Sentenza 
 
nei giudizi  di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  637,  terzo
comma, del  codice  di  procedura  civile  promossi  dalla  Corte  di
cassazione, con due ordinanze del 30 gennaio 2009,  iscritte  ai  nn.
155 e 156 del registro ordinanze 2009  e  pubblicate  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 22, 1ª serie speciale, dell'anno 2009. 
    Visti gli atti di costituzione di L. E. e L. F., della A. S. Roma
s.p.a. nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio  dei
ministri; 
    udito nell'udienza  pubblica  del  12  gennaio  2010  il  giudice
relatore Alessandro Criscuolo; 
    uditi gli avvocati Carmine Punzi e Roberto Poli per L.  E.  e  L.
F., Antonio Briguglio e Francesca Rolla per la A. S.  Roma  s.p.a.  e
l'avvocato dello  Stato  Giustina  Noviello  per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - La Corte di cassazione, con due ordinanze di analogo  tenore
(r.o.  n.  155  e  n.  156  del  2009),  ha  sollevato  questione  di
legittimita'  costituzionale,  in  riferimento   all'art.   3   della
Costituzione, dell'art. 637, terzo comma,  del  codice  di  procedura
civile, nella parte in  cui,  stabilendo  che  gli  avvocati  possono
altresi' proporre domanda  d'ingiunzione  nei  confronti  dei  propri
clienti al giudice competente per valore del luogo in cui ha sede  il
Consiglio dell'ordine degli avvocati, al cui albo  sono  iscritti  al
momento   di   proposizione   della   domanda   stessa,   attribuisce
esclusivamente a tali professionisti la possibilita' di scegliere  un
foro facoltativo in alternativa a quelli di cui agli artt. 18,  19  e
20 cod. proc. civ. 
    2.  -  La  Corte  rimettente  premette  di  essere   chiamata   a
pronunciare in due giudizi d'impugnazione per regolamento  necessario
di competenza, promossi  dagli  avvocati  E.  e  F.  L.  avverso  due
sentenze emesse dal Tribunale di Milano, depositate il 5 luglio 2007,
con le quali il detto Tribunale, in  accoglimento  delle  opposizioni
proposte dalla A. S. Roma s.p.a. avverso due decreti  ingiuntivi  per
il  pagamento  di  compensi  professionali  chiesti  dai   menzionati
avvocati, ha dichiarato la propria incompetenza per territorio  e  la
nullita' dei decreti. 
    Infatti, secondo il Giudice milanese, competente a conoscere  dei
ricorsi per decreto ingiuntivo sarebbe stato il  Tribunale  di  Roma,
sul rilievo che, per le cause aventi ad oggetto  il  pagamento  degli
onorari dei professionisti, il codice prevede il foro  del  luogo  in
cui ha sede il Consiglio dell'ordine al quale i professionisti stessi
sono iscritti al momento della scadenza della  prestazione,  e  nella
specie  l'avv.  E.  L.,  in  quel   momento,   aveva   il   domicilio
professionale in Roma ed ivi aveva sede  la  banca  presso  la  quale
dovevano  affluire  i  pagamenti   dei   corrispettivi   dovuti   per
l'attivita' professionale (ordinanza n. 155 del 2009); e sul  rilievo
che, nel caso in esame, trovano  applicazione  le  norme  regolatrici
della competenza per territorio in materia di obbligazioni aventi  ad
oggetto  il  pagamento  di  somme  di  denaro,  che   devono   essere
corrisposte nel luogo in cui il creditore ha il domicilio al  momento
della scadenza, e  l'avv.  F.  L.,  al  momento  della  richiesta  di
pagamento della parcella (anno 2000), era residente in  Roma  ed  ivi
aveva il domicilio (ordinanza n. 156 del 2009). 
    2.1. - La Corte rimettente  prosegue  rilevando  che,  con  unico
motivo, l'avv. E. L., denunciando violazione ed  omessa  applicazione
dell'art.  637,  terzo  comma,  cod.  proc.  civ.,  nonche'  vizi  di
motivazione, censura la decisione impugnata lamentando che essa,  nel
dichiarare l'incompetenza territoriale del giudice  adito  per  esser
competente il Tribunale di Roma, ha posto a base della decisione  una
lettura  della   suddetta   norma   non   corrispondente   alla   sua
formulazione, avendo individuato il foro competente  con  riferimento
al luogo in cui ha sede il Consiglio dell'ordine al quale  l'avvocato
e' iscritto al momento  della  scadenza  della  prestazione  e  cosi'
richiamando una nozione non prevista dalla norma stessa.  Invece,  ad
avviso del ricorrente, la disposizione stabilisce,  in  favore  degli
avvocati nei rapporti con i propri clienti relativi  ai  crediti  per
prestazioni professionali, un  foro  alternativo  e  concorrente  con
quelli di cui agli artt. 18, 19 e 20  cod.  proc.  civ.,  attribuendo
rilevanza al luogo nel quale ha sede il Consiglio dell'ordine cui  il
legale e' iscritto quando presenta il ricorso per decreto ingiuntivo.
Cio' perche' la disposizione ha inteso  prevedere  che  il  tribunale
competente a decidere sul ricorso per decreto ingiuntivo  sia  quello
presso il quale ha sede il Consiglio dell'ordine che ha formulato  il
parere di congruita' sulla parcella professionale. 
    Pertanto, nella specie la competenza sarebbe stata del  Tribunale
di  Milano,  in  quanto  il  ricorrente  era  iscritto  al  Consiglio
dell'ordine milanese al momento della proposizione  del  ricorso  per
decreto ingiuntivo; in via subordinata, si sarebbe comunque  radicata
la competenza del detto Tribunale, anche con riferimento al  disposto
dell'articolo   1182   codice    civile,    perche'    la    scadenza
dell'obbligazione  relativa  al  compenso  dovuto  al  professionista
legale  si  determina  quando  essa  si  concretizza  attraverso   la
liquidazione compiuta con il parere di congruita' e  in  quell'epoca,
cioe'  nel  2005,  l'avvocato  E.  L.  era  iscritto   al   Consiglio
dell'ordine di Milano. 
