Sentenza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt.  424,  429  e
521, comma 1, del codice di procedura penale, promosso dal  Tribunale
di Lecce nel procedimento penale a carico di  R.  T.  ed  altri,  con
ordinanza del  6  aprile  2009,  iscritta  al  n.  187  del  registro
ordinanze 2009 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica
n. 27, 1ª serie speciale, dell'anno 2009. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella Camera di consiglio del 10 febbraio 2010  il  Giudice
relatore Alessandro Criscuolo. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Il Tribunale  di  Lecce,  in  composizione  collegiale,  con
l'ordinanza  indicata  in  epigrafe,  ha   sollevato   questione   di
legittimita' costituzionale, in riferimento agli articoli 3, 24, 111,
terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione,  degli  articoli
424, 429 e 521, comma 1, del codice di procedura penale  nella  parte
in  cui  «consentono  al  GUP  di  disporre  il  rinvio  a   giudizio
dell'imputato in relazione  ad  un  fatto  qualificato,  di  ufficio,
giuridicamente in maniera diversa,  senza  consentire  il  previo  ed
effettivo sviluppo del contraddittorio sul punto, chiedendo  al  P.M.
di modificare la qualificazione giuridica del fatto  e,  in  caso  di
inerzia dell'organo dell'accusa,  disponendo  la  trasmissione  degli
atti al medesimo P.M.». 
    Il rimettente riferisce che, con decreto emesso in data 8 gennaio
2009, il giudice dell'udienza  preliminare  presso  il  Tribunale  di
Lecce ha rinviato a giudizio gli imputati R. T., G. G. e C. E. per il
reato previsto e punito dagli articoli 110, 81 cpv., 319  del  codice
penale, cosi' riqualificando l'originaria imputazione di  concussione
formulata  dal  pubblico  ministero  nella  richiesta  di  rinvio   a
giudizio. 
    In particolare, il giudice  a  quo  pone  in  evidenza  come  dal
decreto che dispone il giudizio risulti che gli  imputati  rispondono
del reato di corruzione in quanto, nel Comune di Cavallino,  fino  al
novembre 2001, nelle rispettive qualita' di Sindaco, rivestita da  G.
G.,  e  di  vice  Sindaco,  Assessore  alle   attivita'   produttive,
Presidente della Commissione edilizia e della Commissione tecnica per
il PIP e, ancora, della Commissione SPAB del detto Comune,  ricoperte
da C. E., abusando dei poteri e delle proprie qualita' - dopo che  il
Tribunale amministrativo regionale della Puglia,  sezione  di  Lecce,
accogliendo  i  ricorsi  presentati  da  sette  commercianti,   aveva
dichiarato l'illegittimita' dell'autorizzazione  all'apertura  di  un
centro commerciale e del nulla osta regionale, delle autorizzazioni e
delle prese d'atto  per  l'ampliamento  delle  superfici,  rilasciati
dagli  imputati  G.  G.  e  C.  E.  in  favore  di  una  societa'   a
responsabilita' limitata, rappresentata dall'altro imputato R.  T.  -
erano intervenuti presso i responsabili della societa' G,  subentrata
alla   anzidetta   s.r.l.   nella   titolarita'   dei   provvedimenti
illegittimi.   Gli   imputati   avevano   prospettato   ai   suddetti
responsabili «la possibilita' di ottenere la rinuncia ai  ricorsi  da
parte dei sette ricorrenti (che erano di fatto assistiti dallo stesso
avv. C. e solo formalmente sarebbero stati  assistiti  dall'avv.  P.,
legale messo a disposizione dal R.), rendendo, cosi',  inefficaci  le
sentenze con cui il TAR  aveva  annullato  i  provvedimenti  illeciti
adottati  dall'Amministrazione»;  nonche'  la  disponibilita'   degli
imputati Sindaco e vice Sindaco  a  consentire  alla  societa'  G  di
continuare a beneficiare di tali atti, omettendo qualsiasi intervento
finalizzato a revocarli e consentendo alla societa' di ottenere  ogni
necessaria proroga,  pure  illegittima,  e  gli  atti  amministrativi
necessari per poter beneficiare delle medesime autorizzazioni, con la
minaccia, in caso contrario, di procedere alla loro  revoca.  In  tal
modo gli imputati  avevano  indotto  i  responsabili  della  societa'
suddetta ad assumere l'impegno di garantire posti di lavoro presso il
centro commerciale a ciascuno dei sette ricorrenti e ad altre persone
indicate dal Sindaco e dal vice Sindaco,  nonche'  ad  accollarsi  il
pagamento delle somme di denaro  che  i  sette  ricorrenti  avrebbero
dovuto versare al legale, loro difensore innanzi al TAR, ed all'altro
difensore messo a disposizione  dall'imputato  R.  T.  Il  rimettente
aggiunge che il giudice dell'udienza preliminare disponeva il  rinvio
a giudizio degli imputati per il delitto  come  sopra  riqualificato,
ritenendo, nella motivazione del decreto, che non vi fosse violazione
del principio di cui all'art. 521 cod. proc. pen. 
