Sentenza 
nei giudizi di legittimita' costituzionale degli articoli  da  217  a
226, da 233 a 236, da 238 a 253, 257 e 265, nonche'  dell'allegato  4
alla Parte quarta del decreto  legislativo  3  aprile  2006,  n.  152
(Norme in  materia  ambientale),  promossi  dalle  Regioni  Calabria,
Toscana, Piemonte,  Emilia-Romagna,  Liguria  e  Marche  con  ricorsi
notificati l'8, il 13, il 12-21 ed il 12-27 giugno  2006,  depositati
in cancelleria il 10, il 14, il 15, il  16  ed  il  21  giugno  2006,
iscritti ai nn. 68, 69, 70, 73, 74 e 79 del registro ricorsi 2006. 
    Visti gli atti di costituzione del Presidente del  Consiglio  dei
ministri; nonche' gli atti di intervento  dell'Associazione  Italiana
per il World Wide Fund for  Nature  (WWF  Italia)  -  Onlus  e  della
Biomasse Italia s.p.a. ed altre; 
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  19  maggio  2009  il  Giudice
relatore Paolo Maria Napolitano; 
    Uditi gli avvocati Maria Grazia Bottari Gentile  per  la  Regione
Calabria, Lucia Bora e Fabio Lorenzoni per la Regione Toscana,  Fabio
Lorenzoni per la  Regione  Piemonte,  Giandomenico  Falcon  e  Franco
Mastragostino per la Regione Emilia-Romagna, Giandomenico Falcon  per
la  Regione  Liguria,  Gustavo  Visentini  per  la  Regione   Marche,
Alessandro Giadrossi per l'Associazione italiana per il VVorld  VVide
Fund for Nature (VVVVF Italia) - Onlus e  gli  avvocati  dello  Stato
Fabrizio Fedeli e Sergio Fiorentino per il Presidente  del  Consiglio
dei ministri. 
                          Ritenuto in fatto 
    1. - Le  Regioni  Calabria,  Toscana,  Piemonte,  Emilia-Romagna,
Liguria e Marche,  ciascuna  con  distinto  ricorso,  rispettivamente
contrassegnato con i numeri 68, 69, 70, 73,  74  e  79  del  registro
ricorsi dell'anno 2006, hanno sollevato, in via principale, questione
di legittimita' costituzionale di numerose disposizioni contenute nel
decreto  legislativo  3  aprile  2006,  n.  152  (Norme  in   materia
ambientale), in riferimento agli articoli 3, 11, 76, 117, 118  e  119
della Costituzione,  nonche'  in  relazione  al  principio  di  leale
collaborazione. 
    In particolare, la Regione Calabria ha impugnato, tra gli  altri,
gli articoli da 217 a 226 e da 233 a 236, l'art. 238 e  gli  articoli
da 239 a 253, l'art. 265 e l'allegato 4 alla Parte quarta del  d.lgs.
n. 152 del 2006; la Regione Toscana, tra gli altri, gli articoli 238,
240, 242 e 252; la Regione Piemonte, a  sua  volta,  tra  gli  altri,
l'art.  238,  gli  articoli  240,  242,  246  e   252;   la   Regione
Emilia-Romagna, tra gli altri, il solo art. 238; la Regione  Liguria,
tra gli altri, l'art. 240, gli articoli 242 a  244,  e  gli  articoli
246, 252 e 257; la Regione Marche, infine,  gli  articoli  238,  240,
241, 242 e 252. 
    2. - La Regione Calabria  deduce  la  complessiva  illegittimita'
costituzionale dell'intero Titolo IL della Parte quarta del d.lgs. n.
152  del  2006  (articoli  da  217  a  226),  nella  parte  in   cui,
genericamente, prevede la disciplina della gestione degli  imballaggi
e, piu' specificamente, regola  i  consorzi  per  la  gestione  degli
imballaggi e dei relativi  rifiuti  in  quanto  la  detta  disciplina
collocandosi «sul punto di  intersezione  tra  varie  competenze,  di
diversa natura (tutela dell'ambiente, tutela  della  salute,  servizi
pubblici regionali e locali)», doveva  essere  adottata  mediante  un
procedimento di approvazione rispettoso  del  principio  della  leale
cooperazione. 
    La  Regione  ricorrente  precisa  che,  anche  se  si   ritenesse
prevalente l'ambito materiale della  tutela  dell'ambiente,  tuttavia
non sarebbe comunque stata rispettata la naturale  trasversalita'  di
tale materia, molte essendo le  disposizioni  contenute  nel  decreto
legislativo non riconducibili  a  standard  di  tutela  uniforme.  In
particolare la ricorrente censura l'art. 221, commi da  4  a  9,  che
predispone una disciplina degli obblighi di produttori e utilizzatori
cosi' puntuale da impedire alle  Regioni  di  modularla,  invece,  in
ragione delle peculiarita' del loro territorio e delle loro  esigenze
produttive; l'art. 222  che  prevede  gli  obblighi  delle  pubbliche
amministrazioni in tema di raccolta differenziata, in quanto la norma
citata sarebbe applicabile a tutta la pubblica amministrazione  senza
distinguere fra enti ed organi statali e  quelli  sub-statali,  cosi'
incidendo,  in  violazione  dell'art.  117,   quarto   comma,   della
Costituzione, sulla materia di competenza residuale  regionale  della
organizzazione amministrativa delle Regioni  e  degli  enti  pubblici
regionali; l'art. 223  che  reca,  a  sua  volta,  una  normativa  di
dettaglio anch'essa volta non a predisporre standard di tutela, ma  a
individuare strumenti e procedure per raggiungere lo standard altrove
indicato. 
    In via subordinata la  Regione  osserva  anche  che  il  comma  2
dell'art. 222 detta una disciplina talmente minuziosa da  arrivare  a
delineare  le  procedure  da  seguire  per  il  raggiungimento  degli
obbiettivi fissati. 
    L'art.  223  presenterebbe,  per  la  ricorrente  Regione,  altri
profili di incostituzionalita',  riferibili  alla  lesione  dell'art.
118, primo comma, della Costituzione. 
    In particolare, la previsione che i  consorzi  fra  produttori  e
recuperatori debbano essere strutturati su base nazionale e  regolati
da uno statuto tipo redatto dal Ministero dell'ambiente, di  concerto
con quello delle attivita' produttive, oltre a escludere  le  istanze
regionali, violerebbe l'art. 76 della Costituzione, stante il mancato
rispetto dell'art. 1, comma 8, della  legge  di  delega  15  dicembre
2004, n. 308 (Delega al Governo per il riordino, il  coordinamento  e
l'integrazione della legislazione in materia ambientale e  misure  di
diretta applicazione), il quale impone  al  legislatore  delegato  di
conformarsi alle previsioni di cui al decreto  legislativo  31  marzo
1998, n. 112 (Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello
Stato alle regioni e agli enti locali, in attuazione del capo I della
legge 15 marzo 1997, n. 59). Pertanto, a parere della ricorrente,  in
virtu' del disposto dell'art. 85 del decreto legislativo n.  112  del
1998,  il  quale  a  sua  volta  rimanda  all'art.  40  del   decreto
legislativo 5  febbraio  1997,  n.  22  (Attuazione  della  direttiva
91/156/CEE  sui  rifiuti,  della  direttiva  91/689/CEE  sui  rifiuti
pericolosi e della direttiva 94/62/CE sugli imballaggi e sui  rifiuti
di  imballaggio),  sarebbe   ingiustificata   la   previsione   della
dimensione necessariamente nazionale dei consorzi  fra  produttori  e
utilizzatori. La Regione lamenta anche la  «compressione  dei  poteri
regionali» cui sarebbe inibita  ogni  valutazione  al  momento  della
costituzione  del  consorzio  e  la  predisposizione   di   strumenti
normativi atti a salvaguardarne la «serieta» e «importanza». 
    La Regione deduce,  altresi',  la  illegittimita'  costituzionale
dell'art. 224 del  d.lgs.  n.  152  del  2006  nella  parte  in  cui,
rispondendo ad una logica marcatamente  centralistica  in  violazione
del principio di sussidiarieta' espresso dall'art. 118, primo  comma,
della Costituzione, concentra sul solo Consorzio nazionale imballaggi
la totalita' delle funzioni dalla medesima norma previste, ovvero, in
via subordinata, in  quanto  non  consente  alle  Regioni  di  creare
analoghi Consorzi a livello regionale che  esercitino,  nel  rispetto
del principio di  sussidiarieta',  le  funzioni  che  possono  essere
svolte al loro livello territoriale. 
    2.1. - Come si e' detto la Regione Calabria solleva questione  di
legittimita' costituzionale anche degli articoli 233, 234, 235 e  236
del d.lgs. n. 152 del 2006,  i  quali  rispettivamente  prevedono  la
istituzione del Consorzio nazionale di raccolta e  trattamento  degli
oli e dei grassi vegetali ed animali esausti, del Consorzio nazionale
per il riciclaggio di rifiuti di beni in polietilene,  del  Consorzio
nazionale per la raccolta ed il trattamento delle batterie al  piombo
esauste e dei rifiuti piombosi  e  del  Consorzio  nazionale  per  la
gestione, raccolta e trattamento degli oli minerali usati. Le  citate
disposizioni, a parere della ricorrente, si porrebbero  in  contrasto
col principio di sussidiarieta' espresso dall'art. 118, primo  comma,
della Costituzione, concentrando sui Consorzi nazionali la  totalita'
delle  funzioni  amministrative  da  loro   previste,   e,   in   via
subordinata, non consentendo alle Regioni di creare analoghi Consorzi
a livello regionale. 
    2.2. - La Regione Calabria censura l'art. 238, comma 6  (e  commi
3, 5, 7 e 8 per la parte in cui lo richiamano) del d.lgs. n. 152  del
2006 poiche', pur in presenza  dei  molteplici  titoli  competenziali
concernenti  la  gestione  dei  rifiuti,  attribuisce   al   Ministro
dell'ambiente il compito di predisporre con apposito  regolamento  «i
criteri generali sulla base dei quali vengono definite le  componenti
dei costi e viene determinata la tariffa» per la gestione dei rifiuti
urbani. Tale disposizione violerebbe l'art. 117, sesto  comma,  della
Costituzione, assegnando allo Stato una potesta' regolamentare in una
materia non di sua esclusiva competenza. 
    Subordinatamente la disposizione violerebbe anche il principio di
leale collaborazione prevedendo che il regolamento di cui al comma  6
sia emanato dal Ministro dell'ambiente, di concerto con quello  delle
attivita' produttive, sentita la Conferenza Stato-Regioni, la'  dove,
dato  il  rilievo  assunto  dal  regolamento  in  questione,  sarebbe
necessario che la concertazione  tra  Stato  e  Regioni  si  realizzi
tramite una «intesa in senso forte». 
    2.3.  - La  Regione  Calabria  solleva,  altresi',  questione  di
legittimita' costituzionale dell'intero Titolo V della  Parte  quarta
del d.lgs. n. 152 del 2006 (articoli da 239 a 253) che disciplina  la
bonifica dei siti contaminati. 
    Ricorda  la  ricorrente  che  la  delega  legislativa,  contenuta
nell'art. 1, comma 1, della legge n.  308  del  2004,  consentiva  al
Governo la emanazione  di  uno  o  piu'  decreti  per  il  «riordino,
coordinamento ed  integrazione  delle  disposizioni  legislative»  in
vigore. 
    Secondo la Regione Calabria, la disciplina in  esame  avrebbe  un
carattere profondamente innovativo rispetto a quella  preesistente  e
cio' costituirebbe una violazione della legge delega e  dell'art.  76
cost. con evidenti riflessi sulle attribuzioni  costituzionali  delle
Regioni «sia per il tipo di normativa  redatta»  sia  perche'  l'aver
esorbitato dai limiti della delega avrebbe consentito allo  Stato  di
porre in essere  norme  che,  qualora  previste  come  innovative  ab
initio, avrebbero necessitato, in  ossequio  al  principio  di  leale
collaborazione, di una  assai  piu'  rilevante  partecipazione  delle
Regioni nella fase formativa della legge. 
    In via subordinata la Regione eccepisce il  contrasto  di  «molte
delle disposizioni contenute negli articoli da 239 a 253  del  d.lgs.
n. 152 del 2006»  con  l'art.  117  della  Costituzione.  Infatti  la
disciplina della bonifica  dei  siti  contaminati  coinvolge  diversi
titoli  competenziali   quali   quello   trasversale   della   tutela
dell'ambiente, quelli concorrenti del governo del territorio e  della
tutela della salute nonche', almeno sotto determinati profili, quello
di  competenza  residuale   regionale   dell'agricoltura.   Tuttavia,
prosegue  la  ricorrente,  l'aspetto  prevalente  sembrerebbe  essere
quello del governo del territorio,  configurandosi  la  attivita'  di
ripristino della salubrita'  dei  luoghi  come  momento  qualificante
della azione di governo del suolo, del sottosuolo e delle acque. 
    Per tali motivi la Regione  Calabria  ritiene  in  contrasto  con
l'art. 117 della Cost., dato il loro carattere di norme di dettaglio,
le seguenti disposizioni: l'art. 242, che, lungi dal  porre  principi
fondamentali, disciplina  in  dettaglio  le  procedure  operative  ed
amministrative  di  bonifica;  l'art.  244,  il  quale  individua   i
comportamenti che  le  amministrazioni  debbono  tenere  in  caso  di
superamento dei valori di concentrazione soglia; l'art. 245,  che  si
occupa di particolari modalita' di interventi di messa in  sicurezza,
bonifica e ripristino ambientale; l'art. 248, che specifica le  forme
dei controlli sulle opere eseguite; l'art. 249 e  l'allegato  4  alla
Parte  quarta,  che  disciplinano  le   modalita'   semplificate   di
interevento  nelle  aree  di  ridotte  dimensioni;  l'art.  250,  che
disciplina le condizioni per l'intervento in  via  sostitutiva  della
pubblica amministrazione. 
    Le predette disposizioni di cui agli articoli 242, 244, 245,  248
e 249, peraltro, stante il  loro  carattere  dettagliato,  sarebbero,
altresi', viziate anche qualora  si  ritenesse  che  l'oggetto  delle
medesime non sia  ascrivibile  all'ambito  materiale  prevalente  del
«governo del territorio» ma ad una  concorrenza  di  competenze;  e',
infatti,  da   escludersi   che   esse   siano   riconducibili   alla
individuazione di uno standard di tutela uniforme. 
    2.4. - Con specifico  riferimento  all'art.  241,  la  ricorrente
ritiene che la norma, nell'attribuire al Ministro  dell'ambiente,  di
concerto con quello delle attivita' produttive, quello della salute e
quello delle politiche  agricole,  un  potere  regolamentare  in  una
materia articolata  che  vede  la  presenza  anche  della  competenza
residuale regionale in tema di agricoltura, violerebbe il sesto comma
dell'art.  117  della  Costituzione  e  si  porrebbe,  altresi',   in
contrasto col principio  di  leale  cooperazione  attesa  la  mancata
previsione, persino, della consultazione delle Regioni. 
    2.5.  -  La  Regione  Calabria  deduce  anche  la  illegittimita'
costituzionale dei commi 3  e  4  dell'art.  252;  quanto  al  primo,
poiche' esso,  nel  prevedere  che  la  perimetrazione  dei  siti  di
bonifica di interesse nazionale debba avvenire «sentiti i comuni,  le
province,  le  regioni  e  gli  altri  enti  locali»,  lederebbe   le
attribuzioni costituzionali delle Regioni  che,  invece,  sulla  base
della loro piu' approfondita conoscenza  del  territorio,  dovrebbero
poter  codecidere  con  lo  Stato  sulla  perimetrazione;  quanto  al
secondo,  poiche'  esso,  oltre  a  ledere  il  principio  di   leale
cooperazione, violerebbe anche l'art. 76 della Costituzione. Infatti,
a parere della ricorrente, l'art. 1, comma 8, della legge  di  delega
n. 308 del 2004, rinviando all'art. 85 del d.lgs. n.  112  del  1998,
imporrebbe il rispetto delle attribuzioni regionali fissate dall'art.
17 del d.lgs. n. 22 del 1997, il quale, al comma 14,  prevedeva,  per
gli interventi di bonifica di interesse nazionale,  l'intesa  con  la
Regione territorialmente competente. 
    2.6. - Da ultimo la Regione Calabria censura l'art. 265, comma 3,
del d.lgs. n. 152 del  2006.  Detta  norma  prevede  che  tramite  un
decreto ministeriale siano individuate «le forme di promozione  e  di
incentivazione per la ricerca e lo sviluppo di  nuove  tecnologie  di
bonifica presso le universita', nonche' presso le imprese  e  i  loro
consorzi». Secondo la rimettente la predetta disposizione sarebbe  in
contrasto con l'art. 117, sesto  comma,  della  Costituzione  poiche'
attribuisce allo Stato una potesta' regolamentare  nella  materia  di
competenza concorrente della ricerca  scientifica.  Esso  violerebbe,
altresi', l'art. 119 della Costituzione, prevedendo l'attribuzione di
incentivi in un ambito  non  di  esclusiva  competenza  dello  Stato,
nonche' il principio di leale cooperazione,  non  contemplando  alcun
tipo di coinvolgimento della Regione. 
    2.7. - In prossimita' della data fissata per la  discussione  del
ricorso la Regione Calabria ha depositato  una  memoria  illustrativa
nella quale si sofferma  sul  perdurante  interesse  a  coltivare  il
ricorso, pur in presenza delle modifiche  normative  intervenute  sul
d.lgs. n. 152 del 2006 a seguito della entrata in vigore del  decreto
legislativo 16 gennaio 2008, n. 4 (Ulteriori disposizioni  correttive
ed integrative del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, recante
norme in materia ambientale). 
    Con riferimento,  in  particolare,  alla  normativa  in  tema  di
gestione degli imballaggi la ricorrente, precisato che  la  normativa
in discorso ha comunque spiegato  effetti  gia'  nella  sua  versione
originaria,  ribadisce  che,  al  di  la'  delle  modifiche  ad  essa
apportate, spesso solo formali, permangono le  censure  a  suo  tempo
formulate quanto alla violazione dell'art.  117  della  Costituzione,
dato il carattere estremamente dettagliato  e  puntuale  della  detta
normativa, e quanto alla violazione dell'art. 118 della Costituzione,
stante il permanere  dell'impianto  normativo  basato  sul  carattere
nazionale dei consorzi. 
    Anche con riferimento alla impugnazione degli articoli 233, 234 e
236 del d.lgs. n. 152 del 2006 le novelle apportate non incidono  sul
contenuto della medesima;  diversamente  la  ricorrente  prende  atto
della avvenuta abrogazione dell'art. 235. 
    Infine riguardo alla disciplina dei siti contaminati il carattere
solo formale delle modificazioni intervenute ne  esclude,  ad  avviso
della Regione ricorrente, ricadute sul merito del ricorso. 
    3. - Con ricorso notificato il 12-21 giugno 2006 e depositato  il
14 giugno 2006, la Regione Toscana ha impugnato, tra l'altro,  l'art.
238, commi 3, 6, 7, 8, 9 e 10,  l'art.  240,  comma  1,  lettera  b),
l'art. 242, commi 2, 3, 4, 5 e 7, e l'art. 252,  commi  3  e  4,  del
d.lgs. n. 152 del 2006, per violazione degli  articoli  11,  76,  97,
117, 118 e 119 della Costituzione. 
    3.1. - La ricorrente censura anzitutto l'art. 238, commi 3, 6, 7,
8, 9 e 10, in riferimento agli articoli 117, 118 e 119 Cost. 
