Sentenza 
nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art.  2,  comma  434,
della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per la  formazione
del bilancio annuale e pluriennale dello Stato  -  legge  finanziaria
2008),  promossi  dal  Tribunale  amministrativo  regionale  per   la
Sicilia, sezione staccata di Catania, con  ordinanza  del  30  maggio
2008 e dal Tribunale amministrativo regionale  del  Lazio,  con  otto
ordinanze del 30 luglio 2008, ordinanze rispettivamente  iscritte  al
n. 345 ed ai nn. 350, 351, 352, 353, 354, 355, 356 e 357 del registro
ordinanze 2008 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 46, 1a serie speciale, dell'anno 2008. 
    Visti gli atti di costituzione di Maria Pia Albanese, di Antonino
Cataudella,  di  Mario   Comporti,   di   Francesco   Salvatore,   di
Pierfrancesco Grossi, di Gaetano Fara, di Francesco Orlando,  nonche'
gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    Udito nell'udienza pubblica del 7 luglio 2009 e nella  camera  di
consiglio  dell'8  luglio  2009  il   Giudice   relatore   Alessandro
Criscuolo; 
    Uditi gli avvocati  Massimo  Luciani  per  Pierfrancesco  Grossi,
Fabio Merusi per Francesco Orlando, Antonio  Lamberti  per  Francesco
Salvatore, Eugenio  Picozza  per  Mario  Comporti,  Maria  Alessandra
Sandulli per Antonino Cataudella, Mario Sanino e Paola Salvatore  per
Gaetano Fara, Salvatore Raimondi per Maria Pia Albanese e  l'avvocato
dello Stato Ettore Figliolia per  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri. 
                          Ritenuto in fatto 
    1. -  Il  Tribunale  amministrativo  regionale  per  la  Sicilia,
sezione staccata di Catania, con ordinanza del 30 maggio  2008  (r.o.
n. 345 del 2008), ha sollevato, in riferimento agli articoli 3  e  97
della  Costituzione,   questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 2,  comma  434,  della  legge  24  dicembre  2007,  n.  244
(Disposizioni per la formazione del bilancio  annuale  e  pluriennale
dello Stato - legge finanziaria 2008), «nella parte in cui troverebbe
applicazione anche per i  professori  per  i  quali  sia  stato  gia'
disposto con formale  provvedimento  amministrativo  il  collocamento
fuori ruolo». 
    1.1. - La norma impugnata dispone che «A decorrere dal 1° gennaio
2008,  il  periodo  di  fuori  ruolo  dei   professori   universitari
precedente la quiescenza e' ridotto a due anni  accademici  e  coloro
che alla medesima data sono in servizio  come  professori  nel  terzo
anno accademico fuori ruolo  sono  posti  in  quiescenza  al  termine
dell'anno accademico. A decorrere dal 1° gennaio 2009, il periodo  di
fuori ruolo dei professori universitari precedente la  quiescenza  e'
ridotto a un anno accademico e coloro che alla medesima data sono  in
servizio come professori nel secondo anno accademico fuori ruolo sono
posti in quiescenza al termine dell'anno accademico. A decorrere  dal
1°  gennaio  2010,  il  periodo  di  fuori   ruolo   dei   professori
universitari precedente la quiescenza e'  definitivamente  abolito  e
«coloro che alla medesima data sono in servizio come  professori  nel
primo anno accademico fuori ruolo sono posti in quiescenza al termine
dell'anno accademico». 
    1.2. - Il rimettente riferisce che il giudizio  a  quo  e'  stato
promosso  dalla  professoressa  Maria  Pia  Albanese,  nei  confronti
dell'Universita' degli studi di Messina, per  l'annullamento  (previa
misura cautelare): a) della  nota  rettorale  prot.  n.  8890  del  6
febbraio 2008, con  la  quale  si  comunicava  che,  in  applicazione
dell'art. 2, comma 434, della legge n. 244 del  2007,  la  ricorrente
sarebbe cessata anticipatamente  dal  servizio  con  effetto  dal  1°
novembre 2008; b) del decreto rettorale n. 841 del 13 marzo 2008, con
il quale si stabiliva che la medesima ricorrente «con effetto dal  1°
novembre 2008 cessera' anticipatamente dal servizio». 
    1.3 - Il giudice a quo riassume l'evoluzione della  normativa  in
tema  di  collocamento  fuori  ruolo  dei  professori   universitari,
prendendo le mosse dal decreto legislativo del Capo provvisorio dello
Stato 26 ottobre 1947, n.  1251  (Disposizioni  per  il  collocamento
fuori ruolo dei professori universitari che hanno raggiunto i  limiti
di eta'), ratificato, con modificazioni, dalla legge 4  luglio  1950,
n. 498, in forza del quale i  professori  universitari,  compiuto  il
settantesimo anno di eta', «assumono la qualifica di professori fuori
ruolo fino a tutto l'anno accademico durante  il  quale  compiono  il
settantacinquesimo  anno  (art.  1,  primo  comma)».   Secondo   tale
normativa, le cattedre e i relativi posti di ruolo erano  considerati
vacanti;  i  professori  fuori  ruolo  conservavano  le   prerogative
accademiche  inerenti  allo  stato  di  professori  di   ruolo,   con
l'integrale trattamento economico ad esso relativo, ed erano tenuti a
svolgere attivita'  scientifica  e  didattica,  avuto  riguardo  alle
disponibilita' degli istituti e dei mezzi e specialmente in relazione
alle esigenze  delle  ricerche  sperimentali;  infine,  con  l'inizio
dell'anno accademico successivo a quello in cui  avevano  compiuto  i
settantacinque anni, essi erano collocati a riposo. 
    Tale disciplina era confermata dalla legge 18 marzo 1958, n.  311
(Norme  sullo   stato   giuridico   ed   economico   dei   professori
universitari), alla stregua della quale, ai fini della determinazione
del numero legale richiesto per la validita' delle adunanze del corpo
accademico  e  del  Consiglio  di  facolta',  si  teneva  conto   dei
professori fuori ruolo soltanto  se  intervenuti  all'adunanza.  Essi
potevano essere eletti all'ufficio di rettore o di preside, dal quale
cessavano all'atto del collocamento a riposo, se  si  trattava  della
carica di preside, mentre, per l'ufficio di  rettore,  il  professore
che  lo  ricopriva  al  momento  del  collocamento  a  riposo  poteva
continuare a mantenere il suddetto ufficio  fino  alla  scadenza  del
triennio per il quale era stato eletto (art. 14, quinto comma,  della
legge citata). 
    Il TAR rimettente prosegue osservando che,  con  legge-delega  21
febbraio 1980, n. 28 (Delega al Governo per  il  riordinamento  della
docenza universitaria e relativa  fascia  di  formazione,  e  per  la
sperimentazione organizzativa e didattica), veniva  stabilito  tra  i
criteri direttivi (art. 12,  primo  comma,  lettera  p)  che,  per  i
professori ordinari da inquadrare in  ruolo  a  seguito  di  concorsi
successivi a quelli banditi alla data  di  entrata  in  vigore  della
legge, il collocamento fuori ruolo  decorresse  dall'anno  accademico
successivo al compimento del sessantacinquesimo anno di eta',  mentre
il pensionamento doveva avere luogo cinque anni dopo il  collocamento
fuori ruolo. Invece, per i professori ordinari in servizio alla  data
di entrata in vigore della legge e per quelli da inquadrare a seguito
di concorsi gia' banditi alla  stessa  data,  il  collocamento  fuori
ruolo dopo il compimento del sessantacinquesimo anno di eta', sarebbe
stato disposto soltanto a domanda. 
