Ordinanza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 6, comma 1, del
decreto legislativo  28  agosto  2000,  n.  274  (Disposizioni  sulla
competenza penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della
legge 24 novembre 1999, n. 468), promosso dal Tribunale di Genova nel
procedimento penale a carico di B. C. con ordinanza del  25  febbraio
2009, iscritta al n. 137 del registro  ordinanze  2009  e  pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 20, 1ª  serie  speciale,
dell'anno 2009. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella camera di consiglio del 27 gennaio  2010  il  Giudice
relatore Giuseppe Frigo. 
    Ritenuto che, con  ordinanza  emessa  il  25  febbraio  2009,  il
Tribunale di Genova, in composizione monocratica,  ha  sollevato,  in
riferimento agli artt.  3  e  97  della  Costituzione,  questione  di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  6,  comma  1,  del   decreto
legislativo 28 agosto 2000, n.  274  (Disposizioni  sulla  competenza
penale del giudice di pace, a norma dell'articolo 14 della  legge  24
novembre 1999, n. 468), nella parte in cui, limitando la  connessione
tra procedimenti di competenza del giudice di pace e procedimenti  di
competenza di altro giudice - e la conseguente deroga alla competenza
per materia che ne deriva - alla sola ipotesi del concorso formale di
reati, esclude che l'istituto operi nel caso di reato continuato; 
        che, ad avviso del giudice a quo, la questione  e'  rilevante
nel giudizio principale: nella specie, sono stati infatti  contestati
all'imputato i reati, uniti dal vincolo della continuazione,  di  cui
agli artt. 582, secondo comma, 594, 610 e 612 del codice penale;  con
la conseguenza che il Tribunale rimettente, competente in rapporto al
solo delitto di cui all'art. 610 cod. pen.,  dovrebbe  dichiarare  la
propria incompetenza per materia rispetto agli altri reati, in quanto
devoluti al giudice di pace; 
        che quanto, poi, alla non manifesta infondatezza, il  giudice
a  quo  assume  che  la  norma  censurata  violi  l'art.   3   Cost.,
determinando  una  irragionevole  disparita'   di   trattamento   fra
l'imputato di piu' reati uniti dal vincolo  della  continuazione,  di
competenza in parte della corte d'assise e in parte del tribunale,  e
l'imputato di piu' reati parimenti esecutivi di un  medesimo  disegno
criminoso, ma di competenza in parte del tribunale  e  in  parte  del
giudice di pace; 
        che nel primo caso, infatti, ai sensi dell'art. 15 cod. proc.
pen., l'imputato sarebbe sottoposto ad un unico giudizio  davanti  al
giudice  superiore;  nel  secondo,  dovrebbe  invece  affrontare  due
distinti giudizi - che resteranno separati anche in grado di appello,
stante la  diversa  competenza  per  il  gravame  -  con  conseguente
«aggravio di spese di difesa e  di  sofferenza»,  e  con  l'ulteriore
effetto che, nell'ipotesi di duplicita' di condanne,  ai  fini  della
valutazione dell'incidenza della continuazione sulla pena complessiva
risulterebbe  necessario  l'intervento  del  giudice  dell'esecuzione
(diverso dal giudice di pace, in base al disposto dell'art. 40, comma
3, del d.lgs. n. 274 del 2000); 
        che la norma impugnata  violerebbe  anche  l'art.  97  Cost.,
provocando un irragionevole aggravio dei costi per  l'amministrazione
della giustizia,  stante  il  maggiore  impegno  richiesto  tanto  ai
giudici  e  ai  magistrati  del  pubblico  ministero  e  ai  relativi
collaboratori, quanto a coloro che  debbano  rendere  deposizione  in
entrambi i giudizi, a cui favore  e'  previsto,  ove  provenienti  da
citta' diverse da quelle in cui ha  sede  l'ufficio  giudiziario,  il
rimborso delle spese di viaggio; 
        che la disposizione denunciata non potrebbe  essere,  d'altro
canto, giustificata ne' con la scelta  legislativa  di  riservare  al
giudice di pace i reati perseguibili a querela, in quanto non tutti i
reati di tal fatta sono ad esso devoluti; ne' con le  sanzioni  ed  i
particolari istituti (quali l'esclusione della punibilita'  nei  casi
di  particolare  tenuita'  del  fatto  e   l'estinzione   del   reato
conseguente a condotte riparatorie) previsti dal d.lgs.  n.  274  del
2000 per i giudizi davanti al giudice  onorario,  giacche',  a  norma
dell'art. 63 del medesimo decreto, tali sanzioni ed istituti  vengono
applicati anche dal giudice  diverso  dal  giudice  di  pace,  quando
giudica reati di competenza di questo; 
        che nel  giudizio  di  costituzionalita'  e'  intervenuto  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione  sia
dichiarata inammissibile o infondata. 