    La disposizione citata, ricorda la ricorrente, regola la  tariffa
per la gestione dei rifiuti urbani: il comma  3  stabilisce  che  «la
tariffa e' determinata, entro tre  mesi  dalla  data  di  entrata  in
vigore del decreto di cui al comma 6, dalle Autorita' d'ambito ed  e'
applicata e riscossa dai soggetti affidatari del servizio di gestione
integrata sulla base dei criteri fissati dal regolamento  di  cui  al
comma 6»; mentre i  commi  da  6  a  10  disciplinano  le  competenze
attuative. 
    Secondo la Regione ricorrente, l'intera norma  recherebbe  vulnus
alle competenze  regionali:  in  particolare,  essa  si  porrebbe  in
contrasto con gli articoli 117, 118 e 119 Cost., (rinviando la difesa
regionale a considerazioni analoghe a quelle gia' svolte in relazione
all'art. 154, il quale istituisce la tariffa del  servizio  idrico  e
fissa i parametri per determinarla), in quanto i poteri «riconosciuti
[dalla citata disposizione] al ministero violerebbero  la  competenza
legislativa regionale in tema di servizi  pubblici  locali  (cfr.  le
sentenze  n.  272  del  2004  e  n.   29   del   2006   della   Corte
costituzionale)», oltre che l'autonomia finanziaria della Regione, in
ragione della sua incidenza su di un'entrata regionale, di competenza
regionale. 
    In subordine, rileva sempre  la  Regione,  se  anche  si  volesse
ritenere  la  disciplina  della  presente  tariffa  rientrante  nella
competenza statale, la  norma  sarebbe,  comunque,  censurabile,  non
avendo previsto l'intesa con le Regioni; intesa necessaria  tutte  le
volte che il legislatore nazionale interviene  in  una  materia  come
quella  del  caso  di  specie  (precisamente  i  rifiuti),  «ove  gli
interessi ambientali  si  sovrappongono  con  quelli  di  tutela  del
territorio e della tutela della salute (sentenza n. 407/2002)». 
    3.2. - Per quanto concerne, poi, gli articoli 240, 242 e 252,  la
Regione ricorrente premette che gli stessi sono collocati nel  Titolo
V della Parte quarta dell'impugnato decreto legislativo,  titolo  che
disciplina la bonifica dei siti contaminati. 
    L'art. 240, prosegue la Regione Toscana, detta, in  generale,  le
definizioni utili per l'applicazione delle disposizioni contenute nel
Titolo V del decreto legislativo n. 152 del 2006; in particolare,  il
comma   1,   lettera   b),   riguarda   "concentrazioni   soglia   di
contaminazione  (CSC)"  e  stabilisce  in  merito:  «i   livelli   di
contaminazione delle matrici ambientali che costituiscono  valori  al
di sopra dei quali e' necessaria  la  caratterizzazione  del  sito  e
l'analisi di rischio sito specifica, come individuati nell'Allegato 5
alla parte quarta del presente decreto.  Nel  caso  in  cui  il  sito
potenzialmente contaminato sia  ubicato  in  un'area  interessata  da
fenomeni antropici o naturali che abbiano determinato il  superamento
di una o piu' concentrazioni soglia di contaminazione, queste  ultime
si assumono pari al valore di fondo esistente per tutti  i  parametri
superati». 
    L'art. 242, invece, premette la ricorrente, riguarda le procedure
operative ed amministrative per  procedere  alla  bonifica  dei  siti
inquinati  e  stabilisce:  «al  verificarsi  di  un  evento  che  sia
potenzialmente in grado  di  contaminare  il  sito,  il  responsabile
dell'inquinamento mette in opera entro  ventiquattro  ore  le  misure
necessarie di prevenzione e ne da' immediata comunicazione ai sensi e
con le modalita' di cui all'art. 304,  comma  2»  [recte:  comma  1];
mentre al successivo comma  2:  «il  responsabile  dell'inquinamento,
attuate le necessarie  misure  di  prevenzione,  svolge,  nelle  zone
interessate  dalla  contaminazione,   un'indagine   preliminare   sui
parametri oggetto dell'inquinamento e, ove  accerti  che  il  livello
delle concentrazioni soglia di contaminazione  (CSC)  non  sia  stato
superato, provvede al  ripristino  della  zona  contaminata,  dandone
notizia, con apposita autocertificazione, al comune ed alla provincia
competenti per territorio entro quarantotto ore dalla  comunicazione.
L'autocertificazione conclude il procedimento di notifica di  cui  al
presente articolo, ferme restando  le  attivita'  di  verifica  e  di
controllo da  parte  dell'autorita'  competente  da  effettuarsi  nei
successivi quindici giorni». 
    Quindi, relativamente ai successivi commi 3 e  4,  la  ricorrente
rileva che il primo trasferisce la  competenza  autorizzatoria  delle
bonifiche dalla Regione al Comune (in difformita' da quanto  previsto
dall'art. 17 del d.lgs. n. 22 del 1997); ed il secondo,  dispone  che
«sulla base delle risultanze  della  caratterizzazione,  al  sito  e'
applicata la procedura di analisi del rischio sito specifica  per  la
determinazione delle concentrazioni  soglia  di  rischio  (CSR)».  Il
comma  4  prevede,  inoltre,  che  i  criteri   da   utilizzare   per
l'applicazione della procedura di  analisi  di  rischio  sono  quelli
riportati nell'allegato 1 alla Parte quarta dello stesso  decreto;  e
stabilisce, altresi', che, entro sei mesi dall'approvazione del piano
di caratterizzazione, il soggetto responsabile presenti alla  Regione
i risultati dell'analisi di rischio che saranno approvati da apposita
Conferenza di servizi convocata dalla Regione. 
    Qualora  gli  esiti  della  procedura  dell'analisi  di   rischio
dimostrino che la concentrazione dei contaminanti presenti  nel  sito
e' inferiore alle  concentrazioni  soglia  di  rischio,  prosegue  la
ricorrente,  la  Conferenza  dei  servizi,  con  l'approvazione   del
documento dell'analisi del rischio, dichiara - ai sensi del comma 5 -
concluso  positivamente  il  procedimento,  potendo  prescrivere   lo
svolgimento di  un  programma  di  monitoraggio  sul  sito  circa  la
stabilizzazione della situazione riscontrata in relazione agli  esiti
dell'analisi di rischio e all'attuale destinazione d'uso del sito. 
    Quanto stabilito, si  porrebbe,  a  detta  della  ricorrente,  in
contrasto sia con la normativa comunitaria in materia di rifiuti, sia
con la legge delega (con violazione, quindi, degli articoli  11,  76,
117 e 118 Cost.). 
    Infatti, secondo la  Regione  Toscana,  «l'individuata  procedura
operativa ed amministrativa per la bonifica  dei  siti  inquinati  ha
come naturale conseguenza un pregiudizio derivante da un minor rigore
nella  tutela  ambientale  e  una  compressione  delle   attribuzioni
regionali in materia di tutela della salute, nonche' del governo  del
territorio». 
    Riguardo, in particolare, all'art. 242, relativamente alla  parte
in cui collega l'obbligo di bonifica per il soggetto che inquina agli
esiti della procedura di analisi del rischio - svolta peraltro  dallo
stesso soggetto che ha inquinato (si veda  l'allegato  2  alla  Parte
quarta del decreto) - la stessa e', per  la  ricorrente,  ancorata  a
parametri  del  tutto  incerti  e  non  oggettivi,  con   conseguente
possibilita', per l'inquinatore, di poter effettuare  un'analisi  del
rischio piu' favorevole ai propri interessi, evitando  la  successiva
fase di bonifica. 
    In altri termini,  a  detta  della  difesa  regionale,  la  norma
censurata  demanda  al  responsabile   dell'inquinamento   -   previo
svolgimento,  nelle  zone  interessate   dalla   contaminazione,   di
un'indagine preliminare sui parametri oggetto dell'inquinamento -  la
valutazione del superamento o meno  delle  concentrazioni  soglia  di
contaminazione (CSC) e, quindi, conseguentemente, la  valutazione  se
provvedere al ripristino della zona contaminata  (comunicandolo,  con
apposita  autocertificazione,  sia  al  Comune,  sia  alla  Provincia
competenti per territorio) ovvero, se darne  immediata  notizia  agli
stessi Enti, descrivendo, altresi', le misure  di  prevenzione  e  di
messa in sicurezza di emergenza da esso adottate. 
    Una tale disposizione si porrebbe, pertanto, in aperto  contrasto
con la normativa comunitaria  relativamente  alla  tutela  dei  suoli
dall'inquinamento,  poiche'  si  demanderebbe  alla  discrezionalita'
dell'inquinatore - a fronte dell'inquinamento di un sito - la  scelta
della procedura ritenuta piu' adatta  al  caso  di  specie.  All'Ente
pubblico competente  -  nel  caso  lo  stesso  dissenta  dall'analisi
prodotta dal soggetto - non restera' (dopo aver espresso  il  proprio
parere negativo) che procedere d'ufficio alla bonifica del sito,  con
gravi ripercussioni sull'erario per  le  ben  poche  probabilita'  di
recuperare le spese sostenute, anche in via giudiziaria; ovvero,  non
procedere alla bonifica, con inevitabili e  gravi  ripercussioni  sul
territorio e sulla tutela della salute dei cittadini. 
    Da qui la dedotta violazione degli articoli 117 e  118  Cost.,  a
cui si aggiungerebbe - sempre secondo la Regione ricorrente  -  anche
la «compromissione» del principio comunitario «chi inquina paga», con
conseguente violazione anche dei principi  e  dei  criteri  direttivi
enunciati dall'art. 1, comma 8, della legge di delega n. 308 del 2004
e, in particolare, di quelli di cui alle lettere e)  ed  f),  nonche'
alle lettere b) e h). 
    Relativamente alle prime due, le stesse  -  prosegue  la  Regione
ricorrente - enunciano i principi  ai  quali  il  nuovo  testo  unico
avrebbe dovuto uniformarsi, da  un  lato,  dando  «piena  e  coerente
attuazione delle direttive comunitarie, al fine di garantire  elevati
livelli di tutela dell'ambiente e di contribuire in  tale  modo  alla
competitivita' dei sistemi territoriali  e  delle  imprese,  evitando
fenomeni di distorsione della concorrenza»; e, dall'altro, affermando
i «principi comunitari di prevenzione, di precauzione, di  correzione
e riduzione degli inquinamenti e dei danni ambientali e del principio
"chi inquina paga"». Mentre, con riguardo ai principi stabiliti nelle
lettere b) e h), gli obiettivi da perseguire sarebbero stati altresi'
quelli del «conseguimento di maggiore efficienza e tempestivita'  dei
controlli ambientali, nonche' certezza  delle  sanzioni  in  caso  di
violazione  delle  disposizioni  a   tutela   dell'ambiente»   e   la
«previsione di misure che assicurino l'efficacia dei controlli e  dei
monitoraggi ambientali, incentivando in particolare  i  programmi  di
controllo  sui  singoli  impianti  produttivi,  anche  attraverso  il
potenziamento e  il  miglioramento  dell'efficienza  delle  autorita'
competenti». 
    Per  la  Regione  Toscana,   tali   obiettivi   sarebbero   stati
palesemente pregiudicati, con conseguente violazione  degli  articoli
11 e 76 Cost., e con ripercussioni  sulle  competenze  costituzionali
della Regione in materia di governo del  territorio  e  tutela  della
salute. 
    Analoghe  considerazioni,  secondo  la  ricorrente,  valgono  per
l'art. 240, comma 1, lettera b), nella parte in cui lo stesso prevede
che, nelle ipotesi in cui «un  sito  potenzialmente  contaminato  sia
ubicato in un'area interessata da fenomeni antropici o  naturali  che
abbiano determinato il  superamento  di  una  o  piu'  concentrazioni
soglia di  contaminazione,  per  tale  specifico  sito  tali  "valori
soglia" coincidono con il valore di fondo  esistente  nel  sito,  con
riferimento a tutti i parametri superati». Difatti, stante il dettato
di questa disposizione, verrebbero a  determinarsi  gravi  incertezze
sulle   modalita'   di   rilevamento   dei   valori   di   fondo   e,
conseguentemente, sui  valori  di  riferimento,  con  evidenti  gravi
ripercussioni sulla tutela della salute e sul governo del territorio. 
    3.3. - Quindi, la Regione  ritiene  che  analoga  violazione  dei
parametri sopra citati sarebbe operata anche dal comma 7 dello stesso
art.  242;  questa  disposizione,  norma  di  dettaglio  secondo   la
ricorrente, prevedendo che «con il  provvedimento  [...]  e'  fissata
l'entita' delle garanzie finanziarie,  in  misura  non  superiore  al
cinquanta per cento del costo  stimato  dell'intervento,  che  devono
essere prestate in favore della regione per la corretta esecuzione ed
il completamento degli interventi medesimi», impone  una  limitazione
del   quantum   della   garanzia   finanziaria.   Pertanto,   poiche'
consentirebbe a chi ha procurato un inquinamento di  non  offrire  la
garanzia finanziaria integrale per la bonifica del sito, essa sarebbe
incompatibile con le competenze regionali in materia di tutela  della
salute,  governo  del  territorio  e  servizi  pubblici,  nonche'  in
contrasto sia con i principi  comunitari  di  tutela  ambientale  (in
particolare con il principio «chi inquina  paga»),  sia  con  i  gia'
richiamati principi e criteri di cui alle lettere e) ed f)  dell'art.
1, comma 8, della legge di delega n. 308 del 2004. 
    Tale previsione di un tetto massimo per le garanzie  finanziarie,
poi, si porrebbe in contrasto anche con i principi direttivi  di  cui
alle lettere c), f) ed i) dell'art. 1, comma 8, secondo  i  quali  il
testo unico avrebbe dovuto conformarsi a: «c) invarianza degli  oneri
a carico della finanza pubblica; [...] f) affermazione  dei  principi
comunitari di prevenzione, di precauzione, di correzione e  riduzione
degli inquinamenti e  dei  danni  ambientali  e  del  principio  "chi
inquina paga"; [...] i) garanzia  di  una  piu'  efficace  tutela  in
materia ambientale anche mediante il coordinamento  e  l'integrazione
della disciplina del sistema sanzionatorio, amministrativo e  penale,
fermi  restando  i  limiti  di  pena  e  l'entita'   delle   sanzioni
amministrative gia' stabiliti dalla legge». 
    3.4. - La Regione Toscana impugna anche l'art. 252, commi 3 e  4,
del d.lgs. n. 152 del 2006, in riferimento agli articoli  117  e  118
Cost. 
    La Regione, preliminarmente, ricorda che tale articolo disciplina
la bonifica dei cosiddetti siti di  interesse  nazionale,  prevedendo
che, alla loro individuazione, «si provvede con decreto del  Ministro
dell'ambiente e della tutela del territorio, d'intesa con le  regioni
interessate, secondo i seguenti principi e criteri  direttivi  [...]»
La norma stabilisce, poi, rispettivamente, al comma 3,  che  ai  fini
della perimetrazione del sito e' sufficiente sentire  «i  comuni,  le
province,  le  regioni  e  gli  altri  enti  locali,  assicurando  la
partecipazione dei responsabili nonche' dei proprietari delle aree da
bonificare,  se  diversi  dai  soggetti  responsabili»;  mentre,   al
successivo comma 4, che «la procedura di bonifica di cui all'art. 242
dei siti di interesse nazionale e'  attribuita  alla  competenza  del
Ministero dell'ambiente e della tutela  del  territorio,  sentito  il
Ministero delle attivita' produttive», senza alcuna previsione di una
intesa con le Regioni (come era stabilito all'art. 17, comma 14,  del
d.lgs. n. 22 del 1991). 
    La Regione ricorrente,  al  proposito,  lamenta  che  la  mancata
previsione, nei commi censurati, dell'intesa con la Regione  ai  fini
della perimetrazione e dell'approvazione dei progetti di bonifica  di
siti di interesse nazionale si porrebbe in contrasto con gli articoli
117 e 118  Cost.,  ripercuotendosi  sulle  competenze  costituzionali
della Regione in  materia  di  tutela  della  salute  e  governo  del
territorio: la norma,  infatti,  cosi'  stabilendo,  vincolerebbe  la
destinazione  urbanistica  del  territorio   dei   siti   d'interesse
nazionale da bonificare, senza prevedere nessun intervento  da  parte
delle Regioni interessate. 
    3.5. - Nel giudizio si e' costituito il Presidente del  Consiglio
dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura  generale  dello
Stato,   eccependo   l'inammissibilita'    e    deducendo    comunque
l'infondatezza delle censure. 
    Riguardo alla dedotta violazione dell'art. 238, commi 3, 6, 7, 8,
9 e 10, in riferimento agli articoli 117, 118 e 119 Cost., la  difesa
erariale Ritiene che questa disposizione - cosi' come  gia'  rilevato
per  gli  articoli  154  e  155   dello   stesso   Codice,   relativi
all'istituzione di tariffe per i servizi idrici e  di  depurazione  -
non verrebbe ad  invadere  la  competenza  regionale  in  materia  di
servizi  pubblici  locali,  con  conseguente  lesione  dell'autonomia
finanziaria e tributaria della Regione ricorrente. La  censura  della
Regione sarebbe, difatti, infondata, stante  la  necessita'  che  gli
"elementi di base" delle tariffe «debbano essere accertati e  fissati
in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale» e  determinati,
pertanto, dal legislatore nazionale. La norma, comunque, riserverebbe
«alla gestione regionale  delle  tariffe  [...]  ampi  spazi  per  le
politiche locali di incentivazione e di aggravamento». 
    Ugualmente infondate sarebbero, per l'Avvocatura dello Stato,  le
censure relative agli articoli 240, comma 1, lettera b), e 242, commi
2, 3, 4, 5, in relazione agli articoli 11, 76, 117 e 118  Cost.,  non
solo perche' si lamenterebbe, con «salti logici» ed in modo  generico
una presunta «illegittimita' comunitaria», nonche' la  violazione  da
parte del legislatore statale delle competenze regionali in  tema  di
tutela della salute e di governo del territorio, ma anche  perche'  -
come testualmente afferma la  difesa  pubblica  -  «l'adozione  della
cosiddetta analisi del rischio  e'  criterio  gia'  ricorrente  nella
prassi amministrativa  (soprattutto  commissariale)  sicche'  vengono
meno, con il carattere  innovativo  della  disposizione,  le  ragioni
sostanziali  di  un'opposizione  preconcetta  al   sistema   che   il
legislatore nazionale ha inteso generalizzare». 
    Anche la censura mossa dalla Regione ricorrente al  comma  7  del
citato articolo 242 per violazione degli articoli 11, 76, 117  e  118
Cost., sarebbe infondata. 
    Il legislatore delegato, infatti, con la disposizione  impugnata,
non e' venuto a fissare un limite massimo alle  garanzie  finanziarie
che  devono  essere  prestate  a  favore   della   Regione   per   la
realizzazione e l'esercizio degli impianti previsti dal  progetto  di
bonifica, cosi'  violando  principi  comunitari  (specificamente,  il
principio "chi inquina paga"), ne' a determinare  un  aggravio  degli
oneri a carico della finanza pubblica ed una riduzione  della  tutela
in materia ambientale  in  via  indiretta.  Questi,  utilizzando  una
misura percentuale, avrebbe solamente stabilito quali rapporti devono
sussistere «tra amministrazione e privato in  sede  di  richiesta  di
garanzie, ancorando il potere pubblico ad un parametro  significativo
e quindi ragionevole». 