    In sede di esercizio della delega,  con  decreto  del  Presidente
della Repubblica 11 luglio 1980, n. 382 (Riordinamento della  docenza
universitaria, relativa fascia di formazione nonche'  sperimentazione
organizzativa e didattica), in base al richiamato criterio  direttivo
veniva stabilito il collocamento fuori ruolo dei professori  ordinari
al compimento del sessantacinquesimo anno di eta' e il collocamento a
riposo cinque anni dopo il collocamento fuori ruolo,  mentre,  per  i
professori ordinari in servizio alla data di entrata in vigore  della
legge n. 28 del 1980 e per quelli nominati  in  ruolo  a  seguito  di
concorsi gia' banditi alla medesima data, si stabiliva che  sarebbero
state  applicate  «le  norme  gia'  vigenti»,  salva   la   richiesta
anticipata di collocamento fuori ruolo (art. 110 del d.P.R. citato). 
    Con legge 7 aprile (recte: agosto) 1990, n. 239 (Disposizioni sul
collocamento fuori ruolo dei professori universitari),  si  stabiliva
che il collocamento fuori ruolo dei docenti di cui  all'art.  19  del
d.P.R. n. 382 del 1980 «e' opzionale, fermo restando il  collocamento
a riposo dall'inizio dell'anno accademico  successivo  al  compimento
del settantesimo anno di eta». La norma escludeva dal proprio  ambito
applicativo i professori gia' in servizio alla  data  di  entrata  in
vigore della legge n. 28 del 1980, o inquadrati in ruolo a seguito di
concorso bandito entro tale data,  per  i  quali  rimaneva  fermo  il
disposto di cui all'art. 110 del d.P.R. n. 382 del 1980. 
    Con l'art. 16 del decreto legislativo 30 dicembre  1992,  n.  503
(Norme per il riordinamento del sistema previdenziale dei  lavoratori
privati e pubblici, a norma dell'art. 3 della legge 23 ottobre  1992,
n. 421), si dava facolta' ai dipendenti civili dello  Stato  e  degli
enti pubblici non economici (compresi i professori  universitari)  di
permanere in servizio per un periodo massimo di un  biennio  oltre  i
limiti del collocamento a riposo. 
    Con legge 28 dicembre 1995, n. 549 (Misure  di  razionalizzazione
della finanza pubblica), la durata del collocamento fuori  ruolo  dei
professori  universitari  veniva  ridotta  a  tre  anni,  sia  per  i
vincitori di concorsi successivi all'entrata in vigore della legge n.
28  del  1980,  sia  per  quanti  beneficiavano  della   disposizione
transitoria di cui all'art. 110  del  decreto  del  Presidente  della
Repubblica n. 382 del 1980, sicche' questi  ultimi,  nel  cui  novero
rientra la parte ricorrente nel giudizio principale, erano  collocati
fuori ruolo, con il prolungamento del biennio, a settantadue anni, ed
in quiescenza a settantacinque anni. 
    Con legge 4 novembre 2005, n. 230 (Nuove disposizioni concernenti
i professori e i ricercatori universitari e delega al Governo per  il
riordino  del   reclutamento   dei   professori   universitari),   il
collocamento  a  riposo  dei  professori  universitari  (ordinari   e
associati), nominati secondo le disposizioni della legge stessa,  era
previsto al termine dell'anno accademico  nel  quale  si  compiva  il
settantesimo anno di eta', compreso il biennio di cui all'art. 16 del
decreto legislativo n. 503  del  1992.  Inoltre,  veniva  abolito  il
collocamento fuori ruolo (art. 1, comma 17); ma, per i professori  in
servizio alla data di entrata in vigore della legge, era fatto  salvo
lo stato giuridico e il trattamento economico in godimento. 
    Infine, con la citata legge n. 244 del 2007 (art. 2, comma  434),
si  stabilisce  che  il  periodo  di  fuori  ruolo   dei   professori
universitari, a decorrere dal 1° gennaio 2008, e' ridotto a due  anni
accademici, a decorrere dal 1° gennaio 2009 e'  ridotto  ad  un  anno
accademico, a decorrere dal 1° gennaio 2010 e' abolito. 
    1.4 - Cosi' ricostruito  il  quadro  normativo  nel  suo  profilo
diacronico, il rimettente esclude che la norma da  ultimo  richiamata
possa  ritenersi  applicabile  soltanto   per   il   futuro,   quindi
eccettuando i soggetti gia' collocati fuori ruolo, avuto riguardo  al
chiaro tenore di essa, da cui emerge con evidenza come il legislatore
abbia inteso disporre, anche per quanti  avessero  gia'  ottenuto  il
fuori ruolo, il progressivo  collocamento  a  riposo  anticipato,  in
coerenza, del resto, con  la  ratio  della  normativa,  mirante  alla
progressiva e totale abolizione dell'istituto. 
    Da cio' deriva, ad avviso del giudice a quo, la rilevanza, sia ai
fini della decisione sull'istanza cautelare, sia per la pronunzia sul
merito, della questione di legittimita' costituzionale in  argomento.
La norma censurata, infatti, proprio  perche'  applicabile  anche  ai
professori per i quali (come la ricorrente) sia stato gia'  disposto,
con formale provvedimento amministrativo, il collocamento fuori ruolo
alla fine dell'anno accademico nel quale si raggiungono i settantadue
anni di eta' e il collocamento  in  quiescenza  alla  fine  dell'anno
accademico  nel  quale  si  raggiungono  i  settantacinque  anni,  si
porrebbe   in   contrasto   con   i   principi   di   ragionevolezza,
d'imparzialita' e di buon andamento della  pubblica  amministrazione,
introducendo  «un   regolamento   irrazionale   ed   arbitrario   che
comporterebbe il travolgimento della situazione sostanziale posta  in
essere da  un  formale  provvedimento  amministrativo  adottato  alla
stregua della disciplina  a  tale  momento  vigente,  e  frustrerebbe
l'affidamento dell'interessato nella  sicurezza  giuridica,  elemento
fondamentale dello stato di diritto» (sono richiamate varie  sentenze
di questa Corte). 
    In   particolare,   il   collocamento   a    riposo    anticipato
dell'interessata, e di coloro i quali si  trovano  nella  sua  stessa
situazione, contrasta, in primo luogo, per le ragioni appena esposte,
con il principio di ragionevolezza di cui all'art. 3 Cost. 
    Contrasta, inoltre, col principio di  eguaglianza  sancito  dallo
stesso art. 3, in quanto comporta un eguale trattamento di situazioni
differenti (cioe' quella di  coloro  per  i  quali  l'Universita'  di
appartenenza non abbia ancora adottato alcun provvedimento  e  quella
di coloro per i quali e' stato adottato il provvedimento). 
    Infine, contrasta col principio di buon andamento della  pubblica
amministrazione  di  cui  all'art.  97  Cost.,  in  quanto  la  parte
ricorrente si vedrebbe costretta,  con  pregiudizio  per  l'interesse
superiore degli studi, ad interrompere i programmi e  l'attivita'  di
docenza, con danno anche per i giovani studiosi. 