    In particolare, il giudice  dell'udienza  preliminare  dichiarava
non  condivisibile  l'originaria  contestazione  per  il   reato   di
concussione  in  quanto  «nella  vicenda  siccome   delineata   dalle
emergenze processuali non risulta che la societa' G abbia soggiaciuto
alla volonta' dei pubblici ufficiali imputati  operanti  in  concorso
con l'extraneus R. T., ma piuttosto che essa  sia  stata,  con  essi,
parte di una transazione di natura illecita da  cui  ha  ricavato  un
proprio significativo tornaconto dato dall'ottenimento della rinunzia
al ricorso proposto innanzi al Tar Puglia - sez. Lecce  -  da  D.P.L.
all'esito di un giudizio di primo grado favorevole a questi ultimi». 
    Il collegio rimettente riferisce, inoltre, che all'udienza del 13
marzo 2009, nell'ambito delle questioni preliminari di  cui  all'art.
491 cod. proc. pen., il difensore dell'imputato R. T. ha eccepito  la
nullita'  del  decreto   che   aveva   disposto   il   giudizio   per
l'indeterminatezza  dell'imputazione  che,  sebbene  rubricata  quale
ipotesi di corruzione, in fatto non conteneva gli elementi tipici  di
tale reato, mancando l'indicazione in ordine al  soggetto  corruttore
ed  al  soggetto  corrotto,  nonche'  una   precisa   e   dettagliata
descrizione della condotta corruttiva; gli altri  difensori  si  sono
associati  all'eccezione  ponendo  in  evidenza  l'anomalia  di   una
contestazione rimasta in fatto ancorata all'originaria imputazione di
concussione, ma riferita  dal  giudice  dell'udienza  preliminare  al
reato di cui all'art. 319 cod. pen. 
    Il giudice a quo, dopo aver acquisito, all'udienza del  6  aprile
2009, il verbale dell'udienza preliminare, pone in  rilievo  come  da
esso risulti che il giudice aveva sollecitato il pubblico ministero a
riqualificare giuridicamente il reato di  concussione  in  quello  di
corruzione, ma questi aveva insistito nell'originaria contestazione. 
    Alla stessa udienza i difensori hanno  eccepito  che  il  giudice
dell'udienza preliminare avrebbe impropriamente disposto il rinvio  a
giudizio  per  il  reato  di   corruzione   in   quanto,   a   fronte
dell'insistenza del pubblico ministero  in  relazione  all'originaria
contestazione di concussione, avrebbe dovuto o  pronunciare  sentenza
di  proscioglimento  in  base  agli  atti  a   disposizione,   ovvero
restituire gli atti al medesimo pubblico  ministero.  Il  decreto  di
rinvio a giudizio sarebbe, pertanto, affetto da nullita' o, comunque,
abnorme avendo disposto il rinvio a giudizio  dei  prevenuti  per  un
diverso reato. 
    Alla luce di tali considerazioni, il collegio  ritiene  rilevante
il dubbio di costituzionalita' prospettato in quanto afferma  che  la
riqualificazione compiuta dal Giudice dell'udienza preliminare presso
il Tribunale di Lecce e' espressione del principio iura novit  curia,
codificato nell'art. 521, comma 1, cod. proc.  pen.  ed  e'  conforme
«allo stato della pacifica giurisprudenza della Suprema Corte». 
    In punto di non manifesta infondatezza, il giudice a quo  afferma
che le disposizioni censurate  si  pongono  in  contrasto,  in  primo
luogo, con l'art. 3 Cost., ritenendo non ragionevole  una  disciplina
che penalizzi, sotto il profilo difensivo,  l'imputato  che  si  vede
rinviato a giudizio per un fatto diversamente qualificato,  sotto  il
profilo giuridico, rispetto all'imputato che tale modifica non  viene
a subire. 
