Sentenza 
nei giudizi di legittimita' costituzionale degli articoli 181,  commi
3, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11 e 12; 183, comma 1; 185, comma 1; 186;  189,
commi 1 e 3; 194; 195, comma 1, lettere f), g), l), m), n),  o),  p),
q) e t), comma 2, lettere b), e), l), m), n), q) e s) e comma 4; 196;
197; 199, commi 5, 8, 9 e 10; 200; 201;  202;  203;  204;  205;  206,
commi 2 e 3; 207, comma 1; 208, commi 3, 4, 6, 8, 9, 10, 11,  12,  da
15 a 20; 209, commi da 2 a 5 e 7; 210; 211, commi da 2 a 5; 212; 214,
commi 2, 3, 5 e 9; 215 e 216, commi 1, da 3 a 7 e da  10  a  15,  del
decreto  legislativo  3  aprile  2006,  n.  152  (Norme  in   materia
ambientale), promossi dalle Regioni Emilia-Romagna  (n.  2  ricorsi),
Calabria, Toscana, Piemonte, Valle d'Aosta, Umbria, Liguria, Abruzzo,
Puglia, Campania, Marche e Basilicata, con ricorsi notificati  il  24
aprile, l'8, il 9, il 12, il 13, il 12-21 ed il  12-27  giugno  2006,
depositati in cancelleria il 27 aprile, il 10, il 14, il 15,  il  16,
il 17, il 20, il 21 ed il 23 giugno 2006, ed iscritti ai nn. 56,  68,
69, 70, 71, 72, 73, 74, 75, 76, 78, 79 ed  80  del  registro  ricorsi
2006. 
    Visti gli atti di costituzione del Presidente del  Consiglio  dei
ministri; nonche' gli atti di intervento  dell'Associazione  Italiana
per il World Wide Fund  for  Nature  (WWF  Italia   -  Onlus),  della
Biomasse Italia S.p.a. ed altre; 
    Udito  nell'udienza  pubblica  del  19  maggio  2009  il  Giudice
relatore Giuseppe Tesauro; 
    Uditi gli avvocati Giandomenico Falcon e Franco Mastragostino per
la Regione  Emilia-Romagna,  Maria  Grazia  Bottari  Gentile  per  la
Regione Calabria,  Lucia  Bora  e  Fabio  Lorenzoni  per  la  Regione
Toscana, Fabio Lorenzoni per la Regione  Piemonte,  Giampaolo  Parodi
per la Regione Valle d'Aosta,  Giandomenico  Falcon  per  le  Regioni
Umbria e Liguria, Fabrizio Lofoco per  la  Regione  Puglia,  Vincenzo
Cocozza per la Regione Campania, Gustavo  Visentini  per  la  Regione
Marche, Alessandro Giadrossi per l'Associazione italiana per il World
Wide Fund for Nature (WWF Italia  -  Onlus),  e  gli  avvocati  dello
Stato Fabrizio Fedeli e  Sergio  Fiorentino  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri. 
                          Ritenuto in fatto 
    1. - Con ricorso, notificato il 24  aprile  2006,  depositato  il
successivo 27 aprile, la Regione Emilia-Romagna (reg. ric. n. 56  del
2006)  ha  promosso  questione  di  legittimita'  costituzionale   di
numerose disposizioni del decreto legislativo 3 aprile 2006,  n.  152
(Norme in materia ambientale), fra le quali gli artt. 181, commi da 7
a 11, 183, comma 1, lettere g), h), m), q) ed u), 186, 189, comma  3,
214, commi 3 e 5, in riferimento agli artt. 11, 76, 117 e  118  della
Costituzione. 
    In particolare, la ricorrente impugna l'art. 181, comma 7,  nella
parte in cui prevede  che  «soggetti  economici»  o  associazioni  di
categoria  rappresentative  dei  settori   interessati,   anche   con
riferimento  ad  interi  settori  economici  e  produttivi,   possano
stipulare  «con  il  Ministro  dell'ambiente  e  della   tutela   del
territorio [...] appositi accordi di programma [...] per  definire  i
metodi di recupero dei rifiuti destinati all'ottenimento  di  materie
prime secondarie, di combustibili o  di  prodotti»,  nonche'  per  la
fissazione delle modalita' e degli adempimenti amministrativi per  la
raccolta, per la messa in riserva, per il trasporto dei rifiuti,  per
la loro commercializzazione, anche tramite il mercato  telematico,  e
per  i  controlli  delle   caratteristiche,   come   anche   per   la
determinazione delle caratteristiche delle materie prime  secondarie,
dei combustibili e dei  prodotti  ottenuti  nonche'  delle  modalita'
volte  ad  assicurare  la  loro  tracciabilita'   fino   all'ingresso
nell'impianto di effettivo impiego. 
    Ad  avviso   della   ricorrente,   le   richiamate   disposizioni
opererebbero una  «deregolamentazione  mascherata  del  settore»,  in
pieno contrasto con le normative europee piu'  volte  ribadite  dalle
decisioni  della  Corte  di   giustizia,   giacche'   introdurrebbero
definizioni di smaltimento e recupero dei rifiuti  non  conformi  con
quanto  indicato  all'art.  1,  lettere  e)  ed  f)  della  direttiva
75/442/CEE (Direttiva del Consiglio  relativa  ai  rifiuti),  nonche'
definizioni di sottoprodotto e di materia prima secondaria (MPS)  non
coerenti con le indicazioni fornite dalle  sentenze  della  Corte  di
giustizia europea (sentenze C-418/97, C-419/97  - "arco";  C-9/00   -
"Palin Granit C; C-114/01, "Avesta Polarit Chrome" e, in particolare,
C-457/02 "Niselli"). A cio' la ricorrente aggiunge la  considerazione
che il  ricorso  allo  strumento  dell'accordo  e  del  contratto  di
programma, di cui all'art. 181, altererebbe la gerarchia delle  fonti
del diritto e determinerebbe una lesione dei principi di certezza del
diritto,  eguaglianza,  generalita'  ed  astrattezza   delle   norme,
sostituendo alla  disciplina  generale  una  serie  indeterminata  di
accordi applicabili solo agli aderenti. 
    Per le stesse ragioni, sarebbero costituzionalmente illegittimi i
commi  3  e  5  dell'art.  214,  nella   parte   in   cui   ammettono
rispettivamente lo  strumento  dell'accordo  "deregolatorio"  per  le
procedure semplificate di smaltimento dei rifiuti. 
    Anche l'art. 186  del  decreto  impugnato,  nella  parte  in  cui
introduce un'ipotesi generale di esenzione per le terre  e  rocce  da
scavo, sarebbe  in  contrasto  con  la  normativa  comunitaria,  come
dimostrato dall'esistenza di  una  procedura  di  infrazione  avviata
contro la Repubblica italiana a causa  di  una  disposizione  analoga
contenuta nella legge 21 dicembre 2001, n. 443 (Delega al Governo  in
materia di infrastrutture ed insediamenti  produttivi  strategici  ed
altri interventi per il rilancio delle attivita' produttive) (art. 1,
comma 15). 
    Le norme impugnate non contrasterebbero solo  con  le  richiamate
norme comunitarie e, quindi, con gli artt. 11  e  117,  primo  comma,
Cost., ma anche con l'art. 76 Cost.,  violando  la  legge  delega  15
dicembre 2004,  n.  308  (Delega  al  Governo  per  il  riordino,  il
coordinamento  e  l'integrazione  della   legislazione   in   materia
ambientale e misure di diretta applicazione) che fissa, tra i criteri
direttivi (art. 1, comma 8), la «piena e  coerente  attuazione  delle
direttive comunitarie, al fine di garantire elevati livelli di tutela
dell'ambiente e di contribuire in tale modo alla  competitivita'  dei
sistemi  territoriali  e  delle   imprese,   evitando   fenomeni   di
distorsione della concorrenza»  (lettera  e)  e  l'«affermazione  dei
principi comunitari di prevenzione, di precauzione, di  correzione  e
riduzione degli inquinamenti e dei danni ambientali e  del  principio
"chi inquina paga"» (lettera  f).  Tali  violazioni  determinerebbero
anche una lesione  delle  competenze  regionali  in  tema  di  tutela
dell'ambiente, di tutela della salute e di  governo  del  territorio,
pregiudicando il corretto svolgimento  delle  funzioni  regionali  in
quelle materie. 
    Posto che la riforma legislativa operata dal legislatore statale,
incidendo su funzioni gia' attribuite alla Regione,  sarebbe  viziata
sia per violazione  della  delega  che  per  violazione  del  diritto
comunitario,  ne  risulterebbe  «sconvolto»  l'assetto  normativo  ed
amministrativo disegnato dalla legislazione regionale,  che  verrebbe
in molte parti abrogata dall'atto legislativo in  questione,  creando
uno stato di «precarieta» normativa. 
    Tenuto conto che spetta alla Regione,  a  tenore  dell'art.  117,
quinto comma, Cost., dare attuazione alle norme comunitarie e che  la
supremazia  del  diritto  comunitario  deve  essere  garantita  anche
attraverso  la  non  applicazione  delle  norme  legislative  interne
contrastanti con le norme comunitarie self executing,  la  ricorrente
sostiene che sara' tenuta a non applicare nel proprio  territorio  le
norme del decreto impugnato che risultino in contrasto con  le  norme
ad effetto diretto poste dal diritto  comunitario  derivato  e  dalle
sentenze  della  Corte  di   giustizia   che   di   esso   forniscono
interpretazione,  con  il  risultato  di  uno  stato  di  «incertezza
normativa», non privo  di  preoccupanti  riflessi  sulla  repressione
penale dei reati ambientali legati alla disciplina dei rifiuti.  Tale
stato  di  incertezza  determinerebbe  gravissime  conseguenze  sugli
interessi pubblici alla tutela dell'ambiente, della  salute  e  della
sicurezza pubblica. 
    Sulla  base  di  argomenti  analoghi  la  Regione  Emilia-Romagna
censura, inoltre, l'art. 189, comma 3, del  medesimo  decreto,  nella
parte  in  cui  delimita  restrittivamente  l'obbligo  di  comunicare
annualmente  alle   Camere   di   commercio   le   quantita'   e   le
caratteristiche qualitative  dei  rifiuti  oggetto  di  attivita'  di
raccolta, trasporto, recupero e smaltimento dei rifiuti,  esentandone
le imprese e gli enti che producono rifiuti non pericolosi. 
    Con tale atto la ricorrente ha chiesto, peraltro, la  sospensione
dell'esecuzione delle norme impugnate, su cui la Corte, con ordinanza
n.  245  del  2006,  ha  pronunciato  declaratoria  di  non  luogo  a
provvedere. 
    1.2.  -  In  prossimita'  dell'udienza   pubblica,   la   Regione
Emilia-Romagna, con memoria depositata in data  14  maggio  2009,  ha
dichiarato di rinunciare alle censure proposte  nei  confronti  degli
artt. 181, commi da 7 a 11, 183, comma 1, 186, 189, comma 3,  e  214,
commi 3 e 5. 
    2. - Con ricorso,  notificato  l'8  giugno  2006,  depositato  il
successivo 10 giugno, la Regione Calabria (reg. ric. n. 68 del  2006)
ha promosso questione  di  legittimita'  costituzionale  di  numerose
disposizioni del d.lgs. n. 152 del 2006, fra le quali, gli artt. 181,
commi 3, secondo periodo, e da comma 5 a comma 12, 186, 189, commi 1,
secondo periodo, e 3, 195, comma 1, lettere f), g)  e  t),  comma  2,
lettera b) (in combinato disposto con l'art. 196,  comma  1,  lettera
m), ed in combinato disposto con l'art. 195, comma 4, 197,  comma  1,
da 199 a 207, 208, commi 3, 4, 6, 8, 9, 11, 12, da 15 a 20, gli artt.
210, 211, commi da 2 a 5, 212, commi 2 e 3, 214, commi 3  e  5,  215,
commi 3, 4, 5 e 6, e 216, commi da 3 a 7 e da 10 a 15, in riferimento
a numerosi parametri di seguito indicati. 
    Preliminarmente,  la  ricorrente  osserva  che  la  gestione  dei
rifiuti e gli ambiti strettamente connessi a questo settore,  oggetto
delle  norme  censurate,  si  caratterizzano  per  un  intreccio   di
competenze di diversa natura. Pertanto, la necessita' di un approccio
basato sul concorso di competenze  - «variamente combinato, quanto  a
prevalenza e concorrenza, in ragione  dei  singoli  specifici  ambiti
normativi»   -   renderebbe   costituzionalmente   illegittimi,   per
violazione dell'art. 117 Cost.: l'art. 181, commi da 5 a  12;  l'art.
189, comma 3; gli artt. da 199 a 207; gli artt. da  208  a  211;  gli
artt. 215 e 216. 
    Quanto al primo gruppo di norme (art. 181, commi da 5 a  12),  la
ricorrente osserva che esse, disciplinando  in  modo  dettagliato  le
procedure attraverso le quali perseguire  il  recupero  dei  rifiuti,
vanno molto al di la' «rispetto  alla  esigenza  di  porre  standards
uniformi di tutela ambientale su tutto il territorio  nazionale,  non
limitandosi [...] ad individuare gli orientamenti  generali  cui  gli
operatori  debbono  attenersi  [...],  ma  specificando   minutamente
finanche gli strumenti in base ai quali porre in essere gli obiettivi
(gli accordi di programma) e le procedure da seguire». 
    Con riguardo all'art. 189, comma 3, la Regione Calabria  sostiene
che l'esenzione, per alcune delle imprese e degli enti che  producono
rifiuti non pericolosi, dall'obbligo di  comunicazione  annuale  alle
Camere di commercio  delle  quantita'  e  delle  caratteristiche  dei
rifiuti oggetto di  attivita'  di  raccolta,  trasporto,  recupero  e
smaltimento dei  rifiuti,  contrasti  apertamente  con  la  crescente
esigenza di ampliare il piu' possibile il  monitoraggio  dei  rifiuti
prodotti e  sia  quindi  all'origine  di  un  normativa  irrazionale,
lesiva,  per  cio'  stesso,  dell'art.  3  Cost.,  oltre  che   delle
attribuzioni costituzionali  degli  enti  regionali.  Essa,  infatti,
determinerebbe una compressione dei poteri di controllo che spettano,
tra gli  altri  soggetti,  anche  alle  Regioni  e  che  sono  poteri
«particolarmente caratterizzanti in un ambito incidente sulla "tutela
della salute" collettiva,  certamente  minacciata  da  una  "gestione
allegra" dei rifiuti (anche se non pericolosi)». 
    Quanto, poi, agli artt. da 199 a 207, la ricorrente premette  che
essi intervengono a disciplinare il servizio  di  gestione  integrata
dei rifiuti, materia che si colloca  nel  punto  di  intersezione  di
diverse competenze  normative  tra  le  quali,  accanto  alla  tutela
dell'ambiente, vi sono la tutela della salute  e  la  disciplina  dei
servizi pubblici regionali e  locali.  Posto  che  non  e'  possibile
individuare un titolo di  competenza  in  grado  di  prevalere  sugli
altri, la Regione ritiene che  sia  indefettibile  l'adozione  di  un
modulo collaborativo nella elaborazione della disciplina di tutta  la
materia, con conseguente illegittimita'  costituzionale  delle  norme
predette per «vizio  procedurale»,  non  essendo  state  approvate  a
seguito di un coinvolgimento degli enti  territoriali  infra-statuali
in forme idonee, individuabili nell'intesa. 
    La  Regione  Calabria  osserva,  altresi',  che,  anche  ove   si
intendesse  risolvere  la  concorrenza   di   competenze   attraverso
l'attribuzione  alla  tutela  dell'ambiente  di  una   posizione   di
prevalenza, gli articoli censurati non sarebbero immuni  da  vizi  di
legittimita'  costituzionale,  nella  misura  in  cui   pongono   una
disciplina  di  dettaglio,  non  giustificabile  in  relazione   alla
determinazione  da  parte  dello  Stato  degli  standards  di  tutela
uniformi. In particolare,  sarebbero  costituzionalmente  illegittimi
sotto tale profilo: l'art. 199, comma 3, in  tema  di  contenuti  dei
piani  regionali  di  gestione;  l'art.199,  comma  5,  che  reca  la
disciplina dei piani di bonifica delle aree  inquinate;  l'art.  201,
che, dettando norme in tema di Autorita' d'ambito, incide anche sulla
gestione concreta dell'attivita' in forme  piu'  invasive  di  quelle
contemplate dall'art. 23 del decreto legislativo 5 febbraio 1997,  n.
22  (Attuazione  della  direttiva  91/156/CEE  sui   rifiuti,   della
direttiva  91/689/CEE  sui  rifiuti  pericolosi  e  della   direttiva
94/62/CE  sugli  imballaggi  e  sui  rifiuti  di   imballaggio),   in
violazione dell'art. 1, comma 8, della legge  n.  308  del  2004,  il
quale rinvia all'art. 85 del decreto legislativo 31  marzo  1998,  n.
112 (Conferimento di funzioni e compiti  amministrativi  dello  Stato
alle regioni ed agli enti locali, in  attuazione  del  capo  I  della
legge 15 marzo 1997, n. 59); l'art. 202, in tema di  affidamento  del
servizio di gestione dei  rifiuti;  gli  artt.  203  e  204,  la  cui
illegittimita' costituzionale deriva,  come  conseguenza,  da  quella
dell'art. 202. 
    Ulteriori censure di illegittimita'  costituzionale  vengono  poi
indicate dalla ricorrente nei confronti delle disposizioni in  esame.
In specie l'art. 199,  comma  8,  e  l'art.  204,  comma  3,  secondo
periodo, violerebbero l'art. 120, secondo comma,  Cost.,  anche  alla
luce di quanto previsto dall'art. 8 della legge 5 giugno 2003, n. 131
(Disposizioni per  l'adeguamento  dell'ordinamento  della  Repubblica
alla L. Cost. 18 ottobre 2001, n. 3), nella parte in cui conferiscono
l'esercizio  del  potere  sostitutivo  statale  nei  confronti  delle
Regioni al Ministro dell'ambiente  e  della  tutela  del  territorio,
anziche'  all'organo  di  vertice   del   Governo   nazionale,   come
esplicitamente richiesto dall'art. 8, comma 1, della legge n. 131 del
2003; l'art. 204, comma  3,  secondo  periodo,  poi,  sarebbe  lesivo
dell'art. 120, secondo comma, Cost., in ragione della totale  assenza
di garanzie approntate per l'ente sostituendo; l'art. 205,  comma  6,
sarebbe in contrasto con gli artt. 114 e 117 Cost.,  in  quanto,  nel
prevedere la necessita' per le Regioni di legiferare a seguito di una
intesa con il Ministro dell'ambiente e della tutela  del  territorio,
produrrebbe  un  anomalo  vincolo   amministrativo   sulla   funzione
legislativa regionale; i commi 2 e 3 dell'art.  206  violerebbero  il
principio  di  leale  collaborazione  nonche'   l'art.   118   Cost.,
consentendo al Ministro dell'ambiente e della tutela  del  territorio
di stipulare accordi e contratti di programma con soggetti pubblici e
privati o con le associazioni di  categoria  al  fine  di  promuovere
l'utilizzo dei sistemi di  certificazione  ambientale  e  di  attuare
programmi di ritiro dei beni di consumo al termine del loro ciclo  di
utilita'  senza  coinvolgere  in  alcun  modo  le  Regioni,  e   cio'
nonostante l'impatto che le  attivita'  previste  possono  avere  sul
territorio di queste. 
    Quanto, poi, agli artt. da 208 a  211,  la  Regione  osserva  che
essi, nella parte in cui disciplinano la procedura per  l'ottenimento
di autorizzazione per i nuovi impianti di smaltimento e  di  recupero
dei  rifiuti,  per  il   rinnovo   delle   autorizzazioni,   per   le
autorizzazioni in  ipotesi  particolari  e  per  l'autorizzazione  di
impianti di ricerca e sperimentazione, «sono ben  lungi  dal  potersi
sussumere nell'ambito degli standards di tutela uniformi  in  materia
ambientale».  In   particolare,   sarebbero   in   tale   prospettiva
costituzionalmente illegittimi: l'art. 208, commi 3, 4, 6, 8, 9,  11,
12, da 15 a 20, in quanto disciplina  la  procedura  da  seguire  per
l'autorizzazione prevista per i nuovi impianti di  smaltimento  e  di
recupero   dei   rifiuti,   contemplando,   fra   l'altro,    termini
procedimentali generali e di durata delle  autorizzazioni,  contenuti
specifici dell'autorizzazione, adempimenti particolari;  l'art.  209,
commi da 2 a 5 e 7, in tema di rinnovo delle  autorizzazioni;  l'art.
210 nella sua integralita', trattandosi di norma derogatoria rispetto
agli artt. 208 e 209 e quindi estranea al  concetto  di  standard  di
tutela uniforme; l'art. 211, commi da 2 a 5,  che,  dopo  aver  posto
standard   particolari   per   gli   impianti   di   ricerca   e   di
sperimentazione,  si  sofferma  a  disciplinare  nel   dettaglio   la
procedura da seguire ed il termine dell'autorizzazione. 
    A tali censure  la  ricorrente  aggiunge  la  considerazione  che
l'art. 211, quanto al comma 3, sarebbe anche lesivo degli artt. 118 e
120 Cost., nella parte in cui stabilisce  che,  in  caso  di  mancata
approvazione da parte della Regione del progetto  o  della  relazione
dell'impianto  di  ricerca  o  sperimentazione,  l'interessato   puo'
rivolgersi direttamente al Ministro dell'ambiente e della tutela  del
territorio, ponendo nel nulla qualunque motivazione  che  la  Regione
abbia addotto  per  bloccare  l'attivita'.  Tale  anomalo  potere  di
sostituzione costituirebbe una deroga ingiustificata al principio  di
sussidiarieta' non ricollegabile  neppure  all'esercizio  del  potere
sostitutivo contemplato dalla Costituzione, data la totale assenza di
garanzie per l'ente sostituendo. 
    Anche  il  comma  4  dell'art.  211  sarebbe   costituzionalmente
illegittimo sotto il profilo della violazione dell'art. 118 Cost.  e,
in subordine, del principio di leale collaborazione, dal momento che,
in contrasto con il principio di sussidiarieta', assegna direttamente
al Ministro dell'ambiente la competenza ad  autorizzare  impianti  in
caso di rischio di  agenti  patogeni  o  di  sostanze  sconosciute  o
pericolose dal  punto  di  vista  sanitario,  senza  prevedere  alcun
coinvolgimento delle Regioni. 
    Quanto, infine,  agli  artt.  215  e  216,  la  Regione  Calabria
sostiene  - con particolare riferimento ai commi da 3 a  6  dell'art.
215 ed ai commi da 3 a 7 e da 10 a 15 dell'art. 216 -che essi,  nella
parte in cui dettano la disciplina di procedure semplificate in  tema
di autosmaltimento e di operazioni di recupero, si pongono al di  la'
della predisposizione di standards  di  tutela  uniformi  in  materia
ambientale. 
    Un secondo gruppo di censure viene, poi, proposto  dalla  Regione
Calabria in riferimento all'art. 76 Cost. sulla base del rilievo  che
anche la legge delega  n.  308  del  2004  assegna  alle  Regioni   -
attraverso il richiamo alle attribuzioni regionali  formalizzate  nel
testo costituzionale e nel decreto legislativo 31 agosto 1998, n. 112
(Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello  Stato  alle
Regioni ed agli enti locali, in attuazione del Capo  I  della  l.  15
marzo 1997, n. 59)  - un ruolo ben  piu'  esteso  di  quello  che  il
decreto  legislativo  impugnato  delinea,  in  tal  modo   intendendo
preservare  il  sistema  da  normative   ipertrofiche   statali.   In
particolare, la ricorrente ritiene che sia lesivo dell'art. 76 Cost.,
in riferimento all'art. 1, comma 8, della citata  legge  n.  308  del
2004, l'art. 201, in quanto detta norma, nel disciplinare l'Autorita'
d'ambito, «ipostatizza una certa organizzazione  della  gestione  dei
rifiuti urbani, vincolando le Regioni in modo piu' incisivo di quanto
previsto all'art. 23 del decreto legislativo n. 22 del 1997,  oggetto
di rinvio esplicito da parte dell'art. 85 del decreto legislativo  n.
112 del 1998, il quale si era limitato a dettare norme  assolutamente
generali,  chiamando  i  livelli   di   governo   infra-statuali   ad
un'attuazione largamente discrezionale». 
    Ad analoghe censure si esporrebbe  anche  il  combinato  disposto
degli artt. 195, comma 2, lettera b), e 196, comma 1, lettera m), del
decreto legislativo n. 152 del 2006, nella parte  in  cui  stabilisce
che e' di competenza dello Stato  «l'adozione  delle  norme  e  delle
condizioni per l'applicazione delle  procedure  semplificate  di  cui
agli arti. 214, 215 e 216, ivi comprese le linee guida contenenti  la
specificazione  della  relazione  da  allegare   alla   comunicazione
prevista da tali articoli», mentre e'  di  competenza  regionale  «la
specificazione  dei  contenuti  della  relazione  da  allegare   alla
comunicazione [...] nel rispetto delle linee guida». Tali previsioni,
poste  a  raffronto  con  l'art.  19  del  d.lgs.  n.  22  del  1997,
rivelerebbero «1'arretramento della posizione delle  Regioni»,  posto
che, ai sensi della lettera m) del comma 1 del predetto art.  19,  la
competenza delle Regioni avrebbe  dovuto  riguardare  «l'integralita'
della definizione dei contenuti della relazione da allegare». 
    Il medesimo vizio di illegittimita'  costituzionale  inficerebbe,
poi, anche l'art. 197, comma 1, nella  parte  in  cui,  elencando  le
competenze  provinciali,  ne  avrebbe  determinato  una   illegittima
riduzione rispetto a quelle indicate nell'art. 20 del  d.lgs.  n.  22
del 1997. 
    Un  ulteriore  gruppo  di  censure  e'  poi  rivolto  a  svariate
disposizioni del d.lgs. n. 152 del 2006, in relazione al primo  comma
dell'art. 117 Cost., in  considerazione  del  fatto  che  il  mancato
rispetto di norme comunitarie  si  riverbererebbe  nella  lesione  di
attribuzioni costituzionali della Regione. 