    Infine, con riguardo all'art. 252, commi 3 e 4,  impugnato  dalla
ricorrente, in riferimento agli articoli 117 e 118 Cost., poiche' non
prevederebbe  un'adeguata  partecipazione  regionale  ai  fini  della
perimetrazione e dell'approvazione della bonifica  dei  progetti  dei
siti di interesse nazionale, la difesa erariale Ritiene che anche  le
censure riferite a dette norme sarebbero non fondate. 
    Infatti,  ferma  restando  -  a  parere  dell'Avvocatura   -   la
considerazione che  un'intesa  forte  sarebbe  difficile  da  attuare
concretamente e «foriera di soluzioni  spesso  non  trasparenti»,  si
dovrebbe anche tener presente che  «se  i  siti  da  bonificare  sono
qualificati d'interesse nazionale, se le risorse sono  esclusivamente
statali,   l'audizione   attenta   nell'ambito    del    procedimento
amministrativo di tutti i soggetti interessati consente  il  raccordo
con  la  realta'  regionale   e   locale,   lasciando   tuttavia   la
responsabilita' unitaria dell'intervento alla sola autorita' chiamata
a provvedere». 
    3.6. - Nel giudizio e' intervenuta l'Associazione Italiana per il
World  Wide  Fund  for  Nature  (WWF  Italia)  -  Onlus,   chiedendo,
relativamente agli articoli 240, comma  1,  lettera  b),  e  242  del
d.lgs.  n.  152  del  2006,  l'accoglimento  delle   questioni,   con
motivazioni sostanzialmente analoghe a quelle svolte dalla ricorrente
e riservandosi di ulteriormente illustrare le ragioni e  i  contenuti
dell'intervento. 
    3.7. -  In  prossimita'  dell'udienza,  la  Regione  Toscana   ha
depositato memoria  nella  quale  -  con  riferimento  agli  articoli
censurati - ribadisce l'interesse a coltivare il ricorso, dal momento
che l'intervenuto d.lgs. n. 4 del  2008,  correttivo  del  precedente
d.lgs. n. 152 del 2006, non ha inciso l'ambito  normativo  riferibile
alle disposizioni in esame e non ha, quindi, apportato  significative
modifiche in proposito. 
    La difesa regionale insiste,  altresi',  per  l'accoglimento  del
ricorso proposto, richiamandosi  ai  motivi  di  censura  svolti  nel
medesimo. 
    3.8. -  In  prossimita'  dell'udienza,  ha   depositato   memoria
l'Associazione Italiana per  il  World  Wide  Fund  for  Nature  (WWF
Italia) - Onlus, relativamente agli articoli 240,  comma  1,  lettera
b), e 242, commi 2, 3,  4,  5  e  7  del  d.lgs.  n.  152  del  2006,
insistendo per l'accoglimento delle questioni. 
    4. - La  Regione  Piemonte  ha  impugnato,  tra  gli  altri,  gli
articoli 238, 240, 242, 246 e 252 del d.lgs.  n.  152  del  2006  per
violazione degli articoli 3, 76, 97, 117, 118, 119 e del principio di
leale collaborazione. 
    Quanto all'art. 238 che, come si e' detto, disciplina la  tariffa
per la gestione dei rifiuti urbani, la Regione  Piemonte  lamenta  il
carattere innovativo della nuova disciplina in contrasto  con  quanto
previsto dalla legge di delega. In particolare rileva che  l'art.  1,
comma 9,  lettera  a),  della  legge  di  delega  n.  308  del  2004,
individuava il criterio di «assicurare una  maggiore  certezza  della
riscossione della tariffa sui rifiuti urbani anche mediante una  piu'
razionale definizione dell'istituto» mentre il d.lgs. n. 152 del 2006
non si e' limitato a  modificare  la  preesistente  disciplina  della
tariffa ma ha abrogato l'intero disposto dell'art. 49 del  d.lgs.  n.
22 del 1997, introducendo  «rilevanti  elementi  innovativi  circa  i
presupposti per l'applicazione». 
    Per la Regione Piemonte l'art. 238 violerebbe anche il  principio
comunitario  «chi  inquina  paga»  a   causa   dell'introduzione   di
indicatori per la determinazione della tariffa, come il  richiamo  ad
indici reddituali, del tutto indipendenti dalla mera  produzione  dei
rifiuti.   Inoltre   altri   indici,   quali   l'attribuzione   della
giurisdizione  al  giudice  tributario,  evidenzierebbero  la  natura
tributaria della tariffa, con  una  sensibile  divaricazione  tra  il
quantum pagato e il grado  di  fruizione  del  servizio  pubblico  in
violazione del citato principio «chi inquina paga» e con  l'ulteriore
conseguenza di accentuare  la  difficolta'  degli  Enti  regionali  e
locali nella programmazione e gestione dei servizi  in  relazione  al
finanziamento degli stessi. 
    4.1. - Anche con riferimento alla disciplina della  bonifica  dei
siti contaminati la Regione Piemonte rileva la presenza  di  numerose
innovazioni,  «sia  nelle  disposizioni  di  definizioni  sia   nella
regolamentazione di procedure, che modificano notevolmente l'impianto
giuridico gia' costituito dall'art. 17 del  d.lgs.  n.  22  del  1997
senza supporto nelle previsioni della legge di delega». 
    In particolare, a parere della ricorrente, l'art.  240  introduce
una definizione della «messa in sicurezza  operativa»  che,  anziche'
consentire un'appropriata organizzazione che contemperi  l'attuazione
degli  interventi  con  la  prosecuzione  dell'attivita'   produttiva
secondo un piano  operativo  eventualmente  concordato,  finisce  per
procrastinare a tempo indeterminato  gli  interventi  fino  a  quando
l'attivita' verra' dismessa. 
    La Regione Piemonte ritiene, inoltre, che  l'art.  242  modifichi
«integralmente tutto il precedente impianto di competenze  eliminando
"l'incardinamento"  degli  interventi  in  primo  luogo  nei   comuni
territorialmente  interessati  in   violazione   del   principio   di
sussidiarieta». Con la conseguenza che per operare secondo il sistema
prefigurato si renderebbero necessari dei mutamenti organizzativi che
paralizzerebbero l'attivita'. La nuova organizzazione,  tra  l'altro,
sarebbe piu' lenta  e  meno  efficace  per  l'impossibilita'  di  una
verifica immediata sugli eventi di contaminazione attuabile invece  a
livello comunale. 
    La definizione  delle  procedure  si  presenterebbe  estremamente
dettagliata con difetti  di  coordinamento  e  con  una  complessita'
procedimentale senza alcuna giustificazione finendo in definitiva per
ostacolare  un  intervento  dell'autorita'  pubblica   tempestivo   e
specifico. Vi sarebbero inoltre non poche incongruenze  in  relazione
alle disposizioni degli articoli 244 e 245 ed a  quelle  della  Parte
sesta riguardanti le azioni di prevenzione e di riparazione del danno
ambientale. 
    L'art. 246 e' censurato dalla Regione Piemonte in quanto «prevede
incongruamente il ricorso obbligatorio ad accordi di programma che  i
soggetti tenuti ad eseguire gli interventi di bonifica hanno "diritto
di stipulare" con l'amministrazione competente». 
    Infine la Regione  lamenta  che,  in  materia  di  interventi  di
interesse nazionale, l'art.  252  abbia  eliminato  l'intesa  con  la
Regione territorialmente competente in  ordine  alla  definizione  ed
approvazione del progetto di intervento. 
    L'esclusione della codeterminazione con la Regione sarebbe  priva
di  giustificazione  ed  in  contrasto  con  il  principio  di  leale
collaborazione, considerando la natura degli interventi di  interesse
nazionale  che  riguardano  vaste  porzioni  territoriali  ed   hanno
rilevante impatto socio-economico. 
    4.2. - Nel giudizio e' intervenuta l'Associazione Italiana per il
World Wide Fund for Nature (WWF  Italia)  -  Onlus,  concludendo  nel
senso dell'accoglimento del ricorso. 
    4.3. - Sono,  altresi',  intervenuti  nel  giudizio  la  Societa'
Italiana Centrali Termoelettriche SICET s.r.l.;  la  Biomasse  Italia
s.p.a.; l'Ital Green Energy s.r.l. e  l'Energia  Tecnologia  Ambiente
s.p.a., tutte quante chiedendo il rigetto del ricorso. 
    5. - La Regione Emilia-Romagna,  con  ricorso  notificato  il  13
giugno 2006 e depositato il successivo 16 giugno, ha  impugnato,  tra
l'altro, l'art. 238 del citato d.lgs. n. 152 del 2006, in riferimento
agli articoli 76, 117, commi quarto e sesto, e  119,  commi  primo  e
secondo, della Costituzione. 
    5.1. -  La  ricorrente  premette  che,  contrariamente  a  quanto
previsto dall'art. 1, comma 9, lettera a), della legge delega n.  308
del 2004, l'art. 238 e'  venuto  a  ridisciplinare  integralmente  la
tariffa per la gestione  dei  rifiuti  urbani,  trasformandola  anche
"concettualmente". 
    Infatti, prosegue la Regione  ricorrente,  l'articolo  censurato,
abrogando la precedente disciplina contenuta nel cosiddetto  «decreto
Ronchi», stabilisce che la «tassa» sui rifiuti sia, ora, «commisurata
su indici quali l'estensione dei locali detenuti e indici  reddituali
articolati per fasce di utenza e territoriali»  (comma  2),  anziche'
sul parametro della effettiva produzione dei  rifiuti,  come  sarebbe
corrispondente al principio comunitario «chi inquina  paga»;  in  tal
modo resterebbe del tutto in ombra la natura di «tariffa» commisurata
quale corrispettivo della prestazione di un servizio. 
    Inoltre,  «i  criteri  generali  sulla  base  dei  quali  vengono
definite le componenti dei costi  e  viene  determinata  la  tariffa»
sarebbero determinati, al comma 6, da un regolamento ministeriale  da
emanarsi «sentita» la Conferenza Stato-Regioni. 
    Pertanto,  la  normativa  statale  e,  in  primis,  la   espressa
attribuzione di poteri normativi ministeriali, sovraordinati a quelli
delle Regioni (gia' esercitati dalla Regione  ricorrente  in  base  a
quanto disposto dalla  legge  regionale  6  settembre  1999,  n.  25,
recante  «Delimitazione  degli   ambiti   territoriali   ottimali   e
disciplina delle forme  di  cooperazione  tra  gli  Enti  locali  per
l'organizzazione del Servizio idrico  integrato  e  del  Servizio  di
gestione  dei  rifiuti  urbani»),  viola,  altresi',  la   competenza
legislativa spettante alle Regioni, ai sensi  dell'art.  117,  quarto
comma, Cost., «in quanto strettamente  correlata  alla  disciplina  e
alla politica dei servizi pubblici locali, nonche' il  riparto  della
potesta' regolamentare fissato dall'art. 117, sesto comma». 
    Il metodo tariffario - prosegue la Regione ricorrente -  si  deve
ritenere «componente connaturata alla disciplina dei servizi pubblici
locali di rilevanza economica (qual e' il servizio  di  gestione  dei
rifiuti)»  e,  come  tale,  sicuramente   di   spettanza   regionale.
Conseguentemente, non sembra  essere  competenza  statale  quella  di
determinare i componenti di costo della tariffa, dal momento  che  la
politica di regolazione e di  organizzazione  del  servizio  pubblico
locale, afferente alla gestione dei rifiuti, e' demandata  alla  cura
regionale che, anche attraverso il metodo tariffario, puo' perseguire
precise scelte in materia. 
    A riprova  del  fatto  che  non  si  riscontrerebbe  alcuna  base
costituzionale  che  consenta  allo  Stato  di  avocare  a  se'  tali
determinazioni, la ricorrente ricorda come  la  Corte  costituzionale
abbia rigettato l'impugnazione proposta dal Governo avverso la  legge
regionale dell'Emilia-Romagna,  disciplinante  il  metodo  tariffario
regionale sul servizio idrico (legge regionale 14 aprile 2004,  n.  7
recante   «Disposizioni   in   materia   ambientale.   Modifiche   ed
integrazioni a leggi regionali»), proprio in relazione alla  rilevata
insufficienza di argomentazioni addotte a sostegno di una  competenza
statale in materia (sentenza n. 335 del 2005). 
    Inoltre, sempre secondo la difesa regionale, la norma  denunciata
non terrebbe conto del riparto della potesta' legislativa fra Stato e
Regioni fissato dall'art. 117, comma quarto,  Cost.,  in  materia  di
disciplina dei servizi pubblici locali, rientrante  nella  competenza
legislativa  regionale  (con  conseguente  violazione  dell'autonomia
finanziaria e tributaria  delle  regioni,  garantita  dall'art.  119,
commi  primo  e  secondo,  Cost.),   nonche'   -   si   ribadisce   -
oltrepasserebbe  anche  l'oggetto  e  i  limiti  della   delega.   La
disciplina tariffaria del servizio,  cosi'  ridisciplinata,  difatti,
non trova fondamento nell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.,
che si occupa della «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni
culturali», non gia' del regime tariffario di un servizio pubblico. 
    Infine,  il  comma  5  del  citato  articolo,  non   garantirebbe
l'integrale copertura dei costi del servizio nei primi  quattro  anni
successivi  all'emanazione  del  regolamento  ministeriale;  cio'  si
rifletterebbe sull'equilibrio finanziario, sul buon andamento e sulla
qualita' di servizi essenziali per la collettivita'. 
    5.2. - Nel giudizio e' intervenuta l'Associazione Italiana per il
World  Wide  Fund  for  Nature  (WWF  Italia)  -   Onlus,   chiedendo
l'accoglimento delle questioni sollevate  dalla  ricorrente,  ma  non
svolgendo alcuna deduzione sulla norma qui censurata. 
    5.3. - In prossimita'  dell'udienza,  la  Regione  ha  depositato
memoria  in  cui,  facendo  presente  la  complessita'  della  natura
giuridica della tariffa  per  i  rifiuti,  tale  da  coinvolgere  sia
tematiche  di  carattere  tributario,  sia  tematiche   legate   alla
corrispettivita' della prestazione  per  un  servizio  reso,  insiste
nelle censure relative tanto alla violazione della  delega  che  alla
violazione del principio di leale collaborazione. 
    6. - La  Regione  Liguria,  ha  impugnato,  tra  gli  altri,  gli
articoli 240, 242, 243, 244, 246, 252 e 257 del  d.lgs.  n.  152  del
2006  per  violazione  degli  articoli  3,  76,  117,  e  118   della
Costituzione e del principio di leale collaborazione. 
    Con successivo atto depositato in data 28 aprile 2009, la Regione
Liguria «considerate anche le modifiche apportate e sulla base  della
delibera  della  Giunta  regionale  16  aprile  2009,  n.   860»   ha
espressamente dichiarato di rinunziare al  ricorso  con  riferimento,
fra l'altro, a tutte le norme oggetto del presente giudizio (articoli
240, 242, 243, 244, 246, 252 e 257). 
    7. - La Regione Marche ha impugnato, tra gli altri, gli  articoli
238, 240, 241, 242 e 252 del decreto legislativo n. 152 del 2006, per
violazione degli articoli 11, 76, 117, 118 e 119. 
    7.1. - Per quanto  riguarda  l'art.  238  la  ricorrente  censura
l'attribuzione al Ministero dell'Ambiente  di  competenze  attuative,
anche mediante poteri regolamentari, in una materia quale «i  servizi
pubblici  locali»  di  competenza  propria  delle  regioni.  A   tale
proposito  la   ricorrente   richiama   le   sentenze   della   Corte
costituzionale n. 272 del 2004 e n. 29 del 2006. 
    Secondo la Regione la norma impugnata,  oltre  a  comportare  una
violazione  dell'art.  117,  quarto  comma,  Cost.,   incidendo   «su
un'entrata la cui disciplina ricade nella competenza  regionale»,  si
porrebbe in contrasto anche con l'art. 119, primo  e  secondo  comma,
Cost., che garantisce  l'autonomia  finanziaria  e  tributaria  delle
Regioni. 
    7.2. -  La  Regione  Marche  Ritiene,  altresi',  che  il  rinvio
all'approvazione di un  regolamento  operato  dall'art.  241  per  la
bonifica  delle   aree   destinate   alla   produzione   agricola   e
all'allevamento impedisce di bonificare tali aree e di  procedere  al
riutilizzo delle stesse con conseguente violazione degli articoli 117
e 118 della Costituzione. In proposito  la  ricorrente  ricorda  che,
sebbene una tale  disposizione  fosse  presente  anche  nel  «decreto
Ronchi», ad oggi non si e' avuta l'emanazione  di  tale  regolamento,
con gravi pregiudizi per la tutela dell'ambiente, della salute e  del
governo del territorio. 
    7.3. - Le censure della Regione Marche si  estendono  anche  agli
articoli 240 e 242 che introdurrebbero  disposizioni  in  materia  di
bonifica dei siti inquinati in contrasto con la normativa comunitaria
in materia di rifiuti nonche'  con  i  criteri  dettati  dalla  legge
delega. 
    La nuova normativa, secondo la ricorrente, comporterebbe, oltre a
un minor rigore nella tutela ambientale, anche una compressione delle
attribuzioni regionali in materia di tutela della salute e di governo
del territorio. 
    In particolare, la Regione contesta l'art. 242 nella parte in cui
stabilisce  che  la  procedura  di  analisi  del  rischio,   cui   e'
subordinato l'obbligo di bonifica per il  soggetto  inquinatore,  sia
svolta secondo le procedure  descritte  dall'Allegato  1  alla  Parte
quarta del decreto e rimessa allo stesso soggetto che  ha  inquinato.
In base a tale  Allegato  1,  infatti,  l'analisi  del  rischio  sito
specifica,  finalizzata  alla  determinazione  delle   concentrazioni
soglia di rischio, sarebbe ancorata a parametri del tutto  incerti  e
non oggettivi,  derivandone  per  l'inquinatore  la  possibilita'  di
effettuare  un'analisi  del  rischio  piu'   favorevole   ai   propri
interessi, evitando la successiva fase di bonifica. 
    In  altri  termini,  l'art.  242  demanderebbe  al   responsabile
dell'inquinamento, previo svolgimento, nelle zone  interessate  dalla
contaminazione, di un'indagine  preliminare  «sui  parametri  oggetto
dell'inquinamento», la  valutazione  del  superamento  o  meno  delle
concentrazioni  soglia  di  contaminazione  e,  conseguentemente,  la
valutazione se  provvedere  al  ripristino  della  zona  contaminata,
oppure dare immediata notizia al comune ed alle  province  competenti
per territorio con la descrizione delle misure di  prevenzione  e  di
messa in sicurezza di emergenza adottate. 
    Secondo  la  Regione  tale  disciplina  si  porrebbe  in   aperto
contrasto  con  la  normativa  comunitaria   a   tutela   dei   suoli
dall'inquinamento, dal momento che, a fronte dell'inquinamento di  un
sito, demanderebbe alla discrezionalita' dell'inquinatore  la  scelta
della procedura piu' appropriata al caso di specie.  Sarebbero  cosi'
violati  il  principio  comunitario  «chi  inquina  paga»  nonche'  i
principi e  criteri  direttivi  individuati  dall'art.  1,  comma  8,
lettere e) ed f), della legge delega n. 308 del 2004. 