    2.  -  La  professoressa  Albanese,   ricorrente   nel   processo
principale,  si  e'  costituita  nel  giudizio  davanti  alla   Corte
costituzionale. 
    Premesso che, con decreto rettorale del 28 febbraio 2003, le  era
stato concesso il prolungamento del servizio  attivo  per  due  anni,
previsto dall'art. 16 decreto legislativo n. 503 del  1992  ed  erano
stati disposti il suo collocamento fuori ruolo per un triennio  (fino
al 31 ottobre 2009) e il suo collocamento a riposo a far data dal  1°
novembre 2009, la parte privata osserva che «il Consiglio di facolta'
di scienze MM. FF. NN. dell'Universita' di Messina, con delibera  del
9 novembre  2006,  aveva  approvato  la  proposta  da  lei  avanzata,
relativa all'attivita' didattica,  scientifica  e  formativa  che  si
proponeva  di  svolgere  quale  professore  fuori  ruolo».  La  detta
Universita', a seguito dell'entrata in vigore dell'art. 2, comma 434,
della legge n. 244 del 2007, aveva  modificato  il  suddetto  decreto
rettorale disponendo il suo collocamento in quiescenza  a  far  tempo
dal 1° novembre 2008. Conseguentemente ella aveva presentato  ricorso
al  giudice  amministrativo,  e  questi,  accogliendo  una  eccezione
dell'interessata,  aveva  sollevato  la  questione  di   legittimita'
costituzionale in oggetto. 
    Dopo aver chiarito che il Consiglio di  giustizia  amministrativa
per la Regione siciliana, in  accoglimento  del  suo  appello,  aveva
disposto la sospensione cautelare  del  provvedimento  impugnato,  la
professoressa  Albanese  sostiene  la   fondatezza   della   suddetta
questione, richiamando  il  principio  generale  di  irretroattivita'
dettato dall'art. 11 delle preleggi, da qualificare  come  fondamento
dello Stato di diritto, elemento essenziale di civilta'  giuridica  e
di certezza del diritto. 
    La parte privata prosegue osservando di essere consapevole che la
Costituzione sancisce l'irretroattivita' soltanto per le norme penali
punitive (art. 25, secondo comma), e tuttavia  ricorda,  come  questa
Corte ha gia' affermato, che  l'emanazione  di  leggi  con  efficacia
retroattiva  incontra  una  serie  di  limiti,   concernenti   valori
fondamentali di civilta' giuridica, nel cui novero sono  compresi  il
principio di ragionevolezza  e  di  uguaglianza,  nonche'  la  tutela
dell'affidamento legittimamente sorto nei destinatari. 
    Tali limiti nel  caso  in  esame  sarebbero  stati  violati,  sia
perche', in materia di collocamento fuori ruolo e di  quiescenza  dei
professori universitari, sussiste una tradizione normativa  -  sempre
rispettata  -  secondo  la  quale  le  nuove  disposizioni  non  sono
applicabili ai professori gia' in servizio alla data in cui esse sono
introdotte (tradizione che verrebbe  nella  specie  irragionevolmente
travolta), sia perche' i provvedimenti delle Universita' con i  quali
era stato disposto il collocamento fuori ruolo degli  interessati,  e
poi, dopo tre anni, il collocamento a riposo,  hanno  consolidato  in
capo agli  stessi  una  situazione  giuridica  qualificabile  non  in
termini di mera aspettativa,  bensi'  come  vero  e  proprio  diritto
quesito. 
    Infatti,  in  base  alla  giurisprudenza  costituzionale,  e'  da
ritenere ammissibile  un  intervento  legislativo  che  modifichi  la
disciplina  del  pensionamento  dei  pubblici  dipendenti,  ma   tale
intervento non e' consentito ad libitum.  In  particolare,  non  puo'
ritenersi consentita una modifica legislativa  che,  intervenendo  in
una fase in cui il dipendente ha tutte le ragioni per ritenere  certo
il collocamento a riposo  ad  una  certa  data,  muti  la  disciplina
vanificando le sue legittime aspettative, come avvenuto nel  caso  di
specie. 
    La disposizione censurata, dunque, si risolve in «un  regolamento
irrazionale  ed  arbitrario  che  comporta  il  travolgimento   della
situazione sostanziale posta in essere da  un  formale  provvedimento
amministrativo, adottato alla stregua della disciplina a tale momento
vigente, e frustra  l'affidamento  dell'interessata  nella  sicurezza
giuridica,  elemento  fondamentale  dello  stato  di  diritto»,   con
conseguente  violazione  del  principio  di  ragionevolezza,  di  cui
all'art. 3 Cost., nonche' del principio di eguaglianza dettato  dalla
stessa norma, in  quanto  comporta  una  parita'  di  trattamento  di
situazioni  differenti,  tali  essendo,  rispettivamente,  quella  di
coloro per i quali non sia stato  adottato  dalle  Universita'  alcun
provvedimento del tipo di quello sopraindicato e quella di coloro per
i quali, viceversa, il provvedimento sia stato adottato. 
    Inoltre, la norma di cui si tratta contrasterebbe  col  principio
di buon andamento della pubblica amministrazione, di cui all'art.  97
Cost., per il fatto di determinare l'interruzione  dei  programmi  di
ricerca di cui era stata prevista  la  conclusione  nel  periodo  del
fuori ruolo e dei  progetti  di  crescita  e  di  affermazione  degli
allievi dei professori interessati. 
    3. - Il Tribunale amministrativo regionale del  Lazio,  con  otto
ordinanze d'identico tenore (r.o. n. 350, n. 351, n. 352, n. 353,  n.
354, n. 355, n. 356, n.  357  del  2008),  del  30  luglio  2008,  ha
sollevato questione di legittimita'  costituzionale,  in  riferimento
agli artt. 3 e 97 Cost., del medesimo articolo. 
    Il rimettente espone di essere chiamato  a  pronunciare  su  otto
separati  ricorsi,  proposti  dai  professori  universitari  Antonino
Cataudella, Mario Comporti,  Francesco  Marmo,  Francesco  Salvatore,
Pierfrancesco  Grossi,  Gaetano  Fara,  Romano   Cipollini,   Luciano
Caglioti, Domenico Misiti, Francesco Orlando,  tutti  gia'  collocati
fuori ruolo dal 1° novembre 2006 al 1° novembre 2009, tranne  che  il
professore Comporti, a  sua  volta,  collocato  fuori  ruolo  dal  1°
novembre 2007 al 1°  novembre  2010.  Con  tali  ricorsi  sono  stati
impugnati i decreti rettorali con i quali, in applicazione del citato
art. 2, comma 434, il collocamento a riposo per limiti  di  eta'  dei
ricorrenti  e'  stato  anticipato  di  un  anno  rispetto  a   quanto
originariamente stabilito. 
    Il giudice a quo, premesso che tra le varie  doglianze  e'  stata
anche dedotta la questione di legittimita' costituzionale  del  detto
art. 2, comma 434, ritiene che tale questione sia rilevante,  perche'
il provvedimento impugnato  si  basa  soltanto  sulla  riduzione  del
periodo di fuori ruolo operata dalla norma censurata,  che  non  puo'
essere interpretata in senso  conforme  ai  principi  costituzionali,
«avendo un  contenuto  assolutamente  stringente  ed  una  disciplina
espressa per i rapporti pendenti». 