    Inoltre,  ad  avviso  del  detto  giudice,  le  norme   impugnate
contrastano con l'art. 24 Cost.,  in  quanto,  nel  caso  in  cui  il
rappresentante del pubblico ministero, nonostante  la  sollecitazione
del giudice a riqualificare giuridicamente il fatto, non vi provveda,
l'imputato puo' essere indotto  a  non  esercitare  alcuna  attivita'
difensiva nella sola ipotetica eventualita' di  una  riqualificazione
giuridica, che il giudice potrebbe fare solo in sede decisoria e  che
quindi potrebbe essergli pregiudizievole solo in  caso  di  rinvio  a
giudizio; in particolare,  l'assenza  di  una  preventiva  conoscenza
dell'accusa da parte dell'imputato,  anche  sotto  il  profilo  della
qualificazione giuridica, non consente di  «calibrare»  le  attivita'
difensive  in  sede  di  udienza  preliminare  con  riferimento  alla
possibilita'  di  argomentare,  in   sede   di   discussione,   sulla
imputazione formulata con la  richiesta  di  rinvio  a  giudizio,  di
produrre elementi ai sensi dell'art.  391-bis  cod.  proc.  pen.,  di
sollecitare lo svolgimento di nuove indagini o l'assunzione di  nuove
prove ai sensi  degli  artt.  421-bis  e  422  cod.  proc.  pen.,  di
verificare la possibilita' di accedere ai riti alternativi. 
    Un'ulteriore censura e' prospettata dal rimettente  in  relazione
all'art. 111, terzo comma, Cost.,  in  quanto  nel  caso  in  cui  il
rappresentante della pubblica accusa non  ritenga  di  modificare  il
nomen iuris del fatto contestato ed il giudice disponga il  rinvio  a
giudizio, attribuendo al fatto una diversa qualificazione  giuridica,
non  e'  assicurato  il  contraddittorio,  avendo  l'imputato  svolto
attivita' difensiva solo con riferimento alla originaria imputazione. 
    Infine,  la  disciplina  impugnata,  ad   avviso   del   collegio
rimettente, contrasta anche con  il  disposto  dell'art.  117,  primo
comma, Cost., in relazione all'art. 6 della Convenzione  europea  per
la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle liberta'  fondamentali,
firmata a Roma il 4 novembre 1950 (ratificata  e  resa  esecutiva  in
Italia con legge 4 agosto 1955,  n.  848),  come  interpretato  dalla
Corte Europea dei diritti dell'uomo, secondo cui  il  diritto  ad  un
processo equo comporta non solo che l'imputato debba essere informato
nel piu' breve tempo  possibile  dei  fatti  materiali  posti  a  suo
carico, ma anche, in modo dettagliato, della qualificazione giuridica
attribuita a questi fatti. 
    Sempre in punto di non manifesta infondatezza, il  rimettente  si
sofferma sullo stato della giurisprudenza di legittimita', ponendo in
evidenza come sia oramai consolidato l'orientamento che riconosce  al
giudice  -  anche  a  quello  dell'udienza  preliminare   in   virtu'
dell'applicazione analogica dell'art. 521, comma 1, cod. proc. pen. -
il potere di riqualificare un fatto  originariamente  rubricato  come
concussione in corruzione, senza che cio' comporti la violazione  del
principio di correlazione tra la sentenza e l'accusa. 
    Il giudice a quo passa in rassegna alcune delle soluzioni che  il
giudice dell'udienza preliminare avrebbe potuto adottare al  fine  di
evitare la violazione dei parametri costituzionali indicati. 
    In primo luogo, prospetta l'eventualita' di emettere  un'apposita
ordinanza, prima dell'esercizio del definitivo potere decisorio,  per
riqualificare giuridicamente il fatto; in secondo luogo  ipotizza  la
possibilita' di estendere in via interpretativa la  disciplina  della
modifica in iure dell'imputazione a quella della modifica del fatto. 
    Entrambe le soluzioni sono, pero', da scartare, ad  avviso  dello
stesso rimettente, in quanto la prima  sarebbe  incompatibile  con  i
principi di  terzieta'  e  imparzialita',  perche'  «il  giudice  che
dovesse esprimersi in ordine alla corretta  qualificazione  giuridica
da attribuire al fatto non potrebbe prescindere dall'esprimersi anche
in ordine alla sussistenza del fatto  da  riqualificare»;  mentre  la
seconda determinerebbe una disapplicazione dell'art.  521,  comma  1,
cod. proc. pen. 
