Sentenza 
 
    nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 6, commi  2,
3, 4, 5 e 6, della legge 20 giugno 2003,  n.  140  (Disposizioni  per
l'attuazione dell'art. 68 della Costituzione nonche'  in  materia  di
processi penali  nei  confronti  delle  alte  cariche  dello  Stato),
promossi dal Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di Napoli
con ordinanza del 19 novembre 2008 e  dal  Giudice  per  le  indagini
preliminari del Tribunale di Napoli  con  ordinanza  del  26  gennaio
2009, iscritte ai nn.  108  e  215  del  registro  ordinanze  2009  e
pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 16 e 35,  1ª
serie speciale, dell'anno 2009. 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella camera di consiglio del 16 dicembre 2009  il  giudice
relatore Giuseppe Frigo. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Con ordinanza del 19 novembre 2008 (r.o. n. 108  del  2009),
il Giudice  dell'udienza  preliminare  del  Tribunale  di  Napoli  ha
sollevato: 
        a)   in   via   principale,   questione    di    legittimita'
costituzionale, in riferimento agli artt. 3, primo comma,  68,  terzo
comma, 102 e 104, primo comma, della Costituzione, dell'art. 6, commi
2, 3, 4, 5 e 6, della legge 20 giugno 2003, n. 140 (Disposizioni  per
l'attuazione dell'art. 68 della Costituzione nonche'  in  materia  di
processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato); 
        b)   in   via   subordinata,   questione   di    legittimita'
costituzionale, in riferimento all'art.  24,  secondo  comma,  Cost.,
dell'art. 6, comma 2, della citata legge n. 140 del 2003, nella parte
in cui non subordina  «l'attivazione  della  procedura  ivi  prevista
[...] al previo consenso/nulla osta del Parlamentare interessato». 
    Il giudice a quo premette di essere investito del processo penale
nei confronti di numerosi imputati,  tra  i  quali  un  membro  della
Camera dei deputati, al quale erano stati contestati, in particolare,
i reati previsti dagli artt. 110, 319, 321, 640, secondo  comma,  378
del codice penale e 7  del  decreto-legge  13  maggio  1991,  n.  152
(Provvedimenti urgenti in tema di lotta alla criminalita' organizzata
e di trasparenza e  buon  andamento  dell'attivita'  amministrativa),
convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 1991, n. 203. 
    Nel corso dell'udienza preliminare, il pubblico  ministero  aveva
depositato  i  supporti  di  conversazioni  telefoniche  intercettate
concernenti   il   citato   parlamentare,   chiedendo   che,   previa
trascrizione, fosse inoltrata alla Camera  dei  deputati  istanza  di
autorizzazione alla loro utilizzazione, ai sensi dell'art.  6,  comma
2, della legge n. 140 del 2003. Eseguita la trascrizione,  era  stata
quindi fissata udienza camerale in conformita' a quanto  previsto  da
tale  disposizione,  all'esito  della  quale  il  giudice  a  quo  ha
sollevato la questione. 
    In punto di rilevanza,  il  rimettente  osserva  come  ricorrano,
nella specie, i presupposti di insorgenza dell'obbligo di  richiedere
l'autorizzazione  prevista  dal  citato   art.   6,   comma   2.   Le
intercettazioni  in  discussione  non  costituirebbero,  difatti,  il
frutto di captazioni «dirette» delle comunicazioni del parlamentare -
ipotesi  nella  quale  sarebbero  state  soggette  ad  autorizzazione
preventiva, ai sensi dell'art. 4 della stessa legge n. 140  del  2003
(nel  caso  in   esame   non   richiesta)   -   ma   dell'occasionale
interlocuzione del parlamentare medesimo con altri imputati,  le  cui
utenze erano state sottoposte legittimamente a controllo. Il pubblico
ministero  aveva  chiesto,  d'altro  canto,   di   utilizzare   dette
intercettazioni non nei confronti di terzi - evenienza nella quale, a
seguito  della  declaratoria  di  incostituzionalita'  recata   dalla
sentenza  n.  390  del  2007,   non   e'   piu'   necessaria   alcuna
autorizzazione - ma proprio nei confronti dei membri del  Parlamento.
Sussisterebbe effettivamente, infine, la necessita' di utilizzare  le
intercettazioni ai fini dell'adozione  dei  provvedimenti  conclusivi
dell'udienza preliminare, per la  loro  pertinenza  alle  imputazioni
formulate nei confronti del parlamentare. 
    Sotto diverso profilo,  il  rimettente  rileva  come  la  propria
legittimazione a sollevare la questione non possa  essere  contestata
per il solo fatto che la norma censurata individua nel giudice per le
indagini preliminari il soggetto tenuto a formulare la  richiesta  di
autorizzazione. In una lettura sistematica, tale riferimento dovrebbe
essere difatti inteso come  relativo  al  «giudice  che  procede»  e,
dunque,  ove  il  procedimento  si  trovi  nella  fase   dell'udienza
preliminare, al giudice della stessa: non essendo  ipotizzabile  che,
in questo caso, la valutazione  sulla  necessita'  di  utilizzare  un
mezzo di prova sia rimessa ad un  organo  che  ha  gia'  esaurito  la
propria competenza. 