    Infine risulterebbero violati anche gli articoli 117 e 118  della
Costituzione, in quanto  l'amministrazione  competente,  in  caso  di
disaccordo con l'analisi prodotta  dal  soggetto,  sarebbe  posta  di
fronte alla scelta di procedere d'ufficio alla bonifica del sito, con
ben poche probabilita' di recuperare le spese sostenute, anche in via
giudiziaria,  ovvero  di  non  procedere  alla  bonifica,  con  gravi
ripercussioni  sul  territorio  e  sulla  tutela  della  salute   dei
cittadini. 
    Considerazioni analoghe varrebbero, secondo la ricorrente,  anche
con riferimento all'art. 240, comma 1, lettera b), nella parte in cui
prevede che nelle ipotesi in cui un sito  potenzialmente  contaminato
sia ubicato in un'area interessata da fenomeni antropici  o  naturali
che abbiano determinato il superamento di una o  piu'  concentrazioni
soglia di contaminazione «queste ultime si assumono pari al valore di
fondo   esistente   per   tutti   i   parametri   superati».   Questa
specificazione determinerebbe gravi  incertezze  sulle  modalita'  di
rilevamento dei valori di fondo e, conseguentemente,  sui  valori  di
riferimento,  con   evidenti   gravi   ripercussioni   sulla   tutela
dell'ambiente e della salute e sul governo del territorio. 
    7.4. - Il comma 7 dell'art. 242 e' oggetto di autonoma censura da
parte della Regione Marche in quanto, nel disciplinare  le  procedure
operative ed amministrative  per  la  bonifica  dei  siti  inquinati,
prevede un limite massimo, in misura non superiore al  cinquanta  per
cento  del  costo  stimato  per  l'intervento,  per  l'entita'  della
garanzia che le Regioni  devono  chiedere  con  il  provvedimento  di
autorizzazione alla bonifica ambientale. 
    Secondo  la  ricorrente,  la  previsione  di   un   tale   limite
costituirebbe una norma di dettaglio incompatibile con le  competenze
regionali in materia di tutela della salute, governo del territorio e
servizi pubblici in violazione degli  articoli  11,  76,  117  e  118
Cost., oltre che del principio comunitario «chi  inquina  paga»,  dal
momento che consentirebbe a chi ha procurato un inquinamento  di  non
garantire in pieno per la bonifica del sito. 
    In particolare,  risulterebbero  violati  i  principi  e  criteri
direttivi individuati dall'art. 1, comma 8, lettere e) ed  f),  della
legge delega n. 308 del 2004, secondo i quali il  nuovo  testo  unico
doveva, da un lato dare «piena e coerente attuazione delle  direttive
comunitarie,  al  fine  di  garantire  elevati  livelli   di   tutela
dell'ambiente e di contribuire in tale modo alla  competitivita'  dei
sistemi  territoriali  e  delle   imprese,   evitando   fenomeni   di
distorsione della concorrenza»; e, dall'altro, affermare i  «principi
comunitari di prevenzione, di precauzione, di correzione e  riduzione
degli inquinamenti e  dei  danni  ambientali»  e  il  principio  «chi
inquina paga». 
    Il comma 7  dell'art.  242  sarebbe  in  contrasto  anche  con  i
principi e criteri direttivi di cui alle lettere c) ed i) del comma 8
dell'art. 1 della legge delega n. 308 del 2004, secondo  i  quali  la
nuova disciplina non avrebbe dovuto comportare maggiori oneri per  la
finanza pubblica  ed  inoltre  avrebbe  dovuto  assicurare  una  piu'
efficace  tutela   in   materia   ambientale   «anche   mediante   il
coordinamento  e  l'integrazione   della   disciplina   del   sistema
sanzionatorio, amministrativo e penale, fermi restando  i  limiti  di
pena e l'entita' delle sanzioni amministrative gia'  stabilite  dalla
legge». 
    7.5. -  La  ricorrente  ritiene,  infine,  che  l'art.  252,  che
disciplina i siti di interesse nazionale ai fini della bonifica,  nei
commi 3 e 4, si ponga in contrasto con gli articoli 117 e  118  cost.
in quanto  non  prevede  l'intesa  ai  fini  della  perimetrazione  e
dell'approvazione delle procedure di bonifica, attivita' che comunque
si ripercuotono sulle  competenze  costituzionali  della  Regione  in
materia di tutela della salute e governo del territorio. In tal senso
la Regione evidenzia che la  perimetrazione  e  l'approvazione  delle
procedure di bonifica vincolano la destinazione urbanistica dei  siti
di interesse nazionale senza alcun intervento delle Regioni. 
    La norma  citata  per  la  sua  interconnessione  con  profili  e
tematiche di competenza regionale contrasterebbe con il principio  di
leale  collaborazione  prevedendo   un   intervento   del   Ministero
dell'ambiente, senza un contestuale coinvolgimento  delle  Regioni  o
della  conferenza  Stato-Regioni,  in  materie  quali  «tutela  della
salute» e «governo del territorio». 
    La  Regione  richiama  in  proposito  la  sentenza  della   Corte
costituzionale n. 62 del 2005  con  la  quale  si  e'  affermato  che
«quando gli interventi individuati come necessari e realizzati  dallo
Stato, in vista di interessi unitari di tutela ambientale, concernono
l'uso del territorio e in particolare la realizzazione di opere e  di
insediamenti atti a condizionare in modo  rilevante  lo  stato  e  lo
sviluppo di singole aree, l'intreccio  con  la  competenza  regionale
concorrente in materia di governo del territorio, oltre che con altre
competenze  regionali,  impone  che  siano  adottate   modalita'   di
attuazione degli  interventi  medesimi  che  coinvolgono,  attraverso
opportune forme di collaborazione, le regioni sul cui territorio  gli
interventi sono destinati a realizzarsi (cfr. sentenza n. 303/2003)». 
    7.6. -  In  prossimita'  dell'udienza  la   Regione   Marche   ha
depositato  memoria  con  la  quale  ha  ulteriormente  ribadito   le
argomentazioni esposte nel  ricorso  insistendo  nella  richiesta  di
declaratoria di  incostituzionalita'  in  ordine  a  tutte  le  norme
censurate. 
                       Considerato in diritto 
    1. - Le  Regioni  Calabria,  Toscana,  Piemonte,  Emilia-Romagna,
Liguria   e   Marche,   con   distinti    ricorsi,    rispettivamente
contrassegnati con i numeri 68, 69, 70, 73,  74  e  79  del  registro
ricorsi dell'anno 2006, hanno sollevato, in via principale, questione
di legittimita' costituzionale di numerose disposizioni contenute nel
decreto  legislativo  3  aprile  2006,  n.  152  (Norme  in   materia
ambientale), in riferimento agli articoli 3, 11, 76, 117, 118  e  119
della Costituzione,  nonche'  in  relazione  al  principio  di  leale
collaborazione. 
    In particolare, la Regione Calabria ha impugnato, tra gli  altri,
gli articoli da 217 a 226, da 233 a 236, 238, da 239  a  253  e  265,
nonche' l'allegato 4 alla Parte quarta del d.lgs. n. 152 del 2006; la
Regione Toscana, tra gli altri, gli articoli 238, 240, 242 e 252;  la
Regione Piemonte, a sua volta, tra gli altri, gli articoli 238,  240,
242, 246 e 252; la Regione Emilia-Romagna, tra gli altri, l'art. 238;
la Regione Liguria, tra gli altri, gli articoli 240, da  242  a  244,
246, 252 e 257; la Regione Marche, infine,  gli  articoli  238,  240,
241, 242 e 252. 
    Le  questioni  concernenti  le  norme  impugnate  possono  essere
suddivise in quattro gruppi: il primo, relativo agli articoli da  217
a 226  -  impugnato  dalla  sola  Regione  Calabria  -  attiene  alla
normativa in materia di gestione degli imballaggi; il secondo  gruppo
- anch'esso impugnato solo dalla Regione Calabria - comprendente  gli
articoli da 233 a 236,  ha  ad  oggetto  la  disciplina  relativa  ai
Consorzi nazionali per la gestione di particolari tipi di rifiuti; il
terzo gruppo riguarda il solo art. 238, che disciplina la tariffa per
la gestione dei rifiuti urbani, ed e' stato  censurato  da  tutte  le
Regioni ricorrenti; il quarto gruppo - censurato da tutte le  Regioni
sopraindicate, ad esclusione dell'Emilia-Romagna -  infine,  concerne
gli articoli da 239 a 253 che trattano la materia della bonifica  dei
siti contaminati. Da ultimo e' impugnato dalla sola Regione  Calabria
l'art. 265, comma 3, in tema di promozione della ricerca  in  materia
di bonifica ambientale. 
    Con riferimento al ricorso proposto dalla Regione Toscana, si  e'
costituito in giudizio il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato  e  difeso  dalla  Avvocatura  generale  dello   Stato,
concludendo per l'inammissibilita' e,  comunque,  per  l'infondatezza
delle censure. 
    Con riferimento al medesimo ricorso, nonche'  a  quello  proposto
dalle Regioni Piemonte ed Emilia-Romagna, e',  altresi',  intervenuta
in giudizio la Associazione Italiana  per  il  World  Wide  Fund  for
Nature (WWF Italia) - Onlus,  sostenendo  le  richieste  delle  parti
ricorrenti. 
    Infine, riguardo al solo  ricorso  della  Regione  Piemonte  sono
intervenute, chiedendone il rigetto, la  Societa'  Italiana  Centrali
Termoelettriche SICET s.r.l.; la Biomasse Italia s.p.a.; l'Ital Green
Energy s.r.l. e l'Energia Tecnologia Ambiente s.p.a. 
    2. - Stante la connessione esistente tra i  predetti  ricorsi,  i
relativi  giudizi  possono  essere  riuniti  per  essere  decisi  con
un'unica pronuncia, la  quale  avra'  ad  oggetto  esclusivamente  le
questioni   di   legittimita'   costituzionale   delle   disposizioni
legislative sopra indicate, essendo riservata ad altre  decisioni  la
valutazione delle restanti questioni sollevate coi  medesimi  ricorsi
dalle sopraindicate Regioni. 
    2.1. - Deve, preliminarmente, darsi atto che questa Corte con  la
sentenza n. 225 del 2009 ha ritenuto in  parte  inammissibili  ed  in
parte  non  fondate  le  questioni  di  legittimita'   costituzionale
sollevate dalle ricordate Regioni con i  ricorsi  ora  in  esame  nei
riguardi dell'intero testo del d.lgs n. 152 del 2006. 
    Deve, inoltre, in questa sede ribadirsi l'inammissibilita'  degli
interventi spiegati, gia' dichiarata da questa Corte  con  la  citata
sentenza  n.  225  del  2009,   poiche',   come   da   sua   costante
giurisprudenza, nei giudizi di  legittimita'  costituzionale  in  via
principale, non e' ammissibile l'intervento di soggetti non  titolari
di potesta' legislativa, «fermi restando per i soggetti privi di tale
potesta' i mezzi di tutela delle  loro  posizioni  soggettive,  anche
costituzionali,  di  fronte  ad  altre  istanze  giurisdizionali   ed
eventualmente anche di fronte a questa Corte in via incidentale»  (da
ultimo sentenza n. 405 del 2008). 
    2.2. - Sempre preliminarmente, deve, altresi', darsi atto che  la
Regione Liguria, con atto depositato  in  data  28  aprile  2009,  ha
dichiarato, giusta deliberazione della Giunta regionale del 16 aprile
2009, n. 860, di rinunziare espressamente  al  ricorso  relativamente
alle disposizioni legislative oggetto del presente giudizio. 
    La mancata costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri
rende  non  necessaria  l'accettazione   della   rinuncia,   sicche',
limitatamente  a  quanto  dedotto   dalla   Regione   Liguria,   puo'
immediatamente dichiararsi la estinzione del processo. 
    2.3. - Infine, riguardo ai profili di carattere preliminare, deve
darsi  atto  che,  salvo   quanto   successivamente   si   precisera'
relativamente alla impugnazione dell'art. 235 del d.lgs. n.  152  del
2006,  le  modifiche  normative   apportate,   successivamente   alla
proposizione  dei  singoli  ricorsi,  al  testo  delle   disposizioni
impugnate a seguito della entrata  in  vigore  dei  relativi  decreti
legislativi  correttivi,  non  hanno  comportato  alcun  effetto  sui
presenti giudizi, stante la loro assoluta marginalita' ed  avendo  le
Regioni, ad esclusione della Liguria, dichiarato di  insistere  nelle
rispettive conclusioni. 
    3. - Passando ad esaminare le censure formulate riguardo al primo
gruppo di norme, avente ad oggetto la disciplina della gestione degli
imballaggi e dei rifiuti di imballaggio, questa Corte osserva che  la
Regione Calabria ha impugnato unitariamente le disposizioni normative
contenute negli articoli  che  vanno  dal  217  al  226,  e,  in  via
subordinata rispetto alla precedente doglianza, per motivi diversi  e
singulatim, talune delle disposizioni normative comprese  fra  quelle
teste' citate. 
    3.1. - In particolare, la Regione  Calabria  ha  censurato  nella
loro totalita' gli articoli da 217 a 226 del d.lgs. n. 152 del  2006,
poiche' essi - in ispecie la' dove disciplinano  complessivamente  il
tema degli imballaggi, dettando le regole applicabili ai consorzi per
la gestione di questi e dei loro rifiuti - collocandosi nel punto  di
intersezione fra varie competenze, parte attribuite  alle  Regioni  e
parte attribuite allo Stato, si porrebbero in contrasto col principio
di  leale  collaborazione,  essendo   stati   adottati   tramite   un
procedimento non rispettoso di tale principio. 
    La censura non e' fondata. 
    La giurisprudenza di questa Corte, infatti, gia'  ha  piu'  volte
chiarito che le tematiche afferenti al rispetto  delle  procedure  di
leale collaborazione esulano dalla materia relativa  al  procedimento
di produzione normativa di rango primario (fra le ultime, sentenze n.
371 e n. 222 del 2008 e n. 401 del 2007). 
    3.2. - Quanto  alle  censure  riferite  a  norme  specifiche,  la
Regione Calabria ha impugnato l'art. 221, commi da 4 a 9, del  d.lgs.
n. 152 del 2006, perche', la' dove si ritenesse che, nel disciplinare
gli obblighi dei produttori e degli utilizzatori degli imballaggi, la
disposizione ivi contenuta sia afferente alla  materia  della  tutela
dell'ambiente,  essa,  stante  la  naturale  trasversalita'  di  tale
materia,  violerebbe  le  competenze   delle   Regioni   volte   alla
valorizzazione delle peculiarita' del loro territorio  e  delle  loro
esigenze produttive. 
    La censura, data la sua genericita', e' inammissibile. 
    La Regione ricorrente, onde consentire uno scrutinio  nel  merito
della sua censura, avrebbe dovuto, quantomeno, specificare quale era,
a suo avviso, il parametro costituzionale che assumeva  essere  stato
violato e in che  cosa  tale  violazione  si  fosse  realizzata,  non
risultando evidentemente idoneo a tal fine l'indeterminato richiamo a
competenze  regionali  aventi  ad  oggetto  la  valorizzazione  delle
singole peculiarita' territoriali e produttive. 
    3.3. -  Parimenti  inammissibili  sono  le  censure  mosse  dalla
Regione all'art. 222 del d.lgs. n. 152 del  2006,  il  quale  prevede
quali siano gli obblighi delle pubbliche amministrazioni in  tema  di
raccolta differenziata dei rifiuti di imballaggio. Secondo la Regione
la norma, in quanto applicabile a tutte le pubbliche amministrazioni,
senza differenziare fra quelle statali e quelle sub-statali,  sarebbe
in contrasto con l'art. 117, quarto comma, Cost., poiche' inciderebbe
sulla   materia,   di   competenza   regionale    residuale,    della
organizzazione amministrativa  delle  Regioni  e  dei  relativi  enti
pubblici.  In  via  subordinata,  sempre  secondo  la   Regione,   la
disposizione sarebbe  viziata  in  quanto,  al  comma  2,  detta  una
disciplina di carattere minuzioso, tale  da  non  potersi  ricondurre
alla  fissazione  di  un  livello,  cosi'  violando   la   competenza
regionale. 
    Anche in questo caso la genericita' delle due censure - dato  che
non e' stata indicata la  materia  cui  specificamente  assegnare  la
disciplina impugnata ne'  e'  stato  chiarito  in  che  modo  sarebbe
violata la competenza regionale - impedisce che possa avere  ingresso
lo scrutinio di merito dovendo essere esclusa la loro ammissibilita'. 
    3.4. -  Analoga  conclusione  vale  per  cio'  che  concerne   il
successivo art. 223 del d.lgs. n. 152; infatti, anche in questo caso,
la censura formulata dalla Regione Calabria -  secondo  la  quale  la
disposizione, che disciplina i consorzi nazionali per il  recupero  e
il riciclo degli imballaggi cui partecipano anche i produttori  degli
imballaggi stessi, sarebbe caratterizzata dall'essere  eccessivamente
minuziosa e  tale  da  non  essere  riconducibile  all'ipotesi  della
fissazione di un livello uniforme - e' eccessivamente  generica,  non
essendo ne' indicata la materia alla quale  attribuire  la  normativa
impugnata  ne'  chiarito  in  che  cosa  consisterebbe   la   dedotta
violazione della competenza regionale. 
    3.5. - La Regione Calabria  formula,  peraltro,  a  carico  dello
stesso art. 223 del d.lgs. n. 152 del  2006,  altre  due  censure  di
illegittimita' costituzionale. 
    In base alla prima, esso, in quanto prevede che i consorzi per il
recupero ed il riciclo degli imballaggi  siano  strutturati  su  base
nazionale, sarebbe in contrasto col principio  di  sussidiarieta'  di
cui all'art. 118, primo comma,  Cost.,  poiche',  data  la  struttura
nazionale dei detti consorzi e il fatto che  il  loro  statuto  debba
essere approvato dal Ministro dell'ambiente sulla base di uno  schema
predisposto  di  concerto  con  quello  delle  attivita'  produttive,
rimarrebbero prive di considerazione e del tutto ignorate le «istanze
regionali».  In  base  alla  seconda  censura,  la  previsione  della
struttura nazionale  dei  ricordati  consorzi  violerebbe  l'art.  76
Cost., dato il  mancato  rispetto  di  quanto  previsto  in  sede  di
conferimento di delega legislativa, poiche' l'art. 1 della  legge  15
dicembre 2004,  n.  308  (Delega  al  Governo  per  il  riordino,  il
coordinamento  e  l'integrazione  della   legislazione   in   materia
ambientale e misure di diretta applicazione), impone  al  legislatore
delegato di conformarsi al contenuto del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112
(Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello  Stato  alle
regioni e agli enti locali, in attuazione del capo I della  legge  15
marzo 1997, n. 59). Quest'ultimo, a sua volta, prevede il rispetto di
quanto contenuto nel decreto  legislativo  5  febbraio  1997,  n.  22
(Attuazione della direttiva 91/156/CEE sui rifiuti,  della  direttiva
91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e della  direttiva  94/62/CE  sugli
imballaggi e sui rifiuti di imballaggio),  che,  nel  disciplinare  i
consorzi in materia di imballaggi, non ne  imporrebbe  la  dimensione
nazionale. 
    Tali censure non sono fondate. 