    La ricorrente ritiene, infatti, che l'art.  181  del  decreto  in
esame, nella parte in cui disciplina gli  accordi  di  programma,  si
porrebbe in contrasto con l'art. 11 della direttiva 2006/12/CE del  5
aprile 2006, (Direttiva  del  Parlamento  europeo  e  del  Consiglio,
relativa ai rifiuti), che consente agli Stati  membri  di  dispensare
dall'autorizzazione richiesta «gli  stabilimenti  o  le  imprese  che
provvedono essi stessi allo smaltimento dei propri rifiuti nei luoghi
di produzione» e  «gli  stabilimenti  o  le  imprese  che  recuperano
rifiuti», soltanto a condizione che «le autorita' competenti  abbiano
adottato per ciascun tipo di attivita' norme generali che  fissano  i
tipi e le quantita' di rifiuti e le condizioni alle quali l'attivita'
puo' essere dispensata  dall'autorizzazione»  e  che  «i  tipi  o  le
quantita' di rifiuti ed i metodi di smaltimento o di  recupero  siano
tali da  rispettare  le  condizioni  imposte  all'articolo  4»  della
direttiva medesima. In  sostanza,  l'art.  181,  commi  da  7  a  11,
determinerebbe  una  deregulation  del  tutto  priva  delle   cautele
predisposte a livello comunitario. 
    In tal modo, le predette  disposizioni  arrecherebbero  anche  un
pregiudizio diretto nei confronti delle  attribuzioni  costituzionali
delle Regioni sotto due distinti profili. 
    Sotto un primo profilo, la invalidita' della disciplina nazionale
per contrasto con il diritto  comunitario  produrrebbe  un'incertezza
nei rapporti giuridici analoga, nella sostanza, a quella evidenziata,
a proposito della violazione dell'art. 76 della  Costituzione.  Sotto
un  secondo  profilo,  la  deregulation  imposta  dalle  disposizioni
censurate si tradurrebbe in una deminutio della  sfera  di  attivita'
disciplinabili ad opera del potere legislativo e,  dunque,  anche  da
parte del legislatore regionale, titolare  di  rilevanti  poteri  nel
settore in parola. 
    Sulla base di analoghi argomenti  la  ricorrente  sostiene  anche
l'illegittimita' costituzionale  dei  commi  3  e  5  dell'art.  214,
relativi alla determinazione delle attivita' e delle  caratteristiche
dei rifiuti per l'ammissione alle procedure semplificate. 
    Costituzionalmente  illegittimo  per   violazione   del   diritto
comunitario sarebbe, poi, anche l'art. 186 del d.lgs n. 152 del 2006,
nella parte in  cui  esclude  dalla  nozione  di  rifiuto,  in  linea
generale, le terre  e  rocce  da  scavo,  in  contrasto  con  l'ampia
definizione  di  rifiuto  accolta  in  sede  comunitaria,  la   quale
comprende «qualsiasi sostanza od oggetto [...] di cui il detentore si
disfi o abbia l'intenzione o l'obbligo di disfarsi» (art. 1,  lettera
a, della direttiva 2006/12/CE). 
    La dedotta violazione degli artt. 11 e 117, primo  comma,  Cost.,
si rifletterebbe nuovamente sulle attribuzioni  costituzionali  delle
Regioni,  «vuoi  per   la   situazione   di   incertezza   ingenerata
dall'antinomia fra fonte interna e fonte  comunitaria,  vuoi  per  il
fatto che l'esclusione delle terre e rocce da scavo dalla  disciplina
dei  rifiuti  si  ripercuote  negativamente  sul  potere  legislativo
regionale in materia di rifiuti, che  viene  limitato  nella  propria
portata oggettiva». 
    La Regione  Calabria  prospetta,  quindi,  ulteriori  censure  di
illegittimita' costituzionale nei  confronti  di  varie  disposizioni
dell'impugnato decreto legislativo. 
    In particolare, la ricorrente censura una serie  di  disposizioni
dell'impugnato  decreto  per  violazione  del  principio   di   leale
collaborazione. 
    Fra queste, in primo luogo, viene impugnato l'art. 181, comma  3,
secondo periodo, nella parte in cui stabilisce  che  le  agevolazioni
per le imprese che intendano modificare i  propri  cicli  produttivi,
per ridurre la quantita' o  la  pericolosita'  dei  rifiuti  prodotti
ovvero per favorire il recupero di  materiali,  siano  erogate  sulla
base di modalita', tempi e procedure fissati con decreto del Ministro
delle attivita' produttive, «di concerto con i Ministri dell'ambiente
e della tutela del territorio, dell'economia e delle finanze e  della
salute». Tale disposizione, infatti, non prevede alcun coinvolgimento
delle Regioni, sebbene la finalita' delle agevolazioni  renda  palese
l'incidenza anche su materie altre rispetto alla tutela dell'ambiente
quali,  ad  esempio,  la  tutela  della  salute  e  l'industria,   di
competenza rispettivamente concorrente e residuale. Sulla base  della
considerazione   della   sussistenza   dell'indicato   concorso    di
competenze,  la  ricorrente   ritiene   che   un   primo   vizio   di
illegittimita' costituzionale  della  norma  in  esame  derivi  dalla
violazione dell'art.  117,  sesto  comma,  Cost.,  in  ragione  della
previsione,   in   essa   contenuta,   dell'esercizio   del    potere
regolamentare da parte dello Stato; in subordine,  la  norma  sarebbe
comunque in contrasto con l'art. 117 e con l'art. 119, quinto  comma,
Cost. e con il principio della leale collaborazione, per  la  mancata
previsione  dell'intesa  con   la   Conferenza   Stato-Regioni   come
presupposto dell'azione ministeriale. 
    Anche l'art. 189, comma 1, secondo periodo, del medesimo  decreto
legislativo sarebbe in contrasto con l'art. 117, sesto comma,  Cost.,
nonche', in subordine, con  il  principio  di  leale  collaborazione,
nella parte in cui attribuisce  al  Ministro  dell'ambiente  e  della
tutela del territorio la competenza a dettare norme di organizzazione
del Catasto dei rifiuti, omettendo ogni riferimento ad un  intervento
regionale, peraltro a fortiori necessitato dalla circostanza  che  le
sezioni regionali del catasto hanno sede appunto presso le Regioni. 
    L'art. 195, comma 1, lettere  f)  e  g),  dell'impugnato  decreto
sarebbe, poi,  costituzionalmente  illegittimo  nella  parte  in  cui
stabilisce che spettino allo Stato, rispettivamente, l'individuazione
degli impianti di recupero e di smaltimento di  preminente  interesse
nazionale da realizzare per la  modernizzazione  e  lo  sviluppo  del
Paese e la definizione di  un  piano  nazionale  di  comunicazione  e
conoscenza ambientale. In entrambi i  casi,  infatti,  nonostante  si
faccia salvo il  rispetto  delle  attribuzioni  costituzionali  delle
Regioni, si limita l'intervento delle autonomie  territoriali  ad  un
mero parere della Conferenza unificata, anziche'  prescriversi,  come
imposto dal principio di leale collaborazione, il  raggiungimento  di
una intesa che orienti l'operato degli organi statali nelle  predette
attivita'. 
    Ancor piu' evidente sarebbe  - ad avviso della Regione  Calabria 
- la violazione dell'art. 117, sesto comma, Cost.  e,  in  subordine,
del principio di  leale  collaborazione  determinata  dall'art.  195,
comma 2, lettera b), in combinato disposto con l'art. 195,  comma  4,
nella parte in cui prevede che, con un decreto ministeriale, adottato
senza alcun intervento di  istanze  rappresentative  delle  autonomie
territoriali, si adottino le norme e le condizioni per l'applicazione
delle procedure semplificate di cui agli artt. 214, 215 e 216. 
    L'art. 195, comma 1, lettera t), e', poi, impugnato  nella  parte
in cui stabilisce che spetta allo Stato  «l'adeguamento  della  parte
quarta del  [...]  decreto  alle  direttive,  alle  decisioni  ed  ai
regolamenti dell'Unione europea», in  palese  violazione  del  quinto
comma dell'art. 117 Cost., secondo il quale l'adeguamento del diritto
interno agli obblighi comunitari spetta allo Stato e alle Regioni  in
relazione alle rispettive competenze. 
    Infine, l'art. 212, commi 2 e 3, del medesimo decreto legislativo
viene censurato in riferimento agli artt. 114 e 118 Cost., in ragione
della composizione  del  Comitato  nazionale  dell'albo  dei  gestori
ambientali  e  delle  sezioni  regionali  e   provinciali   dell'albo
medesimo. In particolare,  il  comma  2  del  predetto  art.  212  e'
censurato nella parte in cui dispone che il citato Comitato nazionale
sia composto  di  diciannove  membri,  di  cui  ben  sette  (compresi
Presidente e Vicepresidente) nominati da varie componenti del Governo
e soltanto tre dalle Regioni,  rendendo  in  tal  modo  assolutamente
marginale la presenza di queste ultime, nonostante l'albo dei gestori
ambientali raccolga i soggetti abilitati  a  svolgere  attivita'  che
hanno effetti diretti sul territorio regionale  e,  soprattutto,  che
ricadono in ambiti di competenza regionale (sub specie di  competenze
residuali  - commercio ed industria  - o di competenze concorrenti  -
tutela della salute e governo del territorio). 
    Quanto al comma  3,  anch'esso  viene  censurato  per  le  stesse
ragioni, dal momento che le sezioni regionali e provinciali risultano
composte in maniera tale da rendere marginale il ruolo delle  singole
Regioni chiamate a nominare soltanto il  vicepresidente,  all'interno
di un collegio composto di otto membri, tra cui anche  uno  designato
dal Ministro dell'ambiente e del territorio. 
    2.1. - In prossimita' dell'udienza pubblica, la Regione Calabria,
con memoria del 22 aprile 2009, ribadisce l'interesse a coltivare  il
ricorso,  con  esclusione  delle  censure  proposte   nei   confronti
dell'art. 207, comma 1, in riferimento  alle  quali  chiede  che  sia
dichiarata la cessazione della materia del contendere. 
    3. - Con ricorso, notificato il 12-21 giugno 2006, depositato  il
successivo 16 giugno, anche la Regione Toscana (reg. ric. n.  69  del
2006)  ha  promosso  questione  di  legittimita'  costituzionale   di
numerose disposizioni del d.lgs. n. 152 del 2006, fra le  quali,  gli
artt. 181, commi da 7 a 11, 183, comma 1, lettere f) e q), 185, comma
1, 186, 189, commi 1 e 3, 195, comma 1, lettera f), comma 2,  lettere
b), e), 1), m) ed s), 196, comma 1, lettera d), 199, commi  9  e  10,
201, comma 6, 202, comma 1, 203, comma 2, lettera c), 208, comma  10,
212, commi 2 e 3, 214, commi 2 e 3, 215, commi 1, 3 e 4, e 216, commi
1, 3 e 4, in riferimento agli artt. 11, 76, 117 e  118  Cost.  ed  al
principio di leale collaborazione. 
    In primo luogo, la Regione Toscana impugna l'art. 181, commi da 7
a 11, e l'art. 183, comma 1, lettera q), del d.lgs.n. 152  del  2006,
per violazione degli artt. 11, 76, 117 e 118 Cost. 
    In particolare, l'art.  181  e'  censurato  nella  parte  in  cui
stabilisce  che  il  c.d.  "recupero  dei   rifiuti"   possa   essere
disciplinato  mediante  accordi  di  programma  di  cui  provvede   a
disciplinare   le   modalita'   di   stipulazione,   approvazione   e
pubblicazione (comma 7, secondo periodo e commi da 8 a  11).  A  tale
previsione si collega l'art. 183, comma 1, lettera q), che  definisce
le c.d.  materie  prime  secondarie,  individuate  nelle  sostanze  o
materie aventi le caratteristiche stabilite ai sensi  dell'art.  181.
Tali norme  - secondo la Regione Toscana  - si pongono  in  contrasto
con la normativa comunitaria e con la legge delega,  nella  parte  in
cui consentono che gli accordi  di  programma  deroghino  al  sistema
normativo previgente (in parte trasfuso nel Testo Unico),  istituendo
una contrattazione diretta tra  privati  ed  Amministrazione  statale
idonea ad escludere dal regime dei rifiuti e dalle relative procedure
di  autorizzazione  e  controllo  tutta  una  serie  di  materiali  o
sostanze  - tra cui le materie prime secondarie  - nonche'  i  metodi
di recupero dei rifiuti e le modalita' per la raccolta, per la  messa
in riserva, per il trasporto e commercializzazione dei  rifiuti,  che
nella legislazione vigente e nel diritto comunitario, invece, vi sono
assoggettati.  Questa  deregolamentazione  o  privatizzazione   della
disciplina del recupero dei rifiuti, avendo come naturale conseguenza
la sottrazione al regime dei rifiuti  di  molte  sostanze  e  materie
sulla base di  una  mera  contrattazione,  si  porrebbe  in  evidente
contrasto con la direttiva  comunitaria  n.  75/442/CEE,  cosi'  come
modificata dalla direttiva n. 91/156/CEE del 18 marzo 1991 (Direttiva
del Consiglio  che  modifica  la  direttiva  75/442/CEE  relativa  ai
rifiuti), nella parte in cui prevede, all'art. 11,  che  il  generale
obbligo  dell'autorizzazione  per  lo  svolgimento  di  attivita'  di
recupero dei rifiuti (art. 10) possa essere derogato solo «qualora le
autorita' competenti abbiano adottato per ciascun tipo  di  attivita'
norme generali che fissano i tipi e  le  quantita'  di  rifiuti  alle
quali l'attivita' puo' essere dispensata dall'autorizzazione». 
    La Regione Toscana ritiene che, per le ragioni sopra esposte,  il
combinato disposto degli artt. 181, commi da 7 a 11, e 183, comma  1,
lettera q), si ponga in contrasto con i principi e criteri  direttivi
individuati dall'art. 1, comma 8, della legge delega n. 308 del  2004
e, in particolare, con quelli di  cui  alle  lettere  e)  ed  f),  in
precedenza richiamati. 
    I rilevati contrasti evidenzierebbero la violazione, da parte del
predetto combinato disposto, degli artt. 11 e 76 della  Costituzione,
che ridonderebbe nella lesione delle competenze regionali in  materia
di valorizzazione ambientale, di tutela della salute e di governo del
territorio, dal momento che i citati accordi  di  programma  dovranno
prevedere l'individuazione dei luoghi in cui effettuare  il  recupero
dei rifiuti, andando a vincolare la destinazione urbanistica di  tali
siti finalizzati al recupero, senza alcun intervento da  parte  delle
Regioni interessate. 
    Analoghe censure vengono, poi, proposte dalla Regione Toscana  in
relazione all'art. 183, comma 1,  lettera  f),  nella  parte  in  cui
definisce la raccolta differenziata come la «raccolta idonea, secondo
criteri di economicita',  efficacia,  trasparenza  ed  efficienza,  a
raggruppare i rifiuti urbani in frazioni merceologiche  omogenee,  al
momento della raccolta o, per la frazione organica  umida,  anche  al
momento  del  trattamento,  nonche'  a  raggruppare  i   rifiuti   di
imballaggio separatamente dagli altri rifiuti  urbani,  a  condizione
che tutti i rifiuti sopra indicati siano effettivamente destinati  al
recupero». 
    La norma censurata, ammettendo la possibilita'  di  procedere  al
raggruppamento dei rifiuti urbani in frazioni merceologiche omogenee,
con riferimento alla frazione organica umida,  anche  in  un  momento
successivo alla raccolta, si porrebbe in contrasto con  la  normativa
comunitaria in materia di rifiuti nonche'  con  la  legge  delega  e,
quindi, conseguentemente, con gli artt. 11, 76 e 117 Cost. 
    La disposizione in esame, infatti, consentendo una cernita  della
frazione organica umida  al  momento  del  trattamento  del  rifiuto,
produce  - ad avviso della ricorrente  -  l'effetto  di  ottenere  un
compost di qualita' inferiore rispetto a  quello  ottenibile  con  la
separazione della frazione organica umida al momento della  raccolta,
con  la  prevedibile  riduzione  dell'appetibilita'  di  impiego  del
materiale  cosi'  recuperato  ed  il  suo  conseguente  afflusso   in
discarica  o  verso  la  termovalorizzazione.  In   tal   modo   essa
determinerebbe -prosegue  la  Regione   -  da  un  lato,  l'abbandono
dell'attivita' di recupero al momento della raccolta, in quanto  meno
dispendiosa in termini di risorse, dall'altro, il degradamento  della
qualita' dei  materiali  ottenuti  (il  c.d.  compost)  tale  da  non
consentire una loro appetibilita' da parte  del  mercato  e,  quindi,
tale  da  farli  ritornare  nel   circuito   delle   discariche   e/o
termovalorizzatori, in contrasto con l'obiettivo comunitario  di  cui
all'art.  3  della  direttiva  n.  75/442/CE,  secondo  il  quale  le
normative nazionali  devono  essere  tese  al  recupero  dei  rifiuti
mediante riciclo, reimpiego o riutilizzo. 
    Per le stesse ragioni,  la  norma  in  esame  viene  ritenuta  in
contrasto anche con i principi ed  i  criteri  direttivi  individuati
dall'art. 1, comma 8, della legge  delega  n.  308  del  2004  e,  in
particolare, con i principi ed i criteri di cui alle  lettere  e)  ed
f). 
    Le richiamate  violazioni  si  rifletterebbero  sulle  competenze
regionali in  materia  di  tutela  della  salute  e  di  governo  del
territorio, dal momento che l'aumento dei materiali da  conferire  in
discarica  o   alla   termovalorizzazione   determinerebbe   evidenti
pregiudizi sul potere di pianificazione  delle  Regioni  in  tema  di
impianti per la gestione dei rifiuti, nonche' sull'ambiente  e  sulla
salute dell'intera collettivita'. 
    Ulteriori censure sono poi rivolte all'art. 185, comma  1,  nella
parte in cui detta i limiti al  campo  di  applicazione  della  parte
quarta del d.lgs. n. 152 del 2006. Tale  norma,  infatti,  disponendo
che «non rientrano nel campo di applicazione della parte  quarta  del
presente decreto» i rifiuti ivi elencati, si  porrebbe  in  contrasto
con la normativa comunitaria, in specie con l'art. 2 della  direttiva
n. 75/442/CEE. Quest'ultima, infatti, stabilisce che sono escluse dal
campo  di  applicazione  della  normativa  sui  rifiuti  solo  quelle
tipologie  di  materiali  che  siano  espressamente  oggetto  di  una
disciplina  speciale,  laddove  la   norma   dell'impugnato   decreto
stabilisce che sono sottratti al regime autorizzatorio e di controllo
proprio dei rifiuti tutti quelli elencati  nella  stessa,  anche  ove
manchi o venga abrogata la  specifica  disciplina  di  legge  che  ne
regola la gestione. 
    Per le stesse ragioni, la  norma  in  esame  violerebbe  anche  i
principi ed i criteri direttivi di cui all'art.  1,  comma  8,  della
legge  delega  n.  308  del  2004,  in  ragione  del  contrasto,   in
particolare, con quelli individuati alle lettere e) ed f). 
    Le  dedotte  violazioni   sarebbero   lesive   delle   competenze
costituzionali delle Regioni  in  materia  di  tutela  dell'ambiente,
della salute e del governo del  territorio,  dal  momento  che  molti
rifiuti potranno, in base  all'applicazione  della  norma  censurata,
essere sottratti all'assoggettamento  ai  poteri  di  autorizzazione,
controllo e pianificazione riconosciuti in capo  alle  Regioni  dalla
normativa comunitaria e dalla legislazione nazionale previgente,  con
evidenti  pregiudizi  per  la  sicurezza  e  la  salute   dell'intera
collettivita'. 
    Viene, poi, censurato  anche  l'art.  186,  nella  parte  in  cui
sottrae le c.d. "terre e rocce da scavo" alla disciplina  in  materia
di gestione dei rifiuti, in contrasto con la normativa comunitaria in
materia di rifiuti (direttiva n. 75/442/CEE come  interpretata  dalla
Corte di giustizia europea con le sentenze rese nelle cause  C-418/97
e C-419/97  - "arco; C-9/00   -  "Palin  Granit";  C-114/01,  "Avesta
Polarit Chrome"; e C-457/02, "Niselli"), nonche' con la legge  delega
n. 308 del 2004 e, quindi, con gli artt. 11, 76, 117 e 118 Cost.. 
    Inoltre, per le stesse ragioni, la norma in esame si porrebbe  in
contrasto anche con i principi e criteri direttivi di cui all'art. 1,
comma 8, della legge delega n. 308  del  2004,  in  particolare,  con
quelli di cui alle lettere e) ed f) e con quelli di cui alle  lettere
a), b), h) ed i), secondo i quali il nuovo testo unico avrebbe dovuto
garantire la tutela ed il miglioramento della qualita'  dell'ambiente
e protezione della salute umana, attraverso la previsione  di  misure
idonee ad assicurare l'efficacia  dei  controlli  e  dei  monitoraggi
ambientali, nonche' assicurare una piu' efficace  tutela  in  materia
ambientale anche mediante il  coordinamento  e  l'integrazione  della
disciplina del sistema sanzionatorio. 
    La Regione ricorrente osserva, altresi', che la disciplina di cui
all'art. 186 non e' stata coordinata con il decreto  ministeriale  25
ottobre 1999,  n.  471  (Regolamento  recante  criteri,  procedure  e
modalita' per la messa in sicurezza,  la  bonifica  e  il  ripristino
ambientale dei siti inquinati, ai sensi dell'art.  17  del  d.lgs.  5
febbraio 1997, n. 22  e  successive  modificazioni  e  integrazioni),
concernente la bonifica dei siti  inquinati,  decreto  richiamato  al
terzo comma della norma, in tal modo determinando un  effetto  lesivo
delle competenze regionali in materia di governo del territorio e  di
tutela della salute. 
    Ulteriori censure sono, poi, prospettate nei confronti  dell'art.
189, commi 1 e 3, nella parte in cui, dettando la disciplina del c.d.
Catasto dei rifiuti, modifica il regime posto dall'art. 11 del d.lgs.
n. 22 del 1997. In particolare l'art. 189, comma 1,  nella  parte  in
cui  non  prevede  piu'  la  necessaria  audizione  della  Conferenza
permanente per i rapporti tra lo Stato,  le  Regioni  e  le  Province
autonome di Trento e  Bolzano  per  la  riorganizzazione  del  citato
Catasto, si porrebbe in contrasto con gli artt. 117 e 118 Cost.,  dal
momento che, allorquando il legislatore nazionale interviene  in  una
materia (i rifiuti) in cui gli interessi ambientali si  sovrappongono
con quelli di tutela del  territorio  e  di  tutela  della  salute  e
sicurezza della popolazione, e' necessario  il  coinvolgimento  delle
Regioni attraverso l'intesa con la Conferenza unificata. 
    La predetta norma violerebbe,  altresi',  i  principi  e  criteri
direttivi della  legge  delega,  nella  parte  in  cui  vincolano  il
legislatore  delegato   al   rispetto   dell'assetto   normativo   ed
amministrativo e al riparto delle competenze  vigenti,  tenuto  conto
che la Regione  Toscana  ha  gia'  esercitato  le  funzioni  ad  essa
attribuite   disciplinandole   con   legge   e   con   strumenti   di
pianificazione generale e particolare. 
    Anche il comma 3 del medesimo art. 189, esonerando  i  produttori
di rifiuti non pericolosi dall'obbligo di comunicare annualmente alle
Camere di commercio le quantita' e le caratteristiche qualitative dei
rifiuti oggetto di raccolta, trasporto,  recupero  e  smaltimento  di
rifiuti, si porrebbe in contrasto sia con la normativa comunitaria in
materia di rifiuti  - ed, in particolare, con gli artt. 6 e 14  della
direttiva n. 75/442/CEE, che richiede l'istituzione  di  un'autorita'
competente a cui fornire le informazioni di cui all'art. 14  relative
a tutti i tipi di rifiuti  senza  alcuna  esclusione   -  sia  con  i
principi ed i criteri direttivi individuati  dall'art.  1,  comma  8,
lettere e) ed f), della legge delega n. 308 del 2004. 
    Le  predette  violazioni  determinerebbero  una   lesione   delle
competenze regionali in materia di tutela della salute e  di  governo
del territorio, tenuto conto che la dispensa delle  imprese  e  degli
enti che producono rifiuti non pericolosi dalla comunicazione annuale
al  Catasto  dei  rifiuti  andrebbe  ad  incidere   sui   poteri   di
autorizzazione, controllo e pianificazione riconosciuti in capo  alle
Regioni dal combinato disposto della normativa  comunitaria  e  della
legislazione nazionale vigente. 
    Oggetto di censure e', poi, anche l'art. 195 nella parte  in  cui
individua le competenze dello Stato determinando un grave pregiudizio
alle  attribuzioni  delle  Regioni,   con   particolare   riferimento
all'attivita'   programmatoria   e   pianificatoria,   nonche'    con
vanificazione della competenza regionale in materia di  tutela  della
salute, di governo del territorio, dei servizi pubblici e, quindi, in
violazione degli artt. 117 e 118 Cost. 
    In particolare, la Regione Toscana  impugna  la  lettera  f)  del
comma 1 del citato art. 195, nella  parte  in  cui  attribuisce  allo
Stato   «l'individuazione,   nel    rispetto    delle    attribuzioni
costituzionali  delle  Regioni,  degli  impianti  di  recupero  e  di
smaltimento di preminente interesse nazionale da  realizzare  per  la
modernizzazione  e  lo   sviluppo   del   Paese»   in   quanto   tale
individuazione deve avvenire sulla base di una mera  audizione  della
Conferenza unificata di cui all'art. 8 del d.lgs. n. 281 del  1997  e
non gia' previa intesa con la Regione interessata. 
    Una compressione delle competenze regionali  sarebbe  conseguente
anche alla previsione di cui alla lettera d) del  comma  1  dell'art.
196, secondo cui spetta alla competenza delle Regioni, «nel  rispetto
dei principi previsti dalla normativa vigente e  dalla  parte  quarta
del  presente  decreto,  ivi  compresi  quelli  dell'articolo   195»,
l'approvazione dei progetti dei nuovi impianti per  la  gestione  dei
rifiuti, anche pericolosi, e l'autorizzazione  alle  modifiche  degli
impianti esistenti, fatte salve le competenze statali di cui all'art.
195, comma 1, lettera f). Dal combinato disposto di  cui  agli  artt.
195, comma 1, lettera f), e 196, comma 1, lettera d), si  desumerebbe
che gli impianti di recupero e di smaltimento di preminente interesse
nazionale  debbano  essere  individuati,  localizzati   e   approvati
direttamente dallo Stato, senza alcun coinvolgimento  della  Regione,
con conseguente illegittima compressione  dei  poteri  di  questa  in
materia di tutela della salute e governo del territorio. 