    2.2. - L'avv. F. L.,  a  sua  volta,  denunciando  violazione  ed
omessa applicazione dell'art. 637,  terzo  comma,  cod.  proc.  civ.,
nonche' vizi di motivazione, censura  la  statuizione  del  Tribunale
adducendo che, nel dichiarare la propria incompetenza per  territorio
per essere competente il Tribunale di Roma, essa ha  fatto  esclusivo
riferimento all'art. 1182, terzo  comma,  cod.  civ.,  senza  neppure
prendere in esame l'art. 637, terzo comma, cod. proc. civ.,  in  base
al quale egli ha agito con il ricorso per decreto ingiuntivo. Per  il
resto, il ricorrente  svolge  argomenti  analoghi  a  quelli  esposti
dall'avv. E. L. 
    3. - La Corte di cassazione aggiunge che la societa'  resistente,
in via preliminare, ha eccepito l'inammissibilita' dei regolamenti di
cui all'art. 42  cod.  proc.  civ.,  assumendo  che  i  provvedimenti
impugnati non potrebbero qualificarsi come sentenze sulla competenza.
Essa  ha  sostenuto,  poi,  l'esattezza  delle  decisioni  impugnate,
osservando che l'art. 637, terzo  comma,  cod.  proc.  civ.  dovrebbe
essere interpretato alla luce dei criteri  di  cui  all'art.  20  del
detto codice, individuando il Consiglio dell'ordine  (cui  lo  stesso
art. 637 si riferisce) in quello cui il professionista  era  iscritto
al momento della scadenza dell'obbligazione. D'altra parte, ad avviso
della resistente, avuto riguardo alla  modifica  legislativa  operata
con la legge 21 dicembre 1999, n. 526 (Disposizioni per l'adempimento
di obblighi derivanti dall'appartenenza  dell'Italia  alle  Comunita'
europee - Legge comunitaria 1999), si  imporrebbe  un'interpretazione
costituzionalmente  orientata  del  citato  art.  637,  terzo  comma.
Infatti, la sentenza di questa Corte n. 137 del 1975, nel  dichiarare
non fondata la  questione  di  legittimita'  costituzionale  di  tale
norma, aveva posto in evidenza che, secondo  la  normativa  all'epoca
vigente, gli avvocati erano obbligati a fissare  la  residenza  nella
circoscrizione del Tribunale dove aveva sede il Consiglio dell'ordine
nel cui albo erano iscritti, obbligo venuto meno  per  effetto  della
menzionata modifica legislativa. 
    La Corte di cassazione riferisce che la societa' resistente,  per
l'ipotesi in cui  l'interpretazione  da  essa  propugnata  non  fosse
condivisa, ha eccepito l'illegittimita' costituzionale della norma in
esame, per contrasto con gli artt. 3 e 25  Cost.,  rilevando:  1)  la
disparita'  di   trattamento   rispetto   ad   altre   categorie   di
professionisti,  per  l'ingiustificato  privilegio  attribuito   agli
avvocati che, per il recupero dei crediti  professionali,  potrebbero
cambiare senza particolari difficolta' il  Consiglio  dell'ordine  di
appartenenza, al solo fine d'introdurre il giudizio contro  i  propri
clienti presso un foro ritenuto piu' favorevole; 2)  sarebbe  rimessa
al mero arbitrio dell'attore la scelta  del  giudice  competente,  in
violazione del precetto costituzionale relativo al giudice  naturale,
come appunto nella specie sarebbe avvenuto. 
    4. - Poste le  suddette  premesse,  la  Corte  di  cassazione  ha
ritenuto, in primo luogo, che le due istanze di  regolamento  fossero
ammissibili, perche' la sentenza con la quale  -  come  nel  caso  in
esame - il giudice dell'opposizione a decreto ingiuntivo dichiari  la
nullita' del provvedimento opposto  esclusivamente  per  incompetenza
del  giudice  che  lo  ha  emesso,  integra  una  statuizione   sulla
competenza e non una pronuncia sul merito, essendo  la  dichiarazione
di nullita' non soltanto conseguente, ma  anche  necessaria  rispetto
alla declaratoria d'incompetenza. 
    Essa, poi, ha considerato erronea la tesi del Tribunale,  secondo
cui, ai sensi dell'art. 637 cod. proc. civ., nelle  cause  aventi  ad
oggetto il pagamento degli  onorari  degli  avvocati,  la  competenza
spetterebbe al  giudice  del  luogo  in  cui  ha  sede  il  Consiglio
dell'ordine presso il quale i professionisti sono iscritti al momento
della scadenza della prestazione. Infatti, detta norma  non  contiene
alcun riferimento a tale scadenza o, in generale, ai criteri indicati
dagli artt. 20 cod. proc. civ. e 1182  cod.  civ.  In  base  al  dato
normativo, non soltanto sarebbe ingiustificato  non  identificare  il
Consiglio dell'ordine, in relazione al quale si determina il  giudice
competente, in quello cui il legale e' iscritto "attualmente",  cioe'
con riferimento al momento della proposizione del ricorso, ma sarebbe
arbitrario appellarsi a criteri  di  collegamento  non  previsti  dal
legislatore. 
    Ne' l'interpretazione formulata dal  Tribunale  potrebbe  trovare
conferma nella citata sentenza di  questa  Corte,  perche'  essa  non
contiene alcun riferimento alla scadenza dell'obbligazione. 
    Del resto, l'interpretazione letterale del citato articolo  trova
conferma nella sua ratio ispiratrice, che e' quella di  agevolare  il
professionista, altrimenti costretto a seguire le cause  relative  al
recupero dei crediti professionali in luoghi diversi da quello in cui
ha stabilito l'organizzazione della propria attivita' professionale. 
    5. - La Corte rimettente, tuttavia, ritiene che l'interpretazione
dell'art. 637, terzo comma, cod. proc. civ., sopra  formulata,  ponga
dubbi di legittimita' costituzionale in relazione all'art. 3 Cost. 
    In primo luogo, essa considera la  questione  rilevante  perche',
quando proposero i  ricorsi  per  decreto  ingiuntivo,  entrambi  gli
avvocati erano iscritti al Consiglio dell'ordine di Milano, mentre al
momento in cui era cessata l'attivita' difensiva,  svolta  in  favore
della societa' resistente, erano iscritti  al  Consiglio  dell'ordine
degli avvocati di Roma e in quella citta' avevano la residenza  e  il
domicilio. Pertanto, ai sensi dell'art. 637, terzo comma, cod.  proc.
civ., in base all'interpretazione prima accolta,  la  competenza  per
territorio  si  era  radicata  presso   il   Tribunale   di   Milano,
dichiaratosi erroneamente incompetente, sicche' le censure mosse  con
i regolamenti di competenza sarebbero meritevoli di accoglimento. 