    Quanto alla prima, deve osservarsi che e' ragionevole  e  non  in
contrasto con l'art. 118, primo comma, cost. - il quale prevede,  tra
l'altro,  che,  al  fine  di  assicurarne  l'esercizio  unitario,  le
funzioni amministrative possano essere conferite  allo  Stato  -  che
quest'ultimo, in una materia che e' specificamente assegnata alla sua
competenza legislativa esclusiva in tema di «tutela  dell'ambiente  e
dell'ecosistema»,  abbia  riservato  ad  organi   centrali   sia   la
predisposizione di uno schema di statuto tipo sia  il  controllo  sul
rispetto di tale schema, ed abbia, altresi', previsto,  onde  evitare
una  parcellizzazione  di  competenze  sul  territorio,  che  Ritiene
inutile e potenzialmente controproducente, che i  ricordati  consorzi
operino su tutto il territorio nazionale. 
    Nel caso in esame, quindi, la scelta  di  attribuire  a  consorzi
nazionali «le funzioni  amministrative  trova  una  non  implausibile
giustificazione  nell'esigenza  di  assicurare  che  l'esercizio  dei
compiti [...] risponda a criteri di uniformita' e unitarieta', atteso
che il livello di tutela ambientale non puo' variare da zona a zona e
considerato anche  il  carattere  diffusivo  e  transfrontaliero  dei
problemi ecologici, in  ragione  del  quale  gli  effetti  del  danno
ambientale sono difficilmente  circoscrivibili  entro  un  preciso  e
limitato ambito territoriale» (sentenza n. 235 del 2009). 
    Quanto alla seconda censura, a prescindere da quanto ritenuto  da
questa Corte con la citata sentenza n. 225 del 2009, in  ordine  alla
stessa applicabilita' dei contenuti di tale decreto legislativo  come
criteri direttivi della delega prevista dalla legge n. 308 del  2004,
si osserva che l'art. 40 del d.lgs. n. 22 del 1997 - disposizione  il
cui contenuto, secondo la Regione Calabria, sarebbe  stato  disatteso
dal legislatore delegato del 2006, con conseguente «compressione  dei
poteri regionali» - nel prevedere la costituzione  di  «un  Consorzio
per ciascuna tipologia di materiale di imballaggio», evidentemente ne
postulava, stante la unicita'  per  tipo  e  non  la  pluralita',  la
struttura unitaria a livello nazionale, non  diversamente  da  quanto
ora, con maggiore chiarezza, prevede l'impugnato art. 223 del  d.lgs.
n.  152  del  2006.  Nessuna  privazione  di  attribuzioni  regionali
precedentemente  conferite  si  e',  pertanto,  realizzata   con   la
disposizione normativa ora in  questione  che,  di  conseguenza,  non
puo', per tale motivo, essere ritenuta adottata in  violazione  della
delega legislativa. 
    3.6. - Non fondate sono anche le due censure mosse dalla  Regione
Calabria all'art. 224 del d.lgs. n. 152 del 2006, il  quale  reca  la
disciplina del Consorzio nazionale imballaggi. 
    Secondo la ricorrente Regione, infatti, la concentrazione in tale
Consorzio di tutte le funzioni elencate nelle lettere da a) ad m) del
comma 3 del predetto  art.  224  si  porrebbe  in  contrasto  con  il
principio di sussidiarieta', dovendosi riconoscere  che,  essendo  il
livello di governo regionale  quello  «maggiormente  rispondente»  al
proficuo  esercizio  della  attivita'  di  gestione  delle  ricordate
funzioni,  il  Consorzio  nazionale  dovrebbe  essere  affiancato  da
Consorzi regionali. In  via  subordinata,  la  disposizione  sarebbe,
comunque, illegittima nella parte in cui,  nuovamente  in  violazione
del principio di sussidiarieta', non consente alle Regioni di  creare
propri Consorzi, i quali esercitino le funzioni  che  possono  essere
svolte a livello regionale. 
    Anche in questo caso deve Osservarsi che  la  disciplina  ora  in
esame, per la quale  nell'ambito  legislativo  deve  riconoscersi  la
competenza esclusiva statale in materia di  «tutela  dell'ambiente  e
dell'ecosistema»,  consente  di  rinvenire,  per  le   ragioni   gia'
precedentemente esposte, quelle esigenze che, in puntuale  attuazione
delle regole della sussidiarieta', giustificano il conferimento anche
delle funzioni amministrative al  livello  statale,  per  assicurarne
l'esercizio coordinato e unitario. 
    4. - Per cio' che concerne  il  secondo  gruppo  di  norme,  deve
evidenziarsi che le censure riguardanti gli articoli 233, 234  e  236
del d.lgs. n. 152 del 2006 - aventi ad oggetto la costituzione,  gia'
parzialmente disciplinata dallo stesso d.lgs. n.  22  del  1997  agli
articoli 47 e 48,  di  Consorzi  nazionali  per  la  raccolta  ed  il
trattamento di alcune categorie particolari di rifiuti  -  stante  la
loro sostanziale omogeneita', possono essere congiuntamente trattate. 
    4.1. - La Regione Calabria si duole, non diversamente  da  quanto
aveva  fatto  con  riferimento  all'art.  224,  del  fatto   che   il
legislatore delegato, nel disciplinare le funzioni  attribuite  dalle
sopraindicate  norme,  rispettivamente,  ai  Consorzi  nazionali   di
raccolta e trattamento degli oli e dei  grassi  vegetali  ed  animali
esausti, ai Consorzi nazionali per il riciclaggio di rifiuti di  beni
in polietilene e ai Consorzi nazionali per la  gestione,  raccolta  e
trattamento degli oli  minerali  usati,  abbia  concentrato  in  essi
l'integralita' delle funzioni amministrative. Anche in  questo  caso,
infatti, la Regione lamenta il fatto che la struttura  nazionale  dei
richiamati Consorzi (struttura  nazionale,  che,  come  vedremo,  e',
peraltro, stata accentuata dal legislatore con l'adozione del decreto
legislativo "correttivo" 16 gennaio 2008, n.  4,  recante  «Ulteriori
disposizioni correttive ed  integrative  del  decreto  legislativo  3
aprile 2006, n. 152, recante norme in materia ambientale»),  e'  tale
da compromettere il principio di sussidiarieta', essendo  il  livello
di governo regionale quello piu'  rispondente  al  miglior  esercizio
delle attivita' disciplinate dalle  norme  sopraindicate;  violazione
neppure emendata attraverso la previsione  della  possibilita'  della
costituzione di Consorzi  regionali  che  possano  esercitare  almeno
talune delle funzioni di cui alle disposizioni  impugnate  a  livello
regionale. 
    Analogamente  a  quanto  osservato  in  merito  alla   previsione
normativa avente ad oggetto il Consorzio nazionale imballaggi, questa
Corte rileva che la disciplina in esame,  per  la  quale  nell'ambito
legislativo  deve  riconoscersi  la  competenza  esclusiva   statale,
consente di rinvenire  ancora  una  volta  quelle  esigenze  che,  in
puntuale attuazione delle regole della  sussidiarieta',  giustificano
il  conferimento  anche  delle  funzioni  amministrative  al  livello
statale, per assicurarne l'esercizio coordinato e unitario. 
    A  tale  proposito  e'  il  caso  di  osservare  che,  mentre  il
legislatore del d.lgs. n. 152 del 2006, pur affermando la  necessaria
dimensione nazionale dei Consorzi in discorso, aveva previsto che gli
operatori della rispettiva filiera  produttiva  potessero  costituire
«uno o piu' consorzi» per ciascuna delle diverse tipologie di rifiuti
indicati dalle predette disposizioni legislative, in sede di adozione
del decreto legislativo "correttivo" n. 4 del 2008 - proprio al  fine
di meglio tutelare le esigenze di coordinamento che stanno alla  base
della scelta della dimensione  nazionale  dei  detti  Consorzi  -  ha
espunto la facolta' di costituzione di una  pluralita'  di  Consorzi,
prevedendo, invece, che, per ciascuna  delle  categorie  di  rifiuti,
cosi' come accorpate dagli articoli 233, 234 e 236 del d.lgs. n.  152
del 2006, sia costituito un solo Consorzio nazionale. 
    4.2. - Discorso diverso, invece, va fatto per cio'  che  concerne
la impugnazione dell'art. 235 del d.lgs. n. 152 del 2006: tale  norma
che, con contenuti sostanzialmente identici a quelli  degli  articoli
233, 234 e 236, dettava la disciplina dei Consorzi nazionali  per  la
raccolta ed il trattamento delle batterie al  piombo  e  dei  rifiuti
piombosi, e' stata espressamente  abrogata  dall'art.  29,  comma  1,
lettera  f),  del  decreto  legislativo  20  novembre  2008,  n.  188
(Attuazione della direttiva 2006/66/CE concernente pile, accumulatori
e relativi rifiuti e che abroga la direttiva 91/157/CEE). Di cio' da'
formalmente atto la ricorrente Regione Calabria, la quale, ponendo in
luce i diversi effetti di questa sopravvenienza normativa rispetto  a
quelli che, in maniera decisamente piu' marginale, hanno  interessato
gli articoli 233, 234 e 236, ha chiaramente manifestato,  cosi'  come
peraltro testualmente esplicitato in sede di  discussione  orale  del
ricorso, di non avere piu' interesse all'impugnazione delle norme. 
    Limitatamente,   percio',   alla   questione   di    legittimita'
costituzionale relativa all'art. 235 del  d.lgs.  n.  152  del  2006,
poiche' tale norma e' stata  espressamente  abrogata  successivamente
alla proposizione del ricorso della Regione Calabria  e  poiche'  non
risulta  che  la  stessa  abbia  avuto  applicazione,   deve   essere
dichiarata cessata la materia del contendere. 
    5. - Il terzo gruppo di questioni e' sollevato,  come  detto,  da
tutte le ricorrenti, le quali hanno impugnato l'art. 238  del  d.lgs.
n. 152 del 2006 che disciplina la tariffa per la gestione dei rifiuti
solidi urbani. 
    5.1. - La Regione Calabria lamenta, in particolare, che il  comma
6 del citato art. 238, nella parte in  cui  attribuisce  al  Ministro
dell'ambiente il compito di predisporre, con apposito regolamento, «i
criteri generali sulla base dei quali vengono definite le  componenti
dei costi e viene determinata la tariffa» per la gestione dei rifiuti
urbani, violerebbe l'art. 117, sesto comma, cost. e il  principio  di
leale collaborazione in quanto, pur in presenza di molteplici  titoli
competenziali concernenti la gestione dei rifiuti, assegna allo Stato
una potesta' regolamentare  in  una  materia  non  di  sua  esclusiva
competenza  e  prevede  che  il  citato  regolamento   del   Ministro
dell'ambiente sia emanato, di concerto  con  quello  delle  attivita'
produttive, «sentita» la Conferenza Stato-Regioni  e  non  «d'intesa»
con quest'ultima. 
    5.2. - La Regione Toscana, a sua volta, impugna i commi 3, 6,  7,
8, 9 e 10 dell'art.  238  del  d.lgs.  n.  152  del  2006,  i  quali,
rispettivamente, nello stabilire (comma 3) le modalita' e  i  criteri
della determinazione  della  tariffa  per  la  gestione  dei  rifiuti
urbani, nel disciplinare le competenze attuative, e  nel  riconoscere
poteri normativi al Ministro dell'ambiente  e  del  territorio  e  al
Ministro delle attivita' produttive (commi dal 6 al 10)  violerebbero
gli articoli 117, 118 e 119 cost. In particolare, attraverso  i  vari
poteri loro riconosciuti  dalle  citate  disposizioni,  i  richiamati
Ministri si andrebbero «illegittimamente a ingerire nella  competenza
legislativa propria delle Regioni  in  materia  di  servizi  pubblici
locali, [...] nonche' nell'autonomia finanziaria  regionale,  perche'
incidenti  su  un'entrata  la  cui  disciplina   ricad[rebb]e   nella
competenza regionale» e, per altro verso, mancherebbe  la  previsione
dell'intesa con la Regione, che sarebbe necessaria ogni qualvolta  il
legislatore nazionale interviene in una materia in cui gli  interessi
della tutela ambientale si sovrappongono a quelli  della  tutela  del
territorio e della tutela della salute. 
    5.3. - L'art. 238 e' impugnato anche dalla Regione Piemonte,  che
lamenta la violazione dell'art. 76 cost. in quanto la  norma  sarebbe
in contrasto  con  il  principio  e  il  criterio  direttivo  fissato
dall'art. 1, comma 9, lettera a), della legge delega n. 308 del 2004,
secondo il quale si deve  «assicurare  una  maggiore  certezza  della
riscossione della tariffa sui rifiuti urbani anche mediante una  piu'
razionale definizione dell'istituto». 
    Secondo la Regione Piemonte il legislatore, in  violazione  della
legge delega, non si sarebbe limitato a  modificare  la  preesistente
disciplina della  tariffa,  ma  avrebbe  abrogato  l'intero  disposto
dell'art. 49 del d.lgs. n.  22  del  1997  che,  precedentemente,  la
disciplinava, introducendo «rilevanti  elementi  innovativi  circa  i
presupposti per l'applicazione». 
    Inoltre, risulterebbe violato anche il principio comunitario «chi
inquina paga», contenuto  nel  trattato  istitutivo  della  Comunita'
europea e nella direttiva 75/442/CEE, perche'  alcuni  indici,  quali
l'attribuzione della giurisdizione al giudice tributario (art.  3-bis
della legge n. 248 del 2005), l'introduzione di indicatori  sganciati
dalla mera produzione dei rifiuti e l'inserimento di un  richiamo  ad
indici  reddituali,  evidenzierebbero  la  natura  tributaria   della
tariffa, con una sensibile divaricazione tra il quantum pagato  e  il
grado di fruizione del servizio pubblico, con l'ulteriore conseguenza
di accentuare la difficolta' degli  enti  regionali  e  locali  nella
programmazione e gestione dei servizi in relazione  al  finanziamento
degli stessi. 
    5.4. - Analoghe  censure  vengono  svolte  dalla  Regione  Emilia
Romagna secondo la quale l'art. 238 violerebbe l'art.  76  Cost.,  in
quanto - abrogando la precedente disciplina contenuta nel  cosiddetto
«decreto Ronchi» e stabilendo che la  «tassa»  sui  rifiuti  sia  ora
«commisurata su indici  quali  l'estensione  dei  locali  detenuti  e
indici reddituali articolati per  fasce  di  utenza  e  territoriali»
(comma 2), anziche' sul  parametro  della  effettiva  produzione  dei
rifiuti, secondo  il  principio  comunitario  «chi  inquina  paga»  -
eccederebbe i limiti della delega (ex art. 1,  comma  9,  lettera  a,
della legge delega n. 308 del 2004). 
    A  parere  della  Regione  Emilia-Romagna,  la  norma  in   esame
violerebbe anche gli articoli 117, quarto e sesto comma, e 119, primo
e secondo comma, Cost., nella parte in cui stabilisce che «i  criteri
generali sulla base dei quali  vengono  definite  le  componenti  dei
costi e viene determinata la tariffa» (comma 5) siano determinati  da
un regolamento  ministeriale  da  emanarsi  «sentita»  la  Conferenza
Stato-Regioni (comma 6). 
    5.5. - L'art. 238,  infine,  e'  censurato  anche  dalla  Regione
Marche perche', nel disciplinare  la  tariffa  per  la  gestione  dei
rifiuti  urbani   e   le   competenze   attuative   mediante   poteri
regolamentari attribuiti al Ministro dell'ambiente, violerebbe l'art.
117, quarto comma, Cost., che riserva alle Regioni la disciplina  dei
servizi pubblici locali, e l'art. 119, primo e secondo comma,  Cost.,
che garantisce l'autonomia finanziaria  e  tributaria  delle  Regioni
incidendo «su un'entrata la cui disciplina  ricade  nella  competenza
regionale». 
    6. -  La  questione  sollevata   dalla   Regione   Emilia-Romagna
relativamente ai commi 5 e 6 dell'art. 238 del d.lgs. 152 del 2006 e'
inammissibile. 
    Nella delibera della Giunta, infatti, viene censurato l'art.  238
limitatamente ai commi 1 e 2. 
    Per  giurisprudenza  costante  di  questa   Corte,   la   mancata
corrispondenza tra le norme impugnate con il ricorso e quelle oggetto
della  delibera  di  autorizzazione  all'impugnazione  ne   determina
l'inammissibilita' (sentenza n. 387 del 2008; sentenze nn. 64  e  275
del 2007). 
    7. - Le restanti censure  -  sollevate  dalle  Regioni  Calabria,
Toscana, Piemonte, Emilia-Romagna e Marche -  relative  all'art.  238
del d.lgs. n. 152 del 2006 che disciplina, come si e' detto, la nuova
tariffa per la gestione dei rifiuti solidi  urbani,  in  sostituzione
della tariffa di igiene ambientale di cui all'art. 49 del  d.lgs.  n.
22 del 1997, non sono fondate. 
    7.1. - La prima delle censure innanzi  riportate,  relativa  alla
asserita violazione dell'art. 76 Cost., per avere il Governo adottato
in  sede  di  decretazione  legislativa   delegata   una   disciplina
innovativa e non meramente ricognitiva, come avrebbe imposto la legge
delega, non e' fondata. 
    Con altra pronuncia di questa Corte (n. 225 del 2009) si e'  gia'
precisato che il comma 1 dell'art. 1 della  legge  n.  308  del  2004
attribuiva al legislatore  delegato,  tramite  gli  emanandi  decreti
legislativi, non solo il  compito  di  procedere  al  «coordinamento»
delle previgenti disposizioni,  ma  anche  quello  di  provvedere  al
«riordino» e all'«integrazione» della normativa relativa  ai  settori
elencati nello  stesso  comma  1.  L'uso  dei  termini  «riordino»  e
«integrazione» e' sufficiente a consentire l'attuazione di interventi
innovativi e non di sola  ricognizione  (vedi  sentenza  n.  225  del
2009). 
    La volonta' del legislatore delegante di innovare  la  disciplina
preesistente  e',  peraltro,  confermata  anche  dalla  lettura   dei
principi e criteri direttivi indicati nei  successivi  commi  8  e  9
dello stesso art. 1 della legge n. 308 del  2004,  molti  dei  quali,
implicitamente  o  esplicitamente,  presuppongono  o   impongono   la
modifica sostanziale della normativa ambientale all'epoca vigente. 
    Con riferimento alla disciplina della tariffa per la gestione dei
rifiuti urbani, deve aggiungersi che  essa,  oltretutto,  costituisce
attuazione diretta dell'art. 1, comma  9,  lettera  a),  della  legge
delega n. 308  del  2004  che  prevede,  tra  i  principi  e  criteri
specifici della delega stessa, quello  di  «assicurare  una  maggiore
certezza della riscossione della tariffa sui  rifiuti  urbani,  anche
mediante una piu' razionale definizione dell'istituto». Essa e' anche
in linea con gli altri principi e criteri specifici quali «assicurare
un'efficace azione per l'ottimizzazione  quantitativa  e  qualitativa
della produzione dei rifiuti, finalizzata,  comunque,  a  ridurne  la
quantita' e la pericolosita';  [...]  razionalizzare  il  sistema  di
raccolta e di smaltimento dei  rifiuti  solidi  urbani,  mediante  la
definizione di ambiti territoriali di adeguate dimensioni all'interno
dei quali siano garantiti la costituzione del soggetto amministrativo
competente, il graduale  passaggio  allo  smaltimento  secondo  forme
diverse dalla discarica e la gestione affidata tramite  procedure  di
evidenza pubblica». 
    7.2. - La questione relativa alla rivendicazione della competenza
legislativa delle Regioni a regolamentare la tariffa per la  gestione
dei rifiuti urbani non e' fondata. 
    Deve, innanzitutto, tenersi presente che l'art.  238  del  Codice
dell'ambiente detta una disciplina che, pur mantenendo  in  parte  il
contenuto della normativa relativa alla tariffa di  cui  all'art.  49
del "decreto Ronchi", presenta caratteristiche parzialmente diverse. 