    Anche le lettere  b)  (in  tema  di  disciplina  delle  procedure
semplificate),   e)   (sulla   determinazione   dei    criteri    per
l'assimilazione dei rifiuti speciali ai rifiuti urbani, ai fini della
raccolta  e  dello  smaltimento),  l)  (  in  tema  di  formulario  e
regolamentazione del  trasporto  dei  rifiuti),  m)  (in  materia  di
individuazione delle tipologie di rifiuti che possono essere smaltiti
direttamente in discarica) ed s)  (sull'individuazione  della  misura
delle sostanze assorbenti e neutralizzanti di cui devono dotarsi  gli
impianti destinati allo stoccaggio, ricarica, manutenzione,  deposito
e sostituzione di accumulatori) dell'art.  195,  comma  2,  sarebbero
costituzionalmente illegittime nella parte  in  cui  consentono  allo
Stato di porre norme di dettaglio in una materia che si intreccia con
materie o attribuzioni regionali, quali la  tutela  della  salute,  i
servizi pubblici e i poteri di pianificazione territoriale, andando a
comprimere e pregiudicare indebitamente il potere  di  pianificazione
riconosciuto  alle  Regioni  dalle  norme  costituzionali   e   dalla
pregressa legislazione in materia ambientale, senza prevedere  alcuna
forma di intesa. 
    L'art. 199 sarebbe costituzionalmente illegittimo nella parte  in
cui disciplina i piani regionali di gestione dei rifiuti e, al  comma
9, prevede in capo solo allo Stato e non anche, in  via  preliminare,
alle  Regioni,  il  potere  sostitutivo  allorquando  «le   autorita'
competenti non realizzino gli interventi previsti dal piano regionale
nei termini e con le modalita' stabilite  e  tali  omissioni  possano
arrecare un grave pregiudizio all'attuazione del piano medesimo»,  in
violazione degli artt. 117 e 118 Cost., dal momento che si  verte  su
materia che va ad intrecciarsi con settori  di  competenza  regionale
quali la tutela della salute, il governo  del  territorio  e  la  sua
pianificazione. 
    Anche il comma 10 dell'art. 199 del  decreto  in  esame  sarebbe,
poi, costituzionalmente illegittimo nella parte in cui, da  un  lato,
individua il contenuto dei provvedimenti sostitutivi di cui al  comma
9 anche nell'ipotesi  in  cui  il  potere  sostitutivo  ricade  nella
competenza regionale; dall'altro, nel definire il contenuto di  detti
provvedimenti, non riprende la disposizione di cui all'art. 22, comma
10,  lettera  c),  del  d.lgs.  n.  22  del  1997,   che   consentiva
l'introduzione di sistemi di  deposito  cauzionale  obbligatorio  dei
contenitori. In  tal  modo  il  legislatore  delegato,  oltre  a  non
riconoscere il potere sostitutivo in capo alla Regione,  si  porrebbe
in contrasto con la direttiva comunitaria n. 75/442/CEE,  cosi'  come
modificata dalla direttiva n. 91/156/CEE, nella parte in cui prevede,
tra le finalita' della normativa sui rifiuti stessi, la prevenzione o
la riduzione della produzione e nocivita' dei rifiuti, posto  che  la
previsione  di  un  deposito  cauzionale  costituirebbe   un   ottimo
deterrente all'aumento della produzione e nocivita' dei predetti. 
    Per le medesime ragioni, l'art. 199, comma  10,  si  porrebbe  in
contrasto anche  con  i  principi  e  criteri  direttivi  individuati
dall'art. 1, comma 8, della legge n. 308 del 2004 e, in  particolare,
con i principi ed i criteri di cui alle lettere e) ed f). 
    Da  tali  violazioni  si  desumerebbero   anche   lesioni   delle
competenze  costituzionali  della  Regione  in  materia   di   tutela
dell'ambiente, della salute e di governo del territorio, dal  momento
che la mancata previsione del potere sostitutivo in capo alla Regione
e  la  mancata  previsione  dell'obbligo   di   depositi   cauzionali
andrebbero inevitabilmente a pregiudicare le  attribuzioni  regionali
in tema di controllo e pianificazione  del  territorio  e  di  tutela
sanitaria. 
    La Regione Toscana impugna, altresi', l'art. 201, comma 6,  nella
parte  in  cui,  recando  la  disciplina  del  servizio  di  gestione
integrata  dei  rifiuti  urbani,  stabilisce  che  «la  durata  della
gestione da parte dei soggetti affidatari, non inferiore  a  quindici
anni,  e'  disciplinata  dalle  regioni  in  modo  da  consentire  il
raggiungimento di obiettivi di efficienza, efficacia ed economicita»,
e l'art. 203 nella parte in  cui,  nel  dettare  lo  schema  tipo  di
contratto di servizio che regola  i  rapporti  tra  le  Autorita'  di
ambito e i soggetti affidatari del servizio integrato, stabilisce, al
comma 2, lettera c), che tale contratto deve prevedere, tra le  altre
cose, la durata dell'affidamento, comunque non inferiore  a  quindici
anni. 
    La previsione di una durata minima quindicennale  delle  gestioni
integrate  dei  rifiuti  urbani  si  porrebbe  in  contrasto  con  la
direttiva comunitaria n.  75/442/CEE,  cosi'  come  modificata  dalla
direttiva n. 91/156/CEE, nella parte in cui, all'art. 5, prevede  che
gli Stati membri adottino le «misure appropriate per la creazione  di
una rete integrata e adeguata di impianti di smaltimento,  che  tenga
conto delle tecnologie  piu'  perfezionate  a  disposizione  che  non
comportino costi eccessivi» e che «tale rete deve inoltre  permettere
lo smaltimento dei rifiuti in uno  degli  impianti  appropriati  piu'
vicini, grazie all'utilizzazione dei metodi e delle  tecnologie  piu'
idonei a garantire un alto grado di protezione dell'ambiente e  della
salute  pubblica».  Secondo  la   Regione,   prevedere   una   durata
quindicennale delle gestioni  integrate  dei  rifiuti  urbani,  senza
alcuna precisazione  in  merito  all'onere  di  tenere  costantemente
aggiornate le tecnologie utilizzate per la gestione dei  rifiuti,  si
traduce  inevitabilmente  in  un  grave  danno  all'ambiente  e  alla
sicurezza  dei  cittadini,  in  contrasto  con  la  citata  direttiva
comunitaria nonche' con i principi e  criteri  direttivi  individuati
dall'art. 1, comma 8, lettere e) ed f), della legge n. 308 del  2004,
e dunque in violazione delle competenze regionali in tema  di  tutela
della salute e di governo del territorio. 
    Oggetto di censure e', poi, anche l'art. 202, nella parte in cui,
nel disciplinare l'affidamento del servizio di gestione integrata dei
rifiuti urbani, stabilisce  al  comma  1  che  «l'Autorita'  d'ambito
aggiudica il  servizio  di  gestione  integrata  dei  rifiuti  urbani
mediante  gara  disciplinata  dai  principi  e   dalle   disposizioni
comunitarie, in conformita' ai criteri di cui all'art. 113, comma  7,
del decreto legislativo 18 agosto 2000, n.  267  (Testo  unico  delle
leggi sull'ordinamento degli enti locali),  nonche'  con  riferimento
all'ammontare del corrispettivo per la gestione svolta, tenuto  conto
delle garanzie di carattere tecnico  e  delle  precedenti  esperienze
specifiche dei concorrenti, secondo modalita' e termini definiti  con
decreto dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio  nel
rispetto delle competenze regionali in  materia».  Tale  disposizione
sarebbe  in  contrasto  con  gli  artt.  117  e  118  Cost.,  perche'
inciderebbe sulla competenza regionale in tema  di  servizi  pubblici
locali dotati di rilevanza economica, rispetto ai quali lo Stato puo'
porre solo disposizioni  di  carattere  generale,  laddove  la  norma
impugnata rinvia ad un decreto ministeriale il compito di dettare una
minuziosa disciplina delle procedure da seguire per l'affidamento del
servizio di gestione integrata dei rifiuti, senza peraltro  prevedere
neppure la necessaria intesa con le Regioni. 
    Anche l'art. 208  dell'impugnato  decreto  e'  fatto  oggetto  di
impugnativa da parte  della  Regione  Toscana  nella  parte  in  cui,
disciplinando la c.d. autorizzazione unica per i  nuovi  impianti  di
smaltimento e di recupero dei rifiuti, al comma 10, prevede che  «ove
l'autorita' competente non provveda a concludere il  procedimento  di
rilascio dell'autorizzazione unica entro i termini previsti al  comma
8, si applica il potere sostitutivo di cui  all'art.  5  del  decreto
legislativo 31 marzo 1998, n. 112», e  cioe'  il  potere  sostitutivo
dello Stato. 
    Cosi' disponendo, la citata norma violerebbe gli artt. 117 e  118
Cost., in quanto precluderebbe alle Regioni l'esercizio del potere di
sostituirsi agli enti locali inadempienti nelle  materie  di  propria
competenza. Nel caso di specie, pertanto,  si  renderebbe  necessario
l'intervento sostitutivo da parte della Regione Toscana, dal  momento
che in tale Regione le funzioni amministrative e i compiti in materia
di tutela dell'ambiente dagli inquinamenti e di gestione dei rifiuti,
delle risorse idriche  e  della  difesa  del  suolo,  conferite  alla
Regione dal d.lgs. n. 112 del 1998, sono state attribuite  agli  enti
locali (Comuni e Province), con le leggi regionali 1° dicembre  1998,
n. 88 (Attribuzione agli Enti  locali  e  disciplina  generale  delle
funzioni amministrative e dei compiti in  materia  di  urbanistica  e
pianificazione territoriale, protezione della natura e dell'ambiente,
tutela dell'ambiente  dagli  inquinamenti  e  gestione  dei  rifiuti,
risorse idriche e difesa del suolo, energia  e  risorse  geotermiche,
opere pubbliche, viabilita' e trasporti conferite  alla  Regione  dal
d.lgs.  31  marzo  1998,  n.  112),  e  6  settembre   1999   n.   25
(Delimitazione degli ambiti territoriali ottimali e disciplina  delle
forme di  cooperazione  tra  Enti  locali  per  l'organizzazione  del
Servizio idrico integrato e del  Servizio  di  gestione  dei  rifiuti
urbani). Ne' sussisterebbero esigenze unitarie tali  da  legittimare,
ai  sensi  dell'art.  118  Cost.,   l'attribuzione   delle   funzioni
amministrative ad un livello superiore rispetto ai Comuni. 
    Oggetto di censure e', poi, anche l'art. 212, nella parte in cui,
in relazione all'albo nazionale dei gestori ambientali,  prevede,  ai
commi 2 e 3,  un  aumento  del  numero  dei  componenti  statali  nel
Comitato nazionale e delle organizzazioni sindacali e delle categorie
economiche relativamente alle sezioni regionali o  provinciali  dello
stesso albo, in contrasto con gli artt. 117 e 118 della Costituzione.
Infatti, prevedendo  una  diminuzione  del  peso  dei  rappresentanti
regionali in seno al Comitato nazionale  e  alle  sezioni  regionali,
risulterebbero lese le prerogative delle Regioni in materia di tutela
della salute e di governo del  territorio,  in  considerazione  delle
importanti  funzioni  svolte  dall'albo  in  materia   di   procedure
semplificate per la gestione dei rifiuti di cui agli artt. 214 e  ss.
del  testo  unico  dell'ambiente,  che  attribuiscono  alla   sezione
regionale dell'albo, anziche' alle Province, funzioni istruttorie  ed
autorizzatorie in materia di autosmaltimento e recupero dei rifiuti. 
    La Regione Toscana impugna, altresi', l'art. 214 nella  parte  in
cui, al comma 2, prevedendo la possibilita' di stipulare  accordi  di
programma in materia di procedure semplificate per lo smaltimento  ed
il recupero dei rifiuti nei termini di cui all'art. 181, si  porrebbe
in contrasto, in primo luogo, con la  normativa  comunitaria,  ed  in
specie con l'art.  11  della  direttiva  n.  75/442/CEE,  cosi'  come
modificata dalla direttiva n. 91/156/CEE e, poi, con i principi ed  i
criteri direttivi individuati dall'art. 1, comma 8, alle  lettere  e)
ed f), della legge delega n. 308 del 2004. 
    Le suddette  violazioni  si  ripercuoterebbero  sulle  competenze
delle Regioni in materia di tutela  dell'ambiente,  di  tutela  della
salute e di governo del territorio, dal  momento  che  una  serie  di
categorie di rifiuti verrebbero,  con  detti  accordi  di  programma,
dispensate  dall'assoggettamento   ai   poteri   di   autorizzazione,
controllo e pianificazione riconosciuti  in  capo  alle  Regioni  dal
combinato disposto della normativa comunitaria e  della  legislazione
nazionale previgente, con pregiudizi  per  la  sicurezza  dell'intera
collettivita'. In particolare,  sarebbe  evidente  la  lesione  delle
competenze pianificatorie  delle  Regioni  nell'ipotesi  in  cui  gli
accordi  di  programma  prevedano  l'individuazione  dei  luoghi  ove
effettuare il recupero dei rifiuti, cosi' vincolando la  destinazione
urbanistica dei siti destinati al recupero senza alcun intervento  da
parte delle Regioni interessate. 
    La Regione Toscana censura, infine, gli artt.  215  e  216  nella
parte in cui disciplinano le procedure semplificate  con  particolare
riferimento alle attivita' di autosmaltimento e  alle  operazioni  di
recupero, attribuendo alla sezione regionale dell'albo nazionale  dei
gestori ambientali di cui all'art. 212 le funzioni che la  precedente
legislazione attribuiva alle Province (artt. 32 e 33 d.lgs. n. 22 del
1997). Le disposizioni richiamate sarebbero lesive  delle  competenze
delle Regioni in materia di tutela della  salute  e  di  governo  del
territorio dal momento che, da un lato, molti rifiuti verranno con  i
citati accordi di programma dispensati dall'assoggettamento ai poteri
di autorizzazione, controllo  e  pianificazione  dell'amministrazione
regionale; dall'altro, tale dispensa sara' autorizzata da un soggetto
(l'albo) in relazione al quale la Regione  non  ha  alcun  potere  di
indirizzo e controllo, essendo per giunta stata diminuita la presenza
dei propri rappresentanti in seno agli organi direttivi dello stesso. 
    3.1. - Si e' costituito in giudizio il Presidente  del  Consiglio
dei ministri, rappresentato e difesa dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le censure proposte dalla Regione Toscana  siano
dichiarare inammissibili o, comunque, infondate. 
    Quanto alle censure sollevate  nei  confronti  degli  artt.  181,
commi da 7 a 11, e 183, comma 1, lettera q), la  difesa  erariale  ne
deduce l'infondatezza sostenendo che, se  da  un  lato  la  normativa
denunciata non puo' ritenersi illegittima per il diritto  comunitario
in considerazione della pendenza  delle  relative  questioni  dinanzi
alla Corte di giustizia, dall'altro, l'introduzione di una disciplina
convenzionale (accordi di programma) dei rifiuti avrebbe l'effetto di
rendere responsabile del corretto utilizzo dei materiali  di  risulta
il soggetto privato  (che  stipula  l'accordo),  che  assumerebbe  la
stessa responsabilita' del produttore ai sensi dell'art. 2059  codice
civile. 
    Egualmente infondate sarebbero le  censure  mosse  nei  confronti
dell'art. 183, comma 1, lettera f), tenuto conto del fatto  che  tale
norma  si  limiterebbe  a  dettare  delle  definizioni,  individuando
operazioni   comunque   (nei   fatti)   possibili,   connotando    il
raggruppamento dei  rifiuti  come  raccolta  differenziata  solo  ove
raggiunga determinati standard qualitativi. 
    Ancora da rigettare sarebbero le censure sollevate nei  confronti
dell'art. 185, comma 1, in considerazione del contenzioso pendente in
sede comunitaria in ordine alla possibilita' che siano sottratti alla
disciplina dei rifiuti quei materiali che siano oggetto di disciplina
speciale non solo ambientale, ma anche dettata da esigenze sanitarie. 
    Anche l'esclusione delle terre e rocce da  scavo  dall'ambito  di
applicazione della disciplina dei rifiuti non contrasterebbe  con  la
normativa comunitaria tenuto conto, in primo luogo, della pendenza di
un contenzioso comunitario sulla previgente disciplina, e  poi  anche
del fatto che detta esclusione riguarderebbe esclusivamente  progetti
di opere sottoposti a valutazione di impatto  ambientale  (VIA),  nei
quali il riutilizzo dei materiali di scavo troverebbe una sua  ragion
d'essere nella completezza del progetto e  nell'esistenza  di  uno  o
piu' soggetti responsabili della sua realizzazione. 
    Quanto, poi, all'art. 189, commi 1 e 3, la disciplina dettata  in
tema di catasto dei  rifiuti  sarebbe  costituzionalmente  legittima,
trattandosi di un ufficio statale la cui organizzazione non  potrebbe
che spettare  a  regolamenti  d'organizzazione  ministeriali;  mentre
l'esenzione della denuncia per rifiuti non pericolosi  costituirebbe,
nel  rispetto  delle  norme  comunitarie,  uno  strumento   utile   e
praticabile per le imprese e  le  amministrazioni  statali,  atto  ad
evitare un inutile onere. 
    In  tema  di  individuazione  degli  impianti   di   recupero   e
smaltimento dei rifiuti, poi, gli artt. 195,  comma  1,  lettera  f),
comma 2, lettere b), e), 1), m) ed s), e 196, comma  1,  lettera  d),
nel prevedere una semplice audizione della Conferenza unificata e non
un'intesa con la Regione interessata, risponderebbero alla  esigenza,
connessa al fatto che  i  rifiuti  prodotti  in  una  Regione  spesso
vengono smaltiti in altre  regioni  o  all'estero,  di  garantire  le
competenze regionali attribuendo anche poteri,  da  esercitare  sulla
base di pareri puntuali delle autorita' territoriali, ad un  soggetto
che abbia «per evidenti ragioni di  lontananza,  una  prospettiva  di
carattere generale». 
    Infondate  sarebbero  anche  le  censure  mosse:  nei   confronti
dell'art. 199, commi 9 e 10, dal momento che le norme  in  esame  non
derogherebbero alla disciplina generale  del  potere  sostitutivo  ed
alla possibilita' delle Regioni  di  regolare  in  modo  autonomo  la
sostituzione di enti locali attributari di compiti nel settore  dello
smaltimento dei rifiuti; in relazione agli artt. 201, comma 6, e 203,
comma 2, lettera c), in tema di affidamenti quindicennali, posto  che
la  disciplina  in  essi  contenuta  avrebbe  carattere   dispositivo
indicando solo un principio direttivo finalizzato ad ottenere stabili
gestioni; in riferimento all'art. 202, comma 1,  considerato  che  il
potere ministeriale ivi previsto  inerisce  alla  determinazione  dei
criteri generali di gestione di un servizio  ambientale  in  funzione
delle regole generali della concorrenza, regole non  suscettibili  di
differenziazione; nei confronti dell'art. 208, comma 10, in quanto il
potere sostitutivo dello Stato ivi  previsto  non  derogherebbe  alla
possibilita'  delle  Regioni  di  regolare  in   modo   autonomo   la
sostituzione di enti locali  titolari  di  compiti  nel  settore;  in
relazione all'art. 212, commi 2 e 3, dal momento che anche le sezioni
regionali dell'albo nazionale dei gestori ambientali sarebbero uffici
statali, la  determinazione  della  cui  composizione  rientra  nella
discrezionalita'  del  legislatore  statale.  Del   pari   prive   di
fondamento sarebbero le questioni proposte: nei  confronti  dell'art.
214, commi 2 e 3, in  considerazione  del  fatto,  da  un  lato,  che
l'attribuzione agli accordi di  programma  del  compito  di  definire
quantita' e condizioni per le attivita' di  smaltimento  dei  rifiuti
non pericolosi determinerebbe l'effetto di rendere  responsabile  del
corretto utilizzo dei materiali di risulta il soggetto  privato  (che
stipula l'accordo), ai sensi dell'art. 2059  cod.  civ.,  dall'altro,
quanto  alla  attribuzione  della  medesima  competenza  ai   decreti
ministeriali, che detti decreti sono  gli  strumenti  tipici  per  la
redazione  della  c.d.  normativa  tecnica  unitaria  su   tutto   il
territorio nazionale; infine nei confronti degli artt. 215, commi  1,
3 e 4, e 216, commi 1, 3 e 4, in quanto  la  scelta  del  legislatore
statale di affidare compiti ad organi  di  autogoverno  della  stessa
imprenditoria  privata,  in  tema  di  procedure  semplificate,   non
apparirebbe del tutto irragionevole, residuando alla Regione  compiti
di controllo, oltre alle altre competenze in materia di tutela  della
salute e di gestione del territorio. 
    3.2. - Nel giudizio e' intervenuta l'Associazione italiana per il
World Wide Fund for Nature (WWF  Italia   -  Onlus),  la  quale,  sia
nell'atto di intervento che nella memoria depositata  in  prossimita'
dell'udienza pubblica, ha chiesto che vengano accolte le questioni di
legittimita' costituzionale sollevate dalla Regione Toscana. 
    3.3. - In prossimita' dell'udienza pubblica, la Regione  Toscana,
con memoria depositata il 27 aprile 2009, ha dichiarato di non  avere
piu' interesse ad una pronuncia di merito in relazione  alle  censure
proposte nei confronti degli artt. 181, commi da 7 a 11;  183,  comma
1, lettera q); 185, comma 1; 186; 189, comma 3; 195, comma 2, lettera
e); 212, comma 3; 214, comma 3; 215, commi 1, 3 e 4; 216, commi 1,  3
e 4. 
    4. - Con ricorso, notificato il 12-27 giugno 2006, depositato  il
successivo 15 giugno, la Regione Piemonte (reg. ric. n. 70 del  2006)
ha promosso questione  di  legittimita'  costituzionale  di  numerose
disposizioni del d.lgs. n. 152 del 2006, fra le quali gli artt.  181,
commi da 7 a 11, 183, 186, 194, 195, comma 1, lettere f), l), m), n),
o), q), art. 199, comma 9, artt. da 196 a 200, da 201 a  205,  212  e
214, comma 3. 
    In particolare, vengono in primo luogo censurati gli  artt.  181,
commi da 7 a 11, e 214, comma 3, nella parte in cui  disciplinano  la
formazione degli accordi di programma, in violazione dei principi che
regolano   l'attivita'   amministrativa,   i   quali   escludono   la
possibilita' di accordi  con  i  privati  nell'ambito  dell'attivita'
diretta alla emanazione di atti  normativi,  di  atti  amministrativi
generali, di atti di pianificazione e di programmazione, per i  quali
restano ferme le particolari norme  che  ne  regolano  la  formazione
(artt. 11 e 13 della legge 7 agosto 1990, n. 241 recante «Nuove norme
in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso  ai
documenti amministrativi»). 
    Tali norme stabiliscono, peraltro, la legittimazione a concorrere
all'elaborazione dei contenuti di rilevanti discipline solo di alcune
categorie sociali, a discapito di altre, con la ritenuta  conseguente
violazione dei principi di eguaglianza e certezza del diritto.  Dette
previsioni  - ad avviso della ricorrente  - sarebbero,  altresi',  in
contrasto con la normativa comunitaria. 
    La Regione Piemonte impugna, poi, gli artt. 183, 194 e 212, nella
parte in cui introducono  le  nozioni  di  rifiuto,  sottoprodotto  e
materia prima secondaria per attivita' siderurgiche e  metallurgiche,
nozioni che, in contrasto con la normativa  comunitaria,  restringono
il campo di applicazione della disciplina sui rifiuti, delineando una
sorta di «deregolamentazione mascherata», gia' in passato incorsa nei
pronunciamenti negativi  della  Corte  di  giustizia  (es.  pronuncia
"Niselli" C 457/02 dell'11 novembre 2004). 
    Tali contrasti con la normativa  comunitaria  si  rifletterebbero
negativamente sulle amministrazioni regionali e  locali  poste  nelle
condizioni di operare o in violazione delle norme introdotte, ma  nel
rispetto  di  quelle  comunitarie,  ovvero  di   essere   esposte   a
pronunciamenti negativi in sede comunitaria. 
    Per analoghe ragioni si determinerebbe anche una  violazione  dei
principi e criteri direttivi della legge delega n. 308 del 2004. 
    Anche l'art. 186 del d.lgs. n. 152 del 2006  e',  poi,  censurato
dalla ricorrente per contrasto con la normativa comunitaria. Infatti,
detta norma, nella parte in cui esclude dalla normativa  sui  rifiuti
le terre e le rocce da scavo, ripeterebbe sostanzialmente quanto gia'
affermato in precedenti leggi  oggetto  di  procedure  di  infrazione
comunitaria avviate nei confronti dell'Italia per  contrasto  con  le
direttive n. 75/442/CEE e n. 91/156/CEE. 
    Viene, inoltre, impugnato dalla Regione Piemonte l'art. 195 nella
parte in cui stabilisce, al comma 1, lettera  f),  l'accentramento  a
livello     ministeriale     delle      attivita'      pianificatorie
nell'individuazione degli  impianti  di  recupero  e  smaltimento  di
preminente interesse nazionale da realizzare per la modernizzazione e
lo  sviluppo  del  Paese,  individuazione  che  avviene  «sentita  la
Conferenza Stato-Regioni», senza intesa della stessa e delle  singole
Regioni interessate dagli interventi in programma.  In  tal  modo  le
Regioni    sarebbero    escluse     dall'esercizio     dell'attivita'
pianificatoria sul territorio di propria competenza  in  merito  agli
impianti di recupero e smaltimento di preminente interesse nazionale,
per  la  cui  localizzazione  non  e'  prevista   alcuna   forma   di
partecipazione alla decisione statale, in evidente  violazione  delle
competenze  regionali  in  materia  di  governo  del  territorio   e,
indirettamente, in materia di tutela della salute. 
    Anche le disposizioni di cui al comma 1, lettere l),  n),  e  q),
del  medesimo   art.   195   -   che   riguardano,   rispettivamente,
l'individuazione degli obiettivi di qualita' dei  servizi,  le  linee
guida per la definizione delle gare d'appalto  e  dei  capitolati,  i
criteri  per  l'organizzazione  della   raccolta   differenziata    -
sarebbero riconducibili, in quanto riferite al  sistema  di  gestione
dei  servizi  relativi  ai  rifiuti,  alla   competenza   legislativa
regionale in tema di servizi pubblici locali, nonche'  alla  potesta'
organizzativa  degli  enti   gestori.   Esse   sarebbero,   pertanto,
costituzionalmente   illegittime,   da   un   lato,   in    relazione
all'individuazione degli obiettivi di qualita', non essendo  prevista
in ordine ad essi alcuna forma di partecipazione  ne'  delle  Regioni
ne' delle autonomie  locali;  dall'altro,  in  relazione  agli  altri
aspetti, in quanto non sarebbe evocabile il solo titolo di competenza
statale in tema di tutela della concorrenza.  Tale  materia  sarebbe,
infatti, riferibile solo alle disposizioni di carattere generale  che
disciplinano l'affidamento dei servizi nei limiti degli strumenti  di
intervento disposti in una  relazione  «ragionevole  e  proporzionata
rispetto agli obiettivi attesi». Essa inoltre  si  intreccerebbe  con
una pluralita' di altri interessi,  come,  nel  caso  in  esame,  con
quelli inerenti alla  disciplina  del  servizio  pubblico  locale  di
gestione dei rifiuti. 