    L'unica soluzione possibile, secondo il  giudice  a  quo,  e'  la
dichiarazione di  illegittimita'  costituzionale  delle  disposizioni
impugnate nel senso che la Corte «intervenendo sulle norme censurate,
parifichi la disciplina della modifica della qualificazione giuridica
del fatto a quella della modifica del fatto medesimo». 
    2. - Il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, ha  spiegato  intervento
con atto  depositato  in  data  28  luglio  2009,  chiedendo  che  la
questione sia dichiarata inammissibile.  Le  argomentazioni  poste  a
sostegno della inammissibilita' sono state successivamente  precisate
nella memoria depositata in data 19 gennaio 2010. 
    La difesa  erariale  osserva  che  alla  Corte  si  richiede  una
pronunzia additiva che preveda la restituzione degli atti al pubblico
ministero a  fronte  della  riqualificazione  giuridica  operata  dal
giudice per l'udienza preliminare. Tale soluzione, pero', e' soltanto
uno  dei  possibili  rimedi  processuali  mediante   cui   realizzare
l'effettivita'  della  difesa  che  e'  alla  base  del   dubbio   di
legittimita' costituzionale sollevato dal rimettente. 
    L'effettivita'  della  difesa,  ad   esempio,   potrebbe   essere
realizzata attraverso l'istituto della rimessione in termini ai  fini
della richiesta di riti alternativi. 
    Inoltre, la soluzione auspicata dal rimettente,  comportando  una
regressione alla fase delle indagini preliminari, potrebbe  porsi  in
contrasto con il principio di ragionevole durata del processo. 
    La difesa erariale pone, poi, in rilievo che, ai sensi  dell'art.
112 Cost., il  pubblico  ministero  e'  dominus  dell'azione  penale,
sicche' «non si comprende, nel caso di restituzione degli atti previa
riqualificazione  della   fattispecie,   quali   effetti   dovrebbero
determinarsi circa l'esercizio dell'azione penale, in difetto di  una
norma che preveda - come fa,  in  riferimento  ad  altra  situazione,
l'art. 409, comma 5, c.p.c. (recte: cod. proc. pen.) - un'ipotesi  di
«imputazione coatta» in ordine al fatto riqualificato».  Il  rimedio,
dunque, non  puo'  essere  la  regressione  del  procedimento,  anche
perche', in casi come quello  in  esame,  qualora  il  giudice  abbia
ritenuto che il fatto vada qualificato diversamente,  esso  e'  ormai
ben individuato, ne' occorre svolgere  al  riguardo  nuove  indagini,
anche a favore dell'indagato. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Il Tribunale  di  Lecce,  in  composizione  collegiale,  con
l'ordinanza  indicata  in   epigrafe,   dubita   della   legittimita'
costituzionale, in riferimento agli articoli 3, 24, 111, terzo comma,
e 117, primo comma, della Costituzione, degli  articoli  424,  429  e
521, comma 1, del codice di  procedura  penale  nella  parte  in  cui
«consentono al GUP di disporre il rinvio a giudizio dell'imputato  in
relazione ad un fatto  qualificato,  di  ufficio,  giuridicamente  in
maniera diversa, senza consentire il previo ed effettivo sviluppo del
contraddittorio  sul  punto,  chiedendo  al  P.M.  di  modificare  la
qualificazione giuridica del fatto e, in caso di inerzia  dell'organo
d'accusa, disponendo la trasmissione degli atti al medesimo P.M.». 
    Il rimettente riferisce che il giudice  dell'udienza  preliminare
ha disposto il giudizio nei confronti degli imputati R. T., G.  G.  e
C. E. per il reato previsto e punito dagli articoli 110, 81 cpv., 319
del codice penale, cosi' riqualificata l'originaria  imputazione  per
il reato di  concussione,  formulata  dal  pubblico  ministero  nella
richiesta di rinvio a giudizio. 
    In particolare, il giudice a quo pone in evidenza che il  Giudice
dell'udienza preliminare ha ritenuto non  condivisibile  l'originaria
contestazione, in quanto dagli atti processuali non risultava che  la
societa' G avesse subito la volonta' dei pubblici ufficiali, operanti
in concorso con un terzo, ma piuttosto emergeva che  essa  era  stata
parte con gli imputati di una transazione di natura  illecita,  dalla
quale aveva ricavato un proprio significativo tornaconto. 