    La Corte di cassazione, inoltre, ritiene che la questione non sia
manifestamente infondata. 
    Richiamato il contenuto della sentenza di questa Corte n. 137 del
1975, la rimettente osserva che, secondo la  normativa  all'epoca  in
vigore, l'art. 17 del regio decreto-legge del 27  novembre  1933,  n.
1578 (Ordinamento delle professioni di avvocato  e  di  procuratore),
convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio  1934,  n.  36,
nel prescrivere i requisiti per l'iscrizione nell'albo professionale,
stabiliva al n. 7 che i professionisti dovevano  avere  la  residenza
nel capoluogo del circondario nel  quale  si  chiedeva  l'iscrizione.
Contrariamente  a  quanto  sostenuto   dai   ricorrenti,   la   Corte
costituzionale ritenne giustificata  la  previsione  a  favore  degli
avvocati  di  un  foro  speciale  per   il   recupero   dei   crediti
professionali, in deroga ai criteri generali di competenza, anche  in
considerazione dell'obbligo di fissare la residenza  nella  localita'
sede del Consiglio dell'ordine presso il quale erano  iscritti.  Tale
considerazione non era stata affatto incidentale o marginale ai  fini
della decisione, tanto da indurre la Corte a  porre  in  rilievo  che
proprio nel luogo in cui avevano stabilito la residenza gli  avvocati
erano portati  ad  organizzare  adeguatamente  la  propria  attivita'
professionale. 
    Ad avviso della rimettente, la questione ora si pone  in  termini
diversi rispetto a quelli esaminati dalla Corte costituzionale, avuto
riguardo alle modifiche normative attuate prima con l'art.  16  della
legge n. 526 del 1999, poi con l'art. 18 della legge 3 febbraio 2003,
n.  14  (Disposizioni  per  l'adempimento   di   obblighi   derivanti
dall'appartenenza  dell'Italia  alle  Comunita'   europee   -   Legge
comunitaria 2002). Sulla  base  della  disciplina  vigente,  infatti,
l'iscrizione all'albo e' svincolata dalla residenza,  nel  senso  che
l'avvocato puo' iscriversi ad un Consiglio dell'ordine con sede in un
luogo in cui abbia fissato il  domicilio  professionale,  pur  avendo
stabilito altrove la  propria  residenza.  E,  benche'  il  domicilio
professionale  costituisca  il   centro   principale   dell'attivita'
professionale, non puo' non assumere rilievo la circostanza che  esso
puo' non coincidere con la residenza, che s'identifica con l'abituale
e volontaria dimora nel luogo in cui la persona ha  fissato  la  sede
delle relazioni sociali e familiari. 
    Orbene, la norma de qua era stata formulata sul  presupposto  che
l'avvocato avesse l'obbligo di stabilire la residenza  nel  luogo  in
cui aveva sede  il  Consiglio  dell'ordine  cui  chiedeva  di  essere
iscritto. L'esclusione di tale obbligo, ad avviso  della  rimettente,
induce a ritenere che sia venuta meno la ratio ispiratrice  dell'art.
637, terzo comma,  cod.  proc.  civ.  che,  avendo  la  finalita'  di
agevolare il professionista per consentirgli di concentrare le  cause
nei confronti dei clienti nel luogo in cui aveva l'obbligo di fissare
la sede principale dei  propri  interessi,  aveva  previsto  un  foro
speciale con riferimento alla sede del Consiglio al quale  l'avvocato
era iscritto. 
    In questo quadro, la detta disposizione appare in  contrasto  con
il principio di parita' di trattamento e di  ragionevolezza  (art.  3
Cost.), in quanto  attribuisce  una  posizione  privilegiata  ad  una
determinata categoria professionale, rispetto agli altri cittadini  e
ad altre categorie professionali, in assenza di ragioni oggettive che
possano giustificare tale scelta. 
    Invero, l'ampiezza e l'incidenza della tutela  giurisdizionale  a
favore degli avvocati «avviene con discriminazione in danno dei  loro
clienti che si vedono convenuti presso  un  foro  diverso  da  quello
previsto in base agli ordinari criteri dettati per la generalita' dei
consociati».   La   norma   attribuisce   esclusivamente    a    tali
professionisti la possibilita' di scegliere  un  foro  alternativo  a
quelli contemplati in via generale dagli artt. 18, 19 e 20 cod. proc.
civ., il che puo' tradursi in un  danno  per  i  clienti  stessi.  La
disposizione, inoltre, realizza una  disparita'  di  trattamento  nei
confronti di altre  categorie  professionali,  in  quanto  la  scelta
operata  dal  legislatore  si  rivela  arbitraria  ed  irragionevole,
perche'  la  disciplina  che  regola  l'accesso  e  le  modalita'  di
svolgimento della professione legale non e' tale da  giustificare  il
diverso trattamento riservato ad altre figure professionali, che pure
si trovano sottoposte a particolari condizioni e modalita'  stabilite
per l'accesso e lo svolgimento della professione. 
    6. - Gli avvocati E. e F. L.  si  sono  costituiti  con  separate
memorie, depositate il 23 giugno 2009, sostenendo  che  la  questione
sarebbe improponibile e,  comunque,  non  adeguatamente  motivata  in
ordine alla rilevanza. 
    Premesso che la norma censurata  contiene  due  proposizioni,  la
prima relativa agli avvocati e la seconda ai notai, in  relazione  al
disposto dell'art. 633, n. 3, cod. proc. civ., che si riferisce pero'
anche «ad altri esercenti una libera professione o arte, per la quale
esiste  una  tariffa  legalmente  approvata»,  i  due  professionisti
sostengono che la Corte rimettente avrebbe dovuto accertare se in via
interpretativa, in base alla lettura coordinata degli artt.  633,  n.
3, e 637, terzo comma, seconda parte, cod. proc. civ., la particolare
facolta' prevista da tale norma non debba essere  riconosciuta  anche
agli altri esercenti professioni o arti (con tariffa legale), per  la
loro riconosciuta equiparazione ai notai ai sensi del precedente art.
633, n. 3, accertamento non compiuto dal giudice a quo  ad  onta  del
suo carattere essenziale. 