    Considerato che questa Corte, con la sentenza n. 64 del 2009,  ha
gia' dichiarato infondate questioni  di  legittimita'  costituzionale
del tutto analoghe all'attuale, in rapporto ad entrambi  i  parametri
evocati dal giudice a quo; 
        che, nella citata sentenza,  la  Corte  ha  rilevato  che  la
disciplina della competenza per  connessione  -  e,  in  particolare,
l'identificazione dei casi e dei limiti in cui la connessione  stessa
opera  -   appartiene,   nell'ambito   della   ragionevolezza,   alla
discrezionalita' del legislatore, senza che possa ritenersi  imposto,
a pena di illegittimita' costituzionale, alcun criterio prefissato; 
        che   detta   disciplina   e',   infatti,   espressiva    del
contemperamento di esigenze contrapposte, suscettibili di valutazioni
mutevoli nel tempo: da un lato, quella di favorire, creandone uno dei
possibili presupposti, un simultaneus  processus  che  consenta  -  a
fronte di imputazioni collegate da vincoli piu' o meno intensi  -  di
acquisire e  valutare  unitariamente  le  prove,  di  applicare  pene
proporzionate e di prevenire giudicati contraddittori; dall'altro, di
evitare  che  l'accumulo  delle  regiudicande  in  un'unica  sede  si
ripercuota    negativamente    sull'efficacia    e    sulla    durata
dell'accertamento  processuale,  ovvero  comprometta  interessi   che
l'ordinamento considera preminenti, quale, segnatamente,  l'interesse
a preservare la competenza  del  giudice  normalmente  ritenuto  piu'
idoneo a risolvere determinati tipi di controversie; 
        che, nella specie,  la  scelta  fortemente  limitativa  delle
ipotesi di connessione,  operata  dal  legislatore  delegato  con  il
d.lgs. n. 274 del 2000, in attuazione del criterio di delega  di  cui
all'art. 17, lettera  i),  della  legge  24  novembre  1999,  n.  468
(Modifiche alla legge 21 novembre 1991, n. 374,  recante  istituzione
del giudice di pace. Delega  al  Governo  in  materia  di  competenza
penale del giudice di pace e modifica dell'articolo 593 del codice di
procedura penale), rinviene la propria  ratio  -  come  emerge  anche
dalla relazione governativa al decreto - nell'intento di  valorizzare
le peculiarita' della  giurisdizione  penale  del  giudice  di  pace:
giurisdizione che si connota -  oltre  che  per  la  presenza  di  un
autonomo  apparato  sanzionatorio  -  anche  e  soprattutto  per   le
accentuate  particolarita'  del  rito,  le  quali   esaltano   -   in
correlazione alla natura delle fattispecie  criminose  devolute  alla
cognizione del giudice onorario (di ridotta gravita'  ed  espressive,
per lo piu', di conflitti a carattere interpersonale) -  la  funzione
conciliativa di tale giudice tramite strumenti  processuali  volti  a
favorire la riparazione del danno e la  conciliazione  tra  autore  e
vittima del reato; 
        che, in questa prospettiva, si e' ritenuta quindi  preminente
l'esigenza di evitare lo svuotamento delle funzioni  del  giudice  di
pace, che sarebbe potuto derivare  dall'attrazione  delle  competenze
presso  il  giudice   superiore,   limitando   l'operativita'   della
connessione eterogenea al solo caso del concorso  formale  di  reati:
ipotesi nella quale - come pure si legge nella relazione  governativa
- «attesa l'unicita' della condotta, e' effettivamente  piu'  elevato
il rischio di giudicati contrastanti in caso di processi separati»; 
        che, sulla base di tale premessa, questa  Corte  ha  rilevato
che, al di la' di ogni possibile valutazione sul merito della  scelta
legislativa, la disposizione  censurata  non  puo'  ritenersi  lesiva
dell'art. 3 Cost: e cio' in particolare sotto il profilo - denunciato
dall'odierno rimettente - della  disparita'  di  trattamento  fra  il
soggetto che, imputato di piu' reati in continuazione, di  competenza
in parte del giudice di pace e in parte  di  altro  giudice,  sarebbe
costretto ad affrontare processi separati davanti a giudici  diversi;
e l'imputato di piu' reati, egualmente esecutivi del medesimo disegno
criminoso, ma di competenza in parte del tribunale e in  parte  della
corte d'assise, cui sarebbe viceversa garantito -  in  base  all'art.