    A fronte dell'affermazione  esplicita  del  legislatore  delegato
che,  all'art.  238,  ha  testualmente  previsto  che   la   «tariffa
costituisce  il  corrispettivo  per  lo  svolgimento   del   servizio
prestato», la natura della tariffa in esame non e'  ancora  definita,
riflettendosi necessariamente sulla stessa il  dibattito  che  si  e'
svolto sulla tariffa di igiene ambientale  di  cui  all'art.  49  del
d.lgs. n. 22 del 1997. La precedente giurisprudenza  di  legittimita'
riteneva, infatti, prevalente la natura impositiva della  tariffa  di
igiene  ambientale,  negando   che   essa   potesse   costituire   il
corrispettivo di una prestazione liberamente richiesta, e affermando,
invece, che essa costituiva una forma di finanziamento  del  servizio
pubblico  attraverso  l'imposizione  dei  relativi  costi   sull'area
sociale che da tali costi ricavava, nel  suo  insieme,  un  beneficio
(Cass. civ., sez. V, sent. n. 17526 del 2007;  Cass.  civ.,  sez.  I,
sent. n. 5297 del 2009). 
    E' opportuno, al riguardo, evidenziare che solo  con  la  recente
sentenza  n.  238  del  2009  si  e'  posto  fine   alla   incertezza
interpretativa sulla natura della "tariffa" di cui  all'art.  49  del
"decreto Ronchi", chiarendone, alla  luce  delle  risultanze  cui  la
Corte di legittimita' era pervenuta, il carattere tributario, ma  non
si e' affrontata, in quanto estranea all'oggetto di tale giudizio, la
questione della natura della diversa "tariffa" prevista dall'art. 238
del Codice dell'ambiente. 
    In questa sede,  deve  sottolinearsi  che,  a  prescindere  dalla
qualificazione da riconoscersi alla nuova tariffa per la gestione dei
rifiuti urbani, la relativa disciplina e' comunque  ascrivibile  alla
competenza esclusiva dello Stato. Infatti, tanto se la si  qualifichi
come corrispettivo per il servizio reso,  quanto  se  la  si  ritenga
un'imposizione di tipo tributario, non  e'  possibile  ricondurla  ad
alcun titolo competenziale regionale. 
    Invero, qualora si volesse  attribuire  alla  tariffa  natura  di
corrispettivo del servizio di gestione  dei  rifiuti  solidi  urbani,
l'art. 238 sarebbe inquadrabile  nelle  materie  ordinamento  civile,
tutela della concorrenza e  tutela  dell'ambiente,  tutte  rientranti
nella competenza legislativa esclusiva dello Stato. 
    A  tale  proposito,  questa  Corte  ha  gia'  affermato  che   la
determinazione  delle  tariffe  dei  servizi  pubblici  affidati   in
concessione,  «allorche'  si   renda   necessario   intervenire   sui
meccanismi contrattuali tra concessionario, da un lato, e  imprese  e
utenti,  dall'altro,  ponendo  limiti  all'autonomia   contrattuale»,
rientra nella materia dell'ordinamento civile  (sentenza  n.  51  del
2008). A cio' si aggiunga che la disciplina  della  tariffa  presenta
anche, come si e' avuto modo di sottolineare nella  citata  sentenza,
aspetti relativi alla tutela  della  concorrenza,  perche'  alla  sua
determinazione provvede l'Autorita' d'ambito,  con  la  finalita'  di
ottenere  un  equilibrio  economico-finanziario  della  gestione  del
servizio e di assicurare all'utenza efficienza ed affidabilita'. Tale
affermazione  e'  ulteriormente  confermata  dall'art.  1,  comma  9,
lettera a), della legge  n.  308  del  2004  che,  come  gia'  dianzi
osservato, pone tra i  principi  e  criteri  specifici  della  delega
quelli di attuare «il graduale  passaggio  allo  smaltimento  secondo
forme  diverse  dalla  discarica  e  la  gestione  affidata   tramite
procedure di evidenza pubblica; [...nonche' quelli di...]  assicurare
tempi certi per il ricorso a procedure concorrenziali  come  previste
dalle normative comunitarie e nazionali e definire termini certi  per
la durata dei contratti di affidamento delle  attivita'  di  gestione
dei rifiuti urbani». 
    Qualora, invece, si volesse qualificare la tariffa in esame  come
tributo, anche in questo caso si dovrebbe riconoscere  la  competenza
esclusiva dello Stato, e,  conseguentemente,  l'impossibilita'  delle
regioni di interferire con la  legge  statale  che  tale  tariffa  ha
istituito. 
    Il sistema finanziario e tributario degli enti locali e'  oggetto
delle disposizioni dell'art. 119 della Costituzione,  come  novellato
dalla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modifiche al titolo
V della parte seconda della Costituzione). Peraltro, questa Corte  ha
gia' affermato che, fino  all'attuazione  da  parte  del  legislatore
statale del nuovo disegno costituzionale, si deve  ritenere  preclusa
alle  Regioni  «la  potesta'  di  legiferare  sui  tributi  esistenti
istituiti e regolati da leggi statali e per converso si deve ritenere
tuttora spettante al legislatore statale la potesta' di dettare norme
modificative anche nel dettaglio della disciplina dei tributi  locali
esistenti» (sentenza n. 37 del 2004). 
    E' opportuno  precisare  che  le  sopraindicate  conclusioni  non
vengono ad essere modificate dalla recente approvazione della legge 5
maggio 2009, n. 42 (Delega  al  Governo  in  materia  di  federalismo
fiscale in attuazione dell'articolo 119  della  Costituzione),  posto
che la citata normativa fissa principi e criteri  direttivi  che  per
mutare l'attuale impalcatura del sistema tributario hanno  necessita'
di essere attuati attraverso un  articolato  percorso  normativo  che
nella legge delega trova il suo fondamento. 
    Va osservato, infine, che la disciplina in  esame  rientra  anche
nella materia tutela  dell'ambiente  di  cui  all'art.  117,  secondo
comma, lettera s), Cost., in quanto la determinazione  della  tariffa
si inserisce in un  complesso  assetto  normativo  diretto,  come  si
evince dalla stessa legge delega, ad «assicurare  un'efficace  azione
per l'ottimizzazione quantitativa e qualitativa della produzione  dei
rifiuti,  finalizzata,  comunque,  a  ridurne  la  quantita'   e   la
pericolosita», ed a «promuovere il riciclo e il  riuso  dei  rifiuti,
anche utilizzando le  migliori  tecniche  di  differenziazione  e  di
selezione degli stessi», «promuovere la specializzazione  tecnologica
delle operazioni di recupero e di smaltimento dei  rifiuti  speciali,
al fine  di  assicurare  la  complessiva  autosufficienza  a  livello
nazionale»; «assicurare  tempi  certi  per  il  ricorso  a  procedure
concorrenziali come previste dalle normative comunitarie e  nazionali
e definire termini certi per la durata dei contratti  di  affidamento
delle attivita' di gestione dei rifiuti urbani»  (art.  1,  comma  9,
lettera a, della legge delega n. 308 del 2004). 
    7.3. - Le questioni relative alla violazione dell'art. 117, sesto
comma, Cost., sollevate perche'  l'art.  238,  pur  in  presenza  dei
molteplici titoli competenziali concernenti la gestione dei  rifiuti,
assegna  alla  Stato  una  potesta'  regolamentare,  nonche'  per  la
violazione del principio  di  leale  collaborazione,  in  quanto  per
l'emanazione  del  regolamento  non  e'  prevista  l'intesa  con   la
Conferenza Stato-Regioni, non sono fondate. 
    Stante l'individuazione delle sopraindicate materie di competenza
esclusiva statale tanto se si attribuisca alla tariffa la  natura  di
corrispettivo quanto se le si riconosca la natura di tributo,  spetta
comunque allo Stato anche il potere regolamentare. Pertanto la  forma
di collaborazione individuata dal comma 6 dell'art. 238, che  prevede
che  sia  sentita  la  Conferenza   Stato-Regioni,   deve   ritenersi
sufficiente.  Tra  l'altro,  il  regolamento  fissa  solo  i  criteri
generali sulla base dei quali devono essere  definite  le  componenti
dei costi e  deve  essere  determinata  la  tariffa,  mentre  la  sua
determinazione finale spetta alle autorita' d'ambito di cui  all'art.
201 del d.lgs. n. 152 del 2006, che dovranno tener  conto  anche,  ai
sensi del comma 2, dei parametri  relativi  agli  «indici  reddituali
articolati per fasce di utenza e territoriali». 
    7.4. - Infine,  in  riferimento  alla  violazione  del  principio
comunitario «chi inquina paga», deve escludersi che da tale principio
possa desumersi il divieto per  gli  Stati  membri  di  istituire  un
tributo per la gestione  dei  rifiuti  urbani  o  la  preclusione  di
predisporre dei criteri di determinazione della tariffa  che  tengano
conto anche dei parametri relativi all'estensione dei locali detenuti
o  agli  indici  reddituali  articolati  per  fasce   di   utenza   e
territoriali. 
    8. - Il quarto gruppo di norme censurate  riguarda  il  titolo  V
della Parte quarta del d.lgs. n.  152  del  2006  che  disciplina  la
bonifica dei siti contaminati. 
    8.1. - In particolare, la Regione  Calabria  reitera  la  propria
lamentela circa il carattere innovativo degli articoli da 239  a  253
del d.lgs. n. 152 del 2006  in  violazione  dell'art.  76  Cost.,  in
quanto la delega  legislativa  era  finalizzata  solo  al  «riordino,
coordinamento ed  integrazione  delle  disposizioni  legislative»  in
vigore. Inoltre, a parere della Regione Calabria, il Governo  avrebbe
esorbitato dai limiti della delega,  ponendo  in  essere  norme  che,
«qualora previste ab origine  come  innovative,  avrebbero  richiesto
un'assai piu' rilevante partecipazione delle Regioni nella loro  fase
formativa». 
    In via  subordinata,  la  Regione  Calabria  lamenta  che  «molte
disposizioni contenute negli articoli da 239 a 253» del d.lgs. n. 152
del 2006 contrasterebbero  con  l'art.  117  cost.  in  quanto  nella
diversita' dei titoli competenziali interessati sarebbe prevalente la
materia del "governo del territorio". 
    La Regione Calabria ha, altresi', impugnato l'art. 241 del d.lgs.
n. 152 del 2006 il quale prevede che  il  regolamento  relativo  agli
interventi di bonifica, ripristino e messa in  sicurezza,  nonche'  a
quelli di emergenza delle aree contaminate destinate alla  produzione
agricola e all'allevamento, sia adottato  con  decreto  del  Ministro
dell'ambiente di concerto con quelli  delle  attivita'  produttive  e
delle politiche agricole e forestali.  La  ricorrente  si  duole  del
fatto che viene attribuito ad organi centrali un potere regolamentare
in un ambito nel quale,  oltre  al  concorso  di  diverse  competenze
trasversali e concorrenti, e' riscontrabile la presenza della materia
dell'«agricoltura» di competenza residuale regionale. Viene,  quindi,
lamentata sia  la  violazione  dell'art.  117,  sesto  comma,  Cost.,
proprio a causa della allocazione in  sede  ministeriale  del  potere
regolamentare, sia del principio di leale  collaborazione,  il  quale
sarebbe leso dal fatto che, in una materia in  cui  e'  coinvolta  la
loro competenza residuale, non e' prevista neppure la  partecipazione
delle Regioni nel procedimento di formazione del citato regolamento. 
    La Regione impugna anche: l'art. 242 del d.lgs. n. 152 del  2006,
nella parte in  cui  regola  con  norme  di  dettaglio  le  procedure
operative e amministrative per l'esecuzione delle opere di  bonifica;
l'art. 244 del d.lgs. n. 152 del 2006, nella parte in cui specifica i
comportamenti che le amministrazioni  debbono  assumere  in  caso  di
superamento dei valori  di  concentrazione  soglia;  l'art.  245  del
d.lgs. n. 152 del 2006, nella parte in cui si occupa delle  modalita'
degli  interventi  di  messa  in  sicurezza,  bonifica  e  ripristino
ambientale; l'art. 248 del d.lgs. n. 152 del 2006, nella parte in cui
specifica le forme di controllo sulle opere eseguite;  l'art.  249  e
l'allegato 4 alla Parte quarta del d.lgs.  n.  152  del  2006,  nella
parte in cui disciplinano le  modalita'  semplificate  di  intervento
nelle aree di ridotte dimensioni; l'art. 250 del d.lgs.  n.  152  del
2006, nella parte in cui si occupa delle condizioni per  l'intervento
sostitutivo della pubblica amministrazione. 
    Le citate disposizioni,  a  parere  della  Regione,  violerebbero
l'art. 117 cost. in quanto, nella diversita' dei titoli competenziali
interessati, sarebbe prevalente la materia "governo  del  territorio"
dal momento che il ripristino delle condizioni di salubrita' dei siti
si configura come attivita' qualificante del governo del  suolo,  del
sottosuolo e delle acque. 
    In via ulteriormente subordinata, gli  articoli  242,  244,  245,
248, e 249 del d.lgs. n. 152 del 2006,  dato  il  loro  carattere  di
norme di dettaglio, sarebbero in  contrasto  con  l'art.  117  Cost.,
sussistendo una concorrenza di materie in senso stretto e non essendo
possibile individuare una materia prevalente di competenza  esclusiva
dello Stato. 
    Infine, la Regione Calabria censura anche l'art. 252, commi  3  e
4, del d.lgs. n. 152 del 2006 nella parte in cui prevede, al comma 3,
che la perimetrazione dei siti  di  interesse  nazionale  soggetti  a
bonifica avvenga "sentiti" gli enti territoriali e, al comma 4, nella
parte in cui non prevede l'intesa sebbene  essa  fosse  prevista  dal
comma 14 dell'art. 17 del d.lgs. n. 22 del 1997, al cui rispetto  era
vincolato il legislatore delegato ai  sensi  dell'art.  1,  comma  8,
della legge di delega n. 308 del 2004, il quale  rinvia  all'art.  85
del d.lgs. n. 112 del 1998. 
    8.2. - La Regione Toscana impugna l'art. 242, commi 2, 3, 4 e  5,
del citato d.lgs. n. 152 del 2006, in combinato disposto  con  l'art.
240, comma 1, lettera b), in riferimento agli articoli 11, 76, 117  e
118 Cost. 
    Secondo   quest'ultima   ricorrente,   le   norme   citate,   che
disciplinano le procedure amministrative ed operative per la bonifica
dei siti inquinati, demanderebbero, in caso di contaminazione  di  un
sito, alla discrezionalita' dell'inquinatore l'obbligo  di  bonifica,
rimettendo alla sua volonta' la scelta della procedura piu' adatta al
caso di specie,  in  violazione  dei  principi  e  criteri  direttivi
fissati dall'art. 1, comma 8, lettere b), e), f), ed h), della  legge
delega n. 308  del  2004,  nonche'  del  principio  comunitario  «chi
inquina paga». 
    La Regione Toscana, ritiene, anche, che l'art. 242, comma 7,  del
d.lgs.  n.  152  del  2006,  limitando  il  quantum  delle   garanzie
finanziarie che devono essere prestate in favore della Regione per la
corretta esecuzione ed il completamento degli interventi medesimi «in
misura non  superiore  al  cinquanta  per  cento  del  costo  stimato
dell'intervento», sarebbe incompatibile con le  competenze  regionali
nelle seguenti materie: tutela della salute, governo del  territorio,
e servizi  pubblici;  sarebbe,  altresi',  in  contrasto  sia  con  i
principi comunitari di tutela ambientale  -  in  particolare  con  il
principio «chi inquina paga» - sia con i gia' richiamati  principi  e
criteri direttivi di cui alle lettere e) ed f), dell'art. 1, comma 8,
della legge delega n. 308 del  2004,  oltre  che  con  i  principi  e
criteri direttivi di cui alle lettere c), f) ed i) del  citato  comma
8. Tutto cio' in violazione degli articoli 11, 76, 117 e 118 Cost. 
    Infine, e' impugnato l'art. 252, commi 3 e 4, del  citato  d.lgs.
n. 152 del 2006, il quale disciplina i cosiddetti «siti di  interesse
nazionale» ai  fini  della  bonifica,  in  quanto  esso  non  prevede
un'adeguata partecipazione regionale nella fase della  perimetrazione
e dell'approvazione dei progetti per la bonifica di tali siti. 
    8.3. - La Regione Piemonte  impugna,  in  relazione  all'art.  76
Cost., gli articoli 240, 242, 246 e 252 del d.lgs. n.  152  del  2006
perche',  essendo  innovativi,  si  porrebbero  in  contrasto  con  i
principi e i criteri direttivi fissati dalla legge delega n. 308  del
2004. 
    La Regione  sopraindicata  ritiene  che  l'art.  240  del  citato
decreto, nella parte in cui introduce una definizione della «messa in
sicurezza   operativa   che   anziche'   consentire    un'appropriata
organizzazione [...delle operazioni  da  effettuare...]  finisce  per
procrastinare a tempo indeterminato  gli  interventi  fino  a  quando
l'attivita' verra' dismessa»,  sia  del  tutto  irragionevole  e  che
l'art.  242,  nel  modificare  «integralmente  tutto  il   precedente
impianto di competenze eliminando l'incardinamento  degli  interventi
in primo luogo nei comuni  territorialmente  interessati»,  oltre  ad
essere anch'esso del  tutto  irragionevole,  violi  il  principio  di
sussidiarieta' di cui all'art. 118 Cost. 
    Inoltre, a parere della ricorrente  e  con  riferimento  all'art.
246, sarebbe del tutto incongruo prevedere il ricorso obbligatorio ad
accordi di programma che i soggetti tenuti ad eseguire gli interventi
di  bonifica  hanno  «diritto  di  stipulare»  con  l'amministrazione
competente. 
    La Regione Piemonte censura, infine, l'art. 252 del d.lgs. n. 152
del 2006 nella parte in cui, modificando le competenze in materia  di
interventi sui siti di interesse nazionale, non  prevede  un'adeguata
partecipazione delle Regioni. 
    8.4. - La Regione Marche impugna, a sua volta, l'art. 240,  comma
1, lettera b), del d.lgs. n.  152  del  2006,  per  violazione  degli
articoli 11, 76, 117 e 118 Cost. 
    Secondo la Regione, aver previsto che, nelle ipotesi  in  cui  un
sito potenzialmente contaminato sia ubicato in un'area interessata da
fenomeni antropici o naturali che abbiano determinato il  superamento
di una o piu' concentrazioni soglia di contaminazione, «queste ultime
si assumono pari al valore di fondo esistente per tutti  i  parametri
superati», determina gravi incertezze sulle modalita' di  rilevamento
dei valori di fondo e, conseguentemente, sui valori  di  riferimento,
ponendosi in contrasto con la  normativa  comunitaria  a  tutela  dei
suoli  dall'inquinamento  e  con  i  principi  e  criteri   direttivi
individuati dall'art. 1, comma 8,  lettere  e)  ed  f),  della  legge
delega n. 308 del 2004, con evidenti gravi ripercussioni sulla tutela
dell'ambiente e della salute e sul governo del territorio. 