    Il collegio rimettente riferisce, inoltre, che, nell'ambito delle
questioni  preliminari  di  cui  all'art.  491  cod.  proc.  pen.,  i
difensori hanno eccepito la nullita' del decreto che ha  disposto  il
giudizio  per  l'indeterminatezza   dell'imputazione   che,   sebbene
rubricata quale ipotesi di corruzione, in  fatto  non  conteneva  gli
elementi tipici di tale reato, ed hanno posto in evidenza  l'anomalia
di una contestazione rimasta ancorata all'originaria imputazione,  ma
riferita  dal  giudice  dell'udienza  preliminare  al  reato  di  cui
all'art. 319 cod. pen. I difensori, dunque,  hanno  eccepito  che  il
giudice «avrebbe impropriamente disposto il rinvio a giudizio per  il
reato di corruzione in quanto, a fronte dell'insistenza del  P.M.  in
relazione all'originaria contestazione di concussione, avrebbe dovuto
o pronunciare  sentenza  di  proscioglimento  in  base  agli  atti  a
disposizione, ovvero restituire gli atti al medesimo P.M. Il  decreto
di rinvio a  giudizio  sarebbe,  pertanto,  affetto  da  nullita'  o,
comunque, abnorme, avendo disposto il rinvio a giudizio dei prevenuti
per un diverso reato». 
    Il giudice a quo, infine, rileva che, come  risulta  dal  verbale
dell'udienza preliminare, il giudice aveva  sollecitato  il  pubblico
ministero di udienza  a  riqualificare  giuridicamente  il  reato  di
concussione in  quello  di  corruzione,  ma  questi  aveva  insistito
nell'originaria contestazione. 
    Alla luce di tali considerazioni, il collegio  ritiene  rilevante
il dubbio di legittimita' costituzionale prospettato, per gli effetti
che l'eventuale fondatezza della questione  avrebbe  sulla  validita'
del  decreto  che  ha   disposto   il   giudizio,   procedendo   alla
riqualificazione giuridica del fatto «senza alcun effettivo  e  pieno
contraddittorio sul punto». 
    Il  medesimo  collegio,   poi,   considera   la   questione   non
manifestamente infondata,  perche'  «l'operazione  compiuta  dal  GUP
presso  il  Tribunale   di   Lecce,   allo   stato   della   pacifica
giurisprudenza   della   S.    C.,    rientra    nell'ambito    della
riqualificazione giuridica  del  fatto,  in  quanto  espressione  del
principio iura  novit  curia  codificato  nell'art.  521,  1°  comma,
c.p.p.». 
    Il giudice a quo considera la disciplina censurata  in  contrasto
con gli artt. 3, 24 e 111, terzo comma, Cost., in  quanto  penalizza,
sotto il profilo difensivo, l'imputato rinviato  a  giudizio  per  un
fatto  diversamente  qualificato,  rispetto  all'imputato  che   tale
modifica non viene a subire. 
    L'assenza di  una  preventiva  conoscenza  dell'accusa  da  parte
dell'imputato, anche sotto il profilo della qualificazione giuridica,
non consente di «calibrare» le attivita' difensive in sede di udienza
preliminare. Cio' con riferimento alla possibilita'  di  argomentare,
durante la discussione, sulla imputazione formulata con la  richiesta
di rinvio a  giudizio  e  con  riguardo  alle  facolta'  di  produrre
elementi ai sensi dell'art. 391-bis cod. proc. pen.,  di  sollecitare
lo svolgimento di nuove indagini o l'assunzione  di  nuove  prove  ai
sensi degli artt. 421-bis e  422  cod.  proc.  pen.  e,  inoltre,  di
accedere ai riti alternativi. 
    Ad  avviso  del  rimettente,  quindi,  nel   caso   in   cui   il
rappresentante della pubblica accusa non  ritenga  di  modificare  il
nomen iuris del fatto contestato ed il giudice disponga il  giudizio,
attribuendo al fatto una diversa  qualificazione  giuridica,  non  e'
assicurato il contraddittorio,  avendo  l'imputato  svolto  attivita'
difensiva soltanto con riferimento alla originaria imputazione. 