    In ogni caso, la questione di legittimita' costituzionale avrebbe
dovuto riguardare non la prima, ma la seconda proposizione  dell'art.
637, terzo comma, cod. proc. civ., cioe' quella relativa ai  notai  e
si sarebbe dovuta porre in relazione alla detta norma «in quanto  non
prevede il riconoscimento della stessa facolta' agli altri  esercenti
arti o professioni con tariffa legale» rispetto ai  notai,  ai  quali
essi sono sostanzialmente equiparati dal precedente art. 633, n. 3. 
    Ferma la detta eccezione, i deducenti sostengono che la questione
di legittimita' costituzionale qui sollevata e' gia' stata  esaminata
da questa Corte con la citata sentenza n.  137  del  1975,  che  l'ha
dichiarata non fondata sulla  base  di  una  valutazione  sostanziale
della  posizione  dei  professionisti  avvocati  e   delle   relative
peculiarita'. Il richiamo alla circostanza che in quell'epoca la sede
del legale dovesse coincidere con la residenza  anagrafica  ha  avuto
carattere soltanto incidentale, sicche' e' da escludere che il  venir
meno di quel requisito possa oggi condurre ad una decisione di  segno
opposto. 
    Invero, la ratio della norma, individuata dalle stesse  ordinanze
di rimessione, e' quella di agevolare il professionista, che  sarebbe
altrimenti costretto a seguire le cause relative  ai  propri  crediti
professionali in  luoghi  diversi  da  quello  in  cui  ha  stabilito
l'organizzazione della propria  attivita'.  Orbene,  all'epoca  della
precedente sentenza ed anche attualmente, il domicilio professionale,
in relazione al quale si determina l'Ordine d'iscrizione, rappresenta
il  centro  principale  dell'attivita'  professionale,  onde  a  tale
elemento  si  deve  fare  riferimento  per  individuare  l'Ordine  di
appartenenza. In tal senso il richiamo contenuto  nella  sentenza  n.
137  del  1975  al  requisito  della   residenza   assume   carattere
incidentale, mentre di particolare rilievo e' il dato costituito  dal
riconoscimento, da parte del  Consiglio  dell'ordine,  dell'esistenza
del  domicilio  professionale,  sulla  cui  base  l'iscrizione  viene
effettuata, con il conseguente controllo deontologico che si esercita
in sede di approvazione della parcella. 
    I deducenti osservano ancora che, nella  parte  conclusiva  della
propria ordinanza,  la  Corte  di  cassazione  solleva  la  questione
soltanto con riferimento alla disparita' di trattamento per gli altri
professionisti rispetto  agli  avvocati.  Nel  testo  dell'ordinanza,
peraltro,  si  rinvengono  anche   considerazioni   nel   senso   che
«l'ampiezza e l'incidenza della tutela giurisdizionale posta a favore
degli avvocati avviene con discriminazione in danno dei loro  clienti
che si vedono convenuti presso un foro diverso da quello previsto  in
base  agli  ordinari  criteri  dettati   per   la   generalita'   dei
consociati». Tale prospettazione, a parte la sua inammissibilita'  in
quanto  non  effettivamente  sollevata   in   sede   di   dispositivo
dell'ordinanza, sarebbe del tutto infondata  in  relazione  a  quanto
gia' rilevato da questa Corte nella sentenza  n.  137  del  1975,  la
quale escluse che la facolta' attribuita agli  avvocati  dalla  norma
censurata  potesse  essere   qualificata   come   un   ingiustificato
privilegio, definendola invece come una  razionale  agevolazione  per
una categoria di lavoratori autonomi. 
    7. - Anche la A. S. Roma s.p.a., in persona del Presidente, si e'
costituita  con  distinte  memorie  depositate  il   1°giugno   2009,
chiedendo  che   sia   dichiarata   l'illegittimita'   costituzionale
dell'art. 637, terzo comma, cod. proc. civ., in riferimento  all'art.
3 Cost. 
    La societa', richiamando a sua volta la sentenza gia' citata,  si
riporta agli  argomenti  svolti  nell'ordinanza  di  rimessione,  che
condivide.  Rileva,  poi,  un  ulteriore  profilo  di  illegittimita'
costituzionale della  norma  censurata,  in  relazione  al  combinato
disposto degli artt. 25 e 3 Cost. 
    Infatti, venuto meno, per gli avvocati,  l'obbligo  di  avere  la
residenza nella  circoscrizione  del  Tribunale  nel  cui  albo  sono
iscritti,  al  professionista  sarebbe  data   la   possibilita'   di
determinare arbitrariamente il foro competente (quello dell'ordine al
quale egli e' iscritto al momento della proposizione del ricorso  per
ingiunzione) mediante il semplice trasferimento del proprio domicilio
professionale e, dunque, del Consiglio dell'ordine  di  appartenenza.
Tale trasferimento sarebbe ben piu'  agevole  che  non  quello  della
residenza e, come emergerebbe anche dai fatti dei giudizi principali,
effettuabile perfino nell'imminenza dell'istanza monitoria e  percio'
ad essa direttamente preordinabile. 
    Sotto   questo   profilo,    una    delle    possibili    letture
costituzionalmente orientate della  norma  censurata  sarebbe  quella
proposta  dalla  societa'  nei  procedimenti   per   regolamento   di
competenza,  consistente  nel  collegare  l'individuazione  del  foro
competente per il decreto ingiuntivo con il luogo  dove  ha  sede  il
Consiglio dell'ordine presso cui l'avvocato e' iscritto al  tempo  in
cui e' stata  resa  la  prestazione  da  cui  scaturisce  il  credito
azionato. 
    8. - Nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  promosso  con
l'ordinanza n. 156 del 2009, ha spiegato intervento il Presidente del
Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso   dall'Avvocatura
generale dello Stato. 
    Dopo avere rilevato che la Corte di cassazione  ha  sollevato  la
questione con esclusivo riferimento al parametro di  cui  all'art.  3
Cost., la difesa erariale osserva che la norma censurata prevede,  in
deroga ai criteri generali stabiliti in  materia  di  competenza  per
territorio dagli  artt.  18,  19  e  20  cod.  proc.  civ.,  un  foro
concorrente e facoltativo, a favore della  categoria  degli  avvocati
che azionano il procedimento monitorio per il  recupero  dei  crediti
professionali nei confronti dei propri clienti. 