    Il  rimettente  prosegue  sostenendo  che  la  questione  e'  non
manifestamente infondata sotto diversi profili. 
    Infatti, la norma impugnata sembra porsi in violazione  dell'art.
3 Cost. «per la retroattivita' dei suoi contenuti precettivi». 
    Questa Corte ha affermato piu' volte che l'irretroattivita' della
legge e' principio di carattere costituzionale soltanto per le  norme
penali, in quanto sancito dall'art. 25 Cost. Per le norme non  penali
la retroattivita' delle leggi e'  consentita,  ma  nel  rispetto  dei
principi di ragionevolezza e di eguaglianza. In questo  quadro  sono,
in primo luogo, legittimamente retroattive sul  piano  costituzionale
le norme interpretative, in  quanto  affermano  una  delle  possibili
varianti di senso gia' desumibili dalla  lettera  della  disposizione
interpretata. Anche norme innovative con efficacia  retroattiva  sono
legittime (ad eccezione delle  norme  penali  punitive),  purche'  la
retroattivita'  trovi  adeguata  giustificazione  sul   piano   della
ragionevolezza  e  non  contrasti  con  altri  valori  ed   interessi
costituzionalmente protetti, tra i quali,  oltre  ai  principi  sopra
richiamati,   va   inclusa   anche   la    tutela    dell'affidamento
legittimamente sorto nei destinatari, in quanto principio connaturato
allo Stato di diritto. 
    Nella specie, la disposizione ha introdotto una nuova  disciplina
per il collocamento  fuori  ruolo  dei  professori  universitari.  Ad
avviso del rimettente si tratta di una norma a carattere  innovativo,
della cui retroattivita' non  si  puo'  dubitare,  perche'  viene  ad
incidere su posizioni giuridiche in  atto,  in  quanto  i  ricorrenti
hanno subito la riduzione di un anno del periodo di fuori ruolo  gia'
in corso. 
    La retroattivita' non puo' essere giustificata  in  relazione  al
fatto che la norma ha spiegato efficacia sul futuro  svolgimento  del
periodo di fuori ruolo, in quanto  questo  deve  ritenersi  unitario,
sicche' la valutazione  va  compiuta  con  riguardo  alla  disciplina
vigente al momento in cui e' stato disposto. 
    Il collocamento fuori ruolo  determina  una  posizione  giuridica
autonoma che comprende il diritto al completamento di  tale  periodo,
sicche'  la  relativa  riduzione  di  un  anno  incide   in   maniera
irragionevole  su  un  affidamento  qualificato  degli   interessati,
riguardante vari  aspetti  dell'attivita'  professionale  svolta  nel
periodo medesimo. 
    Ne' la retroattivita'  puo'  essere  giustificata  dalla  riforma
complessiva della disciplina riguardante i  professori  universitari,
operata con legge n. 230 del 2005, la quale ha abolito il periodo  di
collocamento fuori ruolo e previsto il limite di eta' di settant'anni
per il collocamento a riposo. L'art. 1,  comma  17,  di  tale  legge,
infatti, ha stabilito l'applicabilita' di  tale  regime  soltanto  ai
professori nominati in base alla nuova disciplina. 
    Anche la disciplina di  diritto  transitorio  di  cui  si  tratta
risulta irragionevole. Invero, da un lato, essa denota - nella  parte
in cui fa decorrere la completa abolizione del  fuori  ruolo  dal  1°
gennaio 2010 -  la  consapevolezza  del  legislatore  di  non  potere
incidere in maniera immediata sulle situazioni in corso,  dall'altro,
stabilisce la riduzione del periodo fuori ruolo, sia per  coloro  che
sono gia' in tale posizione da uno o due anni (applicando ad entrambe
le suddette categorie di soggetti la riduzione a due anni),  sia  per
coloro che, al momento di entrata in vigore della legge, sono  ancora
in servizio di ruolo, essendo previsto il periodo fuori ruolo  di  un
anno, sia per i collocati fuori ruolo nel novembre 2008,  sia  per  i
collocati fuori  ruolo  nel  novembre  2009.  Peraltro,  continua  il
rimettente, per i professori non ancora posti fuori ruolo al  momento
di entrata in vigore della  legge  -  non  titolari,  dunque,  di  un
affidamento qualificato - il periodo fuori ruolo avrebbe potuto anche
essere  disciplinato  diversamente,  senza  alcuna  salvaguardia   di
posizioni giuridiche, ma simile salvaguardia  era  invece  necessaria
nei confronti dei  ricorrenti.  Ne  consegue  che  la  disciplina  di
diritto transitorio in argomento tratta, dunque, nello  stesso  modo,
salva la differenza della entita' della riduzione (rispettivamente di
un  anno  o  di  due  anni),  situazioni  radicalmente   diverse   e,
precisamente, posizioni di stato in atto (quelle di coloro  che  gia'
si trovavano in posizione di fuori ruolo) e mere aspettative  (quelle
dei professori ancora in servizio). 
    La norma censurata appare altresi'  in  contrasto  anche  con  il
principio di buon andamento della pubblica  amministrazione,  di  cui
all'art.  97  Cost.,  perche',  anche  in  relazione   all'efficienza
organizzativa  delle  Universita',   la   previsione   dell'immediata
riduzione del fuori ruolo per tutti i professori  ordinari,  i  quali
sono gia' in detta posizione, comporta l'immediata perdita di risorse
intellettuali, l'interruzione di programmi di ricerca, la dispersione
dell'attivita' scientifica. 
    4. - Il  professore  Antonino  Cataudella  si  e'  costituito  in
giudizio chiedendo che la questione  di  legittimita'  costituzionale
sia dichiarata ammissibile e fondata. 
    Il professore Mario Comporti, a sua volta, ha depositato  memoria
di  costituzione,  nella  quale,  dopo  aver  richiamato  il   quadro
normativo in cui e'  intervenuta  la  norma  censurata,  sostiene  la
necessita'  di  ampliare  la  questione  con  riferimento  all'intera
categoria dei professori universitari che hanno acquisito il  diritto
al collocamento fuori ruolo in forza del  d.P.R.  n.  382  del  1980,
prescindendo dal fatto che il relativo collocamento  sia  stato  gia'
disposto. La parte  deduce  la  fondatezza  di  detta  questione  non
soltanto per violazione degli artt.  3  e  97  Cost.,  ma  anche  per
contrasto con gli artt. 1, 2, 4, 9, 11, 38, 98 e 117 della  medesima,
«ob relationem (cioe' quale normativa  interposta)  alla  Convenzione
sui diritti e le liberta' fondamentali di Roma 4.11.1950  (CEDU),  in
particolare per violazione degli articoli 1,  6  e  7  della  CEDU  e
violazione dell'art. 6 del Trattato UE, nonche' per violazione  degli
articoli 15 e 52 della Carta  dei  diritti  fondamentali  dell'Unione
europea». 
    Il  professor  Comporti  chiede,  infine,  che  la  dichiarazione
d'illegittimita' costituzionale sia estesa all'art.  16  del  decreto
legislativo n. 503 del 1992; all'art. 1, comma 30, della legge n. 549
del  1995;  alla  legge  23  dicembre  1996,  n.   662   (Misure   di
razionalizzazione della finanza pubblica). 