    Infine, la disciplina impugnata e' in contrasto con  il  disposto
dell'art. 117, primo comma, Cost.,  in  relazione  all'art.  6  della
Convenzione  per  la  salvaguardia  dei  diritti  dell'uomo  e  delle
liberta' fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950  (ratificata
e resa esecutiva con legge 4 agosto 1955, n. 848), come  interpretato
dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo, secondo cui il diritto  ad
un processo equo  comporta  non  solo  che  l'imputato  debba  essere
informato nel piu' breve tempo possibile dei fatti materiali posti  a
suo carico, ma  anche,  in  modo  dettagliato,  della  qualificazione
giuridica attribuita a quei fatti. 
    2. - La questione e' inammissibile. 
    Si deve premettere che l'art. 521 cod. proc. pen.  ha  codificato
il principio della necessaria correlazione tra imputazione contestata
e sentenza, in base al quale il giudice puo' attribuire al fatto  una
definizione giuridica diversa, senza incorrere nella  violazione  del
suddetto principio, soltanto quando l'accadimento storico  addebitato
rimanga identico negli  elementi  costitutivi  tipici,  cioe'  quando
risultano immutati l'elemento psicologico, la condotta, l'evento e il
nesso di causalita'. 
    Se il giudice, invece, accerta che il fatto e' diverso da  quello
descritto nell'imputazione, deve disporre la trasmissione degli  atti
al pubblico ministero. 
    L'anzidetto principio e' diretto a garantire il contraddittorio e
il diritto di difesa dell'imputato, il quale deve essere posto  nelle
condizioni di conoscere l'oggetto dell'imputazione nei suoi  elementi
essenziali e di difendersi, secondo la linea ritenuta piu' opportuna,
in relazione ad esso. 
    La necessaria correlazione tra accusa  e  sentenza,  inoltre,  e'
posta anche «al  fine  del  controllo  giurisdizionale  sul  corretto
esercizio dell'azione penale, dal  che  si  desume  che  la  costante
corrispondenza dell'imputazione a quanto emerge  dagli  atti  e'  una
esigenza  presente  in  ogni  fase  processuale  e,   quindi,   anche
nell'udienza preliminare» (sentenza n. 88 del 1994). 
    Sebbene il principio di correlazione tra imputazione  e  sentenza
sia stato espressamente previsto soltanto con riferimento  alla  fase
del  giudizio,  in  conformita'  a  quanto  enunciato  nell'anzidetta
sentenza da questa Corte  si  e'  oramai  consolidato  l'orientamento
della giurisprudenza di  legittimita'  secondo  cui  la  disposizione
prevista dall'art. 521 cod. proc. pen. deve trovare applicazione,  in
via  analogica,  anche  con  riferimento  al   giudice   dell'udienza
preliminare il quale, dunque, se accerta che il fatto e'  diverso  da
quello enunciato nella richiesta di rinvio a giudizio, deve  disporre
la trasmissione degli  atti  all'organo  dell'accusa.  (ex  plurimis:
Cass., Sez. Un. Pen., sentenza n. 5307 del 2007, n. 3375 del  2000  e
n. 3503 del 1998). 
    3.  -  Cio'  posto,  deve  rilevarsi  che  un  primo  profilo  di
inammissibilita' si ravvisa nell'insufficiente motivazione  in  punto
di rilevanza della questione, dal momento che il  giudice  a  quo  ha
trascurato di precisare perche', nella fattispecie sottoposta al  suo
giudizio, il fatto debba ritenersi diversamente qualificato e non  si
tratti,  piuttosto,  di  un   fatto   diverso   rispetto   a   quello
originariamente contestato. 
    Il  rimettente,  infatti,  si  e'  limitato   a   riferire   «che
l'operazione compiuta dal gup presso  il  Tribunale  di  Lecce,  allo
stato della pacifica giurisprudenza della S.C.,  rientra  nell'ambito
della riqualificazione giuridica del  fatto,  quale  espressione  del
principio iura  novit  curia  codificato  nell'art.  521,  1°  comma,
c.p.p.». 
    Con   tale   generico   rinvio   «allo   stato   della   pacifica
giurisprudenza» il collegio rimettente non ha adempiuto all'onere  di
motivare sulla sussistenza della necessaria pregiudizialita'  tra  la
questione di legittimita' costituzionale sollevata  e  la  decisione,
anche in ordine all'eccezione di nullita',  formulata  dai  difensori
nel giudizio a quo. 
