Sentenza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 80 del  decreto
legislativo 30 ottobre 1992, n. 443 (Ordinamento  del  personale  del
Corpo di polizia penitenziaria, a norma dell'art. 14, comma 1,  della
legge  15  dicembre   1992,   n.   395),   promosso   dal   Tribunale
amministrativo regionale del Lazio nel procedimento vertente  tra  S.
M. e il Ministero della giustizia - Dipartimento dell'amministrazione
penitenziaria con ordinanza del 28 gennaio 2009, iscritta al  n.  111
del registro ordinanze 2009 e  pubblicata  nella  Gazzetta  Ufficiale
della Repubblica n. 16, 1ª serie speciale, dell'anno 2009. 
    Udito nella Camera di consiglio del 7  ottobre  2009  il  giudice
relatore Maria Rita Saulle. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio ha sollevato
questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  80  del  decreto
legislativo 30 ottobre 1992, n. 443 (Ordinamento  del  personale  del
Corpo di polizia penitenziaria, a norma dell'art. 14, comma 1,  della
legge 15 dicembre 1992, n. 395), per violazione degli articoli 2,  3,
4 e 35 della Costituzione. 
    Premette, in punto di fatto, il TAR del Lazio che il  ricorso  ha
ad oggetto l'impugnazione del provvedimento datato 8 agosto 2008  con
il quale  l'Amministrazione  intimata  ha  rigettato  la  istanza  di
riammissione nel Corpo di Polizia penitenziaria avanzata da S. M. 
    In particolare, nell'ordinanza di rimessione si  precisa  che  il
ricorrente «e' stato arruolato nel Corpo di Polizia penitenziaria  in
data 3  luglio  1992,  in  qualita'  di  "agente  semplice"»  e  che,
essendogli stata  successivamente  diagnosticata  una  «leucemia  non
linfoide in attuale  quiescenza  clinica»,  e'  stato  ritenuto  «non
idoneo allo svolgimento del servizio d'istituto, a decorrere  dal  16
novembre 1994», nonche' trasferito, su sua domanda  -  ai  sensi  del
combinato disposto degli artt. 75, comma 1, e 76 del  d.lgs.  n.  443
del   1992   -   «al   ruolo   amministrativo    dell'Amministrazione
penitenziaria, con la qualifica  di  "operatore  amministrativo  -  V
q.f."». 
    Riferisce ancora il collegio rimettente che, ottenuta la completa
guarigione  dalla  suddetta  patologia  -  cosi'  come  attestato  da
certificazione medica del  14  febbraio  2006  -,  con  atto  del  16
febbraio 2006, S.M. ha chiesto di essere  reintegrato  nel  Corpo  di
Polizia penitenziaria, essendo «venuta  meno  l'unica  causa  che  ne
aveva determinato l'inidoneita' al servizio di  istituto  ed  il  suo
trasferimento ai ruoli amministrativi». 
    Con provvedimento in data 8 giugno 2006, prosegue  il  giudice  a
quo,  l'Amministrazione  competente   ha   respinto   detta   istanza
sull'assunto che, «ai sensi dell'art. 42, comma 2, del d.lgs. n.  443
del 1992, il personale dispensato dal  servizio  per  infermita'  non
puo' essere riammesso». 
    Il collegio rimettente precisa che l'istante ha quindi  reiterato
la richiesta di  riammissione  nel  ruolo  di  provenienza  -  previo
annullamento del citato provvedimento di  rigetto  -  richiamando  al
riguardo la sentenza della Corte costituzionale n.  3  del  1994,  la
quale avrebbe sancito «l'inoperativita' della richiamata disposizione
quando la dispensa dal servizio sia avvenuta per motivi di  salute  e
l'infermita'  sia  successivamente  venuta  meno».  L'Amministrazione
penitenziaria, riferisce ancora il TAR del  Lazio,  con  nota  dell'8
agosto 2008, ha rigettato tale ulteriore istanza sulla  base,  questa
volta, dell'art. 80 del d.lgs. n. 443 del 1992, in base al quale  non
potrebbe «essere riammesso nel  ruolo  di  provenienza  il  personale
trasferito, a domanda, nelle corrispondenti qualifiche di altri ruoli
dell'Amministrazione penitenziaria o di altre  amministrazioni  dello
Stato, perche' giudicato assolutamente inidoneo per motivi di  salute
[...]». 