    Richiamati gli argomenti  svolti  nell'ordinanza  di  rimessione,
l'Avvocatura generale dello Stato reputa la questione  manifestamente
infondata. 
    Al riguardo, prende le mosse dalla sentenza di  questa  Corte  n.
137 del  1975,  riportandone  i  contenuti  che  hanno  escluso  ogni
violazione  del  principio  di  uguaglianza.  Rileva  che  la   Corte
rimettente ha ritenuto che la questione si ponga ora in  termini  del
tutto  diversi,  attribuendo  rilievo  decisivo  ed  assorbente  alla
intervenuta modifica in tema di obbligo  di  residenza  dell'avvocato
nella circoscrizione del  tribunale  nel  cui  albo  l'iscrizione  e'
domandata, obbligo venuto meno per effetto della modifica di cui alla
legge n. 526 del 1999. 
    Ad avviso  della  difesa  erariale,  una  lettura  attenta  della
sentenza n. 137 del 1975 mette in  evidenza  il  carattere  residuale
della argomentazione  fondata  sull'obbligo  di  residenza,  sicche',
prescindendo dalla sussistenza o meno di un  obbligo  di  fissare  la
residenza nella  circoscrizione  del  Tribunale,  nel  cui  albo  gli
avvocati sono iscritti, per escludere una situazione di disparita' di
trattamento rispetto agli altri lavoratori autonomi assume rilievo la
particolare  disciplina  che  regola  l'accesso,  le   modalita'   di
svolgimento della prestazione e la relativa remunerazione. 
    Inoltre, l'interpretazione della normativa professionale in  tema
di obbligo di residenza e iscrizione all'Ordine, addotta dalla  Corte
di  cassazione   a   sostegno   della   questione   di   legittimita'
costituzionale, non sarebbe corretta. Invero, elemento rilevante  per
l'individuazione dell'Ordine di appartenenza sarebbe il  concetto  di
domicilio professionale, in relazione al quale si determina  l'Ordine
d'iscrizione,  costituente  il   centro   principale   dell'attivita'
professionale (art. 43 cod. civ. e  parere  del  Consiglio  nazionale
forense del 27 ottobre 2000, richiamati  nelle  stesse  ordinanze  di
rimessione). 
    Pertanto, la differenza tra la  disciplina  previgente  e  quella
attuale «non e' nel senso che l'Ordine professionale di  appartenenza
dovesse essere quello di residenza anagrafica, ma  al  contrario  nel
senso che, una volta determinato l'Ordine di appartenenza sulla  base
del criterio del domicilio professionale, ai fini dell'iscrizione (in
passato) il  professionista  doveva  nel  suo  ambito  trasferire  la
residenza  anagrafica  al  fine  di  rendere  possibile  la  relativa
iscrizione». 
    Cosi' ricostruito il vero significato del precedente  obbligo  di
residenza, sarebbe a maggior ragione irrilevante l'avvenuta modifica,
con riferimento alla norma denunciata  rispetto  al  parametro  della
ragionevolezza. 
    9. - In prossimita' dell'udienza di discussione le parti  private
hanno depositato memorie, nelle quali sono ripresi e  sviluppati  gli
argomenti da ciascuno addotti. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - La Corte di cassazione, con  le  due  ordinanze  di  analogo
tenore   indicate   in   epigrafe,    dubita    della    legittimita'
costituzionale,  in  riferimento  all'art.  3   della   Costituzione,
dell'art. 637, terzo comma, codice di procedura civile, «nella  parte
in cui, stabilendo che gli avvocati possono altresi' proporre domanda
di ingiunzione nei confronti dei propri clienti al giudice competente
per valore del luogo in cui ha sede il  consiglio  dell'ordine  degli
avvocati al cui albo sono  iscritti  al  momento  della  proposizione
della  domanda  di  ingiunzione,  attribuisce   esclusivamente   agli
avvocati  la  possibilita'  di  scegliere  un  foro  facoltativo   in
alternativa a quelli di cui agli artt. 18, 19 e 20 cod. proc. civ.». 
    La Corte rimettente premette di essere chiamata a pronunciare  in
due giudizi per regolamento necessario di competenza, promossi da due
avvocati  avverso  sentenze  emesse  dal  Tribunale  di  Milano  che,
decidendo due cause di opposizione proposte da una societa'  sportiva
contro altrettanti decreti ingiuntivi, ottenuti  dai  legali  per  il
pagamento di compensi relativi a prestazioni  professionali  da  loro
svolte nell'interesse della  societa'  stessa,  aveva  dichiarato  la
propria incompetenza per territorio e  la  conseguente  nullita'  dei
decreti, ritenendo che la competenza spettasse al Tribunale di Roma. 
    Secondo il Giudice milanese, competente a conoscere  dei  ricorsi
per decreto ingiuntivo sarebbe stato il detto Tribunale di Roma,  sul
rilievo che, per le  cause  aventi  ad  oggetto  il  pagamento  degli
onorari dei professionisti, il codice prevede il foro  del  luogo  in
cui ha sede il Consiglio dell'ordine al quale i professionisti stessi
sono iscritti al momento della scadenza della  prestazione  e,  nella
specie, uno degli avvocati,  in  quel  momento,  aveva  il  domicilio
professionale in Roma ed ivi aveva sede  la  banca  presso  la  quale
dovevano affluire i pagamenti dei corrispettivi dovuti (ordinanza  n.
155 del 2009);  e  sul  rilievo  che,  nel  caso  in  esame,  trovano
applicazione le norme regolatrici della competenza per territorio, in
materia di obbligazioni aventi ad oggetto il pagamento  di  somme  di
denaro che devono essere corrisposte nel luogo in cui il creditore ha
il domicilio al  momento  della  scadenza,  e  l'altro  avvocato,  al
momento della richiesta di pagamento della parcella (anno 2000),  era
residente in Roma ed ivi aveva il domicilio  (ordinanza  n.  156  del
2009). 
    La rimettente prosegue osservando che entrambi  i  professionisti
hanno impugnato le dette  sentenze  con  istanze  di  regolamento  di
competenza, denunziando violazione ed omessa  applicazione  dell'art.
637,  terzo  comma,  cod.  proc.  civ.  Essa,  dopo   aver   ritenuto
ammissibili le istanze di regolamento  (per  le  ragioni  di  cui  in
narrativa), ritiene  rilevante  e  non  manifestamente  infondata  la
questione  di  legittimita'  costituzionale   della   citata   norma,
sollevata dalla societa' resistente. 