    E' vero, infatti, che, secondo il consolidato orientamento  della
giurisprudenza  di  legittimita',   non   viola   il   principio   di
correlazione  tra  accusa   e   sentenza   riqualificare   un   fatto
originariamente  rubricato  come  concussione   in   corruzione   (ex
plurimis: Cass. sentenze n. 2894 del 1998, Sez. Un. Pen., n. 6402 del
1997 e n. 1515 del 1982); l'esercizio di tale potere, pero', non puo'
prescindere da una verifica volta ad accertare in concreto, cioe' con
riferimento alla fattispecie in esame, se il  fatto  sia  diverso  da
quello descritto nell'imputazione. 
    L'insufficiente  motivazione,  da  parte  del  rimettente,  sulle
anzidette circostanze, dunque, non permette di valutare la  rilevanza
della questione proposta (sentenza n. 58 del 2009;  ordinanze  n.  15
del 2009, nn. 312 e 100 del 2008). 
    4. - Sussiste, poi, un motivo ulteriore di  inammissibilita',  in
quanto il rimettente sollecita una  pronunzia  additiva,  non  avente
carattere di soluzione costituzionalmente  obbligata,  ma  rientrante
nell'ambito di scelte discrezionali riservate al legislatore. 
    Tale profilo, del resto, e' desumibile dalla stessa ordinanza  di
rimessione, nella parte in cui si sofferma  sulle  diverse  possibili
procedure adottabili dal giudice dell'udienza preliminare, al fine di
far cadere i dubbi di legittimita'  costituzionale  della  disciplina
censurata. 
    Invero, da un lato, il rimettente prospetta  la  possibilita'  di
pronunziare un'apposita ordinanza attraverso cui informare  le  parti
della diversa qualificazione giuridica attribuita al fatto, cosi'  da
consentire  un  contraddittorio  anche  sulla  nuova   qualificazione
giuridica; dall'altro,  prospetta  l'applicazione  in  via  analogica
dell'art. 521, comma 2, cod. proc. pen. 
    Entrambe le soluzioni, poi, sono ritenute inadeguate dalla citata
ordinanza, che prospetta come indispensabile l'intervento  di  questa
Corte mediante una pronunzia additiva che preveda la regressione  del
procedimento nella fase delle  indagini  preliminari,  attraverso  la
restituzione degli atti all'organo dell'accusa. 
    Risulta evidente, quindi, che la pronunzia richiesta postula  una
soluzione che non e' l'unica possibile. 
    Deve,  altresi',  rilevarsi  che  la  soluzione  prospettata  dal
giudice a quo  tende  ad  ottenere  la  parificazione  di  situazioni
processuali tra loro non omogenee, quali l'accertamento che un  fatto
debba essere diversamente qualificato e la constatazione che il fatto
e'  differente  da  quello  descritto  nel  decreto  che  dispone  il
giudizio. 
    La decisione richiesta, dunque, coinvolgendo scelte relative alla
conformazione   della   disciplina   processuale,    rientra    nella
discrezionalita' del Parlamento. 
    Al riguardo, si deve osservare che  il  legislatore  si  e'  gia'
espresso sul punto, in sede di relazione al progetto preliminare  del
codice  di  procedura  penale  del  1988;  in  tale  occasione,   con
riferimento al tema della non obbligatorieta' della correlazione «tra
la decisione sul tema giuridico  dell'accusa  e  le  conclusioni  del
pubblico ministero», era stata proposta l'adozione di una  disciplina
analoga a quella prevista per la  contestazione  del  fatto  diverso,
oppure «la previsione di  un  dovere  del  giudice  di  rendere  nota
preventivamente  la  decisione  di   modificare   la   qualificazione
giuridica, consentendo la discussione sul punto». 
    Il legislatore, pero', ha ritenuto di non adottare ne' l'una, ne'
l'altra  soluzione,  in  quanto  entrambe  «avrebbero  comportato  un
dispendio di attivita'  probabilmente  eccessivo  e  il  rischio,  in
pratica, di indurre il giudice a conformarsi in ogni  caso  al  nomen
iuris contestato». 
    Il rimettente,  dunque,  invocando  una  pronuncia  additiva  non
costituzionalmente  obbligata   in   una   materia   riservata   alla
discrezionalita' del legislatore, propone una questione inammissibile
(ex plurimis: sentenza n. 183 del 2008; ordinanze nn. 193  e  80  del
2009, n. 379 del 2008).