    Le disposizioni di cui al comma 1, lettere m) ed o), del medesimo
art. 195, nella parte in cui attribuiscono al Ministero dell'ambiente
il compito di definire i  criteri  generali  per  l'elaborazione  dei
piani regionali e degli ambiti territoriali ottimali e le linee guida
per la cooperazione fra enti locali, nonche' i criteri  per  le  aree
non idonee (lettera p), sarebbero costituzionalmente illegittime  per
contrasto con i principi di sussidiarieta' e di leale collaborazione,
in quanto determinerebbero  un  accentramento  di  poteri  a  livello
ministeriale non sorretto dalla legge di delega e non giustificato da
esigenze di trattamento unitario degli interessi coinvolti. 
    I  medesimi  rilievi  vengono  proposti   nei   confronti   della
«speculare dettagliata disciplina posta agli articoli da 196 a 200». 
    Viene, inoltre, censurato l'art. 199, comma 9, nella parte in cui
prevede un potere  sostitutivo  del  Ministro  dell'ambiente  per  le
omissioni rispetto ai contenuti del piano regionale, in contrasto con
l'art. 120 Cost., con i principi costituzionali di  sussidiarieta'  e
leale collaborazione nonche' di omogeneita' ed unicita' di  cui  alla
legge 15 marzo 1997, n. 59 (Delega al Governo per il conferimento  di
funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma  della
Pubblica Amministrazione e per  la  semplificazione  amministrativa),
oltre che  con  il  principio  di  ragionevolezza,  affidando  ad  un
soggetto diverso dall'ente regionale titolare della programmazione il
potere di intervenire  per  garantire  l'adempimento  degli  obblighi
previsti dagli atti di programmazione regionale. 
    Anche  gli  artt.  da  201  a  204  determinerebbero,  poi,   una
illegittima compressione della sfera di competenza  delle  Regioni  e
degli enti locali, nella parte in cui disciplinano l'affidamento  del
servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani  e  l'utilizzazione
delle  gestioni  esistenti,  ponendo  disposizioni   dettagliate   ed
autoapplicative nella materia dei  servizi  pubblici  locali  nonche'
dell'organizzazione  amministrativa  degli  enti  a  cui  compete  la
gestione  del  servizio,  peraltro  in  violazione  dei  principi  di
proporzionalita' ed adeguatezza rispetto agli  obiettivi  attesi.  In
particolare, quanto alla previsione di cui al comma 6 dell'art.  201,
in tema di durata della gestione da  parte  dei  soggetti  affidatari
«non inferiore a quindici anni», la ricorrente ne rileva il contrasto
con l'intento di introdurre elementi di concorrenzialita' ed apertura
del mercato dei servizi pubblici di gestione dei rifiuti e con quello
di  adeguare  la  disciplina  delle  gestioni  alle  diverse  realta'
territoriali   ed   imprenditoriali   regionali,   con    conseguente
compressione della sfera di autonomia  decisionale  delle  Regioni  e
degli enti locali. 
    La Regione Piemonte  impugna,  infine,  per  i  medesimi  motivi,
l'art. 205 in relazione  all'art.  183,  comma  1,  lettera  f),  che
contiene la definizione di raccolta differenziata e  l'individuazione
delle misure per incrementare  la  medesima,  in  contrasto  con  gli
obiettivi di raggiungimento di  specifiche  percentuali  di  raccolta
stabiliti in base al d.lgs.  n.  22  del  1997  nella  programmazione
regionale e nei piani gestionali del  servizio  e,  quindi,  con  gli
obiettivi di tutela ambientale. 
    4.1. - Si e' costituito in giudizio il Presidente  del  Consiglio
dei ministri, rappresentato e difesa dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che le censure proposte dalla Regione Piemonte siano
dichiarare inammissibili o comunque infondate. 
    La  difesa  erariale  osserva,  in  linea  preliminare,  che   il
carattere trasversale della materia della tutela dell'ambiente, se da
un  lato  legittima  la  possibilita'  delle  Regioni  di  provvedere
attraverso  la  propria  legislazione  esclusiva  o  concorrente   in
relazione  a  temi  che  hanno  riflessi  sulla  materia  ambientale,
dall'altro non costituisce limite  alla  competenza  esclusiva  dello
Stato a  stabilire  regole  omogenee  nel  territorio  nazionale  per
procedimenti e competenze che attengono alla tutela dell'ambiente  ed
alla salvaguardia del territorio. 
    4.2. - Nel giudizio e' intervenuta l'Associazione italiana per il
World Wide Fund for Nature (WWF Italia  - Onlus), che, sia con l'atto
di  intervento  che  con  la  memoria   depositata   in   prossimita'
dell'udienza pubblica, ha chiesto che vengano accolte le questioni di
legittimita' costituzionale sollevate dalla Regione  Piemonte.  Sono,
altresi', intervenute la Biomasse Italia s.p.a, la Societa'  Italiana
Centrali Termoelettriche, la Ital Green Energy s.r.l.  e  la  Energie
Tecnologie Ambiente  s.p.a.,  chiedendo,  invece,  che  la  Corte  ne
dichiari l'inammissibilita' e/o l'infondatezza. 
    5. - Con ricorso, notificato il  9  giugno  2006,  depositato  il
successivo 15 giugno, la Regione Valle d'Aosta (reg. ric. n.  71  del
2006)  ha  promosso  questione  di  legittimita'  costituzionale   di
numerose disposizioni del d.lgs. n. 152 del 2006, fra  le  quali  gli
artt. 202 e 203. In particolare, la Regione impugna, in primo  luogo,
l'art. 202 nella parte in cui, -stabilendo che «1'Autorita'  d'ambito
aggiudica il  servizio  di  gestione  integrata  dei  rifiuti  urbani
mediante  gara  disciplinata  dai  principi  e   dalle   disposizioni
comunitarie, in conformita' al  criterio  di  cui  all'articolo  113,
comma 7, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, nonche'  con
riferimento all'ammontare del corrispettivo per la  gestione  svolta,
tenuto conto delle garanzie di carattere tecnico e  delle  precedenti
esperienze specifiche dei concorrenti, secondo  modalita'  e  termini
definiti con decreto del Ministro dell'ambiente e  della  tutela  del
territorio nel rispetto delle competenze  regionali  in  materia»   -
violerebbe la competenza legislativa residuale di cui  all'art.  117,
quarto comma, Cost., nonche' la competenza primaria di  cui  all'art.
2, lettera b), ed all'art. 3, lettera o), della legge  costituzionale
26 febbraio 1948, n. 4 (Statuto speciale per la  Valle  d'Aosta),  in
materia  di  "ordinamento  degli  enti  locali",  attribuendo  ad  un
regolamento ministeriale il compito di definire modalita'  e  termini
di un procedimento per l'affidamento di un servizio pubblico locale. 
    La richiamata  norma  violerebbe,  conseguentemente,  i  principi
inerenti ai rapporti fra fonti statali e  fonti  regionali,  i  quali
escludono l'operativita'  delle  fonti  regolamentari  statali  nelle
materie  di  competenza  regionale,   tra   le   quali   va   incluso
l'affidamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani. 
    La ricorrente sostiene, inoltre, che anche i commi da 2 a  6  del
medesimo art. 202, nonche' l'art. 203, che disciplina lo schema  tipo
di contratto di servizio, recherebbero  una  disciplina  estremamente
dettagliata  ed  autoapplicativa,  lesiva  delle  attribuzioni  della
Regione, non riferibile alla competenza esclusiva statale in tema  di
tutela della concorrenza, ne' alla competenza  statale  di  cui  alla
lettera s) del secondo  comma  dell'art.  117  Cost.,  posto  che  la
materia  dei  rifiuti  e'  tale  da  coinvolgere  una  pluralita'  di
attribuzioni   regionali,   lese   dalle   disposizioni   legislative
impugnate. 
    Per le predette ragioni, la  Regione  Valle  d'Aosta  impugna  le
citate  disposizioni  nella  parte  in  cui  ledono  le  attribuzioni
regionali in materia ambientale, igienico-sanitaria  ed  urbanistica,
di fatto svuotando la competenza residuale della Regione  in  materia
di servizi pubblici locali, basata sugli  artt.  117,  quarto  comma,
Cost., e  10  della  legge  costituzionale  18  ottobre  2001,  n.  3
(Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione), oltre
a comprimere la competenza regionale primaria in tema di "ordinamento
degli enti locali" di cui  all'art.  2,  lettera  b),  dello  statuto
speciale. 
    5.1. - Nel giudizio e' intervenuta l'Associazione italiana per il
World Wide Fund for Nature  (WWF  Italia   -  Onlus),  chiedendo  che
vengano accolte le questioni di legittimita' costituzionale sollevate
dalla Regione Valle d'Aosta. 
    5.2.  -  In  prossimita'  dell'udienza   pubblica,   la   Regione
ricorrente ha depositato memoria (in data  5  maggio  2009),  con  la
quale ha dichiarato di insistere per l'accoglimento delle conclusioni
formulate nel ricorso. 
    6. - Con ricorso, notificato il 13  giugno  2006,  depositato  il
successivo 16 giugno, la Regione Umbria (reg. ric. n. 72 del 2006) ha
promosso  questione  di  legittimita'  costituzionale   di   numerose
disposizioni del d.lgs. n. 152 del 2006, fra  le  quali  degli  artt.
181, commi da 7 a 11, 183, comma 1, lettere g), h), m), n), q) ed u),
186, 189, comma 3, 195, comma 1, 202, comma 6, e 214, commi 3 e 5. 
    In primo luogo, la ricorrente impugna l'art. 181, comma 7,  nella
parte in cui  disciplina  gli  accordi  di  programma,  operando  una
«deregolamentazione mascherata del settore», in pieno  contrasto  con
le normative europee piu' volte ribadite dalle decisioni della  Corte
di giustizia. 
    A cio' la ricorrente aggiunge la considerazione  che  il  ricorso
allo strumento dell'accordo e del  contratto  di  programma,  di  cui
all'art. 181, altererebbe la gerarchia  delle  fonti  del  diritto  e
determinerebbe una lesione dei  principi  di  certezza  del  diritto,
eguaglianza, generalita' ed astrattezza delle norme, sostituendo alla
disciplina generale una serie indeterminata  di  accordi  applicabili
solo agli aderenti. 
    Per le stesse ragioni, sarebbero costituzionalmente illegittimi i
commi  3  e  5  dell'art.  214,  nella   parte   in   cui   ammettono
rispettivamente lo  strumento  dell'accordo  "deregolatorio"  per  le
procedure semplificate di smaltimento dei  rifiuti  e  richiamano  il
d.m. 5 febbraio  1998  (Individuazione  dei  rifiuti  non  pericolosi
sottoposti alle procedure semplificate di  recupero  ai  sensi  degli
articoli 31 e 33 del d.lgs. 5 febbraio  1997,  n.  22)  per  la  fase
transitoria, in attesa della fissazione delle nuove regole. 
    Anche l'art. 186  del  decreto  impugnato,  nella  parte  in  cui
introduce un'ipotesi generale di esenzione per le terre  e  rocce  da
scavo, sarebbe  in  contrasto  con  la  normativa  comunitaria,  come
dimostrato dall'esistenza di  una  procedura  di  infrazione  avviata
contro la Repubblica italiana a causa  di  una  disposizione  analoga
contenuta nella legge n. 443 del 2001 (art. 1, comma 15). 
    Le norme impugnate non contrasterebbero solo  con  le  richiamate
norme comunitarie e quindi, con gli artt.  11  e  117,  primo  comma,
Cost., ma anche con l'art. 76 Cost., violando la legge delega n.  308
del 2004 che fissa, tra i criteri direttivi (art.  1,  comma  8),  la
«piena e  coerente  attuazione  delle  direttive  comunitarie  [...]»
(lettera e) e l'«affermazione dei principi comunitari di prevenzione,
di precauzione, di correzione e riduzione degli  inquinamenti  e  dei
danni ambientali e del principio "chi  inquina  paga"»  (lettera  f).
Tali violazioni determinerebbero anche una lesione  delle  competenze
regionali in tema di tutela dell'ambiente, di tutela della  salute  e
di governo del  territorio,  pregiudicando  il  corretto  svolgimento
delle funzioni regionali in quelle materie. 
    Posto che spetta alla Regione, a  tenore  dell'art.  117,  quinto
comma, Cost.,  dare  attuazione  alle  norme  comunitarie  e  che  la
supremazia del diritto comunitario, confortata dalla sentenza n.  170
del 1984, deve essere assicurata anche attraverso la  disapplicazione
delle norme legislative interne contrastanti con le norme comunitarie
self executing, la ricorrente sostiene di  non  dover  applicare  nel
proprio territorio le norme del decreto impugnato  che  risultino  in
contrasto  con  le  norme  ad  effetto  diretto  poste  dal   diritto
comunitario derivato e dalle sentenze della Corte di giustizia che di
esso forniscono interpretazione, con il risultato  di  uno  stato  di
«gravissima incertezza normativa» non privo di preoccupanti  riflessi
sulla repressione penale dei reati ambientali. 
    Sulla base di  argomenti  analoghi  la  Regione  Umbria  censura,
inoltre,  l'art.  189,  comma  3,  nella  parte   in   cui   delimita
restrittivamente l'obbligo di comunicare annualmente alle  Camere  di
commercio le quantita' e le caratteristiche qualitative  dei  rifiuti
oggetto di attivita' di raccolta, trasporto, recupero  e  smaltimento
dei rifiuti, esentandone le imprese e gli enti che producono  rifiuti
non pericolosi. 
    La Regione Umbria censura, altresi', l'art. 195, comma  1,  nella
parte in cui definisce i compiti riservati allo Stato in  materia  di
rifiuti  dopo  la  riforma   costituzionale   di   cui   alla   legge
costituzionale n. 3 del 2001, riscrivendo l'art. 18 del d.lgs. n.  22
del 1997, in maniera tale da comprimere le competenze  regionali.  In
particolare, la lettera m) del predetto comma 1 dell'art. 195 assegna
allo Stato «la determinazione di criteri generali, differenziati  per
i rifiuti urbani e per i rifiuti speciali, ai fini  dell'elaborazione
dei piani regionali di cui all'art. 199 con  particolare  riferimento
alla determinazione, d'intesa con la Conferenza Stato-Regioni,  delle
linee guida per la individuazione degli Ambiti territoriali ottimali,
da costituirsi ai sensi dell'art. 200  e  per  il  coordinamento  dei
piani stessi». 
    In tal modo essa sarebbe illegittima, nella sua prima parte,  per
il fatto di prevedere un atto di indirizzo  e  coordinamento  in  una
materia  regionale,  la  cui  legittimita'    -   dopo   la   riforma
costituzionale del 2001  - deve ritenersi esclusa dall'art. 8,  comma
6, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per  l'adeguamento
dell'ordinamento della Repubblica alla L. cost. 18 ottobre  2001,  n.
3). Inoltre, tale atto non sarebbe  adottato  previa  intesa  con  la
Conferenza Stato-Regioni ma solo previo parere,  con  violazione  del
principio di leale collaborazione che,  in  relazione  agli  atti  di
indirizzo, richiede il coinvolgimento "forte" della Conferenza. 
    Anche la seconda parte della citata  norma  sarebbe  illegittima,
oltre che per le suddette ragioni, per violazione della legge delega,
posto che essa introduce, innovando, il potere dello Stato di dettare
linee-guida per la perimetrazione degli ambiti territoriali  ottimali
ed indebolisce il ruolo delle Regioni (art. 1, comma 8,  della  legge
n. 308  del  2004),  con  conseguente  menomazione  delle  competenze
regionali. 
    Del pari sarebbe costituzionalmente illegittima la previsione, di
cui alla lettera o) del comma 1 dell'art. 195,  nella  parte  in  cui
attribuisce allo Stato «la determinazione, d'intesa con la Conferenza
Stato-Regioni, delle linee-guida inerenti le forme ed  i  modi  della
cooperazione  fra  gli  enti  locali,  anche  con  riferimento   alla
riscossione della tariffa sui rifiuti urbani ricadenti  nel  medesimo
ambito  territoriale  ottimale,  secondo  criteri   di   trasparenza,
efficienza,  efficacia  ed  economicita».  Si  tratterebbe   di   una
competenza aggiunta all'elenco delle funzioni attribuite  allo  Stato
dal d.lgs. n. 22 del  1997,  in  violazione  dei  criteri  di  delega
legislativa  e  con  evidente  lesione  delle  sfere  di   competenza
regionale residuale in tema  di  tariffazione  dei  servizi  pubblici
locali, nonche' nella promozione delle forme di cooperazione tra  gli
enti locali. 
    La Regione Umbria censura, infine, l'art.  202,  comma  6,  nella
parte in cui stabilisce che «il  personale  che,  alla  data  del  31
dicembre  2005  o  comunque  otto  mesi  prima  dell'affidamento  del
servizio, appartenga alle amministrazioni comunali, alle  aziende  ex
municipalizzate  o  consortili  e   alle   imprese   private,   anche
cooperative, che operano nel settore  dei  servizi  comunali  per  la
gestione dei rifiuti sara' soggetto, ferma  restando  la  risoluzione
del rapporto di lavoro, al passaggio diretto ed  immediato  al  nuovo
gestore del servizio integrato dei rifiuti, con la salvaguardia delle
condizioni  contrattuali,  collettive  e  individuali  in  atto»   ed
aggiunge che, «nel caso di passaggio di dipendenti di enti pubblici e
di ex aziende municipalizzate o  consortili  e  di  imprese  private,
anche cooperative al  gestore  del  servizio  integrato  dei  rifiuti
urbani si applica [...] la  disciplina  del  trasferimento  del  ramo
d'azienda di cui all'articolo 2112 del codice  civile».  Tale  norma,
oltre a sollevare dubbi di legittimita' costituzionale  in  relazione
agli artt. 42 e 43 Cost. ed  all'autonomia  imprenditoriale  privata,
lederebbe, ad avviso della ricorrente, l'autonomia finanziaria  degli
enti locali, in  quanto  il  soggetto  gestore  scarichera'  i  costi
derivanti dal trasferimento coatto sull'ente locale o  aumentando  la
tariffa o richiedendo un intervento finanziario ai soci (fra i  quali
lo stesso ente locale). 
    6.1. - Nel giudizio e' intervenuta l'Associazione italiana per il
World Wide Fund for Nature (WWF  Italia   -  Onlus),  chiedendo,  sia
nell'atto di intervento che nella memoria depositata  in  prossimita'
dell'udienza  pubblica,  che  vengano   accolte   le   questioni   di
legittimita' costituzionale sollevate dalla Regione Umbria. 
    6.2. - In prossimita' dell'udienza pubblica, la  Regione  Umbria,
con memoria depositata in  data  6  maggio  2009,  ha  dichiarato  di
rimettere alla valutazione di questa Corte ogni  decisione  circa  la
eventuale declaratoria di cessazione della materia del contendere  in
ordine alle censure proposte nei confronti degli artt. 181, commi  da
7 a 11; 183, comma 1, lettere g), h), m), n), q)  ed  u);  186;  189,
comma 3; 214, commi 3 e 5. 
    7. - Con un  secondo  ricorso,  notificato  il  13  giugno  2006,
depositato il successivo 16 giugno, la Regione  Emilia-Romagna  (reg.
ric.  n.  73  del  2006)  ha  promosso  questione   di   legittimita'
costituzionale di numerose altre disposizioni del d.lgs. n.  152  del
2006, fra le quali degli artt. 195, comma 1, lettere f), g),  n),  ed
o) e 2, 200, 201, 202, commi 1 e 4, 203, 204, comma 3, 207, comma  1,
214, comma 9, 215. 
    La Regione premette di aver gia' impugnato, in separato  ricorso,
gli artt. 181, commi da 7 a 11, 183, comma  1,  186,  189,  comma  3,
chiedendone la sospensione in considerazione  del  rischio  di  danni
gravi   ed   irreparabili   all'interesse   pubblico   alla    tutela
dell'ambiente,  all'ordinamento  giuridico  nazionale   e   regionale
nonche' ai diritti  dei  cittadini  alla  salute  e  alla  salubrita'
dell'ambiente. 
    Ritiene, tuttavia, che altre disposizioni della parte quarta  del
decreto  legislativo  n.  152  del  2006   siano   costituzionalmente
illegittime ed in particolare, in primo luogo, l'art. 195, commi 1  e
2, nella parte in cui definisce i compiti  riservati  allo  Stato  in
materia di rifiuti dopo la riforma costituzionale di cui  alla  legge
costituzionale n. 3 del 2001, riscrivendo l'art. 18 del d.lgs. n.  22
del 1997, in maniera tale da comprimere le competenze  regionali.  In
specie, nella lettera f) del citato comma 1,  l'art.  195  si  occupa
degli impianti di smaltimento e  stabilisce  che  e'  riservata  allo
Stato l'individuazione degli impianti di smaltimento e di recupero di
preminente interesse nazionale.  In  tal  modo  la  citata  norma   -
secondo la ricorrente  -  determina  l'attrazione  in  sussidiarieta'
allo Stato delle  funzioni  di  coordinamento  per  una  piu'  idonea
localizzazione degli  impianti  di  recupero  e  di  smaltimento,  in
violazione  del  principio  di  leale  collaborazione,  non   essendo
prevista la previa intesa della  Conferenza  unificata,  ma  solo  il
previo parere. 
    Anche la lettera g) del richiamato art. 195, comma 1, nella parte
in cui  riserva  allo  Stato  «la  definizione,  nel  rispetto  delle
attribuzioni costituzionali delle Regioni, di un piano  nazionale  di
comunicazione e conoscenza ambientale  [...]  sentita  la  Conferenza
unificata» sarebbe in contrasto con i principi  ed  i  criteri  della
delega  legislativa   oltre   che   con   il   principio   di   leale
collaborazione, posto che si tratterebbe di  una  competenza  statale
aggiuntiva rispetto a quelle di cui al d.lgs. n. 22 del 1997,  e  che
essa si risolverebbe in una funzione di coordinamento delle attivita'
di tutela dell'ambiente svolte dallo Stato,  dalle  Regioni  e  dagli
enti  locali,  per  l'elaborazione  della   quale   dovrebbe   essere
prescritto un adeguato coinvolgimento di Regioni ed enti locali. 
    Analoghe censure vengono poi rivolte alla lettera n) del comma  1
dell'art.  195,  nella  parte  in  cui  attribuisce  allo  Stato  «la
determinazione, relativamente all'assegnazione della concessione  del
servizio per la gestione  integrata  dei  rifiuti,  d'intesa  con  la
Conferenza Stato-Regioni, delle linee-guida per la definizione  delle
gare d'appalto ed in particolare dei requisiti  di  ammissione  delle
imprese  e  dei  relativi  capitolati,  anche  con  riferimento  agli
elementi economici relativi agli impianti esistenti».  La  ricorrente
sostiene  che  la  predetta   disposizione   sia   costituzionalmente
illegittima  non  solo  perche'  aggiunge  una   competenza   statale
all'elenco di cui al d.lgs. n. 22 del 1997, violando i  limiti  della
delega, ma anche perche' assegna allo Stato compiti normativi di tipo
regolamentare in una materia, quella dei servizi pubblici locali,  di
competenza legislativa regionale residuale. 
    La ricorrente ritiene, pertanto, che la previsione di  un  simile
potere statale appare lesiva  anche  dei  canoni  di  ragionevolezza,
proporzionalita'   ed   adeguatezza,   che    costituiscono    limite
all'intervento del legislatore statale in materia di servizi pubblici
locali in nome della tutela della concorrenza: non sarebbero  infatti
identificabili le ragioni per le quali  sia  necessario  attrarre  al
centro,  in  sussidiarieta',  funzioni  lato  sensu   normative   che
avrebbero l'unico scopo di rendere omogenei criteri  di  formulazione
dei bandi di gara che invece andrebbero  modulati  in  considerazione
della specificita' delle  concrete  situazioni,  nel  pieno  rispetto
delle  regole  generali  stabilite  dalla  legislazione  comunitaria,
statale e regionale. 
    Egualmente, la lettera o) del citato comma 1 dell'art. 195, nella
parte in cui attribuisce allo Stato «la determinazione, d'intesa  con
la Conferenza Stato-Regioni, delle linee guida inerenti le forme ed i
modi della cooperazione fra gli enti locali,  anche  con  riferimento
alla riscossione della  tariffa  sui  rifiuti  urbani  ricadenti  nel
medesimo   ambito   territoriale   ottimale,   secondo   criteri   di
trasparenza, efficienza, efficacia  ed  economicita»,  individuerebbe
una competenza aggiunta all'elenco  delle  funzioni  attribuite  allo
Stato dal d.lgs. n. 22 del 1997, in  violazione  dei  criteri  e  dei
principi direttivi della delega, con una conseguente invasione  delle
sfere di competenza regionali in materia di tariffazione dei  servizi
pubblici locali e di promozione delle forme di collaborazione tra gli
enti locali. 
    La Regione Emilia-Romagna impugna, altresi', gli artt. 200, 201 e
203,  nella  parte  in  cui  disciplinano  il  servizio  di  gestione
integrata dei rifiuti urbani, attraverso l'individuazione  di  ambiti
territoriali ottimali e l'istituzione di  Autorita'  di  ambito,  cui
vengono   assegnate   le   funzioni   relative    all'organizzazione,
all'affidamento ed al controllo del servizio  di  gestione  integrata
dei rifiuti, la formulazione del contratto  di  servizio  tra  ambiti
territoriali ottimali (da qui in avanti: ATO) e gestore.  Tali  norme
vengono contestate in quanto recanti disposizioni di dettaglio su una
materia, quella del servizio pubblico locale di gestione dei  rifiuti
urbani, di competenza regionale residuale. 
    Anche l'art. 202, commi 1 e 4,  in  tema  di  aggiudicazione  del
servizio di gestione integrata dei rifiuti  da  parte  dell'Autorita'
d'ambito, sarebbe lesivo della competenza regionale residuale in tema
di servizi pubblici locali. 
    In particolare, il comma 4 del predetto art.  202  determinerebbe
una lesione dell'art. 117, quarto e sesto comma, Cost.,  nella  parte
in  cui,  prevedendo  il  conferimento  in   comodato,   ai   gestori
aggiudicatari del servizio, degli impianti e  delle  altre  dotazioni
patrimoniali  in  proprieta'  degli  enti  locali,  senza   prevedere
l'accollo al gestore degli oneri e  della  passivita',  lederebbe  le
attribuzioni comunali ed il principio di equilibrio finanziario,  non
consentendo ai Comuni di stabilire un canone a carico del gestore con
cui recuperare i costi relativi agli investimenti effettuati. 