    La Regione Marche censura anche l'art. 241, per violazione  degli
articoli 117  e  118  Cost.,  perche'  nel  prevedere  il  cosiddetto
"regolamento  aree  agricole"  rimanderebbe  a  tempo   indeterminato
l'applicazione della disciplina della bonifica delle  aree  destinate
alla produzione agricola e all'allevamento, impedendo  di  bonificare
tali aree e di  procedere  al  riutilizzo  delle  stesse,  con  grave
pregiudizio per la tutela dell'ambiente, della salute e  del  governo
del territorio. 
    L'art. 242, commi 2, 3, 4 e 5, e', poi, impugnato  dalla  Regione
Marche nella parte in cui subordina l'obbligo  di  bonifica,  per  il
soggetto inquinatore, alla  procedura  di  analisi  del  rischio  che
sarebbe ancorata a parametri del tutto incerti e non  oggettivi,  per
violazione degli articoli 11, 76, 117 e 118 Cost. 
    Secondo la Regione, sarebbero violate «le attribuzioni  regionali
in materia di tutela della salute e del  governo  del  territorio  in
quanto l'inquinatore potra' effettuare un'analisi  del  rischio  piu'
favorevole ai  propri  interessi,  evitando  la  successiva  fase  di
bonifica». Inoltre, demandare alla discrezionalita'  dell'inquinatore
la scelta della procedura piu' appropriata sarebbe in  contrasto  con
la normativa comunitaria a tutela  dei  suoli  e  con  i  principi  e
criteri direttivi individuati dall'art. 1, comma 8, lettere e) ed f),
della legge delega n. 308 del 2004. 
    La Regione Marche ritiene ancora che l'art. 242, comma  7,  nella
parte in cui  prevede  che  le  garanzie  finanziarie,  nel  caso  di
provvedimento di autorizzazione  alla  bonifica  ambientale,  debbano
essere prestate in misura non superiore al cinquanta  per  cento  del
costo stimato per l'intervento, violerebbe gli articoli 76, 117 e 118
Cost. 
    In  particolare,  la  disposizione  impugnata  costituirebbe  una
«norma di dettaglio incompatibile con  le  competenze  regionali»  in
materia di tutela della  salute,  di  governo  del  territorio  e  di
disciplina dei servizi pubblici e si  porrebbe  in  contrasto  con  i
principi e  criteri  direttivi  individuati  dall'art.  1,  comma  8,
lettere e) ed f), della legge delega n. 308 del 2004, dal momento che
consentirebbe a chi ha procurato un inquinamento di non garantire  in
pieno la bonifica del sito, nonche' contrasterebbe con i  principi  e
criteri direttivi di cui alle lettere c) ed i) del comma 8  dell'art.
1 della legge delega n. 308  del  2004,  secondo  i  quali  la  nuova
disciplina non  avrebbe  dovuto  comportare  maggiori  oneri  per  la
finanza pubblica ed, inoltre,  avrebbe  dovuto  assicurare  una  piu'
efficace tutela in materia ambientale. 
    La ricorrente impugna anche l'art. 252, commi 3 e 4,  del  d.lgs.
n. 152 del 2006,  in  quanto  non  prevede  l'intesa  ai  fini  della
perimetrazione e dell'approvazione delle procedure  di  bonifica  dei
siti di interesse nazionale, attivita' che, comunque, si ripercuotono
sulle competenze costituzionali della Regione in  materia  di  tutela
della salute e governo del territorio. 
    9. -  Preliminarmente  devono  dichiararsi   inammissibili,   per
genericita',  le  censure  svolte  dalla  Regione  Calabria,  in  via
subordinata, in riferimento all'art. 117  Cost.,  relativamente  agli
articoli da 239 a 253 e dalla  Regione  Piemonte  relativamente  agli
articoli 240, 242, 246 e 252. 
    Le ricorrenti avrebbero  dovuto  indicare  con  precisione  quali
delle disposizioni contenute  negli  articoli  censurati  ritenessero
lesive delle proprie prerogative, stante anche il loro contenuto  non
omogeneo, e avrebbero  dovuto  esporre  in  modo  piu'  analitico  le
ragioni dell'impugnazione non limitandosi a invocare genericamente la
lesione dei parametri evocati. La  Regione  Piemonte  avrebbe  dovuto
dedurre  la  violazione  di  proprie  competenze   costituzionalmente
garantite mentre, in alcuni casi (articoli  240  e  246)  non  indica
neanche il parametro costituzionale violato. 
    9.1. - Le questioni sollevate dalla Regione Marche  in  relazione
agli  articoli  240,  comma  1,  lettera  b),  e  all'art.  241  sono
inammissibili. 
    La prima delle censure e'  del  tutto  generica,  limitandosi  la
Regione  a  lamentare  la  violazione  dei  parametri  evocati  senza
tuttavia  specificare  le  ragioni  della   lesione   delle   proprie
competenze costituzionalmente garantite. 
    La seconda censura  relativa  all'art.  241,  che  disciplina  la
bonifica  delle   aree   destinate   alla   produzione   agricola   e
all'allevamento, e' inammissibile perche'  il  petitum  e'  oscuro  e
incerto. Dal tenore della censura sembrerebbe ricavarsi  la  volonta'
della Regione di ottenere l'immediata applicabilita' della disciplina
della bonifica anche ai  siti  contaminati  a  destinazione  agricola
senza attendere l'emanazione del regolamento. Tuttavia la  ricorrente
non chiarisce perche' il rinvio, effettuato dalla disposizione,  alla
potesta'  regolamentare  del  Governo  (in  materia   di   competenza
legislativa  esclusiva  statale)  violerebbe  le  proprie  competenze
costituzionalmente garantite. 
    9.2. - Sempre in via preliminare,  si  deve  evidenziare  che  le
norme oggetto della presente  impugnazione,  ad  eccezione  dell'art.
242, comma 4, non hanno subito modificazioni a  seguito  dell'entrata
in vigore del d.lgs. n. 4 del 2008. La modifica dell'art. 242,  comma
4, intervenuta ad opera dell'art. 2, comma 43-bis, del  d.lgs.  n.  4
del 2008, e' del tutto ininfluente ai fini del presente ricorso. 
    9.3. - La censura formulata dalla Regione Calabria, relativamente
all'art. 241 del d.lgs. n. 152 del 2006 e' fondata, limitatamente  al
profilo relativo alla  dedotta  violazione  del  principio  di  leale
collaborazione. 
    Osserva, infatti, questa Corte che,  sebbene  -  come  meglio  si
dira' in seguito - la materia della bonifica dei siti contaminati  e'
da collocarsi, come si e' anche di  recente  deciso,  nella  tematica
relativa  alla  «tutela  dell'ambiente  e  dell'ecosistema»,  materia
questa di esclusiva competenza statale, non puo'  disconoscersi  che,
con riferimento alla bonifica  delle  aree  adibite  alla  produzione
agricola  o  all'allevamento  del  bestiame,  lo  stesso  legislatore
nazionale abbia riconosciuto la peculiarita' dei siti  in  questione,
dando  rilevanza,  proprio  con  la  previsione  di   una   normativa
differenziata, alla specifica destinazione delle  suddette  aree.  In
tal senso si giustifica anche il coinvolgimento, nella emanazione del
regolamento relativo agli interventi nelle  indicate  aree,  sia  del
Ministro delle attivita' produttive che  di  quello  delle  politiche
agricole e forestali, chiamati ad esprimere il "concerto". 
    Dato che, nel delineare il procedimento volto alla  adozione  del
regolamento  de  quo,  si  e'  ritenuto  opportuno   valorizzare   le
implicazioni  che  la  bonifica  di  tali  siti  ha  con  la  materia
dell'agricoltura, appare certamente in  contrasto  col  principio  di
leale collaborazione avere escluso nelle fasi del citato procedimento
l'apporto partecipativo delle Regioni, cioe' di  quei  soggetti  che,
rientrando la relativa  materia  nella  loro  competenza  legislativa
residuale, sono dotati di specifiche attribuzioni, costituzionalmente
tutelate, in tema di agricoltura e zootecnia. 
    Ritiene questa Corte che adeguato strumento di coinvolgimento  di
tali istituzioni sia  quello  di  prevedere  che  il  regolamento  in
questione sia emanato dal  Ministro  dell'ambiente  non  soltanto  di
concerto con quelli delle  attivita'  produttive  e  delle  politiche
agricole e forestali, ma anche sentita la Conferenza unificata di cui
all'art.  8  del  decreto  legislativo  28  agosto   1997,   n.   281
(Definizione  ed  ampliamento  delle  attribuzioni  della  Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  regioni  e  le  province
autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per  le  materie  ed  i
compiti di interesse comune  delle  regioni,  delle  province  e  dei
comuni, con la Conferenza Stato-citta' ed autonomie locali),  essendo
questo il luogo giuridico istituzionalmente preposto  ai  momenti  di
concertazione fra lo Stato, le Regioni e gli Enti locali. E' evidente
che la acquisizione di tale parere dovra' precedere il concerto degli
altri organi statali. 
    9.4. - Le restanti censure non sono fondate. 
    Quanto alla violazione dell'art. 76 Cost. da parte degli articoli
da 239 a 253 del  d.lgs.  n.  152  del  2006  dedotta  dalla  Regione
Calabria, gia' si e' Osservato al precedente punto 7.1 che  la  legge
delega consentiva, ed anzi in certi casi imponeva, la adozione di una
nuova  disciplina  anche  sostanzialmente  innovativa  rispetto  alla
precedente. 
    Questa Corte ha gia' inquadrato la disciplina della bonifica  dei
siti contaminati nell'ambito della materia  tutela  dell'ambiente  di
cui all'art. 117, secondo comma, lettera s), cost. (sentenza  n.  214
del 2008).  Ne  consegue  che  le  norme  in  esame  rientrano  nella
competenza legislativa esclusiva dello Stato al quale  spetta,  anche
con  disposizioni  di  dettaglio  e  anche  in  sede   regolamentare,
disciplinare le procedure amministrative  dirette  alla  prevenzione,
riparazione e bonifica dei siti contaminati. 
    Devono  pertanto  ritenersi  infondate  le  rivendicazioni  delle
Regioni di propri ambiti di competenza in relazione  al  governo  del
territorio e alla tutela della salute, cosi' come  la  rivendicazione
del potere regolamentare in materia. 
    9.5. - Le censure relative all'art. 242, commi  2,  3,  4,  e  5,
svolte dalle Regioni Marche e Toscana non sono fondate. 
    Le ricorrenti compiono una errata ricostruzione della  disciplina
introdotta dalle norme in oggetto dalla  quale  fanno  discendere  un
potere discrezionale del soggetto inquinatore. In realta' l'art. 242,
che modifica il precedente  art.  17  del  d.lgs.  n.  22  del  1997,
introduce un complesso iter diretto  a  porre  in  capo  al  soggetto
inquinatore  l'obbligo  di   procedere   alla   bonifica   del   sito
contaminato. 
    Tale procedimento e' scandito da una prima fase che ha inizio  al
verificarsi  di  un  evento  che  sia  potenzialmente  in  grado   di
contaminare un sito, allorche' il responsabile dell'inquinamento deve
mettere in opera, entro ventiquattro ore,  le  misure  necessarie  di
prevenzione e deve darne immediata comunicazione, ai sensi e  con  le
modalita'  di  cui  all'art.  304,  comma  2,  alle   amministrazioni
competenti. 
    Questo primo momento e' necessariamente rimesso alla volonta' del
responsabile   dell'inquinamento   perche'   nell'immediatezza    del
verificarsi  dell'evento  potenzialmente  lesivo  egli   e'   l'unico
soggetto che certamente ne e' a conoscenza.  A  questo  proposito  e'
bene ricordare che il legislatore ha sanzionato  penalmente  l'omessa
comunicazione del verificarsi dell'evento  potenzialmente  lesivo  da
parte del soggetto responsabile (art. 257). In ogni caso, in mancanza
della  comunicazione,  la  contaminazione  dovra'  emergere  mediante
l'attivita'  di   vigilanza   e   controllo   delle   amministrazioni
competenti. 
    Il pieno coinvolgimento delle amministrazioni competenti  risulta
in modo ancora piu' significativo nella fase successiva,  in  cui  e'
previsto che esse controllino e verifichino l'attivita' del  soggetto
responsabile. Infatti, nella seconda fase, l'art. 242 prevede che  il
responsabile  dell'inquinamento,  attuate  le  necessarie  misure  di
prevenzione, svolga, nelle  zone  interessate  dalla  contaminazione,
un'indagine preliminare sui parametri  oggetto  dell'inquinamento  e,
ove  accerti  che  il  livello   delle   concentrazioni   soglia   di
contaminazione (CSC) non sia stato superato, provveda  al  ripristino
della   zona   contaminata,    dandone    notizia,    con    apposita
autocertificazione,  al  Comune  ed  alla  Provincia  competenti  per
territorio    entro    quarantotto    ore.    Tale    attivita'    di
autocertificazione e' sottoposta alla verifica e al  controllo  degli
enti locali competenti entro il ristretto termine di quindici giorni. 
    Qualora il livello delle concentrazioni soglia di  contaminazione
risulti  invece  superato,  il  responsabile  dell'inquinamento  deve
immediatamente informare il Comune e la Provincia competente  con  la
descrizione delle misure di prevenzione e di messa  in  sicurezza  di
emergenza adottate. 
    Tutte le successive  fasi  della  procedura  di  bonifica  devono
essere approvate dalla Regione. Il piano  di  caratterizzazione  deve
essere   presentato,   nei    successivi    trenta    giorni,    alle
amministrazioni, nonche' alla Regione territorialmente competente  e,
nei trenta giorni successivi, la Regione, convocata la conferenza  di
servizi, «autorizza  il  piano  di  caratterizzazione  con  eventuali
prescrizioni  integrative».  Sulla  base   delle   risultanze   della
caratterizzazione, al sito e' applicata la procedura di  analisi  del
rischio sito specifica per  la  determinazione  delle  concentrazioni
soglia di rischio (CSR). 
    Entro sei mesi dall'approvazione del piano di  caratterizzazione,
il  soggetto  responsabile  presenta   alla   Regione   i   risultati
dell'analisi di rischio. La conferenza di  servizi,  convocata  dalla
Regione a seguito dell'istruttoria svolta in contraddittorio  con  il
soggetto responsabile - cui e' dato  un  preavviso  di  almeno  venti
giorni - «approva il documento di analisi di rischio entro i sessanta
giorni dalla ricezione dello stesso». 
    Se gli esiti dell'analisi di rischio  sono  positivi,  in  quanto
dimostrano che la concentrazione dei contaminanti presenti  nel  sito
e' inferiore alle concentrazioni soglia di rischio, la conferenza dei
servizi, con l'approvazione del documento dell'analisi  del  rischio,
dichiara concluso positivamente il  procedimento.  In  tal  caso,  la
conferenza di servizi puo' prescrivere lo svolgimento di un programma
di monitoraggio sul sito circa la stabilizzazione della situazione in
relazione  agli  esiti  dell'analisi   di   rischio   e   all'attuale
destinazione d'uso del sito. A tal fine,  il  soggetto  responsabile,
entro sessanta giorni dall'approvazione  di  cui  sopra,  invia  alla
Provincia e alla  Regione  competenti  per  territorio  un  piano  di
monitoraggio nel quale sono individuati i parametri da  sottoporre  a
controllo, nonche' la frequenza e la durata del monitoraggio. 
    Se invece sono superate le soglie di concentrazione  di  rischio,
il soggetto responsabile sottopone alla Regione, nei  successivi  sei
mesi dall'approvazione  del  documento  di  analisi  di  rischio,  il
progetto degli interventi  di  bonifica  o  di  messa  in  sicurezza,
operativa o permanente, e, ove necessario,  le  ulteriori  misure  di
riparazione e di ripristino  ambientale.  La  Regione,  acquisito  il
parere del Comune e della  Provincia  interessati  mediante  apposita
conferenza di servizi e sentito il soggetto responsabile, «approva il
progetto, con eventuali prescrizioni ed integrazioni  entro  sessanta
giorni dal suo ricevimento». 
    La  procedura  ora  descritta  rende  palese   l'erroneita'   del
presupposto interpretativo delle  ricorrenti,  secondo  il  quale  il
responsabile dell'inquinamento puo' influire sull'esito  dell'analisi
di rischio e impedire l'avvio della procedura di bonifica. E',  anche
in questo  caso,  opportuno  sottolineare  che  l'art.  257  sanziona
penalmente il soggetto che cagiona l'inquinamento  «se  non  provvede
alla bonifica in conformita'  al  progetto  approvato  dall'autorita'
competente nell'ambito del procedimento di cui agli  articoli  242  e
seguenti». 
    Inoltre, e' altrettanto evidente che non vi e' alcuna  violazione
dei principi e criteri direttivi contenuti alle lettere b) e  h)  del
comma 8 dell'art. 1 della legge delega n. 308 del  2004  relativi  al
perseguimento «di maggiore efficienza e tempestivita'  dei  controlli
ambientali»,  nonche'  alla  «previsione  di  misure  che  assicurino
l'efficacia dei controlli e dei monitoraggi ambientali». 
    9.6. - Parimenti infondate sono le censure dalle Regioni  Toscana
e Marche rivolte all'art. 242, comma 7, nella parte in cui prevede un
limite   massimo,   pari   al   cinquanta   per   cento   del   costo
dell'intervento, per cio' che riguarda le  garanzie  finanziarie  che
devono essere prestate  in  favore  della  Regione  per  la  corretta
esecuzione ed  il  completamento  degli  interventi  di  bonifica  al
momento dell'approvazione del relativo progetto. 
    Dovendosi inquadrare la disciplina  in  esame  nell'ambito  della
competenza legislativa esclusiva dello Stato  in  materia  di  tutela
dell'ambiente di cui all'art. 117, secondo comma, lettera  s),  Cost.
(sentenza n. 214 del 2008), ben puo' il legislatore statale prevedere
un limite massimo della garanzia finanziaria che le  Regioni  possono
chiedere al responsabile dell'inquinamento, trattandosi di un livello
uniforme di tutela che, nel  limite  massimo  previsto,  lascia,  tra
l'altro, alle amministrazioni competenti  il  potere  di  imporre  la
percentuale piu' opportuna. 
    Quanto  alla  presunta  violazione   della   legge   delega,   la
disposizione in esame e' pienamente conforme ai  principi  e  criteri
direttivi di cui all'art. 1, comma 9, lettera a), della legge n.  308
del 2004. In particolare, laddove testualmente fra tali  principi  e'
indicato  quello  relativo  a:  «incentivare  il  ricorso  a  risorse
finanziarie private per  la  bonifica  ed  il  riuso  anche  ai  fini
produttivi dei siti  contaminati,  in  applicazione  della  normativa
vigente».  Essa  non  e',  poi,  certamente  contraria  al  principio
comunitario «chi inquina paga» di cui e', anzi, specifica attuazione,
ed e', infine, conforme anche ai principi e criteri direttivi di  cui
all'art. 1, comma 8, lettere c), e), f) ed i), della legge delega. 
    La garanzia  finanziaria,  infatti,  si  colloca  in  un  momento
procedimentale che si potrebbe definire "virtuoso",  perche'  prevede
un responsabile dell'inquinamento che si e' gia' attivato  e,  svolte
tutte le fasi preliminari di riduzione e contenimento del  danno,  ha
presentato all'amministrazione un progetto esecutivo che quest'ultima
deve   approvare.   Diversamente,   nell'ipotesi   del   responsabile
dell'inquinamento che si sottrae  agli  obblighi  previsti  dall'art.
242, trova applicazione la procedura di cui all'art. 250 che  prevede
l'obbligo per l'amministrazione  di  provvedere  alle  operazioni  di
bonifica. In tale ipotesi gli strumenti di garanzia  predisposti  dal
legislatore in favore dell'ente locale sono quelli  di  cui  all'art.