    2. - I  due  giudizi  di  legittimita'  costituzionale  hanno  ad
oggetto la medesima questione, relativa all'art.  637,  terzo  comma,
cod. proc. civ., con riferimento allo stesso parametro e  sulla  base
di argomentazioni nella  sostanza  identiche.  Pertanto,  essi  vanno
riuniti e decisi con unica sentenza. 
    3. - La societa' sportiva  ha  sollevato  dubbi  di  legittimita'
costituzionale anche in relazione all'art. 25 Cost. 
    Al riguardo, si deve rilevare che, per giurisprudenza costante di
questa Corte, l'oggetto del  giudizio  di  costituzionalita'  in  via
incidentale e' limitato alle norme ed  ai  parametri  indicati  nelle
ordinanze di rimessione, non potendo essere presi in  considerazione,
oltre i limiti in queste fissati, ulteriori questioni  o  profili  di
costituzionalita' dedotti dalle parti, sia che siano  stati  eccepiti
ma non fatti propri dal giudice a  quo,  sia  che  siano  diretti  ad
ampliare o  modificare  successivamente  il  contenuto  delle  stesse
ordinanze. Sono inammissibili, dunque, e non possono essere prese  in
esame in questa sede, le deduzioni della societa' sportiva dirette ad
estendere il thema decidendum attraverso il  richiamo  dell'ulteriore
parametro costituito dall'art. 25 Cost. (ex plurimis, sentenze n. 236
e 56 del 2009 e n. 86 del 2008; ordinanze n. 174 del 2003  e  n.  379
del 2001). 
    4. - I due  avvocati,  costituiti  con  separate  memorie,  hanno
eccepito che la questione,  «nei  termini  in  cui  e'  prospettata»,
sarebbe improponibile e,  comunque,  non  adeguatamente  motivata  in
ordine alla rilevanza ai fini del giudizio a quo. 
    Infatti, premesso che l'art. 637, terzo comma,  cod.  proc.  civ.
consta di due parti, la prima concernente gli avvocati, in  relazione
alla previsione dell'art. 633, n. 2, di detto  codice  e  la  seconda
concernente i notai, in riferimento alla previsione dell'art. 633, n.
3 (quest'ultima relativa, peraltro, non soltanto ai notai ma anche ad
«altri esercenti una libera professione o arte per  la  quale  esiste
una tariffa legalmente approvata»), essi sostengono: a) che la  Corte
di cassazione,  prima  di  sollevare  la  questione  di  legittimita'
costituzionale, avrebbe dovuto individuare il «diritto vivente  nella
specie rilevante» e, quindi, accertare se in via  interpretativa,  in
base alla lettura coordinata della normativa ora citata, la  facolta'
di cui all'art. 637, terzo comma, cod. proc. civ. non dovesse  essere
riconosciuta anche agli  altri  esercenti  professioni  o  arti  (con
tariffa legale), in base alla loro equiparazione ai  notai  ai  sensi
del precedente art. 633, n. 3; b) qualora tale valutazione  si  fosse
conclusa per l'applicabilita' dell'art. 637, terzo comma, soltanto ai
notai, la questione di  legittimita'  costituzionale  avrebbe  dovuto
riguardare non l'art. 637, terzo comma, prima  parte  (relativo  agli
avvocati), bensi' l'art. 637, terzo comma, seconda parte (relativo ai
notai), e si sarebbe dovuta porre in relazione a detta  norma,  nella
parte in cui «non prevede il  riconoscimento  della  stessa  facolta'
agli altri esercenti arti o professioni con tariffa  legale  rispetto
ai notai». 
    Nella  memoria  depositata  dai  due  professionisti   in   vista
dell'udienza di discussione, poi, si sostiene che, nel caso in esame,
il contrasto riguardava, da un lato, i professionisti  medesimi,  che
intendevano avvalersi della facolta' di scegliere il foro  competente
ai sensi dell'art. 637, terzo comma, cod. proc. civ.,  dall'altro  la
parte  citata  in  giudizio.  In  tale  contesto,  la  questione   di
legittimita' costituzionale in esame sarebbe stata prospettata  sotto
il  profilo  della  disparita'  di  trattamento  rispetto  ad   altre
categorie professionali che non godono dello stesso beneficio. Questa
impostazione,  tuttavia,  sarebbe  illogica  e  contraddittoria,  sia
perche' la questione (in ipotesi) si sarebbe dovuta porre nella parte
in cui la norma  non  concede  il  detto  beneficio  anche  ad  altre
categorie professionali,  sia  perche'  essa  comunque  non  potrebbe
portare ad alcun risultato positivo per la parte che l'ha sollevata. 
    4.1. - Questi argomenti non possono essere condivisi. 
    Il riferimento ai notai e alle altre categorie professionali  non
e' pertinente, perche' nei giudizi di legittimita' costituzionale  di
cui si tratta non vengono in rilievo le posizioni degli uni  o  delle
altre, bensi' quelle degli avvocati, in relazione ai  quali,  dunque,
l'indagine sulla rilevanza della questione deve essere condotta. Tale
indagine e' stata puntualmente  svolta  dalla  rimettente  che,  dopo
avere esposto le ragioni che la inducevano a considerare  erronee  le
sentenze d'incompetenza pronunciate dal Tribunale di Milano, ha posto
in luce che, ai sensi dell'art. 637, terzo comma, cod. proc. civ., le
censure sollevate con i regolamenti  di  competenza  sarebbero  state
fondate. La Corte di cassazione, quindi, deve fare applicazione della
norma  censurata,  sicche'   il   dubbio   sulla   sua   legittimita'
costituzionale e', nella fattispecie, rilevante. 
    Ne deriva che la questione e' ammissibile. 
    5. - Essa, tuttavia, non e' fondata. 
    L'art. 637,  terzo  comma,  cod.  proc.  civ.  dispone  che  «Gli
avvocati o i notai possono altresi'  proporre  domanda  d'ingiunzione
contro i propri clienti al giudice competente per  valore  del  luogo
ove ha sede il consiglio dell'ordine al cui albo sono iscritti  o  il
consiglio notarile dal quale dipendono». 
    La  norma  individua  un  criterio  di  competenza  territoriale,
facoltativa e concorrente con quelli di cui al  primo  e  al  secondo
comma del medesimo articolo. 
