sono
indicate  le  eccezioni  sollevate  in  secondo  grado  dalle   parti
datoriali e tra esse non figura quella di estinzione del rapporto per
mutuo consenso; cio' e' sufficiente al fine di ritenere rilevante  la
questione di legittimita' dell'art. 4-bis del d.lgs. n. 368 del  2001
nei relativi giudizi principali, poiche' questi ultimi  sono  giudizi
di secondo grado nei quali, in difetto  di  una  specifica  eccezione
sollevata dalla parte interessata,  il  giudice  non  puo'  affermare
l'estinzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso. 
    Analogamente, nell'ordinanza del Tribunale di  Ascoli  Piceno  n.
443 del 2008 sono riportate tutte le difese del datore di  lavoro  e,
tra queste, non v'e' l'eccezione di estinzione  per  mutuo  consenso,
non rilevabile d'ufficio. 
    Nella propria ordinanza di rimessione  il  Tribunale  di  Trieste
lascia impregiudicata l'eccezione di estinzione  per  mutuo  consenso
formalmente eccepita dal datore di lavoro e tuttavia aggiunge che, in
ogni caso, nella fattispecie oggetto del giudizio a quo, vi sarebbero
gli estremi per la dichiarazione della costituzione di un rapporto di
lavoro a tempo indeterminato dalla data di sottoscrizione  del  primo
contratto di lavoro a tempo determinato tra le  parti  alla  scadenza
dell'ultimo; conseguentemente, l'art. 4-bis impedirebbe  anche  tale,
sia pure ridotta, declaratoria di conversione del rapporto. 
    L'ordinanza del Tribunale di Viterbo  e'  stata  pronunciata  nel
corso di un giudizio cautelare promosso poco  dopo  la  scadenza  del
contratto a termine,  onde  -  avendo  il  lavoratore  immediatamente
reagito  in  sede  giudiziale  -  non  sussiste  la  circostanza  del
consistente lasso di tempo intercorso tra la scadenza del  termine  e
la proposizione del ricorso giudiziale richiesta dalla giurisprudenza
di legittimita' per poter affermare  che  si  sia  formato  un  mutuo
consenso per l'estinzione del rapporto. 
    5.6. - Con  riferimento  alle  questioni  sollevate  proprio  dal
Tribunale di  Viterbo,  il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri
eccepisce,  inoltre,  la   loro   inammissibilita'   perche',   dalla
motivazione  dell'ordinanza  di  rimessione,   apparirebbe   che   la
fattispecie  dedotta  nel  giudizio  principale  sia  da   ricondurre
all'ambito di operativita' dell'art. 5 del d.lgs.  n.  368  del  2001
(che disciplina l'ipotesi della successione dei contratti a termine),
fattispecie cui non si applica l'art. 4-bis dello  stesso  d.lgs.  n.
368. 
    L'eccezione non e' fondata. 
    Infatti  il  Tribunale  di  Viterbo  afferma  espressamente   che
l'ordine di riammissione in servizio della  lavoratrice  -  contenuto
nell'ordinanza pronunciata ai sensi dell'art.  700  cod.  proc.  civ.
contro la quale e' stato proposto il reclamo che il  rimettente  deve
decidere - e' stato pronunciato perche'  il  giudice  di  prime  cure
aveva ritenuto la violazione dell'art. 1 del d.lgs. n. 368  del  2001
per  omessa  indicazione  delle  causali  dell'assunzione   a   tempo
determinato, fattispecie che  rientra  pacificamente  nell'ambito  di
operativita' dell'art. 4-bis del d.lgs. n. 368. 
    5.7. - Nel merito le questioni sollevate in riferimento  all'art.
3 Cost. dalle Corti d'appello di Genova e di Roma e dai Tribunali  di
Roma, Ascoli Piceno, Trieste e Viterbo sono fondate. 
    In effetti, situazioni di fatto identiche (contratti di lavoro  a
tempo determinato stipulati  nello  stesso  periodo,  per  la  stessa
durata, per  le  medesime  ragioni  ed  affetti  dai  medesimi  vizi)
risultano destinatarie di discipline sostanziali diverse (da un lato,
secondo il diritto vivente, conversione del rapporto  in  rapporto  a
tempo indeterminato e risarcimento del danno; dall'altro,  erogazione
di una modesta indennita' economica), per la mera e del tutto casuale
circostanza della  pendenza  di  un  giudizio  alla  data  (anch'essa
sganciata da qualsiasi ragione giustificatrice) del  22  agosto  2008
(giorno di entrata in vigore dell'art. 4-bis del d.lgs.  n.  368  del
2001, introdotto dall'art. 21,  comma  1-bis,  del  decreto-legge  25
giugno 2008, n. 112). 
    Siffatta discriminazione  e'  priva  di  ragionevolezza,  ne'  e'
collegata alla necessita' di accompagnare il passaggio  da  un  certo
regime normativo ad un altro. Infatti  l'intervento  del  legislatore
non  ha  toccato  la  disciplina   relativa   alle   condizioni   per
l'apposizione del termine o per la  proroga  dei  contratti  a  tempo
determinato,  ma  ha  semplicemente  mutato  le   conseguenze   della
violazione delle previgenti regole  limitatamente  ad  un  gruppo  di
fattispecie  selezionate  in  base  alla   circostanza,   del   tutto
accidentale, della pendenza di una lite giudiziaria tra le parti  del
rapporto di lavoro. 
    Deve pertanto essere dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale
dell'art. 4-bis del d.lgs. n. 368 del 2001,  con  assorbimento  delle
questioni sollevate in riferimento ad altri parametri  costituzionali
dalle Corti d'appello di Genova e di Roma e dai  Tribunali  di  Roma,
Ascoli Piceno, Trieste e Viterbo.