    La ricorrente censura, inoltre, l'art. 204, comma 3, nella  parte
in cui regola,  attraverso  meccanismi  particolarmente  complessi  e
macchinosi, l'esercizio del potere sostitutivo del  Presidente  della
Giunta regionale in  tema  di  gestioni  esistenti  del  servizio  di
gestione dei rifiuti. Tale previsione, infatti, costituisce,  secondo
la ricorrente, una invasione  della  sfera  di  competenza  residuale
della Regione in tema di servizi pubblici locali, tenuto conto che in
essa sono fatte oggetto  di  disciplina  le  attivita'  regionali  di
vigilanza, di controllo e di sostituzione dei soggetti incaricati dei
servizi pubblici locali. 
    Anche l'art.  207,  comma  1,  e'  poi  impugnato  dalla  Regione
Emilia-Romagna, nella  parte  in  cui  attribuisce  all'Autorita'  di
vigilanza  sulle  risorse  idriche  e  sui  rifiuti  il  compito   di
"garantire" e "vigilare" in merito all'osservanza dei principi ed  al
perseguimento delle finalita' di cui alla parte quarta  del  presente
decreto, con particolare riferimento  all'efficienza,  all'efficacia,
all'economicita' ed alla trasparenza del servizio. 
    Detta previsione sarebbe costituzionalmente illegittima, in primo
luogo, perche'  essa  attribuirebbe  all'Autorita'  di  vigilanza  il
compito di operare in materia di servizi pubblici locali,  in  aperta
violazione  della  competenza  regionale  residuale;   poi,   perche'
l'attrazione al centro delle funzioni  amministrative  regionali,  in
assenza  di  giustificati  motivi,   costituirebbe   violazione   del
principio di sussidiarieta'; ancora, in quanto la centralizzazione di
tali funzioni segnerebbe un ulteriore eccesso di delega, risolvendosi
nell'attribuzione  allo  Stato  di  una  competenza  nuova   rispetto
all'elenco di cui al d.lgs. n. 112 del 1998. 
    L'art. 214, comma 9, e' inoltre  impugnato  nella  parte  in  cui
estende alle denunce, alle comunicazioni ed alle domande disciplinate
dalle  precedenti  norme  di  semplificazione  sulle  procedure   gli
istituti della dichiarazione di inizio di attivita'  e  del  silenzio
assenso, di cui ai novellati artt. 19 e 20 della  legge  n.  241  del
1990. In tal modo, secondo  la  ricorrente,  il  legislatore  statale
interverrebbe in un ambito procedimentale riservato  alla  disciplina
regionale, come dimostrato  dalla  legge  generale  sul  procedimento
amministrativo che, all'art.  19,  stabilisce  che  «le  disposizioni
della presente legge si applicano ai procedimenti amministrativi  che
si svolgono nell'ambito delle amministrazioni statali  e  degli  enti
pubblici regionali» e che «le regioni e gli enti locali,  nell'ambito
delle rispettive competenze, regolano le materie  disciplinate  dalla
presente legge  nel  rispetto  del  sistema  costituzionale  e  delle
garanzie del cittadino nei riguardi dell'azione amministrativa, cosi'
come definite dai principi stabiliti dalla presente legge». 
    Inoltre, il meccanismo introdotto da tale disposizione  creerebbe
una situazione di assoluta incertezza ed impossibilita'  di  svolgere
controlli  efficaci  ex  post,  interferendo  con  l'esercizio  delle
funzioni poste a carico delle amministrazioni regionali e locali, con
grave pregiudizio per gli interessi  ambientali  e  di  tutela  della
salute gravanti sulla Regione. Da qui  la  denunciata  illegittimita'
costituzionale della predetta norma per violazione degli artt. 3,  97
e 117 Cost. 
    E', infine, censurato l'art. 215, nella parte in cui  attribuisce
all'albo  nazionale  dei  gestori  ambientali,   sezione   regionale,
competenze relative all'iscrizione delle imprese  che  effettuano  la
comunicazione di inizio di attivita' di smaltimento  di  rifiuti  non
pericolosi  nel  luogo  di  produzione  dei  rifiuti   stessi   (c.d.
autosmaltimento), alla verifica dei presupposti e alla vigilanza  sul
rispetto delle norme tecniche. 
    La  ricorrente  sostiene  che,  in  tal  modo,  la  citata  norma
violerebbe i criteri ed i principi direttivi della  legge  delega   -
che impone al legislatore di  mantenere  il  riparto  delle  funzioni
amministrative tra i  diversi  livelli  di  governo  delineato  dalla
normativa vigente  - in quanto attribuisce al citato  albo  nazionale
funzioni spettanti, in base all'art. 32 del d.lgs. n.  22  del  1997,
alle Province le quali vedrebbero cosi' ridimensionato il loro ruolo,
in violazione altresi' del riparto  delle  competenze  amministrative
fissato dal d.lgs. n. 112 del 1998. 
    7.1. - Nel giudizio e' intervenuta l'Associazione italiana per il
World Wide Fund for Nature  (WWF  Italia   -  Onlus),  chiedendo  che
vengano accolte le questioni di legittimita' costituzionale sollevate
dalla Regione Emilia-Romagna. 
    7.2. - In prossimita'  dell'udienza  pubblica,  la  Regione,  con
memoria del 6 maggio 2009, ha dichiarato di conservare l'interesse al
ricorso, insistendo per l'accoglimento  delle  conclusioni  formulate
nello stesso. 
    8. - Con ricorso (reg.  ric.  n.  75  del  2006),  depositato  in
cancelleria il  17  giugno  2006,  la  Regione  Abruzzo  ha  proposto
questione di legittimita' costituzionale, in via  principale,  previa
sospensione, fra gli altri degli artt. 181, commi da  7  a  11,  183,
comma 1, 186, 189, comma 3 e 214, commi 3 e 5 del d.lgs. n.  152  del
2006. 
    In particolare, la ricorrente sostiene che gli artt.  181,  commi
da 7 a 11, nonche' 183, comma 1 e 186, 189, comma 3, e 214, commi 3 e
5, opererebbero una deregolamentazione «mascherata» del  settore,  in
pieno contrasto con la normativa comunitaria, piu' volte interpretata
dalle decisioni della Corte di giustizia. 
    Verrebbero, infatti, in tal modo definiti lo  smaltimento  ed  il
recupero dei rifiuti in maniera  non  conforme  con  quanto  indicato
nella direttiva n. 75/442/CEE (art.  1,  lettere  e  ed  f),  nonche'
verrebbero fornite altrettante  definizioni  di  sottoprodotto  e  di
materia prima secondaria (MPS) ancora una volta non coerenti  con  le
indicazioni fornite dalle citate sentenze della  Corte  di  giustizia
europea (punto 1). 
    Le norme in questione, con il  pretesto  di  una  semplificazione
amministrativa, finirebbero per ridurre l'area di applicazione  della
disciplina dei rifiuti e per eliminare i  controlli,  attraverso  una
ridefinizione delle  sostanze  soggette  a  regolamentazione  ed  una
«deregolamentazione» della disciplina  dei  metodi  di  recupero  dei
rifiuti, sostituita da procedure «contrattate». 
    In questo contesto, il ricorso allo strumento  degli  accordi  di
programma previsti dall'art. 181 determinerebbe  la  sostituzione  di
una «fonte»  contrattata  alla  disciplina  normativa,  alterando  la
gerarchia delle fonti del diritto e ledendo i  principi  di  certezza
del diritto, uguaglianza, generalita' ed astrattezza delle norme. 
    Per   le   stesse   ragioni   risulterebbero   costituzionalmente
illegittimi anche i commi 3 e 5 dell'art. 214,  nella  parte  in  cui
ammettono lo strumento dell'accordo «deregolatorio» per le  procedure
semplificate di smaltimento di rifiuti e in cui richiamano il d.m.  5
febbraio 1998 per la fase transitoria. 
    Anche nel caso  dell'art.  186,  nella  parte  in  cui  reca  una
generale ipotesi di esenzione per le terre e rocce da scavo  rispetto
all'applicazione della parte quarta del decreto,  sarebbe  palese  il
contrasto con la normativa comunitaria, trattandosi di  un'esclusione
generalizzata, analoga a quella contenuta  nella  legge  n.  443  del
2001,  oggetto  di  una  procedura  di  infrazione  contro  lo  Stato
italiano. 
    La Regione Abruzzo, inoltre, precisa che le norme  impugnate  non
contrasterebbero solo con le richiamate  norme  comunitarie,  e,  per
cio' stesso, con l'art. 11 e con l'art. 117, primo  comma  Cost.,  ma
anche indirettamente con l'art. 76  Cost.,  in  quanto  contrarie  ai
criteri direttivi della legge delega n. 308 del 2004, che all'art. 1,
comma 8, prevede la «piena  e  coerente  attuazione  delle  direttive
comunitarie  [...]»  (lettera  e),  e  1'«affermazione  dei  principi
comunitari di prevenzione, di precauzione, di correzione e  riduzione
degli inquinamenti e dei danni ambientali e del "chi  inquina  paga"»
(lettera f). 
    Le norme in oggetto, poi, finirebbero per ledere direttamente  le
competenze  costituzionali  della  Regione  in  materia   di   tutela
dell'ambiente,  tutela  della  salute  e  governo   del   territorio,
pregiudicando il corretto svolgimento  delle  funzioni  regionali  in
quelle materie. Cio' in quanto la materia «rifiuti» si  collocherebbe
in un contesto, in cui gli interessi ambientali  si  sovrappongono  a
quelli  della   tutela   del   territorio,   nonche'   della   tutela
igienico-sanitaria e della sicurezza della popolazione. Sicche',  non
potrebbe riconoscersi allo Stato il titolo a legiferare senza  limiti
in base alla competenza riconosciutagli dall'art. 117, secondo comma,
lettera s), Cost. 
    Le norme in oggetto, nella sostanza,  sconvolgerebbero  l'attento
assetto  normativo  e  amministrativo  disegnato  dalla  legislazione
regionale, che verrebbe in molte parti abrogata dall'atto legislativo
in questione. 
    La Regione, dunque, che a tenore  dell'art.  117,  quinto  comma,
Cost., avrebbe anche il compito di dare attuazione diretta alle norme
comunitarie, si troverebbe, in  adempimento  di  un  preciso  obbligo
giuridico, a non  applicare  nel  proprio  territorio  le  norme  del
decreto impugnato che risultino in contrasto con le norme ad  effetto
diretto poste dal diritto comunitario derivato e dalle sentenze della
Corte di giustizia che  di  esso  forniscono  l'interpretazione,  con
gravissime  conseguenze  sugli   interessi   pubblici   alla   tutela
dell'ambiente, della salute e della sicurezza pubblica. 
    Analoghe considerazioni varrebbero, a giudizio della  ricorrente,
anche con riferimento all'art. 189, comma 3, che  riguarda  l'obbligo
di comunicare annualmente alle Camere di commercio le quantita' e  le
caratteristiche qualitative  dei  rifiuti  oggetto  di  attivita'  di
raccolta, trasporto, recupero e smaltimento di rifiuti e  l'esenzione
delle imprese ed enti che producono rifiuti non pericolosi.  L'ambito
di  applicazione  di  tale  obbligo   verrebbe   infatti   delimitato
restrittivamente, esentando le  imprese  e  gli  enti  che  producono
rifiuti non pericolosi. 
    8.1. - E' intervenuta in giudizio l'Associazione italiana per  il
World Wide Fund for Nature (WWF Italia  - Onlus), la quale, con  atto
depositato il 28 agosto 2006 e con memoria depositata in  prossimita'
dell'udienza pubblica,  ha  chiesto  l'accoglimento  delle  questioni
sollevate dalla ricorrente. 
    9. - Con ricorso, depositato in cancelleria  il  23  giugno  2006
(reg. ric. n.  80  del  2006),  la  Regione  Basilicata  ha  proposto
questione di legittimita' costituzionale, in via principale, fra  gli
altri degli artt. 181, commi da 7 a 11 e 183, comma 1 del  d.lgs.  n.
152 del 2006. 
    Quanto all'art. 181, comma da 7 a 11, nonche' all'art. 183, comma
1, la Regione Basilicata ritiene che il ricorso allo strumento  della
stipulazione di accordi  e  contratti  di  programma  opererebbe  una
sostituzione  non  consentita  di  una  fonte  contrattata   ad   una
disciplina normativa, con l'effetto di produrre una alterazione delle
fonti. 
    Tali  norme  determinerebbero  una   diretta   violazione   delle
competenze regionali, dal  momento  che  la  disciplina  dei  rifiuti
avrebbe riflessi normativi sulla materia dell'ambiente,  del  governo
del territorio, della tutela  igienico-sanitaria  e  della  sicurezza
della popolazione. 
    Peraltro, le  attivita'  di  recupero  dovrebbero  svolgersi  sui
territori delle Regioni, senza che sia stata prevista  da  parte  del
legislatore delegato una forma di partecipazione di queste ultime  ai
processi decisionali di definizione ed esecuzione del contenuto degli
accordi. 
    Il legislatore delegato avrebbe dunque violato la legge delega n.
308 del 2004 che, all'art. 1, comma 8, ha previsto il rispetto  delle
competenze per materia delle amministrazioni statali,  nonche'  delle
attribuzioni delle Regioni e degli  enti  locali,  come  definite  ai
sensi dell'art. 117 Cost., della legge n. 59 del 1997 e del d.lgs. n.
112 del 1998. 
    9.1. - E' intervenuta in giudizio l'Associazione italiana per  il
World Wide Fund for Nature (WWF Italia  - Onlus), la quale, con  atto
depositato  il  6  settembre  2006  e  nella  memoria  depositata  in
prossimita' dell'udienza pubblica, ha  chiesto  l'accoglimento  delle
questioni sollevate dalla ricorrente. 
    10. - Con ricorso depositato in cancelleria  il  21  giugno  2006
(reg. ric. n. 78 del 2006), la Regione Campania ha proposto questione
di   legittimita'   costituzionale,   in   via   principale,   previa
sospensione, fra gli altri, degli artt. 181, commi da 7  a  11,  183,
comma 1, 186, 189, comma 3 e 214, commi 3 e 5, del d.lgs. n. 152  del
2006. 
    Quanto all'art. 181, comma da 7 a 11, nonche' all'art. 183, comma
1, la Regione Campania ritiene che il ricorso  allo  strumento  della
stipulazione di accordi  e  contratti  di  programma  opererebbe  una
sostituzione  non  consentita  di  una  fonte  contrattata   ad   una
disciplina normativa, con l'effetto di produrre una alterazione delle
fonti, peraltro in pieno contrasto con  le  normative  europee,  come
piu' volte interpretate dalle decisioni della Corte di giustizia. 
    Verrebbero, infatti, in tal modo definiti lo  smaltimento  ed  il
recupero dei rifiuti in maniera  non  conforme  con  quanto  indicato
nella direttiva n. 75/442/CEE (art.  1,  lettere  e  ed  f),  nonche'
fornite altrettante definizioni di sottoprodotto e di  materia  prima
secondaria (MPS) ancora una volta non  coerenti  con  le  indicazioni
fornite dalle sentenze della Corte di giustizia europea. 
    Le norme in questione, con il  pretesto  di  una  semplificazione
amministrativa, finirebbero per ridurre l'area di applicazione  della
disciplina dei rifiuti e per eliminare i  controlli,  attraverso  una
ridefinizione delle sostanze soggette a regolamentazione  restrittiva
ed una «deregolamentazione» della disciplina dei metodi  di  recupero
dei rifiuti, sostituita da procedure «contrattate». 
    Per   le   stesse   ragioni   risulterebbero   costituzionalmente
illegittimi anche i commi 3 e 5 dell'art. 214,  nella  parte  in  cui
ammettono lo strumento dell'accordo «deregolatorio», per le procedure
semplificate di smaltimento di rifiuti, ed  allorche'  richiamano  il
d.m. 5 febbraio 1998 per la fase transitoria. 
    Anche nel caso dell'art. 186  -  nella  parte  in  cui  reca  una
generale ipotesi di esenzione per le terre e rocce da scavo, rispetto
all'applicazione della parte quarta del decreto in esame   -  sarebbe
palese il contrasto con  la  normativa  comunitaria,  trattandosi  di
un'esclusione generalizzata, analoga a quella contenuta  nella  legge
n. 443 del 2001, oggetto di una procedura  di  infrazione  contro  lo
Stato italiano. 
    La Regione Campania, inoltre, precisa che le norme impugnate  non
contrasterebbero solo con le richiamate norme comunitarie e, per cio'
stesso, con l'art. 11 e con l'art. 117, primo comma, Cost., ma  anche
indirettamente con l'art. 76 Cost., in quanto  contrarie  ai  criteri
direttivi della citata legge delega, che all'art. 1, comma 8, prevede
la «piena e coerente attuazione delle  direttive  comunitarie  [...]»
(lettera  e),  e   l'«affermazione   dei   principi   comunitari   di
prevenzione,  di  precauzione,  di  correzione  e   riduzione   degli
inquinamenti e  dei  danni  ambientali  e  del  "chi  inquina  paga"»
(lettera f). 
    Le norme in oggetto, poi, finirebbero per ledere direttamente  le
competenze  costituzionali  della  Regione  in  materia   di   tutela
dell'ambiente,  tutela  della  salute  e  governo   del   territorio,
pregiudicando il corretto svolgimento  delle  funzioni  regionali  in
quelle materie. Cio' in quanto la materia «rifiuti» si  collocherebbe
in un contesto in cui gli interessi  ambientali  si  sovrappongono  a
quelli  della   tutela   del   territorio,   nonche'   della   tutela
igienico-sanitaria e della sicurezza della popolazione. Sicche',  non
potrebbe riconoscersi  allo  Stato  il  titolo  a  legiferare  "senza
limiti"  in  base  alla  competenza  riconosciutagli  dall'art.  117,
secondo comma, lettera s), Cost. 
    Analoghe considerazioni varrebbero, a giudizio della  ricorrente,
anche con riferimento all'art. 189, comma 3, che  riguarda  l'obbligo
di comunicare annualmente alle Camere di commercio le quantita' e  le
caratteristiche qualitative  dei  rifiuti  oggetto  di  attivita'  di
raccolta, trasporto, recupero  e  smaltimento  (c.d.  MUD,  ossia  il
«modello unico» introdotto dalla legge 25 gennaio 1994, n. 70 recante
«Norme  per  la  semplificazione   degli   adempimenti   in   materia
ambientale,  sanitaria  e  di   sicurezza   pubblica,   nonche'   per
l'attuazione del sistema di ecogestione e di audit ambientale») e  la
disposta esenzione delle imprese ed enti che  producono  rifiuti  non
pericolosi. 
    10.1. - E' intervenuta in giudizio l'Associazione Italiana per il
World Wide Fund for Nature (WWF Italia  - Onlus), la quale, con  atto
depositato il 31 agosto 2006 e con successiva memoria  depositata  in
prossimita' dell'udienza pubblica, ha  chiesto  l'accoglimento  delle
questioni sollevate dalla ricorrente. 
    10.2. - In prossimita' dell'udienza  pubblica,  la  Regione,  con
memoria del 5 maggio 2009, ha dichiarato di conservare l'interesse al
ricorso, insistendo per l'accoglimento  delle  conclusioni  formulate
nello stesso. 
    11. - La Regione Liguria, con ricorso  notificato  il  13  giugno
2006 (reg. ric. n. 74 del 2006), e depositato il 16 giugno  2006,  ha
proposto questione di legittimita' costituzionale, in via principale,
fra gli altri, degli artt. 181, comma da 7 a 11, 183, comma  1,  186,
189, comma 3, e 205, comma 2, del d.lgs. n. 152 del 2006. 
    Quanto all'art. 181, comma da 7 a 11, nonche' all'art. 183, comma
1,  la  Regione  ritiene  che  il  ricorso   allo   strumento   della
stipulazione di accordi  e  contratti  di  programma  opererebbe  una
sostituzione  non  consentita  di  una  fonte  contrattata   ad   una
disciplina normativa, con l'effetto di produrre una alterazione delle
fonti, peraltro in pieno contrasto con  le  normative  europee,  piu'
volte interpretate dalle decisioni della Corte di giustizia. 
    Verrebbero, infatti, in tal modo definiti lo  smaltimento  ed  il
recupero in maniera non conforme con quanto indicato nella  direttiva
n. 751/442/CEE (art. 1, lettere e) e f)), nonche' fornite altrettante
definizioni di sottoprodotto e  di  materia  prima  secondaria  (MPS)
ancora una volta  non  coerenti  con  le  indicazioni  fornite  dalle
sentenze della Corte di giustizia europea. 
    Le norme in questione, con il  pretesto  di  una  semplificazione
amministrativa, finirebbero per ridurre l'area di applicazione  della
disciplina dei rifiuti e per eliminare i  controlli,  attraverso  una
ridefinizione delle sostanze soggette a regolamentazione  restrittiva
ed una «deregolamentazione» della disciplina dei metodi  di  recupero
dei rifiuti, sostituita da procedure «contrattate». 
    Per   le   stesse   ragioni   risulterebbero   costituzionalmente
illegittimi anche i commi 3 e 5 dell'art. 214,  nella  parte  in  cui
ammettono lo strumento dell'accordo «deregolatorio», per le procedure
semplificate di smaltimento di rifiuti, ed  allorche'  richiamano  il
d.m. 5 febbraio 1998 per la fase transitoria. 
    Anche nel caso dell'art. 186  -  nella  parte  in  cui  reca  una
generale ipotesi di esenzione per le terre e rocce da scavo, rispetto
all'applicazione della parte quarta del decreto in  esame  -  sarebbe
palese il contrasto con  la  normativa  comunitaria,  trattandosi  di
un'esclusione generalizzata, analoga a quella contenuta  nella  legge
n. 443 del 2001, oggetto di una procedura  di  infrazione  contro  lo
Stato italiano. 
    Quanto,  poi,  all'art.  205,  che  disciplina  le   misure   per
incrementare la raccolta differenziata, la  ricorrente  sostiene  che
detta norma costituirebbe  una  norma  di  dettaglio  in  materia  di
competenza regionale, con violazione  dell'art.  117,  quarto  comma,
Cost. 
    11.1. - E' intervenuta in giudizio l'Associazione italiana per il
World  Wide  Fund  for  Nature  (WWF  Italia   -  Onlus),   chiedendo
l'accoglimento delle questioni sollevate dalla ricorrente. 
    11.2. - Con memoria depositata il  28  aprile  2009,  la  Regione
Liguria, in  considerazione  delle  modifiche  apportate  al  decreto
legislativo impugnato, ha formalmente rinunciato al ricorso,  per  la
parte che qui interessa, in relazione agli artt. 181, commi  da  7  a
11, 183, comma 1, 186, 189, comma 3 e 205, comma 2. 
    12. - Con ricorso depositato in cancelleria  il  21  giugno  2006
(reg. ric. n. 79 del 2006), la Regione Marche ha  proposto  questione
di legittimita' costituzionale, in via  principale,  fra  gli  altri,
degli artt. 181, commi 7, 8, 9, 10 e 11; 183, comma 1, 185, comma  l;
186; 189, commi 1 e 3; 195, commi 1, lettera f), comma 2, lettere b),
e), l), m) e s); 196, comma 1, lettera d); 199, commi 9  e  10;  201,
comma 6; 202, comma 1; 203, comma 2, lettera c); 208, comma 10;  212,
commi 2 e 3; 214, commi 2 e 3; 215, commi 1, 3 e 4; 216, commi 1, 3 e
4 del d.lgs. n. 152 del 2006. 
    Quanto all'art. 181, commi da 7 a 11, nonche' all'art. 183, comma
1, la Regione Marche sostiene che tali disposizioni opererebbero  una
deregolamentazione «mascherata» del settore, in pieno  contrasto  con
le normative europee, con conseguente violazione degli arti. 11,  76,
117 e 118 Cost. 
    Gli accordi di programma, infatti, consentirebbero, in materia di
rifiuti, di derogare al sistema normativo previgente, istituendo  una
contrattazione diretta  tra  soggetti  economici  ed  amministrazione
statale, idonea ad escludere dal regime dei rifiuti e dalle  relative
procedure di  autorizzazione  e  di  controllo  tutta  una  serie  di
materiali o sostanze  - fra le quali le materie prime  secondarie   -
che nella legislazione vigente e nel diritto  comunitario  (direttiva
n. 75/442/CEE, cosi' come modificata dalla direttiva  n.  91/156/CEE)
vi sarebbero assoggettati. 
    Per tali ragioni, a giudizio della ricorrente, le norme contenute
nei commi 7, 8, 9, 10 e 11 dell'art. 181, si porrebbero in  contrasto
anche con i principi e criteri  direttivi  individuati  dall'art.  1,
comma 8, della legge delega n. 308 del 2004  e,  in  particolare  con
quelli indicati alle lettere e) ed f). 
    In tale contesto, la denunciata violazione degli artt.  11  e  76
Cost. si ripercuoterebbe anche sulle competenze costituzionali  della
Regione, dal momento che la materia dei rifiuti  si  colloca  in  una
zona in cui si intersecano gli  aspetti  tipicamente  ambientali,  di
competenza dello Stato e gli aspetti di  tutela  del  territorio,  di
tutela  igienico-sanitaria  e  di  sicurezza  della  popolazione,  di
competenza regionale. 
    La ricorrente censura,  in  particolare,  l'art.  183,  comma  1,
lettera f), del d.lgs. n. 152 del 2006, il  quale,  nel  definire  la
«raccolta differenziata», contemplerebbe la possibilita' di procedere
al  raggruppamento  dei  rifiuti  urbani  in  frazioni  merceologiche
omogenee, anche con riferimento  alla  frazione  organica  umida,  in
momento successivo alla  raccolta,  in  contrasto  con  la  normativa
comunitaria in materia nonche' con la legge delega e, quindi, con gli
artt. 11, 76 e 117 della Cost. 
    La disciplina esaminata, oltre a violare gli artt. 11 e 76 Cost.,
determinerebbe   un'illegittima   compressione    delle    competenze
costituzionali della Regione  in  materia  di  tutela  dell'ambiente,
tutela della salute  e  governo  del  territorio,  dal  momento  che,
aumentando  i  materiali   da   conferire   in   discarica   o   alla
termovalorizzazione,  provocherebbe  un  pregiudizio  al  potere   di
programmazione delle Regioni, a detrimento della sicurezza  e  salute
della popolazione. 
    Anche l'art. 185, comma 1, violerebbe gli  artt.  11,  76  e  117
Cost., trattandosi di norma che limita il campo di applicazione della
parte quarta del d.lgs. n. 152 del 2006,  escludendovi  anche  alcuni
tipi di rifiuti che, a norma della disciplina comunitaria, per  poter
essere sottratti alla normativa sui rifiuti, avrebbero dovuto  essere
assoggettati a specifiche discipline di settore. 
    Di qui il contrasto anche con  i  principi  e  criteri  direttivi
individuati dall'art. 1, comma 8, alle lettere e) ed f), della  legge
delega n. 308 del 2004. 
    Anche in relazione all'art. 186, nella parte in  cui  sottrae  le
terre e rocce da scavo alla disciplina dei rifiuti, sarebbe palese il
contrasto con la normativa comunitaria e con i  criteri  dettati  dal
legislatore attraverso la legge n.  308  del  2004,  in  specie  alle
lettere e) ed f), con conseguente lesione degli artt. 11,  76  e  117
Cost. 