    Essa fu gia'  sottoposta  all'esame  di  questa  Corte  che,  con
sentenza n. 137 del 1975, dichiaro' non fondata la relativa questione
di legittimita' costituzionale, all'epoca  sollevata  in  riferimento
agli artt. 3 e 24 Cost. 
    La citata sentenza, per quanto qui rileva, osservo':  a)  che  la
norma censurata riguardava i rapporti professionali tra gli  avvocati
ed i propri clienti, e  non  gli  altri  cittadini  estranei  a  tali
rapporti, i quali non erano avvantaggiati o danneggiati  dalla  norma
medesima; b) che il  dettato  normativo  acquistava  pratico  rilievo
qualora il giudice individuato in base ad esso non fosse  quello  del
luogo di residenza o domicilio dell'intimato, o quello del  luogo  in
cui era sorta o doveva eseguirsi l'obbligazione dedotta in  giudizio,
ai sensi degli artt. 18 e 20 del codice di  rito,  ovvero  «l'ufficio
giudiziario  che  ha  deciso  la  causa  alla  quale  il  credito  si
riferisce» (art. 637, secondo comma, cod. proc. civ., nel  testo  ora
vigente), sicche'  l'ambito  di  applicazione  della  norma  era  ben
contenuto e limitato; c) che gli avvocati, in vista e  per  il  fatto
dell'esercizio della  professione,  erano  in  una  posizione  avente
aspetti di peculiarita' idonei a differenziarli da  quella  di  tutti
gli altri prestatori d'opera intellettuale, in  ordine  al  pagamento
dei compensi loro dovuti  (sentenza  n.  132  del  1974);  d)  che  i
professionisti   legali   dovevano   avere   la    residenza    nella
circoscrizione del tribunale nel cui albo erano iscritti e,  per  far
fronte ad un'esigenza crescente, erano portati ad organizzare in modo
adeguato la loro attivita' di lavoro autonomo; e) che la qualita'  di
avvocato  era  il  riflesso  di  una  disciplina  cui  si  riferivano
interessi pubblici o collettivi e nella quale  concorrevano  coerenti
mezzi e modi di tutela, sicche' essa non  si  prestava  ad  un  esame
analitico ma andava  verificata,  in  sede  di  controllo  della  sua
conformita' a Costituzione, nel suo complesso; f) che, pertanto,  non
si  poteva  prescindere  dall'ampiezza   e   portata   della   tutela
giurisdizionale prevista per i suddetti professionisti, i quali,  per
realizzare le loro pretese patrimoniali nei  confronti  dei  clienti,
potevano adire il magistrato dando vita ad un ordinario  processo  di
cognizione, o chiedendo  l'emissione  di  un  decreto  ingiuntivo,  o
giovandosi della speciale procedura di cui all'art. 28 della legge 13
giugno 1942, n.  794  (Onorari  di  avvocati  e  di  procuratori  per
prestazioni   giudiziali   in   materia   civile),    e    successive
modificazioni,  norma  della   quale   e'   stata   riconosciuta   la
legittimita' costituzionale  (sentenza  n.  22  del  1973);  g)  che,
pertanto, l'attribuzione agli avvocati del  potere  di  scegliere  la
competenza per territorio, in tema di procedimento  per  ingiunzione,
appariva sufficientemente giustificata. 
    Le ordinanze di rimessione prendono le mosse dalla pronunzia  ora
riassunta e rilevano che, secondo la normativa  all'epoca  in  vigore
(art. 17, primo comma, n. 7, regio decreto-legge 27 novembre 1933, n.
1578,  recante  «Ordinamento  delle   professioni   di   avvocato   e
procuratore», convertito, con modificazioni, dalla legge  22  gennaio
1934, n.  36),  gli  avvocati  dovevano  «avere  la  residenza  nella
circoscrizione del tribunale nel cui albo l'iscrizione e' domandata».
Ad avviso della rimettente,  questa  Corte  ritenne  giustificata  la
previsione, a favore degli avvocati,  di  un  foro  speciale  per  il
recupero dei crediti professionali, in deroga a criteri  generali  di
competenza, anche considerando  l'obbligo  di  fissare  la  residenza
nella sede del consiglio dell'ordine presso il quale erano  iscritti.
Tale considerazione avrebbe avuto un ruolo non marginale nella citata
sentenza, in quanto in essa si pose in evidenza che «nel luogo in cui
avevano  stabilito  la  residenza  gli  avvocati  sono   portati   ad
organizzare adeguatamente la propria attivita' professionale». 
    La questione di legittimita' costituzionale della  norma,  pero',
si porrebbe ora in termini diversi, avuto riguardo all'intervento del
legislatore che ha modificato la disciplina. Infatti, con  l'art.  16
della legge 21 dicembre 1999, n. 526 (Disposizioni per  l'adempimento
di obblighi derivanti dall'appartenenza  dell'Italia  alle  Comunita'
europee - Legge  comunitaria  1999),  si  e'  stabilito  che  «Per  i
cittadini  degli  Stati   membri   dell'Unione   europea,   ai   fini
dell'iscrizione o del mantenimento dell'iscrizione in albi, elenchi o
registri, il domicilio professionale e' equiparato  alla  residenza»;
poi, con l'art. 18, comma 2, della  legge  3  febbraio  2003,  n.  14
(Disposizioni    per    l'adempimento    di    obblighi     derivanti
dall'appartenenza  dell'Italia  alle  Comunita'   europee   -   Legge
comunitaria 2002), si e' disposto che «All'art. 17, primo  comma,  n.
7, del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578, convertito, con
modificazioni, dalla legge 22  gennaio  1934,  n.  36,  e  successive
modificazioni, dopo la parola "residenza" sono inserite le  seguenti:
"o il proprio domicilio professionale"». 
    Pertanto - la rimettente  prosegue  -  in  base  alla  disciplina
vigente l'iscrizione all'albo e' svincolata dalla residenza. E, anche
se il domicilio professionale costituisce il centro principale  della
relativa  attivita',  assume  rilievo  la  circostanza  che  esso  (a
prescindere dalla difficolta'  di  verificare  il  luogo  in  cui  il
legale, che puo' aprire studi in piu' sedi, svolga in  prevalenza  la
professione)  puo'  non  coincidere  con  la  residenza,  cioe'   con
l'abituale e volontaria dimora nel luogo in cui la persona ha fissato
la sede delle relazioni  sociali  e  familiari  e  che,  inoltre,  e'
rivelato da elementi obiettivi facilmente accertabili. 