    Anche i professori Francesco Salvatore e Pierfrancesco Grossi  si
sono costituiti con atti depositati, chiedendo  l'accoglimento  della
questione sollevata dal TAR del Lazio. 
    Si e' pure costituito il professor Gaetano Fara, chiedendo che la
questione sia dichiarata fondata, per ragioni nella sostanza analoghe
a quelle esposte nell'ordinanza di rimessione. 
    Infine,  si  e'  costituito  il  professore  Francesco   Orlando,
articolando, anche con richiami  a  precedenti  pronunzie  di  questa
Corte, argomentazioni analoghe  a  quelle  svolte  nell'ordinanza  di
rimessione, cui aggiunge un'ulteriore censura ex art.  3  Cost.,  per
ingiustificata disparita'  di  trattamento  rispetto  al  trattamento
pensionistico   dei   magistrati.   Deduce,    altresi',    che    e'
costituzionalmente  illegittima  la  norma  di  legge  che   abolisce
l'istituto stesso del fuori  ruolo  per  i  professori  universitari,
individuando come ulteriore parametro costituzionale  violato  l'art.
38 Cost. In subordine chiede che questa Corte, qualora ritenga di non
dover  dichiarare  l'incostituzionalita'   della   norma   censurata,
pronunci sentenza interpretativa dell'art. 2, comma 434, della  legge
n. 244 del 2007, in guisa da renderlo compatibile con gli artt. 3, 38
e 97 Cost. 
    5. - In tutti i giudizi sopra indicati ha spiegato intervento  la
Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentata  e   difesa
dall'Avvocatura generale dello Stato, la  quale  ha  chiesto  che  la
sollevata questione di legittimita' costituzionale sia dichiarata non
fondata. 
    Ad   avviso   dell'interveniente,   «la   norma   censurata    e'
riconducibile alla discrezionalita' propria del legislatore, il quale
ben  puo'  limitare  la  durata  del  collocamento  fuori  ruolo  dei
professori universitari in applicazione del principio, gia' affermato
dalla Corte costituzionale, secondo cui nel sistema costituzionale e'
consentito  al  legislatore  di   emanare   disposizioni   le   quali
modifichino sfavorevolmente la disciplina  dei  rapporti  di  durata,
anche se l'oggetto sia costituito da  diritti  soggettivi  perfetti»,
salvo, qualora si  tratti  di  disposizioni  retroattive,  il  limite
costituzionale della materia penale (art. 25, secondo comma, Cost.). 
    Questa Corte, infatti, ha posto in evidenza al riguardo  il  solo
limite dell'irrazionalita' e dell'arbitrio  che,  nella  specie,  non
ricorre, trattandosi di provvedimento diretto al  contenimento  delle
spese, di carattere riduttivo e non soppressivo. 
    In altri termini, i giudici rimettenti non hanno colto  la  ratio
della disposizione impugnata, da identificare nell'avvertita esigenza
del sistema universitario italiano, di agevolare - nell'ambito di  un
quadro di finanza pubblica critico - il  ricambio  generazionale  dei
docenti universitari, considerato uno degli  obiettivi  in  grado  di
dare  nuovo  slancio,  tra  l'altro,  alle   attivita'   di   ricerca
scientifica che si svolgono nelle universita'. 
    Il legislatore non si e' limitato ad abolire l'istituto del fuori
ruolo per tutti i professori universitari, ma,  proprio  per  evitare
d'incorrere  in  censure  sotto   il   profilo   della   legittimita'
costituzionale,  ha  operato  una  graduale  riduzione  del  relativo
periodo fino alla sua totale  eliminazione.  In  tale  contesto  deve
essere considerata la disposizione per la quale la predetta riduzione
si applica a coloro che gia' sono stati collocati fuori ruolo. 
    La norma, infatti, mira ad evitare la disparita'  di  trattamento
tra categorie di docenti che si sarebbe creata se si fosse  proceduto
ad abolire il fuori ruolo soltanto per i docenti in  servizio,  senza
incidere sulla posizione anche di quelli gia' collocati fuori  ruolo.
La disparita' sarebbe stata ancor piu'  evidente,  in  quanto  basata
soltanto sull'atto di collocamento fuori ruolo. In altri termini,  il
legislatore,  al  fine  di  evitare  disparita'  di  trattamento  tra
professori universitari in servizio e  in  fuori  ruolo,  ha  abolito
l'istituto per tutti i docenti, peraltro prevedendo, per quelli  gia'
fuori ruolo, la graduale riduzione del relativo periodo. 
    Pertanto, la scelta del legislatore non  viola  il  principio  di
eguaglianza di cui all'art. 3  Cost.,  ne'  sotto  il  profilo  della
disparita' di trattamento, ne' sotto quello della ragionevolezza. 
    La norma stessa, non si pone neppure in contrasto con  il  canone
costituzionale del buon andamento della pubblica amministrazione,  in
quanto i programmi di ricerca ben  possono  essere  proseguiti  dalla
struttura  scientifica  di  riferimento  dei  docenti  collocati   in
quiescenza.   D'altra   parte,   la    gradualita'    dell'abolizione
dell'istituto  in  argomento  consente  alle   Universita',   proprio
nell'ottica  del  buon  andamento  delle  attivita'  accademiche,  di
programmare le stesse, tenendo conto della posizione  lavorativa  dei
propri docenti. 
    6. - In prossimita' dell'udienza  di  discussione,  i  professori
Albanese, Cataudella,  Orlando,  Comporti,  Grossi  hanno  depositato
articolate  memorie,  con  le  quali  riprendono  e   sviluppano   le
argomentazioni gia' esposte negli atti di costituzione. 
    Inoltre, i ricorrenti professori Grossi e Cataudella chiedono che
questa Corte  estenda  il  proprio  sindacato  di  costituzionalita',
comprendendo  in  esso  non  soltanto  la  parte  della  disposizione
impugnata relativa  ai  professori  gia'  collocati  fuori  ruolo  al
momento dell'entrata in vigore della legge censurata, ma anche quella
relativa ai professori nominati in seguito a concorsi banditi in data
anteriore all'entrata in vigore della  legge  n.  28  del  1980,  non
ancora in posizione di fuori ruolo  a  quel  momento,  a  loro  volta
titolari del diritto quesito a rimanere in servizio per un  triennio.
Essi sostengono, poi, che la norma  in  questione  sarebbe  contraria
alle  prescrizioni  della  direttiva  comunitaria  sulla  parita'  di
trattamento in materia di occupazione e,  in  generale,  ai  principi
comunitari di parita'  di  trattamento  e  di  tutela  del  legittimo
affidamento. 
    L'accertamento del contrasto con la normativa comunitaria sarebbe
pregiudiziale  all'accertamento  del  contrasto  con  la   disciplina
costituzionale. Pertanto, questa Corte - ove ritenesse di condividere
il suddetto profilo di censura -  dovrebbe  rimetterne  l'esame  alla
Corte di giustizia CE. 
                       Considerato in diritto 
    1.- Il Tribunale amministrativo regionale per la Sicilia, sezione
staccata di Catania, con l'ordinanza indicata in  epigrafe  (r.o.  n.