    Con il ricorso oggetto del giudizio a quo,  precisa  il  collegio
rimettente, e' stato chiesto l'annullamento del citato  provvedimento
di rigetto in data 8 agosto 2008 e, per l'effetto,  la  «riammissione
al servizio, nonche' la condanna dell'Amministrazione  intimata  alla
corresponsione,  in   favore   del   ricorrente,   delle   differenze
retributive dallo stesso maturate, a  far  corso  dalla  proposizione
dell'ultima istanza rigettata, in ragione della mancata  riammissione
in servizio nel Corpo di  Polizia  penitenziaria  e  dello  speculare
mantenimento nel ruolo amministrativo e nella qualifica di "operatore
amministrativo B2"». 
    Nell'ordinanza  di  rimessione  si  evidenzia  che   le   censure
formulate dal ricorrente - in  termini  di  «eccesso  di  potere  per
difetto assoluto e/o contraddittorieta' di motivazione» - si  fondano
sul presupposto  secondo  cui  sarebbe  possibile  un'interpretazione
dell'art. 80 del d.lgs. n. 443 del 1992 che  consenta,  nel  caso  di
intervenuta guarigione, «la riammissione nel ruolo di provenienza del
dipendente, transitato, per motivi di salute, in  altri  ruoli  della
medesima Amministrazione» o in  altre  amministrazioni  dello  Stato;
cio',  in  particolare,  a  seguito  della   sentenza   della   Corte
costituzionale n. 3 del 1994  che  ha  dichiarato  la  illegittimita'
costituzionale dell'art. 132 del d.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3  (Testo
unico delle  disposizioni  concernenti  lo  statuto  degli  impiegati
civili  dello  Stato),  «laddove  non  consente  la  riammissione  in
servizio quando la  dispensa  e'  avvenuta  per  motivi  di  salute»,
nonche' di «pronunce dei giudici di merito  che  avrebbero  esaminato
disposizioni sostanzialmente identiche». 
    2. -  Ad  avviso  del  collegio  rimettente,  invece,  il  tenore
letterale dell'art. 80 del d.lgs. n. 443 del 1992, secondo  il  quale
«il personale di cui ai commi 1, 3 e 5  dell'articolo  75»  -  quello
appunto, spiega il TAR del  Lazio,  «inidoneo  al  servizio  in  modo
assoluto o comunque affetto da patologia dipendente o meno  da  causa
di servizio»  -,  «trasferito  ad  altri  ruoli  dell'Amministrazione
penitenziaria o ad altre amministrazioni dello Stato, non puo' essere
riammesso nel ruolo di provenienza», non consentirebbe di attribuirvi
il significato auspicato dal ricorrente. 
    Inoltre, evidenzia il TAR del Lazio, la sentenza n.  3  del  1994
della Corte costituzionale, invocata dal ricorrente  a  sostegno  del
proprio diritto alla riammissione nel ruolo  di  provenienza,  avendo
dichiarato «la illegittimita' costituzionale dell'art. 132 del  d.P.R
n. 3 del 1957, nella parte in  cui  non  comprende  la  dispensa  dal
servizio per motivi di salute tra le fattispecie  di  cessazione  del
rapporto di impiego in ordine alle quali e' possibile la riammissione
in servizio», riguarderebbe un'ipotesi del tutto differente da quella
oggetto del giudizio  a  quo:  infatti,  «nel  caso  investito  dalla
menzionata  pronuncia  del  giudice  delle  leggi  la   riammissione»
conseguirebbe «all'avvenuta cessazione del rapporto di impiego»,  per
cui essa sarebbe «funzionale ad assicurare l'esercizio di una qualche
attivita' lavorativa»,  mentre  in  quello  oggetto  del  ricorso  la
reintegrazione si riferirebbe «ad un  soggetto  che  gia'  svolga  un
lavoro, sebbene diverso da quello iniziale, a causa  della  patologia
che ne  ha  comportato  il  transito  in  altri  ruoli  della  stessa
Amministrazione o in altre amministrazioni, e che  aspiri  a  tornare
all'attivita' originaria». 