    Tale circostanza,  secondo  la  Corte  di  cassazione,  induce  a
ritenere che sia venuta meno la ratio ispiratrice della  disposizione
censurata,  da  identificare  nella   finalita'   di   agevolare   il
professionista,  il  quale,  in  assenza  di  detta  norma,   sarebbe
costretto a  seguire  le  cause  relative  al  recupero  dei  crediti
professionali in  luoghi  diversi  da  quello  in  cui  ha  stabilito
l'organizzazione della propria attivita'. 
    Pertanto, la norma de qua sarebbe in contrasto con i principii di
parita' di trattamento e di ragionevolezza (art. 3 Cost.), in  quanto
attribuirebbe una posizione privilegiata ad una determinata categoria
professionale rispetto agli altri  cittadini  e  ad  altre  categorie
professionali, non  sussistendo  ormai  ragioni  oggettive  idonee  a
giustificare tale scelta, che si risolverebbe anche in un danno per i
clienti, convenuti presso un foro diverso da quello previsto in  base
agli ordinari criteri dettati per la generalita' dei consociati. 
    Le argomentazioni ora riassunte non possono essere condivise. 
    Come risulta dall'esposizione che precede,  la  Corte  rimettente
individua esattamente la ratio della  norma  censurata,  ravvisandola
nella  finalita'  di  agevolare  l'avvocato,  per   consentirgli   di
concentrare le cause, nei confronti dei clienti, nel luogo in cui  ha
stabilito l'organizzazione  della  propria  attivita'  professionale,
cioe' la sede principale dei propri affari ed interessi. 
    Al riguardo, si deve rilevare che, per costante giurisprudenza di
questa Corte, il legislatore dispone di ampia discrezionalita'  nella
conformazione  degli  istituti  processuali,  e  quindi  anche  nella
determinazione dei criteri attributivi della competenza, con il  solo
limite della manifesta irragionevolezza  delle  scelte  compiute  (ex
plurimis, sentenze n. 221 del 2008; n. 237 del  2007  e  n.  341  del
2006; ordinanze n. 134 del 2009 e n.  318  del  2008).  Nel  caso  in
esame, la suddetta finalita' e' senza dubbio idonea a giustificare il
fondamento della norma e percio' esclude che essa violi il  principio
di ragionevolezza. 
    Contrariamente a quanto ritenuto dalla rimettente, non e'  esatto
che la ratio della disposizione sia venuta  meno  per  effetto  della
modifica introdotta dalla normativa dianzi citata,  e,  segnatamente,
dall'art. 18, comma 2, della legge n. 14 del 2003.  Quella  modifica,
disposta in esecuzione della sentenza della Corte di giustizia  delle
Comunita' europee del  7  marzo  2002  (in  causa  C-145/99),  si  e'
limitata ad inserire nell'art. 17, primo comma,  n.  7,  della  legge
professionale   degli   avvocati,   dopo   la   parola    "residenza"
l'espressione "o il proprio domicilio professionale", rendendo  cosi'
alternativo per l'iscrizione nell'albo, tra gli altri,  il  requisito
soggettivo della residenza o del domicilio professionale. 
    Il detto intervento legislativo si e' reso necessario perche'  la
menzionata sentenza della Corte di giustizia ha ritenuto in contrasto
con l'art. 43 del Trattato CE del 25 marzo 1957 (Trattato  istitutivo
della Comunita' Economica - testo  vigente)  l'obbligo  imposto  agli
avvocati di risiedere  nella  circoscrizione  del  tribunale  da  cui
dipende l'albo al quale essi sono iscritti. Non si  vede,  pero',  in
qual modo tale intervento possa avere  inciso,  fino  ad  escluderla,
sulla ratio  sottesa  alla  norma  censurata,  ne'  le  ordinanze  di
rimessione lo spiegano con chiarezza. 
    Invero, il domicilio professionale - che non di rado coincide con
la residenza - s'identifica con la sede principale  degli  affari  ed
interessi del professionista (art. 43, primo comma,  codice  civile),
cioe'  con  il  luogo  in  cui  egli  esercita  in  modo  stabile   e
continuativo la propria attivita'. Si tratta, quindi, di un  concetto
verificabile sulla base di dati oggettivi  (frequenza  e  continuita'
delle prestazioni erogate,  numero  dei  clienti,  giro  di  affari),
suscettibili dei dovuti controlli ad opera del Consiglio  dell'ordine
competente. Anzi, proprio con riferimento  a  tale  concetto  ben  si
giustifica lo scopo «di  agevolare  il  professionista,  che  sarebbe
invece costretto a seguire le cause relative al recupero dei  crediti
professionali in luogo diverso (o addirittura in luoghi  diversi)  da
quello in cui  egli  avesse  attualmente  stabilito  l'organizzazione
della  propria  attivita'  professionale»  (cosi'  le  ordinanze   di
rimessione). 
    Neppure sotto il  profilo  della  disparita'  di  trattamento  la
questione puo' dirsi fondata. 
    Infatti,  per  quanto  riguarda  il   riferimento   «agli   altri
cittadini» (peraltro evocati in modo del tutto generico), il richiamo
non  e'  pertinente,  perche'  la  previsione  normativa  concerne  i
rapporti professionali tra gli avvocati ed  i  clienti,  sicche'  gli
altri cittadini non ne sono destinatari. 
    In relazione ad altre categorie professionali,  che  non  possono
avvalersi della stessa norma, si deve osservare che ogni  professione
presenta caratteri peculiari idonei a  giustificarne  una  disciplina
giuridica differenziata. Per la  professione  legale  tali  caratteri
sono stati gia' posti in luce con la sentenza di questa Corte n.  137
del 1975. 
    Infine, quanto al rapporto tra l'avvocato e  il  cliente,  se  e'
vero che  la  norma  censurata  attribuisce  al  primo  una  facolta'
processuale ai fini del recupero dei  suoi  crediti  per  prestazioni
professionali, mediante la possibilita' di scegliere un foro che puo'
non  coincidere  con  la  residenza  o  il  domicilio  del   debitore
convenuto, e' anche vero che  tale  facolta'  non  contrasta  con  il
principio di eguaglianza, essendo  essa,  come  gia'  si  e'  notato,
frutto di una scelta non irragionevole del legislatore.