345 del 2008), dubita, in riferimento agli  articoli  3  e  97  della
Costituzione,  della  legittimita'  costituzionale  dell'articolo  2,
comma 434, della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (Disposizioni per  la
formazione del bilancio annuale e pluriennale  dello  Stato  -  legge
finanziaria 2008), nella parte in cui «troverebbe applicazione  anche
per i professori per i quali sia  stato  gia'  disposto  con  formale
provvedimento amministrativo il collocamento fuori ruolo». 
    La norma impugnata stabilisce che il periodo di fuori  ruolo  dei
professori universitari, precedente alla quiescenza, e' ridotto a due
anni accademici a decorrere dal 1° gennaio 2008 e  coloro  che,  alla
data indicata, sono  in  servizio  come  professori  nel  terzo  anno
accademico fuori ruolo, sono posti in quiescenza al termine dell'anno
accademico. A decorrere dal 1°gennaio 2009, il detto periodo di fuori
ruolo e' ridotto ad un anno accademico e coloro  che,  alla  medesima
data, sono in servizio come professori nel  secondo  anno  accademico
fuori  ruolo,  sono  posti  in  quiescenza   al   termine   dell'anno
accademico. Infine, a decorrere dal 1° gennaio 2010,  il  periodo  di
fuori ruolo dei professori universitari e' definitivamente abolito  e
coloro che, alla medesima data, sono in servizio come professori  nel
primo anno accademico fuori ruolo sono posti in quiescenza al termine
di tale anno. 
    Il  giudice  a  quo  riferisce  che  davanti  a  quel   Tribunale
amministrativo e' in corso un giudizio, promosso da una professoressa
ordinaria, gia' collocata fuori ruolo per un triennio a decorrere dal
1° novembre 2006, e percio' fino al 31  ottobre  2009,  la  quale  ha
impugnato i provvedimenti rettorali con cui le e' stata comunicata  -
in applicazione dell'art. 2, comma 434, della legge n. 244 del 2007 -
la cessazione anticipata dal servizio con  effetto  dal  1°  novembre
2008. 
    Il rimettente ritiene palese, in base al  testuale  tenore  della
disposizione censurata, che il legislatore ha inteso disporre  «anche
per coloro che avessero gia' ottenuto il fuori ruolo, il  progressivo
collocamento a riposo anticipato,  e  cio',  tra  l'altro,  in  piena
coerenza  con  la  ratio  della  normativa»,  mirante   alla   totale
abolizione dell'istituto del collocamento fuori ruolo dei  professori
universitari prima della quiescenza. Da  questo  assunto  il  giudice
desume l'infondatezza dei primi due motivi del ricorso e la rilevanza
della questione di legittimita' costituzionale della norma suddetta. 
    Quanto   alla   non   manifesta   infondatezza,   il    Tribunale
amministrativo osserva che la  disposizione  impugnata,  per  il  suo
carattere irrazionale ed arbitrario, si pone in contrasto con  l'art.
3 Cost. - sotto il profilo  del  principio  di  ragionevolezza  -  in
quanto la sua applicazione condurrebbe  a  travolgere  la  situazione
sostanziale   posta   in   essere   da   un   formale   provvedimento
amministrativo, adottato nel rispetto  della  disciplina  vigente  al
momento  della  sua  emanazione  e,  conseguentemente,   frustrerebbe
l'affidamento dell'interessato nella  sicurezza  giuridica,  elemento
fondamentale dello Stato di diritto. Essa, violerebbe,  altresi',  il
principio di  eguaglianza  dettato  dalla  stessa  norma,  in  quanto
comporta una parita' di trattamento di  situazioni  differenti,  tali
essendo, rispettivamente, quella di coloro per i quali non sia  stato
adottato dalle Universita' alcun provvedimento  del  tipo  di  quello
sopraindicato  e  quella  di  coloro  per  i  quali,  viceversa,   il
provvedimento sia stato adottato. 
    Inoltre, ad avviso del rimettente, la disposizione sarebbe lesiva
anche del principio di buon andamento della pubblica  amministrazione
di cui all'art. 97 Cost.,  in  quanto  determina  l'interruzione  dei
programmi di ricerca intrapresi dal docente e i processi di  crescita
e di affermazione dei suoi allievi. 
    2. - Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con le otto
ordinanze d'identico tenore  indicate  in  epigrafe,  solleva  a  sua
volta,  in  riferimento  agli  artt.  3  e  97  Cost.,  questione  di
legittimita' costituzionale del medesimo art.  2,  comma  434,  della
legge n. 244 del 2007, nella parte in  cui  stabilisce  la  riduzione
progressiva del periodo di fuori ruolo per i professori  universitari
gia' collocati in tale posizione. 
    Nei giudizi di cui alle ordinanze di rimessione r.o. n.  350,  n.
352, n. 353, n. 354, n. 355, n. 356 e n. 357 del 2008  i  ricorrenti,
collocati fuori ruolo dal 1° novembre 2006, hanno impugnato i decreti
rettorali emessi dalle rispettive Universita', con i quali  e'  stata
ridotta l'originaria durata triennale del periodo fuori ruolo  ed  e'
stato stabilito il loro collocamento a riposo dal 1°  novembre  2008.
Nel  giudizio  di  cui  all'ordinanza  r.o.  n.  351  del  2008,   il
ricorrente, collocato fuori ruolo a far data dal 1° novembre 2007, ha
impugnato il decreto rettorale col quale l'Universita' ha ridotto  il
periodo fuori ruolo gia' disposto in precedenza,  stabilendo  il  suo
collocamento a riposo dal 1° novembre 2009. 
    Il giudice a quo svolge argomenti analoghi a quelli gia'  esposti
nell'ordinanza n. 345 del 2008,  ritenendo  la  norma  denunciata  in
contrasto  con  l'art.  3  Cost.  «per  la  retroattivita'  dei  suoi
contenuti precettivi», non suscettibili  di  essere  interpretati  in
modo  conforme  ai  principi  costituzionali.  Inoltre,  osserva  che
l'irretroattivita' della legge trova tutela  costituzionale  soltanto
per le leggi penali, nell'ambito dell'art. 25 Cost.  Il  legislatore,
dunque, in  altri  settori  ben  puo'  emanare  leggi  con  efficacia
retroattiva, ma e' necessario che l'esercizio di  tale  potere  trovi
giustificazione sul piano della ragionevolezza e  non  contrasti  con
altri  valori  ed  interessi  costituzionalmente  protetti,  tra  cui
l'affidamento legittimamente sorto, quale principio connaturato  allo
Stato di diritto (e' richiamata la sentenza di questa  Corte  n.  282
del 2005). 
    Nei casi di specie,  la  norma  censurata  sarebbe  di  carattere
innovativo e verrebbe ad incidere su posizioni  giuridiche  in  atto,
senza che  tale  retroattivita'  trovi  giustificazione  ragionevole,
ponendosi anzi in contrasto col principio generale di  eguaglianza  e
con l'affidamento legittimamente sorto negli interessati. 
    Infine, sussisterebbe  anche  contrasto  col  principio  di  buon
andamento della pubblica amministrazione, di cui all'art. 97 Cost. 
    3.  -  Entrambi  i   rimettenti   dubitano   della   legittimita'
costituzionale della  stessa  norma  di  legge,  con  riferimento  ai
medesimi parametri costituzionali, e svolgono argomentazioni in larga
parte coincidenti. Pertanto, tutti i relativi giudizi  devono  essere
riuniti e definiti con unica pronunzia. 