    Le richiamate violazioni  si  ripercuoterebbero  in  modo  lesivo
sulle competenze costituzionali della Regione in  materia  di  tutela
dell'ambiente, tutela della salute e governo del territorio. 
    Anche l'art. 189, commi 1 e 3, in materia di catasto dei rifiuti,
si porrebbe in contrasto sia con i principi  e  criteri  della  legge
delega n. 308 del 2004, sia con le attribuzioni regionali di cui agli
artt. 117 e 118 Cost., nonche' con le direttive comunitarie. 
    La ricorrente deduce,  ancora,  l'illegittimita'  dell'art.  195,
comma 1, lettera f); comma 2, lettere b), e),1),  m)  e  s),  nonche'
dell'art. 196, comma 1, lettera d), per violazione degli artt. 117  e
118 Cost. 
    La disciplina che risulterebbe dal combinato disposto degli artt.
195  e   196,   infatti,   produrrebbe   una   notevole   limitazione
dell'autonomia regolamentare delle Regioni, in violazione degli artt.
117 e 118 della Cost. 
    In  particolare,  il  pregiudizio  dell'autonomia  regionale   si
renderebbe manifesto in relazione all'attivita' di programmazione del
«ciclo» rifiuti, con conseguente pregiudizio dell'autonomia regionale
in materia di tutela dell'ambiente,  della  salute,  di  governo  del
territorio e di gestione dei servizi pubblici. 
    Le censure, di costituzionalita' riguardano, in primo  luogo,  la
disposizione contenuta nella lettera f) del comma  1  dell'art.  195,
nella parte in cui  attribuisce  allo  Stato  «l'individuazione,  nel
rispetto  delle  attribuzioni  costituzionali  delle  Regioni,  degli
impianti  di  recupero  e  di  smaltimento  di  preminente  interesse
nazionale da realizzare per la  modernizzazione  e  lo  sviluppo  del
Paese».  Tale  individuazione,  a  giudizio  della  Regione   Marche,
avverrebbe sulla  base  di  una  «mera  audizione»  della  Conferenza
unificata di cui all'art. 8, d.lgs. n. 281 del  1997,  e  non  previa
intesa con la Regione interessata, che costituirebbe il provvedimento
piu' idoneo a garantire il rispetto delle prerogative regionali. 
    Analoga limitazione delle attribuzioni  regionali  determinerebbe
l'art.  196,  comma  1,  lettera  d),  che  riconosce  in  capo  alla
«competenza delle regioni, nel rispetto dei principi  previsti  dalla
normativa vigente e dalla parte  quarta  del  presente  decreto,  ivi
compresi quelli di cui all'articolo 195 [...] d), l'approvazione  dei
progetti di  nuovi  impianti  per  la  gestione  dei  rifiuti,  anche
pericolosi  e  l'autorizzazione   alle   modifiche   degli   impianti
esistenti, fatte salve le competenze statali  di  cui  all'art.  195,
comma 1, lettera f)». Cio' in quanto  dal  combinato  disposto  delle
citate disposizioni risulterebbe che gli impianti di  recupero  e  di
smaltimento  d'interesse  nazionale  possono  essere  individuati  ed
approvati direttamente dallo Stato senza alcun  coinvolgimento  delle
Regioni, ancora una volta comprimendo illegittimamente le funzioni di
queste in materia di salute, ambiente e governo del territorio. 
    Illegittime  sarebbero  pure  le  disposizioni  contenute   nelle
lettere b), e), 1), m) e s) dell'art. 195, comma  2,  per  violazione
degli artt. 117 e 118 Cost. 
    Si tratterebbe di un'elencazione di competenze  in  favore  dello
Stato che consentirebbe al medesimo di porre norme  di  dettaglio  in
materie connesse con le attribuzioni  regionali  in  tema  di  tutela
della salute, di gestione di servizi pubblici,  di  pianificazione  e
programmazione del territorio. Cio' fino al punto di pregiudicare  il
potere  di  programmazione  e  disciplina  riconosciuto  invece  alle
Regioni, in violazione degli artt. 117 e 118 Cost. 
    La ricorrente censura,  poi,  l'art.  199,  commi  9  e  10,  per
violazione degli artt. 11, 76, 117 e 118 Cost. 
    La norma in esame disciplina i piani regionali  di  gestione  dei
rifiuti, attribuendo al solo Stato  ed  in  particolare  al  Ministro
dell'ambiente il potere sostitutivo nel caso  in  cui  «le  autorita'
competenti non realizzino gli interventi previsti dal piano regionale
nei termini e con le modalita' stabiliti  e  tali  omissioni  possano
arrecare un grave pregiudizio all'attuazione del piano medesimo». 
    Tale previsione  - quanto al comma 9  - sarebbe in contrasto  con
gli artt.  117  e  118  Cost.,  poiche',  trattandosi  di  potere  da
esercitare rispetto  ad  enti  locali  e  su  materie  di  competenza
regionale,  esso  avrebbe  dovuto   essere   riconosciuto,   in   via
preliminare, alle Regioni. 
    Contrasterebbe, poi, con gli artt. 11, 76, 117 e 118 Cost.  anche
il successivo comma  10,  poiche',  da  un  lato,  individuerebbe  il
contenuto dei provvedimenti sostitutivi anche nell'ipotesi in cui  il
potere  sostitutivo  sia   di   competenza   regionale;   dall'altro,
nell'individuare tale contenuto, non richiamerebbe la disposizione di
cui all'art. 22, comma 10, lettera c), del d.lgs. n. 22 del 1997, che
consentiva  l'introduzione  di   sistemi   di   deposito   cauzionale
obbligatorio dei contenitori. 
    Tale disposizione sarebbe, dunque,  in  contrasto  anche  con  la
direttiva comunitaria n. 75/442/CEE (come modificata dalla  direttiva
n. 91/156/CEE), nella parte in cui prevede, tra le finalita'  che  la
normativa sui rifiuti deve perseguire, la prevenzione o la  riduzione
della produzione e nocivita'  dei  medesimi.  La  soppressione  della
costituzione di un deposito  cauzionale,  che  pur  rappresentava  un
deterrente  all'aumento  della  produzione  e  della  nocivita'   dei
rifiuti,  rappresenterebbe  un  motivo  di  lesione  e   compressione
dell'autonomia finanziaria delle Regioni, con incidenza diretta sulle
risorse economiche di cui queste potranno disporre. 
    L'art. 199, comma 10, si porrebbe dunque anche in contrasto con i
principi e  criteri  direttivi  individuati  dall'art.  1,  comma  8,
lettere e) ed f), della legge delega n. 308 del 2004, secondo cui  la
normativa italiana avrebbe dovuto uniformarsi a quella comunitaria. 
    Sarebbe, infatti, evidente  che  la  violazione  dei  criteri  di
delega si ripercuote in questo caso sulle  competenze  costituzionali
della Regione in materia di tutela dell'ambiente, tutela della salute
e governo del territorio, con conseguente violazione degli artt.  117
e 118 Cost. 
    L'art. 201, comma 6, del decreto impugnato violerebbe,  poi,  gli
artt. 11, 76, 117, 118 Cost., nella parte in cui, in tema di servizio
di gestione integrata dei rifiuti urbani, stabilisce  che  la  durata
dell'affidamento del servizio non debba essere inferiore  a  quindici
anni. Tale previsione violerebbe, infatti, apertamente la  disciplina
contenuta nella citata  direttiva  comunitaria  n.  75/442/CEE  (come
modificata dalla direttiva n.  91/156/CEE),  la  quale,  all'art.  5,
impone agli Stati membri di adottare le «misure  appropriate  per  la
creazione  di  una  rete  integrata  e  adeguata   di   impianti   di
smaltimento, che tenga conto delle  tecnologie  piu'  perfezionate  a
disposizione che non comportino costi eccessivi»  e  che  «tale  rete
deve inoltre permettere lo  smaltimento  dei  rifiuti  in  uno  degli
impianti appropriati piu' vicini, grazie all'utilizzazione dei metodi
e  delle  tecnologie  piu'  idonei  a  garantire  un  alto  grado  di
protezione dell'ambiente e della salute pubblica». 
    La concessione di un'autorizzazione per  la  durata  di  quindici
anni, al contrario, non  consentirebbe  di  perseguire  il  descritto
obiettivo di tenere conto  delle  tecnologie  piu'  aggiornate  e  di
utilizzare i  metodi  piu'  idonei  a  garantire  un  alto  grado  di
protezione ambientale e della salute pubblica. 
    Per le medesime ragioni l'art. 201, comma 6, contrasterebbe anche
con i principi e criteri direttivi individuati dall'art. 1, comma  8,
della legge delega n. 308 del 2004 e, in particolare, con  quelli  di
cui alle lettere e) ed f), in violazione degli artt. 11 e 76 Cost. 
    Quanto all'art. 202, comma  1,  in  materia  di  affidamento  del
servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani, la Regione  Marche
ne deduce la violazione degli artt. 117 e 118 Cost. L'affidamento del
servizio da parte dell'Autorita' d'ambito sulla base delle  modalita'
e nei termini definiti con un  decreto  ministeriale  determinerebbe,
infatti, la violazione delle competenze regionali, dal momento che le
norme ad esse relative saranno necessariamente di dettaglio e non  di
carattere  generale,  come  invece  dovrebbe  essere  nel   caso   di
competenza concorrente Stato-Regione. 
    La Regione Marche, inoltre, censura per  violazione  degli  artt.
11, 76, 117 e 118 Cost., anche l'art. 208, comma 10,  in  materia  di
c.d. autorizzazione unica per i nuovi impianti di  smaltimento  e  di
recupero dei rifiuti. 
    La disposizione  prevede  che  «ove  l'autorita'  competente  non
provveda a concludere il procedimento di rilascio dell'autorizzazione
unica entro i termini previsti al  comma  8,  si  applica  il  potere
sostitutivo di cui all'art. 5 del decreto legislativo 31 marzo  1998,
n. 112». 
    Il potere sostitutivo ivi previsto contrasterebbe con  gli  artt.
117 e 118 Cost. in  quanto  lederebbe  il  potere  delle  Regioni  di
sostituirsi  agli  enti  inadempienti  nelle   materie   di   propria
competenza.  Il  caso  esaminato  sarebbe,   appunto,   fra   questi,
trattandosi di materia che va ad intrecciarsi con altre di competenza
regionale quali, ad esempio, la tutela della salute e il governo  del
territorio. 
    Anche l'art. 212, commi 2 e 3, in materia di albo  nazionale  dei
gestori ambientali, contrasterebbe con gli artt.  117  e  118  Cost.,
nella parte in cui stabilisce un aumento del numero dei componenti  a
favore del Ministero per quanto concerne il comitato nazionale  ed  a
favore delle organizzazioni sindacali e  delle  categorie  economiche
relativamente alle sezioni regionali o provinciali dell'albo, con una
contestuale riduzione dei componenti di nomina regionale. 
    Tali  disposizioni,  infatti,  a   giudizio   della   ricorrente,
attraverso la riduzione della rappresentanza regionale,  violerebbero
le prerogative attribuite alle Regioni in materie ad esse  attribuite
dalla normativa costituzionale (tutela dell'ambiente, della salute  e
governo del territorio), in quanto i rappresentanti delle Regioni non
avrebbero la possibilita' di condizionare la definizione delle  linee
guida in materia di smaltimento e recupero dei rifiuti. 
    Viene,   altresi',   dedotta   l'illegittimita'    costituzionale
dell'art.  214,  commi  2  e  3,  nella  parte  in  cui  prevede   la
possibilita' di stipulare accordi  di  programma  per  la  disciplina
delle procedure semplificate, per violazione degli artt. 11, 76,  117
e 118 Cost. 
    A giudizio della Regione Marche, la previsione  di  tali  accordi
nella  materia  delle  citate  procedure  semplificate  si  pone   in
contrasto con la normativa comunitaria in materia di rifiuti, nonche'
con la legge delega e, conseguentemente, con gli artt. 11, 76, 117  e
118 Cost. 
    Tali accordi, infatti, consentirebbero  di  derogare  al  sistema
normativo  previgente,  istituendo  una  contrattazione  diretta  tra
privati ed amministrazione statale idonea ad escludere dal regime dei
rifiuti e dalle relative procedure di autorizzazione e controllo  una
serie di materiali o sostanze, che nella legislazione vigente  e  nel
diritto comunitario invece vi sono assoggettati, in contrasto con  la
direttiva comunitaria n. 75/442/CEE, come modificata dalla  direttiva
n. 91/156/CEE. 
    Per gli stessi motivi, poi, l'art. 214, comma 3, inoltre, si pone
in contrasto con i principi e criteri direttivi individuati dall'art.
1, comma 8, lettere e) ed f), della legge delega n. 308 del 2004. 
    Infine,  la  ricorrente   solleva   questione   di   legittimita'
costituzionale degli artt. 215, commi 1, 3 e 4, e 216, commi 1,  3  e
4, per violazione degli artt. 117 e 118 Cost. 
    Tali articoli, nel  disciplinare  le  procedure  semplificate  di
trattamento  dei  rifiuti   con   riferimento   alle   attivita'   di
auto-smaltimento ed alle operazioni di recupero,  attribuiscono  alla
sezione regionale  dell'albo  nazionale  dei  gestori  ambientali  le
funzioni che la  precedente  legislazione  attribuiva  alle  Province
(artt. 32 e 33 del d.lgs. n. 22 del 1997). 
    A giudizio  della  ricorrente,  tale  scelta  di  sottrarre  alla
competenza provinciale la tenuta ed il controllo delle  comunicazioni
di inizio delle attivita' di smaltimento e recupero dei rifiuti nelle
procedure semplificate sarebbe del tutto irrazionale ed illogica,  in
quanto l'attribuzione del potere di controllo  a  un  soggetto  e  il
potere  sanzionatorio  ad  un  altro  soggetto,  non  potrebbe  certo
soddisfare alcuna esigenza  di  semplificazione.  Per  tale  via,  la
disciplina di cui agli artt. 215 e 216 del testo unico violerebbe gli
artt. 117 e 118 Cost. sottraendo alla Regione «importanti funzioni in
materia di tutela della salute e del governo del territorio». 
    12.1. - E' intervenuta in giudizio l'Associazione italiana per il
World Wide Fund for Nature (WWF Italia  - Onlus), la quale, con  atto
depositato  il  6  settembre  2006  e  con  memoria   depositata   in
prossimita' dell'udienza pubblica, ha  chiesto  l'accoglimento  delle
questioni sollevate dalla ricorrente. 
    12.2. - In prossimita' dell'udienza  pubblica,  la  Regione,  con
memoria del 5 maggio 2009, ha dichiarato di conservare l'interesse al
ricorso, insistendo per l'accoglimento  delle  conclusioni  formulate
nello stesso. 
    13. - Con ricorso depositato in cancelleria  il  20  giugno  2006
(reg. ric. n. 76 del 2006), la Regione Puglia ha  proposto  questione
di   legittimita'   costituzionale,   in   via   principale,   previa
sospensione, fra gli altri degli artt. 181, commi da  7  a  11,  183,
comma 1, 186, 189, comma 3 e 214, commi 3 e 5 del d.lgs. n.  152  del
2006. 
    In particolare, con riguardo all'art. 181, la  ricorrente  assume
che  tale  norma   realizzi   in   realta'   una   vera   e   propria
deregolamentazione della materia, affidando l'intera  disciplina  del
recupero dei rifiuti ad accordi di  programma,  privi  dei  caratteri
della generalita' ed astrattezza.  Tale  strumento  negoziale  viene,
poi, richiamato dall'art. 214, comma 3, per le procedure semplificate
in materia di smaltimento dei  rifiuti  non  pericolosi,  che  quindi
risulterebbero  attribuite  all'esclusiva  competenza  del   Ministro
dell'ambiente. Non solo: tale articolo, al  comma  5,  farebbe  anche
espresso rinvio al d.m. del  5  febbraio  1998,  di  cui  si  prevede
un'applicabilita' in via transitoria,  malgrado  tale  decreto  fosse
stato all'origine di una procedura d'infrazione dinanzi alla Corte di
giustizia europea, conclusasi con la sentenza di condanna dello Stato
italiano del 7 ottobre 2004  - C103/02. 
    Sarebbe,  pertanto,  evidente  che  le  Regioni,  alle  quali  la
legislazione statale precedente, ed in particolare il  d.lgs.  n.  22
del 1997, aveva riconosciuto potesta' regolamentare in  materia,  sia
pure nell'ambito dei principi generali fissati dallo  Stato,  risulta
completamente esautorate di ogni potere nell'ambito del recupero  dei
rifiuti e delle citate procedure semplificate, non  essendo  peraltro
prevista alcuna forma di partecipazione o di consenso regionale  alla
stipulazione dei suddetti accordi. 
    Ad avviso della Regione, poi, l'art. 183, comma  1,  escluderebbe
espressamente dall'applicazione delle disposizioni di cui alla  parte
quarta del decreto i sottoprodotti delle imprese (comprese le  ceneri
di pirite e le polveri di ossido di ferro), sottraendo  in  tal  modo
alcuni materiali altamente inquinanti al regime di  autorizzazioni  e
controlli previsto dalla legislazione precedente. 
    Analogamente, il successivo art. 186 stabilisce che le terre e le
rocce da scavo, nonche' i residui della lavorazione della pietra  non
costituiscono rifiuti  e  sono,  percio',  «esclusi,  dall'ambito  di
applicazione della parte  quarta  del  presente  decreto»,  anche  se
contaminati, purche' non contengano una concentrazione di  inquinanti
superiore a determinati limiti massimi. 
    La ricorrente assume, poi, anche che il comma  3  dell'art.  189,
imponendo  l'obbligo  di  comunicare  annualmente  alle   Camere   di
commercio le quantita' e le caratteristiche qualitative  dei  rifiuti
unicamente ai  produttori  di  «rifiuti  pericolosi»,  finirebbe  per
esonerare  da  tale  obbligo  coloro  che   producono   rifiuti   non
pericolosi, oltre che gli imprenditori  agricoli  con  un  volume  di
affari annuo non superiore ad ottomila euro. 
    Il complesso di queste disposizioni si  tradurrebbe,  dunque,  in
una  sostanziale  riduzione   delle   garanzie   imposte   a   tutela
dell'ambiente e del territorio dalla normativa comunitaria e  statale
di recepimento, le quali prescrivevano  in  materia  di  rifiuti  una
disciplina piu' rigorosa. 
    Le disposizioni censurate, quindi, violerebbero gli artt. 76, 117
e 118 Cost., tenuto conto proprio della limitazione alle  numerose  e
pregnanti competenze  riconosciute  alle  Regioni  nella  materia  in
questione, nonche' del contrasto con i principi e  criteri  direttivi
fissati dalla legge delega n. 308 del 2004. 
    La Regione Puglia, infine, ha chiesto, ai sensi dell'art. 9 della
legge   n.   131   del   2003   (Disposizioni    per    l'adeguamento
dell'ordinamento della Repubblica alla l. Cost. 18 ottobre  2001,  n.
3), la sospensione dell'esecuzione  delle  norme  impugnate,  la  cui
entrata in  vigore  non  e'  stata  differita  di  centoventi  giorni
rispetto alla pubblicazione, e quindi, fra gli  altri,  degli  artt.:
181,  183,  186,  189,  214  in  considerazione  del  rischio  di  un
pregiudizio irreparabile all'interesse pubblico ed ai  diritti  della
popolazione regionale. 
    13.1. - E' intervenuta in giudizio l'Associazione italiana per il
World Wide Fund for Nature (WWF Italia  - Onlus), la quale, con  atto
depositato il 28 agosto 2006 e con memoria depositata in  prossimita'
dell'udienza pubblica,  ha  chiesto  l'accoglimento  delle  questioni
sollevate dalla ricorrente. 
    13.2. - In prossimita' dell'udienza  pubblica,  la  Regione,  con
memoria del 5 maggio 2009, ha dichiarato di rinunciare  alle  censure
proposte nei confronti degli artt. 181, commi da 7 a 11;  183,  comma
1; 186; 189, comma 3; 214,  comma  3.  Ha  dichiarato,  viceversa  di
conservare interesse alle censure relative agli art.  214,  comma  5,
insistendo per l'accoglimento delle questioni proposte. 
                       Considerato in diritto 
    1. - Con i ricorsi indicati in  epigrafe,  le  Regioni  Calabria,
Toscana, Piemonte, Valle d'Aosta,  Umbria,  Emilia-Romagna,  Liguria,
Abruzzo, Puglia, Campania, Marche e Basilicata hanno complessivamente
impugnato, per la parte che qui  interessa  e  ognuna  con  specifico
riferimento a taluno di essi, gli articoli 181, commi 3, 5, 6, 7,  8,
9, 10, 11 e 12; 183, comma 1; 185, comma 1; 186; 189, commi  1  e  3;
194; 195, commi 1, lettere f), g), l), m), n), o), p), q) e t), comma
2, lettere b), e), l), m), n), q) e s) e  comma  4;  196;  197;  199,
commi 5, 8, 9 e 10; 200; 201; 202; 203; 204; 205; 206, commi 2  e  3;
207, comma 1; 208, commi 3, 4, 6, 8, 9, 10, 11, 12, 15-20; 209, commi
2-5 e 7; 210; 211, commi 2-5; 212, 214, commi 2, 3, 5 e 9; 215 e 216,
commi 1, 3-7, 10-15, del decreto legislativo 3 aprile 2006,  n.  152,
recante «Norme in materia  ambientale»  (di  qui  in  avanti:  Codice
dell'ambiente), in riferimento agli artt. 3, 11, 42, 43, 76, 97, 114,
117, 118, 119 e 120 Cost., nonche'  all'art.  2,  lettera  b),  dello
statuto speciale  per  la  Valle  d'Aosta  (legge  costituzionale  26
febbraio  1948,  n.  4)  ed  ai  principi  di  ragionevolezza,  leale
collaborazione, sussidiarieta' ed  adeguatezza.  Le  norme  impugnate
hanno ad oggetto la disciplina della gestione dei rifiuti. 
    Stante la loro connessione oggettiva, i suddetti  ricorsi  devono
essere riuniti ai fini di un'unica pronuncia. 
    2. - Preliminarmente, va riservata ad altre pronunce la decisione
delle ulteriori questioni di  legittimita'  costituzionale  sollevate
con i medesimi ricorsi. 
    Devono, inoltre, essere dichiarati inammissibili  gli  interventi
in giudizio sia dell'Associazione italiana per il World Wide Fund for
Nature (WWF Italia  - Onlus), che di Biomasse Italia s.p.a,  Societa'
Italiana Centrali  Termoelettriche,  Ital  Green  Energy  s.r.l.,  ed
Energie Tecnologie Ambiente s.p.a.,  in  applicazione  del  principio
secondo  cui  il  giudizio  di  legittimita'  costituzionale  in  via
principale deve svolgersi «esclusivamente fra  soggetti  titolari  di
potesta' legislativa, fermi restando per i  soggetti  privi  di  tale
potesta' i mezzi di tutela delle  loro  posizioni  soggettive,  anche
costituzionali,  di  fronte  ad  altre  istanze  giurisdizionali   ed
eventualmente anche di fronte a questa Corte in via incidentale»  (ex
multis sentenza n. 405 del 2008). 
    Ancora in via preliminare, va dichiarata l'inammissibilita' delle
censure sollevate dalla Regione Umbria con riferimento all'art.  195,
comma 1, lettere m) ed o), ed all'art.  202,  comma  6,  non  essendo
indicate nella delibera di autorizzazione ad impugnare  della  Giunta
regionale. 
    3. - Successivamente alla proposizione dei ricorsi, alcune  delle
disposizioni censurate sono state in parte  modificate  ed  in  parte
abrogate dal decreto legislativo 16 gennaio 2008,  n.  4,  (Ulteriori
disposizioni correttive del d.lgs. 3 aprile  2006,  n.  152,  recante
norme in materia ambientale), dall'art. 4-quinquies del decreto-legge
3 novembre 2008, n. 171 (Misure urgenti per il  rilancio  competitivo
del settore agroalimentare),  convertito,  con  modificazioni,  dalla
legge 30 dicembre 2008, n. 205, e dall'art. 20, comma 10-sexies,  del
decreto-legge 29  novembre  2008,  n.  185  (Misure  urgenti  per  il
sostegno a famiglie, lavoro, occupazione e impresa e per  ridisegnare
in funzione anti-crisi il quadro  strategico  nazionale),  nel  testo
introdotto dalla legge di conversione 28 gennaio 2009, n. 2. 
    Alla  luce  delle  predette  sopravvenienze  legislative,  alcune
Regioni in parte hanno rinunciato ad alcune censure, in  parte  hanno
dichiarato la propria carenza di interesse alla pronuncia. 
    In particolare, la Regione Emilia-Romagna,  con  memoria  del  14
maggio 2009, in riferimento al ricorso n. 56 del 2006, ha  rinunciato
all'impugnazione degli artt. 181, commi da 7 a 11, 183, comma 1, 186,
189, comma 3, 214, commi 3 e 5. 
    La Regione Liguria ha rinunciato a tutte le censure relative alla
parte quarta del testo unico, con memoria del 28 aprile 2009. 
    La Regione  Puglia  ha  dichiarato  di  rinunciare  alle  proprie
censure, ad eccezione di quelle inerenti all'art. 214, comma  5,  con
memoria del 5 maggio 2009. 
    La Regione Calabria, con memoria del 22 aprile 2009,  ha  chiesto
una pronuncia di cessazione della materia del contendere in relazione
all'art. 207, comma 1. 
    La Regione Toscana, con memoria del 27 aprile 2009, ha dichiarato
di non avere interesse alla pronuncia, in relazione agli  artt.  181,
commi da 7 a 11, 183, comma 1, lettere q) ed f), 185, comma  1,  186,
189, comma 3, 195, comma 2, lettera e), 212, comma 3, 214, commi 2  e
3, 215, commi 1, 3 e 4, e 216, commi 1, 3 e 4. 
    Le restanti Regioni, con separate memorie,  hanno  insistito  nel
richiedere la pronuncia di illegittimita' costituzionale. La  Regione
Umbria si e' rimessa alla Corte, in relazione alla valutazione  della
cessazione della materia del contendere, con riferimento  agli  artt.
181, commi da 7 a 11, 183, comma 1, lettere g), h), m), n), q) ed u),
186, 189 comma 3, 214, commi 3 e 5. 
    4. - Preliminare rispetto anche ad  una  eventuale  pronuncia  di
cessazione della materia del contendere e'  l'esame  dei  profili  di
ammissibilita' delle censure proposte. 
    Secondo  la  giurisprudenza  di  questa  Corte,  ai  fini   della
dichiarazione  di  cessazione  della  materia  del   contendere,   e'
necessario che le norme abrogate non abbiano prodotto effetti durante
il periodo della loro vigenza (ex multis, sentenze n. 74 del 2009, n.