    3. - Il  TAR  del  Lazio  ritiene,  dunque,  di  dover  sollevare
questione di legittimita' costituzionale dell'art. 80 del  d.lgs.  n.
443 del 1992 - «di cui si lamenta la violazione» nel giudizio  a  quo
-, in quanto la norma, «stante  l'impossibilita'  di  attribuirvi  un
significato  ermeneutico  diverso»,  non  consentirebbe   all'odierno
ricorrente «di conseguire la riammissione  nei  ruoli  della  Polizia
penitenziaria, a seguito di  intervenuta  completa  guarigione  della
patologia da cui era affetto e che ne aveva determinato il  transito,
su domanda, nei ruoli civili della medesima Amministrazione». 
    4. - Ad avviso del collegio rimettente, la questione,  oltre  che
rilevante per la decisione del giudizio a quo, sarebbe  altresi'  non
manifestamente infondata, in riferimento agli artt.  2,  3,  4  e  35
Cost. 
    In particolare, posto che l'art. 4 Cost. riconosce «ai  cittadini
[...] il diritto-dovere al lavoro» e che il successivo art. 35  Cost.
stabilisce che lo Stato italiano «tutela il lavoro in  tutte  le  sue
forme ed  applicazioni»,  secondo  il  TAR  del  Lazio,  si  dovrebbe
ritenere che la  tutela  garantita  dalla  Carta  costituzionale  non
andrebbe intesa  «solo  nel  senso  di  riconoscere  il  diritto  del
cittadino a svolgere una  qualche  attivita'  lavorativa,  idonea  al
sostentamento proprio e della propria famiglia, e,  a  tal  fine,  di
approntare  tutti  gli  interventi  possibili   affinche'   cio'   si
verifichi», ma avrebbe una portata piu' ampia come si desumerebbe, in
particolare, dal secondo comma del citato art. 4 Cost.,  secondo  cui
il dovere  del  cittadino  «di  svolgere  [...]  un'attivita'  o  una
funzione che concorra  al  progresso  materiale  o  spirituale  della
societa'» deve avvenire «secondo le proprie possibilita' e la propria
scelta». 
    Infatti, prosegue il collegio rimettente, se si considera che «il
lavoro deve reputarsi quale strumento di esplicazione e realizzazione
della personalita' del lavoratore»  risulterebbe  evidente  che  «ove
invece  si  limitasse  ad  un'attivita'  meramente   strumentale   al
sostentamento», ne deriverebbe la violazione dell'art. 2 Cost.,  «che
riconosce i diritti  inviolabili  dell'uomo,  quale  puo'  senz'altro
considerarsi  quello  ad  un'esistenza  dignitosa  e   soddisfacente,
conseguibile anche grazie alla realizzazione delle proprie attitudini
ed aspirazioni in campo lavorativo». 
    5. - Alla luce di tali considerazioni, a giudizio del rimettente,
«il tassativo divieto  di  riammissione  in  servizio  nel  ruolo  di
provenienza di chi sia transitato, per motivi  di  salute,  in  altri
ruoli  della  stessa  Amministrazione,   com'e'   accaduto   per   il
ricorrente, o in altra amministrazione - ipotesi del tutto  speculare
- quando sia intervenuta la guarigione», operato  dalla  disposizione
censurata, sembrerebbe porsi in contrasto con detti articoli, essendo
venuta  meno  «l'unica  ragione  ostativa  allo   svolgimento   della
precedente attivita' lavorativa». 
    Sotto altro profilo, a parere del Collegio, la  riammissione  nel
ruolo di provenienza, nell'ipotesi in esame, non contrasterebbe  «con
il principio  di  buon  andamento  della  Pubblica  amministrazione»,
sancito dall'art. 97 Cost.,  posto  che,  una  volta  intervenuta  la
guarigione  dalla  patologia  che  era  stata  «l'unica  ragione  del
transito  di  cui  trattasi»,  il   dipendente   dell'Amministrazione
risulterebbe «perfettamente idoneo a svolgere nuovamente  l'attivita'
lavorativa in tale ruolo, per il cui accesso ha  dovuto  sostenere  e
vincere un apposito concorso». 