253, primo fra tutti il privilegio speciale ex art. 2748  del  codice
civile sul terreno da bonificare. 
    10. - Riguardo, poi, all'art. 252 del d.lgs. n. 152  del  2006  -
che regola le procedura di bonifica di una particolare  categoria  di
siti inquinati, i cosiddetti siti «d'interesse nazionale»,  ai  quali
il legislatore ha ritenuto opportuno dedicare una disciplina, diversa
da quella ordinaria, proprio in considerazione della  loro  peculiare
caratteristica di essere portatori di quello che e' stato qualificato
un  «interesse  nazionale»,  il  quale,  in  quanto  tale,  travalica
l'ambito locale e regionale - esso e' stato impugnato  dalle  Regioni
Calabria, Toscana, Piemonte, e Marche in  riferimento  agli  articoli
117 e 118 Cost.,  e  anche  in  riferimento  al  principio  di  leale
collaborazione. 
    10.1. - In particolare, la Regione Piemonte  censura  l'art.  252
d.lgs. n. 152 del 2006 nella parte in cui, modificando le  competenze
in materia di interventi di bonifica dei siti di interesse nazionale,
viola il principio di leale collaborazione perche'  elimina  l'intesa
con la Regione territorialmente competente in ordine alla definizione
ed approvazione del progetto dell'intervento. 
    Della generica impugnazione della norma in relazione alla dedotta
violazione dell'art. 76 cost. si  e'  gia'  trattato  nel  precedente
punto 9. 
    L'esclusione della codeterminazione con la  Regione,  secondo  la
ricorrente, sarebbe priva di giustificazione ed in contrasto  con  il
principio di  leale  collaborazione,  considerando  la  natura  degli
interventi di interesse  nazionale,  che  riguardano  vaste  porzioni
territoriali ed hanno rilevante  impatto  socio-economico,  anche  in
considerazione del fatto che le norme della legge n.  426  del  1998,
tuttora vigente, stabiliscono  che  per  detti  interventi  siano  le
Regioni ad  attribuire  il  finanziamento,  che  incongruamente  esse
dovrebbero disporre su progetti che non hanno esaminato ed approvato. 
    10.2. - Le Regioni Calabria, Toscana e Marche impugnano,  invece,
i commi 3 e 4 del citato articolo. L'uno,  disciplina  i  criteri  in
base ai  quali  attuare  la  perimetrazione  del  sito  di  interesse
nazionale (fase ulteriore rispetto a quella prevista  dai  precedenti
commi 1 e 2 [non impugnati] consistente nell'individuazione del sito,
la cui competenza spetta al Ministro dell'ambiente e della tutela del
territorio,  che  provvede  con  decreto,  d'intesa  con  le  Regioni
interessate), alla quale si provvede «sentiti i Comuni, le  Province,
le Regioni e gli altri Enti locali, assicurando la partecipazione dei
responsabili nonche' dei proprietari delle  aree  da  bonificare,  se
diversi dai soggetti responsabili». 
    Il comma successivo,  poi,  introduce  disposizioni  in  tema  di
bonifica di questi siti, prevedendo che la procedura  sia  la  stessa
che e' prevista dall'art. 242 d.lgs.  152  del  2006,  attribuendone,
altresi', la competenza al Ministero dell'ambiente e della tutela del
territorio - sentito il Ministero per le attivita'  produttive  -  il
quale puo' avvalersi, eventualmente, «dell'Agenzia per la  protezione
dell'ambiente per i servizi tecnici (APAT),  dell'Istituto  superiore
di sanita' e dell'E.N.E.A,  nonche'  di  altri  soggetti  qualificati
pubblici o privati». 
    Le ricorrenti  lamentano  che  le  disposizioni  in  oggetto  non
coinvolgono adeguatamente  le  Regioni,  in  quanto,  non  prevedendo
l'intesa  con  esse  ai  fini  della  perimetrazione  del  sito   e/o
dell'approvazione della bonifica dei siti di interesse nazionale,  si
porrebbero in contrasto con gli articoli 117 e 118  Cost.,  anche  in
riferimento al principio di leale collaborazione. 
    Tale mancata previsione di adeguate forme di coinvolgimento delle
Regioni, dunque,  secondo  le  ricorrenti,  lederebbe  le  competenze
costituzionali riconosciute alle stesse in  materia  di  governo  del
territorio e tutela della salute, nonche', per  la  Regione  Toscana,
«vincolerebbe la destinazione urbanistica  del  territorio  dei  siti
d'interesse nazionale da bonificare, senza nessun intervento da parte
delle Regioni interessate». 
    10.3. - La  Regione  Calabria  ha,  poi,  censurato  l'art.  252,
limitatamente al comma 4, anche in  riferimento  all'art.  76  Cost.,
atteso che tale  disposizione  -  stabilendo  che  «la  procedura  di
bonifica di cui all'art. 242  dei  siti  di  interesse  nazionale  e'
attribuita alla competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela
del territorio, sentito il  Ministero  delle  attivita'  produttive»,
senza alcuna previsione di una intesa con la Regione territorialmente
competente - si porrebbe in contrasto, oltre che con il principio  di
leale collaborazione, anche con l'art. 1, comma 8, della legge n. 308
del 2004. 
    Esso,  rinviando  all'art.  85  del  d.lgs.  n.  112  del   1998,
imporrebbe al legislatore delegato  il  rispetto  della  attribuzioni
regionali fissate dal comma 14 dell'art. 17  del  d.lgs.  n.  22  del
1997,  e,  conseguentemente,  per  gli  interventi  di  bonifica   di
interesse  nazionale,  l'intesa  con  la   Regione   territorialmente
competente. La violazione  dell'art.  76  da  parte  del  legislatore
delegato, pertanto, a parere della Regione ricorrente, ridurrebbe  le
competenze delle Regioni rispetto  a  quelle  loro  attribuite  dalla
precedente legislazione. 
    Data la loro stretta  connessione,  le  suindicate  questioni  di
legittimita' costituzionale, con  riferimento  ai  citati  parametri,
possono essere esaminate in modo congiunto. 
    10.4. - Le questioni non sono fondate. 
    10.5. - In relazione alla dedotta violazione degli articoli 117 e
118 Cost., in quanto sarebbero state lese le prerogative regionali in
materia di governo del territorio e tutela della salute, nonche'  del
principio  di  leale  collaborazione,  occorre  sottolineare  che  la
materia nella quale deve  essere  inquadrata  la  disciplina  oggetto
delle disposizioni censurate e' quella della tutela dell'ambiente, di
competenza esclusiva dello Stato, ai  sensi  dell'art.  117,  secondo
comma, lettera s), Cost., come del  resto  gia'  affermato,  riguardo
allo specifico tema di cui trattasi, da questa Corte con la  sentenza
n. 214 del 2008. 
    In tale sentenza, infatti,  questa  Corte,  affrontando  il  tema
della bonifica dei siti contaminati, dopo le modifiche introdotte dal
d.lgs. n. 152 del 2006, ha precisato che «la  disciplina  ambientale,
che scaturisce  dall'esercizio  di  una  competenza  esclusiva  dello
Stato, costituisce un limite alla disciplina  che  le  Regioni  e  le
Province autonome dettano in altre materie di  loro  competenza,  per
cui queste ultime non possono in alcun modo derogare  il  livello  di
tutela ambientale stabilito dallo Stato (sentenza  n.  62  del  2008;
sentenza n. 378 del 2007). Spetta  infatti  alla  disciplina  statale
tener  conto  degli  altri  interessi  costituzionalmente   rilevanti
contrapposti alla tutela dell'ambiente. In tali  casi,  infatti,  una
eventuale diversa disciplina regionale, anche piu' rigorosa  in  tema
di tutela  dell'ambiente,  rischierebbe  di  sacrificare  in  maniera
eccessiva  e  sproporzionata   gli   altri   interessi   confliggenti
considerati dalla legge  statale  nel  fissare  i  cosiddetti  valori
soglia (sentenza n. 246 del 2006; sentenza n. 307 del 2003)». 
    Pertanto, anche qualora possano rilevarsi  ambiti  di  competenza
spettanti alle Regioni, deve ritenersi prevalente il citato titolo di
legittimazione statale, anche in  ragione  della  sussistenza  di  un
interesse unitario alla disciplina omogenea di siti  che  travalicano
l'interesse locale e regionale. 
    Inoltre, ad ulteriore conferma  dell'infondatezza  delle  censure
mosse dalle Regioni ricorrenti alle disposizioni  in  esame,  occorre
osservare che  dalla  lettura  delle  stesse  emerge  chiaramente  il
coinvolgimento delle Regioni nelle varie fasi della procedura. 
    Infatti,  il  comma  2  dell'art.  252   (non   impugnato   dalle
ricorrenti) prevede l'intesa con le Regioni interessate da parte  del
Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio per l'emanazione
del  decreto  ai  fini  dell'individuazione  dei  siti  di  interesse
nazionale che devono essere bonificati; il comma 3 stabilisce, a  sua
volta, ai fini della  perimetrazione  del  sito,  una  partecipazione
procedimentale  estesa  a  piu'  soggetti   -   anche   se   limitata
all'espressione di  un  parere  -  rispetto  a  quella  prevista  per
l'individuazione del sito (alla quale, come detto,  partecipano  solo
il  Ministro  dell'ambiente  e  le  Regioni  interessate),   con   il
coinvolgimento anche dei Comuni, delle Province, delle Regioni  e  la
partecipazione dei responsabili nonche' dei proprietari delle aree da
bonificare, se diversi dai soggetti responsabili. 
    Al comma 4, poi, la nuova normativa ha introdotto la possibilita'
che il Ministero dell'ambiente e della tutela  del  territorio  possa
avvalersi dell'APAT, delle ARPA regionali, dell'Istituto superiore di
sanita', nonche' di  altri  soggetti  pubblici  (anche  regionali)  e
privati, facendo si' che la Regione sia coinvolta nei procedimenti di
bonifica dei siti di interesse  nazionale,  cui  e'  interessata  per
territorio. 
    E' ulteriormente  da  porre  in  evidenza  che  la  piu'  recente
giurisprudenza costituzionale in tema (sentenze n. 12  e  n.  61  del
2009) sottolinea come, qualora non vi sia dubbio che  lo  Stato  stia
utilizzando la sua competenza legislativa in materia di  ambiente  ed
ecosistema, a quest'ultimo spetti la valutazione della idoneita'  del
livello di coinvolgimento della Regione. Nel caso di specie la  forma
di collaborazione individuata dalle disposizioni censurate non appare
inadeguata, cosi' da non giustificare la pretesa  della  Regione  del
ricorso all'intesa in tutte le fasi della procedura. 
    10.6. - Parimenti infondata e' la censura formulata dalla Regione
Calabria sulla base dell'asserita violazione dell'art. 76  Cost.,  in
quanto l'art. 252, comma 4,  del  d.lgs.  n.  152  non  contempla  il
ricorso all'intesa con  la  Regione  territorialmente  competente  da
parte del Ministro  dell'ambiente  e  della  tutela  del  territorio,
sebbene essa fosse prevista al comma 14 dell'art. 17 del d.lgs. n. 22
del 1997, al cui rispetto era vincolato il  legislatore  delegato  ai
sensi dell'art. 1, comma 8, della legge di delega n. 308 del 2004, il
quale rinvia all'art. 85 del d.lgs. n. 112 del 1998. 
    A tale  riguardo,  deve  osservarsi  che  questa  Corte,  con  la
sentenza  n.  225  del  2009,  nell'affrontare  in  via  generale   e
preliminare identica questione, ha gia' ritenuto che «la  contestuale
menzione, accanto alla legge n. 59 del 1997 ed al d.lgs. n.  112  del
1998, dell'art. 117 Cost. (che, al secondo  comma,  attribuisce  allo
Stato la competenza esclusiva in tema di  «tutela  dell'ambiente»)  e
del flessibile principio di sussidiarieta' (che, ai  sensi  dell'art.
118  Cost.,  consente  allo  Stato  -  competente   per   la   tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema - di  riservare  a  se'  le  funzioni
amministrative in siffatta materia tutte le  volte  in  cui  sussista
l'esigenza  di  un  loro  esercizio  unitario)  esclude   che   possa
riconoscersi,  come  invece  assunto  dalla   Regione   [ricorrente],
carattere di intangibilita' alle predette norme ordinarie.  Se  cosi'
non fosse, la pretesa  immodificabilita'  della  distribuzione  delle
funzioni amministrative in materia ambientale nel d.lgs. n.  112  del
1998 impedirebbe l'attuazione di gran  parte  dei  principi  indicati
subito dopo nello stesso comma 8 e nel successivo comma 9. Pertanto i
criteri indicati nell'incipit dell'art. 1, comma 8,  della  legge  n.
308 del 2004 debbono essere valutati e  coordinati  alla  luce  degli
ulteriori criteri espressi dalla legge di delega, nel  senso  che  il
legislatore delegato era abilitato a modificare le attribuzioni  gia'
conferite alle Regioni quando la modifica fosse coerente con uno  dei
principi direttivi indicati nelle lettere progressive che  compongono
i commi 8 e 9  dell'art.  1.  Ad  esempio,  se  l'attuazione  di  una
direttiva  comunitaria  rendeva  necessario,  in  coerenza   con   il
principio   di   sussidiarieta',   uno   spostamento,   nel   settore
interessato, delle funzioni amministrative, la  riallocazione  poteva
legittimamente essere disposta dal legislatore delegato anche  presso
il livello statale». 
    Nel caso in esame, dalla lettura della attuale disciplina emerge,
come  gia'  evidenziato,   il   coinvolgimento   delle   Regioni   in
significative fasi della procedura (coinvolgimento che prevede  anche
il   ricorso   alla   procedura   sfociante   nell'intesa   ai   fini
dell'individuazione dei siti di interesse nazionale che devono essere
bonificati). 
    Pertanto, anche sulla base di tali argomenti, non deve  ritenersi
sussistente la violazione dei  principi  e  criteri  direttivi  della
delega, in quanto - trattandosi, nel caso di specie,  della  bonifica
di siti  (materia  di  competenza  esclusiva  statale)  di  interesse
nazionale (siti la cui  caratteristica  e',  come  gia'  evidenziato,
quella di essere portatori di un interesse che travalica quello  solo
regionale e locale) - la procedura  prevista  dalla  norma  censurata
appare rispettosa del quadro di attribuzioni amministrative derivante
dal principio di sussidiarieta' (anch'esso richiamato  nella  delega)
che costituisce un filtro necessario per il trasferimento nella nuova
disciplina di quanto previsto nella  precedente.  Infatti,  dato  che
requisito essenziale per la caratterizzazione di  un  sito  come  «di
interesse nazionale» e' che  esso  presenti  un  «particolare  pregio
ambientale» (lettera a), un «particolarmente  elevato  [...]  rischio
sanitario e ambientale» (lettera  c),  un  «rilevante  [...]  impatto
socio economico» (lettera d), un «rischio per  i  beni  di  interesse
storico e culturale di rilevanza nazionale» (lettera e), che  l'opera
sia tutelata «ai sensi del decreto legislativo 22  gennaio  2004,  n.
42» (lettera b), che gli interventi si estendano  al  «territorio  di
piu' regioni» (lettera f), appare evidente il motivo  che  legittima,
proprio in base al principio di sussidiarieta' richiamato dalla legge
delega,  il  conferimento   a   livello   statale   delle   attivita'
amministrative di bonifica. 
    11. - Infine, la sola Regione Calabria ha impugnato,  ritenendolo
in contrasto sia con l'art. 117, sesto comma, Cost., sia  con  l'art.
119 Cost., sia, ancora, col principio di leale collaborazione, l'art.
265, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006. 
    Tale  disposizione,  ad  avviso  della  Regione  ricorrente,  nel
prevedere che il  Ministro  dell'ambiente,  di  concerto  con  quelli
dell'istruzione, universita' e ricerca e delle attivita'  produttive,
individui  con  proprio  decreto  le  forme  di   promozione   e   di
incentivazione per la ricerca e per lo sviluppo di  nuove  tecnologie
di bonifica presso le universita'  e  presso  le  imprese  e  i  loro
consorzi,  lederebbe  l'art.  117,  sesto  comma,  Cost.,  in  quanto
attribuirebbe ad organi dello Stato centrale competenze regolamentari
nella materia della ricerca scientifica, attribuita  alla  competenza
concorrente di Stato e Regioni, e l'art. 119 cost. in  quanto,  senza
che ne sussistano le condizioni, prevederebbe forme di incentivazioni
in un ambito materiale non di esclusiva competenza dello Stato. 
    Essa  lederebbe,  da  ultimo,  anche  il   principio   di   leale
collaborazione,  non  essendo  contemplato,   nel   procedimento   di
individuazione delle predette forme di promozione  e  incentivazione,
alcun coinvolgimento delle Regioni. 
    Mentre le prime due censure  non  sono  fondate,  la  terza,  e',
invece, fondata. 
    Gia' si e' detto che le tematiche connesse alle forme di bonifica
ambientale rientrano a pieno titolo nella competenza esclusiva  dello
Stato, essendo esse afferenti alla materia  «tutela  dell'ambiente  e
dell'ecosistema». Risulta, pertanto, evidente  come  sia  fallace  il
ragionamento posto a base  della  impugnazione,  dato  che  si  fonda
sull'erroneo presupposto che la materia implicata dalla  disposizione
legislativa ora in questione non sia di  esclusiva  competenza  dello
Stato ma, essendo quella della  ricerca  scientifica  e  tecnologica,
appartenga alla competenza concorrente delle Regioni. 
    Alla erroneita' del presupposto consegue l'infondatezza delle due
questioni di legittimita' costituzionale che su di esso si basano. 
    Riguardo, invece, alla dedotta violazione del principio di  leale
collaborazione  vale,  in  sostanza,  quanto   gia'   Osservato   con
riferimento all'art. 241,  anch'esso  impugnato  con  riferimento  al
medesimo parametro. 
    Anche in questo caso, infatti, e' lo stesso legislatore nazionale
che,  attraverso  il  coinvolgimento  del  Ministro  dell'istruzione,
dell'universita' e della ricerca, ha inteso  valorizzare  il  profilo
normativo connesso  con  la  tematica  della  ricerca  scientifica  e
tecnologica, materia questa effettivamente assegnata,  ai  sensi  del
terzo comma dell'art. 117 Cost., alla  competenza  concorrente  delle
Regioni. 
    In tale ottica, peraltro  conformemente  alla  giurisprudenza  di
questa  Corte  (sentenza  n.  133  del  2006),  onde   ricondurre   a
legittimita' costituzionale la norma, diversamente in  contrasto  col
principio di leale collaborazione  attesa  la  obiettiva  e  -  dallo
stesso legislatore statale - riconosciuta implicazione della  materia
di legislazione concorrente, e' necessario prevedere che  nella  fase
di attuazione della disposizione e, quindi, sia per cio' che riguarda
l'individuazione delle forme di promozione ed incentivazione sia  per
cio' che  riguarda  la  loro  concreta  realizzazione,  debba  essere
previsto il coinvolgimento delle Regioni e degli Enti locali. 
    A tal fine, questa Corte Ritiene che  lo  strumento  idoneo  sia,
anche   in   questo   caso,   quello   dell'acquisizione,   in   sede
procedimentale,  anteriormente  alla  espressione  del  concerto  dei
Ministri dell'istruzione e delle  attivita'  produttive,  del  parere
della Conferenza unificata di cui all'art. 8 del d.lgs.  n.  281  del
1997.