12, comma 1, lettera b), del codice di procedura penale - il «diritto
ad un unico giudizio»; 
        che a prescindere, infatti, dal rilievo che la sussistenza di
un'ipotesi di connessione non comporta automaticamente il simultaneus
processus - potendo la riunione dei processi connessi essere disposta
o meno in base ad una valutazione discrezionale, che tiene conto  del
pregiudizio che ne potrebbe derivare alla loro sollecita  definizione
(art. 17 cod. proc. pen.) - resta dirimente la considerazione che  la
disparita' di trattamento denunciata  non  puo'  ritenersi  priva  di
giustificazione; 
        che  essa  trova,  infatti,  la  sua  ratio  nelle  ricordate
peculiarita' della giurisdizione penale del giudice di pace,  che  il
favor  separationis  mira  a  preservare:  giurisdizione  che  -  per
consolidata giurisprudenza della Corte -  si  esprime  in  un  modulo
processuale improntato a finalita' di  snellezza,  semplificazione  e
rapidita', tali da  renderlo  non  comparabile  con  il  procedimento
davanti  al  tribunale  e  da   giustificare,   comunque,   sensibili
deviazioni rispetto al modello ordinario; 
        che un vulnus dell'art. 3 Cost. non  discende  neppure  dalla
circostanza che l'art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 274 del  2000  possa
ostacolare  o  addirittura  precludere  l'applicazione  dell'istituto
della continuazione in sede cognitiva, rendendo cosi' necessario - al
fine di garantire  all'imputato  la  fruizione  del  piu'  favorevole
trattamento previsto dall'art. 81 cod. pen. - il ricorso  al  giudice
dell'esecuzione, ai sensi dell'art. 671 cod. proc. pen.; 
        che detto intervento in sede esecutiva rappresenta,  difatti,
il naturale riflesso del  favor  separationis  che  ispira  la  norma
impugnata, onde valgono, rispetto ad esso, le  medesime  ragioni  che
sorreggono detto favor: e cio' senza considerare, da un lato, che  la
continuazione puo' essere riconosciuta, nei congrui  casi,  anche  in
sede di cognizione a prescindere  dalla  riunione  dei  processi,  e,
dall'altro, che proprio le previsioni dell'art. 671 cod.  proc.  pen.
rendono palese e attuano l'intenzione del legislatore  di  agevolare,
senza pregiudizio  per  le  garanzie  difensive,  lo  svolgimento  di
processi  separati,  quando  la  riunione  potrebbe   ritardarne   la
definizione,  in  conformita'  con  il  precetto  costituzionale   di
ragionevole durata (art. 111, secondo comma, Cost.); 
        che quanto, infine,  alla  lesione  dell'art.  97  Cost.,  il
parametro evocato e' inconferente; 
        che, per consolidata giurisprudenza della Corte, infatti,  il
principio  di  buon  andamento  dei  pubblici  uffici  e'  riferibile
all'amministrazione  della  giustizia   solo   per   quanto   attiene
all'organizzazione e al funzionamento degli uffici giudiziari, ma non
anche in rapporto all'attivita' giurisdizionale in senso stretto  (ex
plurimis - oltre alla citata sentenza n. 64 del 2009  -  sentenze  n.
272 del 2008 e n. 117 del 2007; e,  con  specifico  riferimento  alla
disciplina della connessione nel processo civile,  ordinanza  n.  398
del 2000); 
        che nessun argomento nuovo, rispetto a quelli gia' scrutinati
dalla Corte, e' stato addotto dall'odierno rimettente; 
        che la  questione  va  dichiarata,  pertanto,  manifestamente
infondata. 
    Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953,  n.
87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti  alla
Corte costituzionale.