    Conseguentemente, a giudizio  del  TAR  rimettente,  «la  mancata
riammissione non permette al dipendente, ormai guarito,  di  svolgere
l'attivita' lavorativa conforme alla propria scelta ed  alle  proprie
attitudini e, percio', di realizzarsi», in violazione degli artt.  2,
4 e 35 Cost. 
    6. - Al contempo, osserva sempre il collegio  rimettente,  atteso
che il dipendente, «una volta guarito dalla patologia  ostativa  allo
svolgimento dell'originaria  attivita'  lavorativa»,  riacquisterebbe
«una condizione  di  idoneita',  sotto  ogni  profilo,  ivi  compreso
naturalmente quello fisico, la  mancata  riammissione»  costituirebbe
«un'arbitraria discriminazione nei confronti di quanti, a parita'  di
condizioni,  possano,  invece,   svolgere   la   medesima   attivita'
lavorativa». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio dubita della
legittimita' costituzionale dell'art. 80 del decreto  legislativo  30
ottobre 1992, n. 443 (Ordinamento del personale del Corpo di  polizia
penitenziaria, a norma dell'art. 14, comma 1, della legge 15 dicembre
1992, n. 395), nella parte in cui, in riferimento all'art. 75,  comma
1,  del  d.lgs.  n.  443  del  1992,  «non  consente,  a  seguito  di
intervenuta guarigione, la riammissione nel ruolo di provenienza  del
dipendente, transitato, per motivi di salute, in  altri  ruoli  della
medesima Amministrazione o in altra amministrazione» dello Stato,  in
riferimento agli artt. 2, 3, 4 e 35 della Costituzione. 
    1.1. - Ad avviso del  collegio  rimettente  la  norma  censurata,
vietando, nei casi di trasferimento ad  altro  ruolo  della  medesima
Amministrazione o di  altre  amministrazioni  statali  -  fondati  su
assoluta inidoneita' per motivi di salute, anche dipendente da  causa
di servizio, all'assolvimento dei compiti di istituto (art. 75, comma
1, del d.lgs. n. 443 del 1992) - la riammissione nel posto  di  ruolo
originariamente ricoperto, non permetterebbe al dipendente, una volta
che sia intervenuta  la  guarigione  dalla  patologia  ostativa  allo
svolgimento  dei  compiti  originariamente  assegnati,  «di  svolgere
l'attivita' lavorativa conforme alla propria scelta  e  alle  proprie
attitudini» (in violazione degli artt. 2, 4 e 35 Cost.), determinando
altresi' «un'arbitraria discriminazione nei confronti  di  quanti,  a
parita' di condizioni possano, invece, svolgere la medesima attivita'
lavorativa» (in contrasto con l'art. 3 Cost.). 
    2. - La questione, sotto il profilo della violazione dell'art.  3
Cost., e' fondata. 
    2.1. - Questa Corte con la sentenza n. 3 del 1994 si e'  occupata
dell'istituto della riammissione in servizio previsto dall'art.  132,
comma 1, del  d.P.R.  10  gennaio  1957,  n.  3  (Testo  unico  delle
disposizioni concernenti lo  statuto  degli  impiegati  civili  dello
Stato), dichiarandone la illegittimita' costituzionale nella parte in
cui non comprendeva, tra le fattispecie di cessazione del rapporto di
impiego in  ordine  alle  quali  era  possibile  la  riammissione  in
servizio, la dispensa per motivi di salute. 
    La riammissione nel posto di ruolo  originariamente  ricoperto  a
seguito di trasferimento (richiesta dal dipendente ai sensi dell'art.
75, comma 1, del d.lgs. n. 443 del 1992), espressamente vietata dalla
disposizione  oggi  censurata,   presuppone,   a   differenza   della
riammissione in servizio disciplinata dall'art.  132,  comma  1,  del
d.P.R. n. 3 del 1957, anziche' la pregressa cessazione  del  rapporto
di lavoro (per motivi di salute), la prosecuzione  dello  stesso  sia
pure in una posizione organica diversa da quella originaria. 