439 e n. 289 del 2008), non essendo sufficiente che esse siano  state
in via transitoria in vigore. 
    Nel caso  in  esame,  alcune  delle  disposizioni  impugnate,  di
seguito piu'  specificamente  indicate,  risultano  essere  state  in
vigore fino alle successive modifiche ed integrazioni. 
    Escludendo, pertanto,  che  la  sola  vigenza  delle  norme,  poi
abrogate o modificate in misura rilevante, nel  periodo  transitorio,
sia indice della loro avvenuta applicazione, occorre  verificare,  in
concreto,  se  sussistono  i  presupposti  per  una  declaratoria  di
cessazione della materia del contendere. 
    5. - Molteplici sono le censure formulate  dalle  ricorrenti  con
riferimento  alla  pretesa  violazione  di  norme   delle   direttive
comunitarie in materia di rifiuti  - e quindi alla  violazione  degli
artt. 11 e 117, primo comma, Cost., da un lato, e dell'art. 76 Cost.,
dall'altro  - poiche' la legge  delega  avrebbe  individuato,  fra  i
principi  e  criteri  direttivi,  quello  della  «piena  e   coerente
attuazione delle direttive comunitarie». 
    Questa Corte ha, in piu' occasioni, ribadito il principio secondo
cui  non  sono  ammissibili  le  censure  prospettate  dalle  Regioni
rispetto a parametri costituzionali diversi dalle norme  che  operano
il riparto  di  competenze  con  lo  Stato,  qualora  queste  non  si
risolvano in lesioni delle competenze regionali stabilite dalla Cost.
(fra le tante: sentenze n. 190 e  n.  326  del  2008).  Pertanto,  le
censure dedotte con riferimento  alla  normativa  comunitaria,  senza
adeguata motivazione circa l'asserita lesione delle proprie sfere  di
competenza, vanno dichiarate inammissibili,  restando  impregiudicato
il potere-dovere delle amministrazioni regionali di non applicare  le
norme incompatibili con  le  disposizioni  di  direttive  comunitarie
provviste  di  effetto  diretto,  alla  stregua   di   una   costante
giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 170 del 1984 e n. 168 del
1991). 
    6. - In particolare, viene censurato l'art. 181, commi da 7 a  11
(Regione Umbria), anche in combinato con l'art. 183, comma 1, lettera
q) (Regioni Marche e Toscana), nonche' in combinato con  l'art.  183,
comma 1 (Regioni Abruzzo, Liguria, Puglia, Campania e  Basilicata)  o
con l'art. 214, commi 2, 3 e 5 (Regione Piemonte; Regione Umbria, con
esclusivo riferimento al comma 3 dell'art. 214), nella parte  in  cui
si pone in  contrasto  con  la  direttiva  n.  75/442/CEE,  la  quale
stabilisce  che  l'obbligo  generale   dell'autorizzazione   per   le
attivita'  di  recupero  dei  rifiuti  possa  essere  derogato   solo
allorche' «le autorita' competenti abbiano adottato per ciascun  tipo
di attivita' norme generali che fissano i  tipi  e  le  quantita'  di
rifiuti e le condizioni alle quali l'attivita' puo' essere dispensata
dall'autorizzazione» (Regioni Abruzzo, Liguria,  Puglia,  Campania  e
Basilicata, Marche e Toscana). 
    Del  pari  si  deduce  la  violazione  dell'art.  76  Cost.,  con
riferimento all'art. 1, comma 8, della legge delega 15 dicembre 2004,
n. 308 (Delega  al  Governo  per  il  riordino,  il  coordinamento  e
l'integrazione della legislazione in materia ambientale e  misure  di
diretta  applicazione),  il  quale  prevede  la  «piena  e   coerente
attuazione delle direttive comunitarie, al fine di garantire  elevati
livelli di tutela dell'ambiente e di contribuire in  tale  modo  alla
competitivita' dei sistemi territoriali  e  delle  imprese,  evitando
fenomeni  di  distorsione   della   concorrenza»   (lettera   e),   e
l'«affermazione  dei   principi   comunitari   di   prevenzione,   di
precauzione, di correzione e riduzione degli inquinamenti e dei danni
ambientali e del "chi inquina paga"» (lettera f). 
    Le norme hanno ad oggetto la  possibilita'  di  disciplinare  con
accordi di programma i metodi di  recupero  dei  rifiuti  (art.  181,
commi da 7 a 11; anche in combinato con l'art. 183  ed  in  combinato
disposto con l'art. 183, comma 1,  che  contiene  le  definizioni  di
rifiuto, raccolta differenziata, deposito temporaneo,  sottoprodotto,
materia  prima  secondaria),  nonche'   l'accesso   alle   cosiddette
procedure semplificate (artt. 214, commi 2, 3 e 5) e si porrebbero in
contrasto con  la  normativa  comunitaria  (e  quindi  con  la  legge
delega), nella misura in cui determinerebbero una  deregolamentazione
dell'attivita' di recupero e gestione dei  rifiuti,  diversamente  da
quanto disposto dalle direttive n. 75/442/CEE come  modificata  dalla
direttiva n. 91/156/CEE, secondo  cui  tale  semplificazione  sarebbe
possibile solo fissando norme generali, che determinino i tipi  e  le
quantita' di rifiuti. 
    Le ricorrenti denunciano la violazione delle competenze regionali
in materia di tutela del territorio, di tutela  igienico-sanitaria  e
di  sicurezza  della  popolazione,  con   motivazioni   generiche   o
assertive,   con   conseguente   manifesta   inammissibilita'   delle
questioni. 
    6.1. - Le questioni concernenti  l'individuazione  dei  materiali
sottratti alla disciplina dei rifiuti (terre e rocce da  scavo:  art.
186; emissioni costituite  da  effluenti  gassosi,  scarichi  idrici,
rifiuti radioattivi, ed altri materiali tassativamente indicati: art.
185, comma  1   -  Marche  e  Toscana,  Calabria,  Piemonte,  Umbria,
Liguria, Abruzzo, Puglia  e  Campania),  nonche'  la  definizione  di
talune operazioni, quali la "raccolta differenziata" (art. 183, comma
1, lettera f)  - Marche  e  Toscana),  oltre  che  della  nozione  di
sottoprodotto e materia prima secondaria per attivita'  metallurgiche
(artt. 183, 194 e 212  - Piemonte), sono prospettate  in  riferimento
alla normativa comunitaria, senza tuttavia  addurre  una  sufficiente
motivazione circa le modalita' attraverso le quali la dedotta lesione
ridonderebbe sulle  sfere  di  competenza  regionale.  Gli  argomenti
spesi, per un verso sono  generici,  per  l'altro  non  attengono  al
riparto delle  competenze,  perche'  ancorati  ad  un  situazione  di
"incertezza" normativa ovvero  all'irragionevolezza  delle  soluzioni
adottate,  sicche'   essi   non   sfuggono   alla   declaratoria   di
inammissibilita'. 
    6.2. - L'art. 189, comma 3, che esonera talune imprese o enti che
producono  rifiuti  non  pericolosi  dall'obbligo  di   comunicazione
annuale alle Camere di commercio di quantita' e  caratteristiche  dei
rifiuti medesimi, e' censurato con riferimento  agli  artt.  6  e  14
della direttiva n.  75/442/CEE,  che  imporrebbero  l'istituzione  di
un'autorita' competente a cui fornire le  predette  informazioni,  in
ordine a tutti i tipi di rifiuti (Calabria, Umbria, Liguria, Toscana,
Campania, Abruzzo, Puglia e Marche). 
    Anche  in  questo  caso,  alla  valutazione  nel   merito   della
compatibilita' comunitaria osta l'inammissibilita'  della  questione,
in quanto la motivazione in  ordine  alla  lesione  della  competenza
regionale e' generica, essendosi le ricorrenti limitate ad  affermare
che la dispensa dalla comunicazione annuale al  Catasto  dei  rifiuti
andrebbe ad  incidere  sui  poteri  di  autorizzazione,  controllo  e
pianificazione propri delle Regioni. 
    6.3. - La questione proposta in relazione all'art. 199, comma  10
(Marche, Toscana e Piemonte), il quale, individuando il contenuto dei
provvedimenti   sostitutivi   del   Ministro    dell'ambiente,    non
contemplerebbe piu' (come viceversa l'art. 10, lettera c, del  d.lgs.
n. 22 del 1997) la costituzione di un deposito  cauzionale,  riguarda
l'asserito contrasto con  le  finalita'  perseguite  dalle  direttive
comunitarie di prevenzione e riduzione della produzione  e  nocivita'
dei rifiuti. Le argomentazioni sottese alle censure risultano, ancora
una volta, generiche e  non  consentono,  quindi,  di  affrontare  il
merito, non potendosi che dichiararne l'inammissibilita'. 
    6.4. - Allo  stesso  modo,  deve  dichiararsi  l'inammissibilita'
della questione proposta in riferimento all'art. 201, comma 6, e 203,
comma 2, lettera c) (Marche e Toscana), nella parte in cui  impongono
una durata non inferiore a quindici anni per la gestione del servizio
di gestione integrata  dei  rifiuti  urbani  da  parte  dei  soggetti
affidatari, in contrasto con l'obiettivo comunitario di tenere  conto
delle tecnologie piu' aggiornate e di utilizzare i metodi piu' idonei
a garantire un alto grado di protezione  ambientale  e  della  salute
pubblica.  Anche  in  questo  caso,  infatti,  non   si   da'   conto
dell'incidenza  di  tale  violazione  sulle   sfere   di   competenza
regionali. 
    7. - Nello stesso ambito  vanno  collocate  quelle  censure,  che
attengono  ad  altri  parametri  non  relativi   al   riparto   delle
competenze, in riferimento alle quali non sono  forniti  argomenti  a
sostegno della incidenza della pretesa violazione degli stessi  sulle
sfere di attribuzione regionali. 
    Si tratta  delle  questioni  sollevate  dalle  Regioni  Umbria  e
Piemonte con riguardo agli artt. 181, commi da 7 a 11, e 214, comma 3
e 5, evocando i principi  che  regolano  l'attivita'  amministrativa,
nonche' quelli di eguaglianza e certezza del diritto, generalita'  ed
astrattezza  delle  norme,  senza  allegare  alcuna  motivazione.   A
giudizio   delle   ricorrenti,   infatti,   i    principi    invocati
escluderebbero la possibilita' di prevedere accordi  con  i  privati,
nell'ambito dell'attivita' diretta alla emanazione di atti  normativi
ed amministrativi generali, non consentendo alcuna alterazione  della
gerarchia delle fonti del diritto, senza tuttavia che sia  contestata
alcuna  lesione  delle  competenze   o   funzioni   riservate   dalla
Costituzione alle Regioni. 
    Ancora  sotto  il  medesimo  profilo,  risulta  inammissibile  la
censura rivolta dalla Regione Emilia-Romagna nei confronti  dell'art.
214,  comma  9,  nella  parte  in  cui  estende  alle  denunce,  alle
comunicazioni ed alle domande disciplinate dalle precedenti norme  di
semplificazione sulle procedure gli istituti della  dichiarazione  di
inizio di attivita' e del silenzio assenso, di cui ai novellati artt.
19 e 20 della legge 7 agosto 1990 n. 241 (Nuove norme in  materia  di
procedimento amministrativo e di  diritto  di  accesso  ai  documenti
amministrativi), per violazione degli artt. 3, 97 e 117 Cost. 
    Si deduce, a tal proposito, che la norma  in  esame,  violando  i
richiamati   principi   di   buon    andamento    ed    imparzialita'
dell'amministrazione,  delineerebbe  una   situazione   di   assoluta
incertezza ed impossibilita' di svolgere controlli efficaci ex  post,
intervenendo in un ambito procedimentale  riservato  alla  disciplina
regionale. In questo caso e' evidente come la ricorrente non fornisca
alcun  argomento  atto  a  dimostrare  la  pretesa  interferenza  con
l'esercizio delle funzioni attribuite alle amministrazioni  regionali
e locali. 
    8. - Altro gruppo di censure inammissibili concerne tutte  quelle
ipotesi  in  cui  le  ricorrenti,  prospettando   la   questione   di
legittimita'  costituzionale  in  relazione  ad  alcune  norme,   dal
contenuto del tutto eterogeneo, non hanno specificato i termini entro
i quali le singole disposizioni  di  riferimento  abbiano  violato  i
parametri  costituzionali  invocati.  In  questo  caso,  infatti,  la
carenza di ogni collegamento fra le argomentazioni svolte in  ricorso
e le singole  disposizioni  normative  non  consente  alla  Corte  di
procedere ad una verifica di compatibilita' costituzionale funzionale
alla pronuncia caducatoria richiesta. 
    8.1. - La Regione Piemonte ha sollevato questione di legittimita'
costituzionale degli artt.  da  196  a  200,  in  quanto  tali  norme
determinerebbero una compressione delle potesta' regionali in  ordine
alla definizione degli indirizzi ed all'organizzazione del sistema di
governo delle  attivita'  di  gestione  dei  rifiuti,  nonche'  delle
funzioni  provinciali  di  programmazione   e   coordinamento   delle
politiche gestionali nel proprio ambito  territoriale,  in  contrasto
con  il  principio  di  sussidiarieta',  il  quale  impone  che   gli
interventi  siano  rapportati  alla  dimensione  territoriale   degli
interessi ed all'individuazione del livello ottimale  di  allocazione
delle diverse funzioni, nonche' con il principio di  differenziazione
che impone di adattare gli interventi di tutela e  di  organizzazione
ai diversi contesti territoriali. 
    Le  censure  sono   manifestamente   inammissibili,   in   quanto
coinvolgono in maniera indifferenziata gli artt. da 196 a 200,  senza
che l'asserita illegittima compressione delle potesta'  regionali   -
in tema di definizione degli indirizzi delle  attivita'  di  gestione
dei rifiuti  - sia specificata, quantomeno  sotto  il  profilo  della
necessita' di  adattamento  degli  interventi  sui  diversi  contesti
territoriali. 
    8.2. - Analogamente deve concludersi per la  questione  sollevata
dalla Regione Calabria, con riguardo all'art.  197,  comma  1,  nella
parte in cui contiene l'elenco delle competenze provinciali. Anche in
questo caso, infatti, le norme censurate sono  esaminate  in  maniera
indifferenziata, senza che venga in alcun modo  specificato  come  le
singole disposizioni  contrastino  con  il  parametro  costituzionale
indicato. 
    8.3. - Inammissibili  sono  pure  le  questioni  sollevate  dalle
Regioni Calabria, Toscana, Marche, Piemonte, Emilia-Romagna  e  Valle
D'Aosta con riferimento agli artt. 200, 201, 202 e 203,  nella  parte
in cui disciplinano il servizio di  gestione  integrata  dei  rifiuti
urbani, attraverso l'individuazione di ambiti territoriali ottimali e
l'istituzione di  Autorita'  di  ambito,  cui  vengono  assegnate  le
funzioni relative all'organizzazione, all'affidamento ed al controllo
del servizio di gestione integrata dei rifiuti e la formulazione  del
contratto di servizio. 
    Le norme impugnate violerebbero l'art.  117  Cost.  e  l'art.  2,
lettera b), dello statuto speciale della Regione  Valle  d'Aosta,  in
quanto  inciderebbero,  attraverso  disposizioni  di  dettaglio,   su
materie di competenza regionale, quale quella del  servizio  pubblico
locale di  gestione  dei  rifiuti  urbani,  di  competenza  regionale
residuale. 
    Si tratta  evidentemente  di  una  censura  generica,  in  quanto
rivolta ad una serie di norme, anche eterogenee, senza individuare in
che modo ed in quali  parti  esse  ledano  la  richiamata  competenza
regionale. 
    8.4. - A conclusioni non dissimili deve pervenirsi  in  relazione
alla questione, sollevata dalla Regione Calabria, inerente agli artt.
208, commi 3, 4, 6, 8, 9, 11, 12, da 15 a 20, 209, commi da 2 a  5  e
7, 210 e 211, commi da 2 a 5, nella parte in cui disciplinerebbero in
maniera troppo dettagliata la procedura per  l'autorizzazione  per  i
nuovi impianti di smaltimento e  di  recupero  dei  rifiuti,  per  il
rinnovo  delle  autorizzazioni,  per  le   autorizzazioni   in   casi
particolari  e  per  l'autorizzazione  di  impianti  di   ricerca   e
sperimentazione. Non essendo, infatti, contestato dalla ricorrente il
titolo  dello  Stato  a  legiferare,  non  risulta  in   alcun   modo
specificato in che parte e come sia lesa la competenza regionale, del
resto solo assertivamente richiamata. 
    8.5. - Da ultimo, nello stesso ambito va  collocata  la  censura,
sollevata dalla Regione Calabria, in riferimento agli artt. da 199  a
207,  non  approvati  a  seguito  di  un  coinvolgimento  degli  enti
territoriali  infra-statuali,  nella  parte  in  cui  intervengono  a
disciplinare il  servizio  di  gestione  integrata  dei  rifiuti,  in
violazione  del  principio  di  leale  collaborazione.  E',  infatti,
evidente la genericita' della questione, non essendo individuate, nel
coacervo delle disposizioni richiamate, le singole norme che incidono
sulle competenze legislative  regionali  in  riferimento  alle  quali
sarebbe stata necessaria l'intesa. 
    9.  -  Alcune  questioni  devono  ugualmente  essere   dichiarate
inammissibili,  in  quanto  le  ricorrenti,  pur   individuando   con
precisione  la  norma  impugnata,  non  forniscono  una   motivazione
sufficiente in ordine alla fondatezza delle censure. In questo  caso,
infatti, difettano i requisiti  minimi  che  consentano  l'esame  del
merito delle questioni, rendendo quindi impossibile ogni controllo di
costituzionalita'. 
    9.1. - In primo luogo, viene in rilievo la censura proposta dalla
Regione Calabria sull'art. 181, commi  da  5  a  12,  in  riferimento
all'art. 117 Cost., che, regolando in modo dettagliato  le  procedure
attraverso le quali perseguire il recupero dei rifiuti,  mediante  il
riutilizzo, il reimpiego, il riciclaggio ed altre forme di  recupero,
recherebbe una disciplina «largamente ultronea rispetto alla esigenza
di  porre  standards  uniformi  di  tutela  ambientale  su  tutto  il
territorio  nazionale,  non  limitandosi  [...]  ad  individuare  gli
orientamenti generali cui gli operatori debbono attenersi  [...],  ma
specificando minutamente finanche gli  strumenti  in  base  ai  quali
porre in essere  gli  obiettivi  (gli  accordi  di  programma)  e  le
procedure da seguire». La censura appare  prima  facie  generica,  in
quanto  la  ricorrente  non  contesta   la   competenza   statale   a
disciplinare  la  materia,  ma  solo  l'eccessivo   dettaglio   della
disciplina, senza pero' fornire  alcun  argomento  a  sostegno  della
pretesa lesione delle proprie sfere di competenza. 
    9.2. - A medesima conclusione si perviene con riguardo agli artt.
181, commi da 7 a 11, 183, comma 1, 186, 189, comma 3, e 214, commi 3
e 5, che, a  giudizio  delle  Regioni  Puglia,  Abruzzo  e  Campania,
disciplinano la materia «rifiuti», collocandosi in un contesto in cui
si sovrappongono agli interessi regionali di tutela  del  territorio,
nonche'  di  tutela   igienico-sanitaria   e   di   sicurezza   della
popolazione,  sconvolgendo  l'assetto  normativo  ed   amministrativo
disegnato dalla legislazione regionale, che verrebbe in  molte  parti
abrogata. Lo stesso vale per gli artt. 199, comma 5, nella  parte  in
cui reca una disciplina dettagliata in merito ai  piani  di  bonifica
delle aree inquinate, 215, commi 3 e 6, e 216, commi da 3 a 7 e da 10
a  15,  nella  parte  in  cui  dettano  la  disciplina  di  procedure
semplificate in tema di auto smaltimento e di operazioni di recupero,
censurati dalla Regione Calabria. In  tutti  questi  casi  l'asserita
violazione dell'art. 117 Cost.viene motivata  assumendo,  in  maniera
del tutto apodittica,  la  lesione  delle  competenze  costituzionali
della Regione in materia di tutela dell'ambiente, tutela della salute
e governo del territorio. 
    9.3. - Infine,  inammissibile   -  perche'  del  tutto  priva  di
motivazione  - risulta la questione sollevata dalle Regioni Calabria,
Piemonte e Valle d'Aosta, con riferimento agli artt. 203 e 204,  come
conseguenza della  pretesa  illegittimita'  costituzionale  dell'art.
202. 
    10. - L'esame delle questioni per le quali non puo' pervenirsi ad
una pronuncia di merito  deve  proseguire  in  riferimento  a  quelle
censure che attengono alla denuncia di meri inconvenienti  di  fatto,
derivanti dall'applicazione delle norme impugnate e, appunto  perche'
tali,  inidonei  a  configurare  un  contrasto   della   disposizione
impugnata con il parametro costituzionale invocato. 
    Si tratta delle questioni  inerenti  all'art.  205  in  relazione
all'art. 183,  comma  1,  lettera  f),  ed  all'art.  205,  comma  2,
sollevate  rispettivamente  dalle  Regioni  Piemonte  e  Liguria,  in
riferimento al fatto che, identificando nella raccolta  differenziata
anche operazioni di separazione che avvengono durante la  lavorazione
del  rifiuto,   determinerebbero   un   fittizio   incremento   delle
percentuali  di   raccolta   differenziata   senza   un   sostanziale
miglioramento, ponendosi, irragionevolmente,  in  contrasto  con  gli
obiettivi  di  tutela  ambientale,  «risultando  svilite  le  realta'
territoriali e programmatorie gia' impostate a  criteri  di  maggiore
efficienza, con detrimento delle attivita' amministrative locali  nel
loro  buon  andamento».  E'  evidente  dunque,  come  le  difficolta'
applicative evidenziate non siano assolutamente sufficienti,  neanche
in astratto, a determinare la denunciata lesione. 
    11. - Puo' a questo punto affrontarsi l'esame delle questioni che
consentono una valutazione di merito. 
    Va premesso, sul punto, che la disciplina dei rifiuti si colloca,
per  giurisprudenza  di  questa  Corte,  nell'ambito   della   tutela
dell'ambiente e dell'ecosistema, di competenza esclusiva  statale  ai
sensi dell'art. 117, secondo  comma,  lettera  s),  Cost.,  anche  se
interferisce con altri interessi  e  competenze,  di  modo  che  deve
intendersi riservato allo Stato  il  potere  di  fissare  livelli  di
tutela uniforme sull'intero territorio nazionale, restando  ferma  la
competenza  delle  Regioni  alla  cura  di  interessi  funzionalmente
collegati con quelli propriamente ambientali (ex multis, sentenze  n.
62 del 2008). 
    Pertanto, anche nel settore dei  rifiuti,  accanto  ad  interessi
inerenti in via primaria alla tutela dell'ambiente, possono venire in
rilievo  interessi  sottostanti  ad  altre  materie,   per   cui   la
«competenza statale non esclude la concomitante possibilita'  per  le
Regioni di intervenire [...]», ovviamente nel  rispetto  dei  livelli
uniformi di tutela apprestati dallo Stato (sentenza n. 62  del  2005,
altresi', sentenze n. 247 del 2006, n. 380 e n. 12 del 2007). 
    La disciplina ambientale, che scaturisce dall'esercizio  di  tale
competenza esclusiva dello Stato, viene a funzionare come  un  limite
alla disciplina che le Regioni e  le  Province  autonome  dettano  in
altre materie di loro competenza, per cui queste ultime  non  possono
in alcun modo peggiorare il livello di  tutela  ambientale  stabilito
dallo Stato (sentenza n. 378 del 2007). 
    La  disciplina  dei  rifiuti,  peraltro,  in  quanto   rientrante
principalmente nella tutela dell'ambiente e, dunque, in  una  materia
che, per la molteplicita'  dei  settori  di  intervento,  assume  una
struttura complessa, riveste un carattere  di  pervasivita'  rispetto
anche alle attribuzioni regionali. Di conseguenza, ogniqualvolta  sia
necessario   verificare,   come   nella   specie,   la   legittimita'
costituzionale di norme statali che abbiano disciplinato il  fenomeno
della gestione dei rifiuti, e'  necessario  valutare  se  l'incidenza
della normativa sulle materie regionali immediatamente  contigue  sia
tale da compromettere il riparto costituzionale di cui  al  titolo  V
della parte II della Costituzione, oltre il limite della adeguatezza,
rispetto alla citata finalita' di fissazione dei  livelli  di  tutela
uniformi. 
    12. - Cio' premesso in via generale,  viene  in  rilievo  l'esame
delle  singole  questioni,  in  relazione  alle  quali  andra'  anche
valutata la possibile cessazione della  materia  del  contendere,  in
riferimento alla persistenza o meno  dell'interesse  alla  pronuncia,
alla stregua della giurisprudenza costituzionale sopra richiamata. 
    La Regione Calabria impugna l'art. 181, comma 3, secondo periodo,
nella parte in cui stabilisce che le agevolazioni per le imprese  che
intendano modificare  i  propri  cicli  produttivi,  per  ridurre  la
quantita'  o  la  pericolosita'  dei  rifiuti  prodotti,  ovvero  per
favorire il recupero  di  materiali,  siano  erogate  sulla  base  di
modalita', tempi e procedure fissati con decreto del  Ministro  delle
attivita' produttive, di concerto  con  i  Ministri  dell'ambiente  e
della tutela del territorio, dell'economia e delle  finanze  e  della
salute. La norma violerebbe in primo  luogo  il  principio  di  leale
collaborazione, non prevedendo alcun coinvolgimento delle Regioni, ed
in specie  l'intesa  con  la  Conferenza  Stato-Regioni,  sebbene  la
finalita'  delle  agevolazioni  renda  palese  l'incidenza  anche  su
materie  diverse  rispetto  alla  tutela  dell'ambiente,  quali,   ad
esempio,  la  tutela  della  salute  e  l'industria,  di   competenza
regionale rispettivamente concorrente e residuale. 
    La disposizione impugnata si porrebbe, altresi', in contrasto con
gli  artt.  117,  sesto  comma,  e  119,  Cost.,  in  ragione   della
previsione,   in   essa   contenuta,   dell'esercizio   del    potere
regolamentare da parte dello Stato, in materie non riconducibili alla
competenza esclusiva statale. 
    Va al riguardo osservato, in via preliminare, che l'art.  181  e'
stato sostituito dall'art. 2, comma 18, del d.lgs. n. 4 del 2008, che
ha determinato l'abrogazione della disposizione censurata e,  quindi,
della  previsione  delle  agevolazioni  alle  imprese  che  intendano
modificare i propri cicli produttivi, per ridurre la quantita'  o  la
pericolosita' dei rifiuti prodotti, ovvero per favorire  il  recupero
di materiali. 