    4. -  In  premessa  si  deve  rilevare  che,  per  giurisprudenza
costante di questa Corte, l'oggetto del giudizio di costituzionalita'
in via incidentale e'  limitato  alle  disposizioni  e  ai  parametri
indicati nelle ordinanze di rimessione, non potendo essere  presi  in
considerazione, oltre i limiti in queste fissati, ulteriori questioni
o profili di costituzionalita' dedotti dalle  parti,  sia  che  siano
stati eccepiti, ma non fatti propri dal giudice a quo, sia che  siano
diretti ad ampliare o modificare successivamente il  contenuto  delle
stesse ordinanze. Sono quindi inammissibili,  e  non  possono  essere
prese in esame in questa sede, le deduzioni di alcune  parti  private
(indicate in narrativa), dirette ad estendere il thema decidendum non
soltanto   attraverso   l'invocazione    di    ulteriori    parametri
costituzionali, ma  anche  attraverso  la  denuncia  di  disposizioni
ulteriori   rispetto   a   quelle   sospettate   di    illegittimita'
costituzionale dai giudici rimettenti (ex plurimis,  sentenze  n.  56
del 2009; n. 86 del 2008; n. 244 del 2005; ordinanze n. 174 del  2003
e 379 del 2001). 
    5.  -Nella  stessa  prospettiva,   va   osservato   che,   mentre
l'ordinanza  del  TAR  per  la  Sicilia  solleva  la   questione   di
legittimita' costituzionale del citato  art.  2,  comma  434,  «nella
parte in cui troverebbe applicazione anche per  i  professori  per  i
quali   sia   stato   gia'   disposto   con   formale   provvedimento
amministrativo  il  collocamento  fuori  ruolo»,  il  petitum   delle
ordinanze del TAR del Lazio non contiene la stessa  precisazione.  Da
cio', tuttavia, non puo' desumersi  che  in  tali  ordinanze  si  sia
inteso estendere la  questione  anche  ai  docenti  universitari  non
ancora in posizione di fuori ruolo al momento dell'entrata in  vigore
della legge censurata (1° gennaio 2008). Premesso che, a questa data,
tutti i ricorrenti nei giudizi principali  erano  gia'  collocati  in
detta posizione  ed  avevano  iniziato  il  relativo  periodo,  basta
considerare la motivazione delle ordinanze medesime  (in  riferimento
alla quale il dispositivo va interpretato)  per  convincersi  che  in
esse la questione e'  stata  circoscritta  negli  stessi  limiti  del
Tribunale amministrativo siciliano. 
    In  particolare,  si  afferma  che  la   disposizione   censurata
stabilisce la riduzione del periodo fuori ruolo, sia per  coloro  che
sono gia' in tale posizione da uno o due anni (applicando ad entrambe
le suddette categorie di soggetti la riduzione a due anni),  sia  per
coloro che, al momento di entrata in vigore della legge, sono  ancora
in servizio di ruolo, essendo previsto il periodo fuori ruolo  di  un
anno, sia per i collocati fuori ruolo nel novembre 2008,  sia  per  i
collocati fuori ruolo nel novembre 2009. Peraltro, per  i  professori
non ancora posti fuori ruolo al momento di entrata  in  vigore  della
legge - non titolari, dunque, di  un  affidamento  qualificato  -  il
periodo  fuori  ruolo  avrebbe  potuto  anche   essere   disciplinato
diversamente, senza alcuna salvaguardia di posizioni  giuridiche,  ma
simile  salvaguardia  era  invece  necessaria   nei   confronti   dei
ricorrenti. Ne consegue che la disciplina di diritto  transitorio  in
argomento tratta, dunque, nello  stesso  modo,  salva  la  differenza
della entita' della riduzione (rispettivamente di un anno  o  di  due
anni), situazioni radicalmente diverse e, precisamente, posizioni  di
stato in atto (quelle di coloro che gia' si trovavano in posizione di
fuori ruolo) e mere aspettative  (quelle  dei  professori  ancora  in
servizio).  E  piu'  avanti  si  aggiunge  che,  anche  in  relazione
all'efficienza   organizzativa   dell'Universita',   la    previsione
dell'immediata riduzione della durata del fuori  ruolo  per  tutti  i
professori universitari che sono gia' in tale posizione  comporta  la
immediata  perdita  di  risorse  intellettuali,  la  interruzione  di
programmi di ricerca, la dispersione dell'attivita' scientifica. 
    Risulta evidente, dunque, che anche  per  il  TAR  del  Lazio  la
questione  di  legittimita'  costituzionale  e'  posta  con  riguardo
all'art. 2, comma 434, della legge n. 244 del 2007,  nella  parte  in
cui si applica ai professori universitari per i quali sia stato  gia'
disposto, con formale provvedimento amministrativo,  il  collocamento
fuori ruolo e questo sia iniziato. 
    6.  -  La  detta  questione  di  legittimita'  costituzionale  e'
fondata, nei sensi di seguito precisati. 
    6.1. - L'istituto del fuori ruolo dei professori  universitari  -
la  cui  disciplina  giuridica,  per  quanto   riguarda   i   profili
diacronici, e' stata richiamata in  narrativa  -  presenta  caratteri
peculiari  che  lo  distinguono  dall'analoga  posizione   di   altri
dipendenti pubblici. 
    Il docente universitario in  tale  posizione,  infatti,  pur  non
essendo piu' titolare di cattedra, durante il triennio di fuori ruolo
puo' svolgere attivita' didattica, scientifica e di ricerca, conserva
le prerogative accademiche e  il  trattamento  economico,  interviene
alle adunanze del corpo accademico e del Consiglio di facolta',  puo'
essere eletto all'ufficio di rettore o di preside. Si tratta, dunque,
di  un  autonomo,  unitario  e  ben  definito  status  professionale,
collegato al successivo collocamento  in  quiescenza,  ma  da  questo
distinto, sul quale la disposizione censurata ha inciso, introducendo
per il futuro una modificazione peggiorativa del rapporto di  durata,
ma determinando anche una contrazione del momento  finale  di  quello
status che si riflette negativamente sulla posizione  giuridica  gia'
acquisita dall'interessato (cosiddetta retroattivita' impropria). 
    6.2. - Questa Corte, con riferimento ai rapporti  di  durata,  ha
piu' volte affermato il principio  secondo  cui  il  legislatore,  in
materia di successione di leggi, dispone di ampia discrezionalita'  e
puo' anche modificare in senso  sfavorevole  la  disciplina  di  quei
rapporti, ancorche' l'oggetto sia costituito  da  diritti  soggettivi
perfetti, salvo - in caso di norme retroattive - il limite imposto in
materia penale dall'art. 25,  secondo  comma,  Cost.,  e  comunque  a
condizione che la retroattivita' trovi adeguata  giustificazione  sul
piano della ragionevolezza e non si  ponga  in  contrasto  con  altri
valori e interessi costituzionalmente protetti (ex plurimis, sentenze
n. 162 del 2008; n. 74 del 2008; n. 11 del 2007; n. 409 del 2005;  n.
374 del 2002 e n. 525 del 2000). 