    Ebbene,  tale  diversita'   strutturale   fra   le   ipotesi   di
riammissione poste a raffronto se - come osservato anche dal  giudice
a quo - esclude l'implicito  travolgimento  anche  della  fattispecie
normativa in esame ad opera della  citata  decisione,  non  la  rende
tuttavia immune dai vizi di illegittimita' costituzionale prospettati
dal rimettente. 
    Il  divieto  assoluto  di  riammissione  nel   posto   di   ruolo
precedentemente occupato, prescindendo,  cosi'  come  previsto  dalla
disposizione oggi censurata, da qualsivoglia esame di merito circa le
attuali condizioni  di  salute  dell'interessato  e  le  esigenze  di
organico, non puo' ragionevolmente  giustificarsi  in  considerazione
del fatto che la disciplina organizzativa del personale del Corpo  di
Polizia penitenziaria esige un  rigoroso  controllo  del  possesso  e
della conservazione dei requisiti di idoneita' psico-fisici richiesti
per l'assolvimento degli specifici compiti ad esso assegnati. 
    Al riguardo occorre ribadire che anche il trasferimento ad  altro
ruolo della Amministrazione penitenziaria o di altra  amministrazione
dello   Stato,   seppur   attivato   da   una   specifica   richiesta
dell'interessato, risulta sostanzialmente fondato su  una  situazione
(lo stato di inidoneita' all'assolvimento dei compiti di istituto per
motivi di salute) la quale, da un lato, «e'  ovviamente  indipendente
dalla volonta'  dell'interessato  -  per  cui  certamente  esula  dal
provvedimento   una   valutazione    negativa    del    comportamento
dell'impiegato  (e  comunque  qualsiasi  profilo  sanzionatorio)   -¸
dall'altro, non puo' considerarsi in  assoluto  irreversibile,  tanto
piu' alla luce delle odierne cognizioni della scienza medica»  (cosi'
la sentenza n. 3 del 1994). 
    Pertanto, l'aver precluso inderogabilmente,  sulla  base  di  una
presunzione assoluta di irreversibilita' dello stato  di  infermita',
la possibilita' di presentare una istanza di riammissione  nel  posto
di ruolo ricoperto precedentemente  al  trasferimento  richiesto  per
motivi  di  salute,  determina  la  violazione   del   principio   di
uguaglianza, poiche'  sottopone  detti  soggetti  ad  un  trattamento
irragionevolmente deteriore rispetto a quello riservato a coloro che,
a parita'  di  condizioni,  possono,  invece,  svolgere  la  medesima
attivita' lavorativa. 
    Giova ribadire, infine, che, in ogni caso, l'amministrazione, nel
decidere sull'istanza di riammissione, dovra' pur  sempre  «procedere
al  rigoroso  accertamento  dei  requisiti  oggettivi  e   soggettivi
previsti dalla legge», restando comunque titolare di un ampio  potere
discrezionale   nella   valutazione   dell'esistenza   dell'interesse
pubblico all'adozione  del  provvedimento,  in  considerazione  delle
proprie complessive  esigenze,  anche  di  organico,  sussistenti  al
momento della presentazione della domanda medesima. 
    2.2. - Conseguentemente deve essere dichiarata la  illegittimita'
costituzionale dell'art. 80 del d.lgs. n. 443 del 1992,  nella  parte
in cui, in riferimento all'ipotesi di cui all'art. 75, comma  1,  del
d.lgs. n. 443 del 1992 - e  cioe'  del  dipendente  transitato  nelle
corrispondenti  qualifiche  di  altri  ruoli  della   Amministrazione
penitenziaria  o  di  altre  amministrazioni  dello  Stato,   perche'
giudicato  assolutamente  inidoneo  per  motivi  di   salute,   anche
conseguenti a causa di  servizio,  all'assolvimento  dei  compiti  di
istituto - non prevede la possibilita', per il dipendente stesso  che
sia  successivamente  guarito,   di   presentare   una   istanza   di
riammissione nel ruolo di provenienza. 
    3. - Restano assorbiti i profili di censura relativi  agli  artt.
2, 4, e 35 Cost.