    Orbene, e' necessario tener conto del fatto  che,  nel  tempo  di
vigenza della disposizione  impugnata,  non  risultano  essere  stati
adottati provvedimenti  di  competenza  esclusiva  statale,  previsti
dalla norma quali presupposti  per  l'erogazione  delle  agevolazioni
gravanti sul Fondo speciale rotativo per  l'innovazione  tecnologica,
di cui agli artt. 14 e seguenti della legge 17 febbraio 1982, n.  46.
Tale evenienza e' di per se' sola idonea a  dimostrare  come  non  si
siano concretamente prodotti effetti durante il periodo  di  vigenza,
sicche'  la  richiamata  abrogazione,   evidentemente   satisfattiva,
consente di giungere ad una pronuncia di cessazione della materia del
contendere. 
    13. - La Regione Toscana ha sollevato questione  di  legittimita'
costituzionale dell'art. 189, comma 1, nella parte in  cui  detta  la
disciplina  del  cosiddetto  Catasto  dei  rifiuti,  per   violazione
dell'art. 76, Cost., perche' in contrasto con i  principi  e  criteri
direttivi  della  legge  delega,  nella  parte  in  cui  vincola   il
legislatore  delegato   al   rispetto   dell'assetto   normativo   ed
amministrativo  vigente.  La  ricorrente,   in   proposito,   assume,
peraltro, di avere gia' esercitato le funzioni  ad  essa  attribuite,
disciplinandole con legge e con strumenti di pianificazione  generale
e particolare. 
    Ad avviso  della  Regione  Calabria,  inoltre,  la  stessa  norma
sarebbe in contrasto con l'art. 117, sesto comma, Cost., nonche'  con
il  principio  di  leale  collaborazione,  poiche'  attribuirebbe  al
Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio la competenza  a
dettare norme di organizzazione del Catasto  dei  rifiuti,  omettendo
ogni riferimento ad un  intervento  regionale,  peraltro  a  fortiori
necessitato dalla circostanza che le Sezioni  regionali  del  Catasto
hanno sede, appunto, presso le Regioni. 
    Le Regioni Toscana e Marche,  poi,  deducono  la  violazione,  da
parte della medesima norma, anche degli artt. 117  e  118  Cost.,  in
quanto   il   legislatore   nazionale   non   avrebbe   previsto   il
coinvolgimento delle Regioni attraverso l'intesa  con  la  Conferenza
unificata,  in  una  materia  in  cui  gli  interessi  ambientali  si
sovrappongono con quelli di tutela del territorio, nonche' di  tutela
della salute e sicurezza della popolazione. 
    Le questioni non sono fondate. 
    Quanto alla dedotta  violazione  dell'art.  76  Cost.,  sotto  il
profilo dell'eccesso di  delega,  va  osservato  che,  contrariamente
all'assunto delle ricorrenti, gia' l'art. 18 del  d.lgs.  n.  22  del
1997 prevedeva, alla lettera h), che fosse di competenza dello  Stato
«la riorganizzazione e la tenuta del Catasto nazionale dei  rifiuti».
Pertanto la norma censurata non  contrasta  ne'  con  il  riparto  di
competenze delineato nella normativa richiamata dalla  legge  delega,
ne' con gli artt. 117 e 118  Cost.  Infatti,  e'  evidente  che,  per
espressa  previsione  normativa,  il  Catasto  dei  rifiuti   intende
garantire  la  formazione  di  un  quadro  conoscitivo   unitario   e
costantemente aggiornato dei  dati  raccolti,  anche  ai  fini  della
pianificazione delle attivita' di gestione dei rifiuti. In tal senso,
quindi, le funzioni svolte da tale  istituto  sono  prodromiche  alla
fissazione di livelli uniformi di tutela dell'ambiente, di  esclusiva
competenza statale. 
    14. - Le Regioni Marche e Toscana hanno, poi, impugnato gli artt.
195, comma 1, lettera f); comma 2, lettere b), e), l),  m)  e  s),  e
196, comma 1, lettera d); quanto alle altre  ricorrenti,  la  Regione
Emilia-Romagna ha impugnato l'art. 195, comma 1, lettere f), g),  n)¸
o), mentre il Piemonte, oltre alle lettere f), l), m), n), o)  e  q),
ha censurato anche la lettera  p);  infine  la  Regione  Calabria  ha
impugnato l'art. 195, comma 1, lettere  f),  g)  e  t),  e  comma  2,
lettera b) in combinato disposto  con  l'art.  195,  comma  4,  e  la
Regione Umbria ha censurato l'art. 195, comma 1, lettera m) ed o). 
    Si  tratterebbe   di   norme   che   attribuiscono   allo   Stato
«l'individuazione, nel  rispetto  delle  attribuzioni  costituzionali
delle regioni,  degli  impianti  di  recupero  e  di  smaltimento  di
preminente interesse nazionale da realizzare per la modernizzazione e
lo sviluppo del Paese», nonche' di una serie di altre competenze, che
consentirebbero al medesimo di emanare norme di dettaglio in  materie
connesse con le  attribuzioni  regionali  in  tema  di  tutela  della
salute,  di  gestione  di  servizi  pubblici,  di  pianificazione   e
programmazione del territorio, in violazione degli artt.  117  e  118
Cost. 
    Secondo le Regioni Calabria, Toscana e Piemonte sarebbe  violato,
altresi', il principio di leale collaborazione, in  quanto  le  norme
per  l'individuazione  degli   impianti   di   interesse   nazionale,
nonostante   facciano   salvo   il   rispetto   delle    attribuzioni
costituzionali  delle  Regioni,  limiterebbero   l'intervento   delle
autonomie territoriali ad un mero parere della Conferenza  unificata,
anziche' prevedere  il  raggiungimento  di  una  intesa  che  orienti
l'operato degli organi statali nelle predette attivita'. 
    Non  solo,  ma  a  giudizio  della  Regione  Emilia-Romagna,   le
disposizioni in oggetto violerebbero  anche  l'art.  76  Cost.  e  le
attribuzioni regionali, delineando una serie di competenze ulteriori,
rispetto a quelle attribuite allo Stato dal d.lgs. n. 22 del 1997, in
violazione dei criteri di delega legislativa e con  evidente  lesione
delle sfere di competenza regionale residuale in tema di tariffazione
dei servizi pubblici locali, nonche' di  promozione  delle  forme  di
cooperazione tra gli enti locali. 
    La Regione Piemonte, poi, ne deduce la contrarieta'  ai  principi
di sussidiarieta', differenziazione  e  di  leale  collaborazione,  i
quali impongono che gli interventi in materia siano  rapportati  alla
dimensione territoriale  degli  interessi  e  all'individuazione  del
livello ottimale di allocazione delle diverse funzioni. 
    La Regione Umbria, ancora, con riferimento alle lettere m) ed o),
ne assume la contrarieta' con gli artt. 117 e 118 Cost., per il fatto
di prevedere un atto di indirizzo  e  coordinamento  in  una  materia
regionale, la cui legittimita'  - dopo la riforma costituzionale  del
2001  - dovrebbe ritenersi esclusa. 
    La Regione Calabria,  poi,  invoca  il  parametro  costituzionale
dell'art.  117,  quinto  comma,   Cost.,   in   ragione   del   quale
l'adeguamento  del   diritto   interno   agli   obblighi   comunitari
spetterebbe allo Stato ed alle Regioni in relazione  alle  rispettive
competenze,  sicche'  nella  specie  l'adeguamento   alla   normativa
comunitaria sui rifiuti non potrebbe che essere realizzata attraverso
leggi regionali. 
    La Regione Piemonte, da ultimo, richiama, sebbene implicitamente,
l'art. 117, quarto comma, Cost. ed in subordine il principio di leale
collaborazione, in quanto, avendo le norme impugnate  ad  oggetto  il
sistema di  gestione  dei  servizi  relativi  ai  rifiuti,  sarebbero
riconducibili  alla  competenza  legislativa  regionale  in  tema  di
servizi pubblici locali, nonche' alla  potesta'  organizzativa  degli
enti  gestori,  e  comunque  non  contemplerebbero  alcuna  forma  di
partecipazione ne' delle Regioni ne' delle autonomie locali. 
    La Regione Toscana, con memoria del 27 aprile 2009, ha dichiarato
di non avere piu' interesse ad una pronuncia di merito  in  relazione
alle censure proposte nei confronti dell'art. 195, comma  2,  lettera
e), in quanto la richiamata disposizione e'  stata  prima  sostituita
dall'art. 2, comma 26, lettera a), del d.lgs. n. 4  del  2008  e  poi
ulteriormente modificata dall'art. 5, comma 2, dalla legge n. 205 del
2008, di conversione del d.l. n. 171 del 2008 (Misure urgenti per  il
rilancio competitivo del settore agroalimentare), in senso pienamente
satisfattivo. 
    Tuttavia, la constatazione del significativo lasso di  tempo  nel
quale la disposizione censurata  e'  stata  in  vigore  insieme  alla
considerazione  dell'immediata   precettivita'   della   stessa   non
consentono di ritenere che di essa non sia stata  fatta  applicazione
ed impediscono di giungere  ad  una  pronuncia  di  cessazione  della
materia del contendere. 
    Nel merito, le questioni, unitariamente trattate  per  l'analogia
del tessuto normativo censurato, non sono fondate. 
    Le norme impugnate riguardano,  quanto  all'art.  195,  comma  1:
l'individuazione  degli  impianti  di  recupero  e   smaltimento   di
preminente interesse nazionale (lettera f);  il  piano  nazionale  di
comunicazione e di  conoscenza  ambientale  (lettera  g);  i  criteri
generali,  differenziati  per  i  rifiuti  urbani  e  per  i  rifiuti
speciali,  ai  fini  dell'elaborazione  dei  piani  regionali  e   la
determinazione delle linee-guida per gli ambiti territoriali ottimali
(lettera m); le linee guida per la definizione delle  gare  d'appalto
per l'assegnazione della concessione del  servizio  per  la  gestione
integrata dei rifiuti (lettera n); le linee guida inerenti le forme e
i modi della cooperazione fra gli enti locali anche  con  riferimento
alla  riscossione  della  tariffa  sui   rifiuti   urbani   ricadenti
nell'ambito territoriale ottimale (lettera o). 
    Occorre precisare a tal proposito che, quanto alle lettere  f)  e
g),  il  legislatore  ha  espressamente  previsto  una  clausola   di
"salvezza" «nel  rispetto  delle  attribuzioni  costituzionali  delle
regioni», oltre ad una necessaria interlocuzione  con  la  Conferenza
unificata. Allo stesso modo, per le lettere m), n) ed o),  si  impone
un'intesa con la Conferenza Stato-Regioni. 
    In primo luogo, quanto alla disciplina dell'individuazione  degli
impianti di recupero e smaltimento di preminente interesse  nazionale
(lettera f), non risulta violata la competenza regionale in  tema  di
«approvazione dei progetti di nuovi  impianti  per  la  gestione  dei
rifiuti e l'autorizzazione alle modifiche degli  impianti  esistenti»
di cui all'art. 19, comma 1,  del  d.lgs.  n.  22  del  1997,  avendo
quest'ultimo ad oggetto, in armonia con  l'art.  117  Cost.,  i  soli
impianti territorialmente localizzati e  non  quelli  di  «preminente
interesse nazionale». Sicche' priva di fondatezza appare  la  censura
relativa alla violazione dell'art. 76 Cost. 
    Inoltre, proprio per il  fatto  che  si  tratta  di  impianti  di
«preminente interesse nazionale», la valutazione relativa  alla  loro
individuazione deve necessariamente essere attribuita allo Stato,  in
coerenza con il principio di sussidiarieta', in vista  dell'obiettivo
del  soddisfacimento  dell'esigenza  unitaria  di  una   dislocazione
strategica dei medesimi impianti sull'intero territorio nazionale. In
tale prospettiva,  e'  infondata  anche  la  dedotta  violazione  del
principio  di  leale  collaborazione,  tenuto  conto  che  la   norma
impugnata prevede che la predetta funzione  di  individuazione  degli
impianti sia esercitata  «sentita  la  Conferenza  unificata  di  cui
all'art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997,  n.  281»  e  tale
forma di coinvolgimento delle Regioni e degli enti locali  si  rivela
adeguata, incidendo la predetta  attivita'  su  competenze  regionali
(governo del territorio, tutela della salute) concorrenti, in  ordine
alle  quali  spetta  comunque   allo   Stato   dettare   i   principi
fondamentali. 
    Ad analoghe  conclusioni  deve  pervenirsi  in  riferimento  alle
censure proposte nei  confronti  della  previsione  della  competenza
statale  in  tema  di  predisposizione  di  un  piano  nazionale   di
comunicazione e conoscenza ambientale (lettera g). Tale attribuzione,
infatti, non determina  alcuna  lesione  delle  sfere  di  competenza
regionale, in quanto non impedisce alle Regioni di predisporre propri
piani territoriali sulla base dei quali, peraltro, solo lo Stato puo'
provvedere  a  definire    -   «nel   rispetto   delle   attribuzioni
costituzionali delle regioni» e «sentita la Conferenza unificata»   -
un adeguato piano nazionale. 
    Del pari  infondate  sono  le  censure  sollevate,  in  relazione
all'art. 76 Cost., nei confronti  dell'attribuzione  allo  Stato  del
compito di determinare i criteri generali differenziati per i rifiuti
urbani e per i rifiuti speciali, ai fini dell'elaborazione dei  piani
regionali  dei  rifiuti  nonche'  le  linee  guida  per  gli   ambiti
territoriali ottimali  (lettera  m).  Va  infatti  osservato,  a  tal
proposito, che gia' l'art. 18, comma 1, lettera i), del d.lgs. n.  22
del 1997, attribuiva una simile competenza allo  Stato,  e  che  tale
attribuzione e' in linea con l'esigenza  di  una  individuazione  dei
predetti  criteri  generali  uniforme  ed  omogenea  sul   territorio
nazionale, incidendo i medesimi sia sulla  materia  del  governo  del
territorio di competenza regionale concorrente, in ordine alla  quale
spetta allo Stato dettare i principi fondamentali, sia sulla  materia
di competenza statale esclusiva della  tutela  dell'ambiente.  A  tal
proposito occorre, inoltre,  osservare  che,  non  essendo  possibile
individuare una materia prevalente alla  quale  ricondurre  la  norma
impugnata, la previsione  del  raggiungimento  di  un'intesa  con  la
Conferenza Stato-Regioni, in  specie  ai  fini  della  determinazione
delle linee guida per la  individuazione  degli  ambiti  territoriali
ottimali, costituisce adeguato strumento di attuazione del  principio
di leale collaborazione. 
    Anche la previsione della competenza statale  in  tema  di  linee
guida per la definizione delle gare d'appalto per la concessione  del
servizio di gestione integrata dei  rifiuti  (lettera  n),  poi,  non
determina alcuna lesione delle sfere di competenza regionale,  tenuto
conto che  essa,  attenendo,  fra  l'altro,  all'identificazione  dei
«requisiti di ammissione delle imprese  e  dei  relativi  capitolati»
alle gare, costituisce esercizio della competenza statale in tema  di
tutela della concorrenza, e si rivela in armonia con il principio  di
leale collaborazione, quanto alle  inevitabili  interferenze  con  la
materia dei servizi pubblici locali (alla quale  deve  ricondursi  la
disciplina  del  servizio  di  gestione  integrata  dei  rifiuti)  di
competenza regionale residuale, nella parte in cui stabilisce che  la
determinazione delle predette linee guida deve avvenire d'intesa  con
la Conferenza Stato-Regioni. 
    Sulla base dei medesimi argomenti devono, infine, respingersi  le
censure mosse nei  confronti  della  attribuzione  allo  Stato  della
competenza a determinare le linee guida inerenti  alle  forme  ed  ai
modi della cooperazione fra gli enti  locali  anche  con  riferimento
alla  riscossione  della  tariffa  sui   rifiuti   urbani   ricadenti
nell'ambito territoriale ottimale (lettera o). Si tratta, infatti, di
previsione che, pur incidendo  su  ambiti  di  competenza  regionale,
quali quello della promozione delle forme  di  cooperazione  fra  gli
enti locali e quello dei servizi pubblici locali,  e'  finalizzata  a
soddisfare l'esigenza di individuazione dei  criteri  piu'  idonei  a
garantire  l'efficiente  espletamento  del  servizio  in   tutto   il
territorio nazionale, nel  pieno  rispetto  del  principio  di  leale
collaborazione, mediante la previsione della  previa  intesa  con  la
Conferenza Stato-Regioni. 
    Le medesime censure sono, poi, rivolte da alcune ricorrenti anche
in relazione  alla  previsione  dell'attribuzione  allo  Stato  della
competenza   ad   indicare   i   criteri   generali   relativi   alle
caratteristiche delle  aree  non  idonee  alla  localizzazione  degli
impianti di smaltimento dei rifiuti (lettera p), nonche' ad  adeguare
la parte quarta del decreto in esame alle direttive,  alle  decisioni
ed ai regolamenti dell'Unione europea (lettera t). Anche in tal  caso
deve giungersi ad una pronuncia di infondatezza, considerato che,  da
un lato, la determinazione dei criteri generali per  l'individuazione
delle caratteristiche delle aree non idonee alla localizzazione degli
impianti  non  risulta  lesiva  di   alcuna   competenza   regionale,
costituendo esercizio della competenza statale a dettare  i  principi
fondamentali  in  tema  di  governo  del  territorio   (lettera   p),
dall'altro, il compito di adeguare le norme della  parte  quarta  del
decreto impugnato alla normativa comunitaria non  puo'  che  spettare
allo Stato, nell'esercizio delle proprie competenze. 
    Alle medesime  conclusioni  deve  pervenirsi  con  riguardo  alle
censure sollevate  dalle  Regioni  Calabria,  Marche  e  Toscana  con
riferimento all'art. 195, comma 2, lettere b), e), l), m), n), q)  ed
s), variamente impugnate, anche in combinato con l'art. 195, comma 4,
e con l'art. 196, comma 1, lettera m), poiche' si tratta di norme che
non determinano l'attribuzione impropria di competenze allo Stato, ma
provvedono ad individuare gli ambiti tecnici in relazione ai quali si
da' attuazione ai livelli uniformi di tutela dell'ambiente. 
    Si tratta, infatti, di: determinazione dei criteri qualitativi  e
quali-quantitativi per l'assimilazione,  ai  fini  della  raccolta  e
dello smaltimento, dei rifiuti speciali ai  rifiuti  urbani  (lettera
e);  definizione  del  modello  e  dei  contenuti  del  formulario  e
regolamentazione   del   trasporto   dei   rifiuti    (lettera    l);
individuazione delle tipologie di rifiuti che possono essere smaltiti
in discarica  (lettera  m);  adozione  di  un  modello  uniforme  del
registro di cui all'art. 190 e delle modalita' di tenuta dello stesso
(lettera n); adozione delle norme tecniche, delle modalita'  e  delle
condizioni di utilizzo del prodotto  ottenuto  mediante  compostaggio
(lettera   q);   individuazione   delle   sostanze    assorbenti    e
neutralizzanti, previamente sperimentate da  universita'  o  istituti
specializzati (lettera s). 
    Quanto, in particolare, alla lettera b), in tema di  adozione  di
norme e condizioni per l'applicazione delle procedure semplificate di
cui agli artt. 214, 215 e  216,  impugnata  anche  in  combinato  con
l'art. 195, comma 4, e  con  l'art.  196,  comma  1,  lettera  m)   -
indipendentemente dalla compatibilita' comunitaria di tali procedure 
-   l'asserita   violazione   delle   attribuzioni    regionali    e'
manifestamente  priva  di  fondamento,  trattandosi  di   un   ambito
normativo riconducibile, in via prevalente, alla  competenza  statale
esclusiva in tema di tutela dell'ambiente, con conseguente esclusione
della necessita' di qualunque forma di coinvolgimento delle autonomie
territoriali. 
    15. - Le Regioni  Toscana,  Marche  e  Piemonte  hanno,  inoltre,
impugnato l'art. 199, comma 9, nella parte in  cui  attribuisce  allo
Stato  ed  in  particolare  al  Ministro  dell'ambiente   il   potere
sostitutivo nel caso in cui «le autorita' competenti  non  realizzino
gli interventi previsti dal piano regionale» di gestione dei  rifiuti
«nei termini e con le modalita' stabiliti e  tali  omissioni  possano
arrecare un grave pregiudizio all'attuazione del piano  medesimo».  A
giudizio delle ricorrenti tale norma sarebbe  in  contrasto  con  gli
artt. 117, 118 e 120 Cost., avendo ad oggetto l'esercizio del  potere
sostitutivo dello Stato rispetto ad  enti  locali  e  su  materie  di
competenza regionale, in ambiti cioe' nei quali esso  avrebbe  dovuto
essere riconosciuto, in via preliminare, alle Regioni. 
    La questione e' fondata. 
    Questa Corte ha da tempo affermato che deve desumersi  da  quanto
previsto dall'art. 118 Cost.   -  il  quale  attribuisce  in  via  di
principio ai Comuni, in tutte le materie, le funzioni amministrative,
ma riserva la possibilita'  che  esse,  per  assicurarne  l'esercizio
unitario, siano conferite, sulla base dei principi di sussidiarieta',
differenziazione ed adeguatezza, ai livelli territoriali  di  governo
di dimensioni piu' ampie   -  anche  la  previsione  di  «eccezionali
sostituzioni di un livello ad un altro di governo per  il  compimento
di specifici atti o attivita', considerati dalla legge necessari  per
il perseguimento degli interessi unitari coinvolti,  e  non  compiuti
tempestivamente dall'ente competente» (sentenza n. 43 del  2004).  In
questa  prospettiva,  si  e'  anche  precisato  che  non  puo'  farsi
discendere dall'art. 120, secondo comma, Cost. una riserva  a  favore
della legge  statale  di  ogni  disciplina  del  potere  sostitutivo,
dovendosi viceversa riconoscere che «la legge regionale, intervenendo
in materie  di  propria  competenza  e  nel  disciplinare,  ai  sensi
dell'art. 117, terzo e quarto comma, e dell'art. 118, primo e secondo
comma, Cost., l'esercizio di funzioni  amministrative  di  competenza
dei Comuni, preveda  anche  poteri  sostitutivi  in  capo  ad  organi
regionali, per il compimento di atti o  attivita'  obbligatorie,  nel
caso di inerzia o di inadempimento da parte dell'ente competente,  al
fine di salvaguardare interessi  unitari  che  sarebbero  compromessi
dall'inerzia o  dall'inadempimento  medesimi»  (sentenza  n.  43  del
2004). 
    La  norma   impugnata,   nella   specie,   prevede   l'intervento
sostitutivo dello Stato nel  caso  in  cui  le  autorita'  competenti
(Comuni, Province e, per quanto attiene ai rifiuti  urbani,  le  c.d.
Autorita' d'ambito, alle quali partecipano necessariamente  gli  enti
locali) non realizzino gli interventi di cui al  piano  regionale  di
gestione dei rifiuti, nei termini e con le modalita'  ivi  stabilite,
con grave pregiudizio  per  l'attuazione  dello  stesso.  Si  tratta,
dunque,  di  una  ipotesi  di  sostituzione  statale  che  si  attiva
direttamente in caso di inerzia degli enti locali in  riferimento  ad
un ambito di  competenza  regionale  costituito  dall'attuazione  del
piano regionale, senza che le Regioni,  competenti  all'adozione  del
piano, siano poste nella condizione di esercitare il  proprio  potere
sostitutivo, con conseguente lesione delle relative attribuzioni. 
    16. - La Regione Calabria ha, inoltre, impugnato gli  artt.  199,
comma 8, e  204,  comma  3,  secondo  periodo,  nella  parte  in  cui
conferiscono l'esercizio del potere sostitutivo statale nei confronti
delle Regioni, rispettivamente in tema di approvazione o  adeguamento
del piano regionale di gestione dei rifiuti (art. 199, comma 8) ed in
tema di  disposizione  di  nuovi  affidamenti  per  la  gestione  del
servizio di gestione integrata dei rifiuti (art.  204,  comma  3)  al
Ministro  dell'ambiente  e  della  tutela  del  territorio,  anziche'
all'organo di vertice del Governo nazionale, e (in specie l'art. 204,
comma 3) non pongono garanzie per l'ente  sostituendo,  in  contrasto
con quanto stabilito dall'art. 120, secondo comma, Cost. 
    La questione non e' fondata. 
    A partire  dalla  sentenza  n.  43  del  2003,  questa  Corte  ha
precisato che l'art. 120,  secondo  comma,  Cost.  «prevede  solo  un
potere sostitutivo straordinario, in capo al Governo, da  esercitarsi
sulla base dei presupposti  e  per  la  tutela  degli  interessi  ivi
esplicitamente     indicati,     mentre     lascia     impregiudicata
l'ammissibilita'  e  la  disciplina  di  altri  casi  di   interventi
sostitutivi, configurabili dalla legislazione di settore,  statale  o
regionale, in capo ad organi dello Stato o delle Regioni o  di  altri
enti territoriali, in correlazione  con  il  riparto  delle  funzioni
amministrative da essa realizzato e con le ipotesi specifiche che  li
possano rendere necessari». 
    Nella specie, gli  interventi  sostitutivi  oggetto  delle  norme
impugnate non sono riconducibili all'ambito di operativita' dell'art.
120 Cost., non essendo connessi ad alcuna delle ipotesi di  emergenza
istituzionale di particolare gravita'  ivi  contemplate  (il  mancato
rispetto degli obblighi internazionali e comunitari,  il  pregiudizio
per l'incolumita'  e  la  sicurezza  pubblica  nonche'  per  l'unita'
giuridica ed economica, il  rispetto  dei  livelli  essenziali  delle
prestazioni  concernenti  i  diritti  civili  e  sociali),  tali   da
giustificarne l'attribuzione in via  esclusiva  al  Governo:  sicche'
deve ritenersi priva di fondamento l'asserita lesione della  predetta
norma costituzionale nella parte in  cui  assegna  esclusivamente  al
Governo l'esercizio del solo potere ivi previsto. Ne' puo', comunque,
accogliersi la censura di  violazione  delle  garanzie  prescritte  a
tutela  dell'ente  inadempiente,  in  relazione  a  quanto   previsto
dall'art. 204, comma 3, secondo periodo, considerato che, al  di  la'
della inconferenza del parametro invocato, la  norma  impugnata  reca
modalita' procedimentali finalizzate a porre il predetto  ente   -  a
sua  volta  operante  in  via  sostitutiva   -  nelle  condizioni  di
provvedere, evitando la sostituzione. 
    17. - La Regione Calabria censura, altresi', l'art. 204, comma 3,
anche  nella  parte  in  cui  disciplina   l'esercizio   del   potere
sostitutivo del Presidente della Giunta regionale in tema di gestioni
esistenti del servizio di gestione dei rifiuti: tale norma, ad avviso
della  ricorrente,  determinerebbe  una  invasione  della  sfera   di
competenza residuale  della  Regione  in  tema  di  servizi  pubblici