    Nella giurisprudenza di questa  Corte,  poi,  e'  consolidato  il
principio del legittimo affidamento nella  sicurezza  giuridica,  che
costituisce elemento fondamentale dello Stato di diritto e  non  puo'
essere  leso  da  disposizioni   retroattive,   che   trasmodino   in
regolamento irrazionale di situazioni sostanziali  fondate  su  leggi
anteriori (ex plurimis, sentenze n. 24 del 2009; n. 11 del  2007;  n.
409 del 2005; n. 446 del 2002; n. 416 del 1999 e n. 390 del 1995). 
    6.3. - Si tratta quindi di verificare,  alla  luce  dei  suddetti
orientamenti, la ragionevolezza della  disposizione  censurata  sulla
base del principio di tutela dell'affidamento, quale  parametro  alla
stregua del quale scrutinare la legittimita'  della  norma  medesima,
con riguardo all'art. 3 Cost. 
    Orbene,  fermo  quanto  esposto  in  precedenza  circa  lo  stato
professionale dei  professori  universitari  in  posizione  di  fuori
ruolo, si deve ribadire che esso certamente non si esaurisce  in  una
mera  aspettativa,  ma  si  concreta  in  una   posizione   giuridica
consolidata, in quanto radicata  non  soltanto  su  un  provvedimento
amministrativo  che  l'ha  disposta  (peraltro  sulla  base  di   una
specifica opzione, non piu' revocabile  dopo  il  collocamento  fuori
ruolo, ai sensi  della  legge  7  agosto  1990,  n.  239),  ma  anche
sull'esercizio  effettivo  delle  attribuzioni  connesse   a   quella
posizione  (come  si  e'  notato,  tutti  i  ricorrenti  nei  giudizi
principali avevano gia' intrapreso il corso del triennio fuori  ruolo
prima dell'entrata in vigore della norma de qua). 
    Inoltre, la durata del fuori ruolo e' breve, essendo contenuta in
un triennio, sicche' essa non  e'  equiparabile  a  quella  di  altri
rapporti, come quelli inerenti a trattamenti pensionistici, destinati
a protrarsi vita natural durante. Rispetto ad essa, dunque, non  sono
ravvisabili esigenze, tanto meno inderogabili, idonee a  giustificare
la compressione del legittimo affidamento nutrito  dagli  interessati
sulla regolare scadenza del relativo periodo. 
    Proprio sotto questo profilo, anzi, si coglie in modo  chiaro  il
vulnus   inferto   dalla   norma   censurata   alla    ragionevolezza
dell'intervento legislativo di cui si tratta. 
    Invero,  come  si  e'  detto,  ad  avviso  della  Presidenza  del
Consiglio dei ministri, i rimettenti non  avrebbero  colto  la  ratio
della  disposizione  impugnata,  «da  identificarsi  nella  avvertita
esigenza del sistema universitario italiano nell'ambito di un  quadro
di finanza pubblica critico, di agevolare il ricambio  generazionale,
considerato uno degli obiettivi in grado di dare nuovo  slancio,  tra
l'altro, alle attivita' di ricerca scientifica che si svolgono  nelle
universita». In questa situazione,  il  legislatore  non  si  sarebbe
limitato ad abolire l'istituto del fuori ruolo per tutti i professori
universitari, ma «proprio  per  evitare  d'incorrere  in  censure  di
illegittimita'  costituzionale»   avrebbe   «operato   una   graduale
riduzione  del  periodo  di  fuori  ruolo  fino   alla   sua   totale
eliminazione; ed e' in tale contesto che deve essere  considerata  la
norma per la quale la predetta riduzione si applica  anche  a  coloro
che sono stati gia' collocati in fuori ruolo». 
    Al riguardo si deve osservare  che,  senza  dubbio,  il  fine  di
abolire per il futuro l'istituto del  collocamento  fuori  ruolo  per
tutti i professori universitari rientra  nella  discrezionalita'  del
legislatore e, del resto, s'inserisce  in  un  indirizzo  legislativo
gia' in precedenza perseguito (artt. 17 e 19 della legge n.  230  del
2005,  la  quale  tuttavia  fece  salvo  lo  stato  giuridico  e   il
trattamento economico in godimento per i professori in servizio  alla
data di entrata  in  vigore  della  legge  stessa).  Qui  non  e'  in
discussione tale obiettivo, bensi' il necessario bilanciamento che si
deve compiere tra il suo perseguimento e la tutela da riconoscere  al
legittimo affidamento nella sicurezza giuridica, nutrito  da  quanti,
sulla  base  della  normativa  previgente,   hanno   conseguito   una
situazione sostanziale consolidata. 
    In questa prospettiva va notato che la contrazione del periodo di
fuori ruolo, gia'  in  corso  di  svolgimento,  operata  dalla  norma
censurata, riguarda una posizione giuridica concentrata nell'arco  di
un  triennio,  interessa  una  categoria  di  docenti   numericamente
ristretta, non produce significative ricadute sulla finanza pubblica,
non risponde allo scopo di  salvaguardare  equilibri  di  bilancio  o
altri  aspetti  di  pubblico  interesse  e  neppure  puo'   definirsi
funzionale  all'esigenza  di  ricambio  generazionale   dei   docenti
universitari, ove si consideri  che  essi,  con  l'inizio  del  fuori
ruolo, perdono la titolarita' della cattedra che rimane  vacante.  Il
sacrificio imposto ai docenti interessati, che gia' si trovano  nello
stato di fuori ruolo, dunque,  si  rivela  ingiustificato  e  percio'
irragionevole,   traducendosi   nella   violazione   del    legittimo
affidamento - derivante da un formale provvedimento amministrativo  -
riposto nella possibilita' di portare a termine, nel tempo  stabilito
dalla legge, le funzioni loro conferite e, quindi,  nella  stabilita'
della posizione giuridica acquisita (nei sensi sopra indicati). 
    Ne' puo' condividersi l'ulteriore argomento dell'Avvocatura dello
Stato, secondo cui  la  norma  censurata  mirerebbe  «ad  evitare  la
disparita' di trattamento tra categorie di  docenti  che  si  sarebbe
creata se si fosse proceduto ad abolire il fuori  ruolo  solo  per  i
docenti in servizio, senza incidere anche sulla posizione dei docenti
gia' collocati in fuori ruolo». E'  vero  il  contrario,  perche'  la
norma pone sullo stesso piano posizioni giuridiche non  omogenee,  in
quanto trascura di considerare che il professore gia' in fuori  ruolo
e' titolare in atto di uno specifico stato professionale,  sul  quale
la norma medesima viene ad incidere in senso peggiorativo con effetto
immediato, mentre il professore in servizio di ruolo, titolare di uno
stato giuridico diverso, puo' vantare al riguardo soltanto  una  mera
aspettativa. In realta', quindi,  l'equiparazione  suddetta  realizza
una disparita' di trattamento (rappresentata dalla  previsione  dello
stesso trattamento per situazioni  giuridiche  diverse),  costituente
autonoma violazione dell'art. 3 Cost. 
    Alla stregua delle considerazioni esposte, deve essere dichiarata
l'illegittimita' costituzionale dell'art. 2, comma 434,  della  legge
24 dicembre 2007, n. 244, nella parte in cui si applica ai professori
universitari per i quali sia stato  disposto  il  collocamento  fuori
ruolo con formale provvedimento amministrativo e che  hanno  iniziato
il corso del relativo periodo. 
    Ogni ulteriore profilo di censura resta assorbito.