    Quanto, poi,  alla  non  manifesta  infondatezza,  il  rimettente
osserva che il sindacato  parlamentare  previsto  dall'art.  6  della
legge  n.   140   del   2003   non   incide   sull'esecuzione   delle
intercettazioni,  ma  sull'utilizzabilita'  di  intercettazioni  gia'
legittimamente eseguite, proprio perche' «occasionali» e  quindi  non
bisognevoli dell'autorizzazione preventiva di cui all'art. 68,  terzo
comma, Cost. Escluso, con  cio',  che  la  disciplina  censurata  sia
«costituzionalmente imposta», il  problema  nodale  -  come  rilevato
dalla citata sentenza n. 390 del 2007 - consisterebbe nello stabilire
se  essa  possa  ritenersi  almeno  «costituzionalmente  consentita»:
interrogativo rimasto «impregiudicato» a seguito di  detta  sentenza,
quanto al profilo relativo all'utilizzabilita' delle  intercettazioni
casuali nei confronti dello stesso parlamentare intercettato. 
    Ad avviso del rimettente, peraltro, dalla pronuncia  della  Corte
emergerebbe chiaramente l'esigenza di estendere  la  declaratoria  di
incostituzionalita' anche al caso considerato: ricavandosi, da  essa,
come in rapporto al principio di  eguaglianza,  nel  suo  aspetto  di
«parita' di trattamento davanti alla giurisdizione», le immunita' dei
membri  del  Parlamento  possano  valere  solo  come   eccezione   ed
unicamente nei casi  espressamente  previsti  dalla  Costituzione  o,
quantomeno, forniti di «copertura costituzionale». Anche a non  voler
ritenere, cioe', che le deroghe al predetto principio possano  essere
stabilite solo da fonti  di  rango  costituzionale,  esse  dovrebbero
risultare comunque riconducibili «allo spirito e alla ratio» di norme
costituzionali, ovvero volte a tutelare un  valore  sovraordinato,  o
almeno equiordinato, rispetto a quello  sancito  dall'art.  3,  primo
comma, Cost. 
    Per contro, l'autorizzazione  ad  utilizzare  le  intercettazioni
«occasionali» di comunicazioni del parlamentare, oltre a  non  essere
espressamente prevista dall'art. 68, terzo comma, Cost., non  sarebbe
neppure  riconducibile   alla   sua   ratio,   connessa   al   «fumus
persecutionis»; ne', d'altra parte, il valore  tutelato  -  ossia  la
riservatezza del parlamentare - potrebbe ritenersi  sovraordinato,  o
almeno  equiordinato,  rispetto  al  principio   della   parita'   di
trattamento davanti alla giurisdizione, posto che il pericolo di  una
indebita diffusione delle comunicazioni  intercettate  da  parte  dei
mass media rappresenterebbe «il portato di  un  fenomeno  patologico»
che interessa la generalita' dei cittadini. 
    Di conseguenza, la previsione di un trattamento differenziato dei
membri  del  Parlamento   si   risolverebbe   in   un   «"privilegio"
irrazionale», nonche'  nell'implicita  abdicazione,  da  parte  dello
Stato, «al dovere di garantire il rispetto delle leggi gia'  vigenti,
poste a tutela della riservatezza di tutte le  persone  coinvolte  in
procedimenti penali», con conseguente violazione dell'art. 3 Cost. 
    La disciplina censurata lederebbe, inoltre, gli artt. 102 e  104,
primo comma, Cost.,  giacche',  in  contrasto  con  il  principio  di
separazione dei  poteri,  attribuirebbe  alle  Camere  un  potere  di
sindacato sulla gestione processuale di una prova gia' legittimamente
formata. 
    Sulla base delle esposte  considerazioni,  il  rimettente  chiede
quindi, in via principale, che  la  Corte  dichiari  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 6, commi 2, 3, 4, 5 e 6, della legge n.  140
del 2003. 
    In via subordinata,  il  giudice  a  quo  insta  affinche'  venga
dichiarata l'illegittimita' costituzionale del solo comma 2 dell'art.
6, nella parte in cui non subordina  «l'attivazione  della  procedura
ivi prevista [...] al previo  consenso/nulla  osta  del  Parlamentare
interessato». 
    La norma impugnata inciderebbe, infatti,  anche  sul  diritto  di
difesa  del  parlamentare,  il  quale  -   nel   caso   in   cui   le
intercettazioni  «occasionali»  risultassero  utili,  o   addirittura
decisive,  per  la  propria  difesa  -   vedrebbe   condizionata   la
possibilita'  di  utilizzarle  da  una  decisione  della  Camera   di
appartenenza: decisione che potrebbe essere strumentalizzata per fini
di ritorsione politica. 
    2. - Analoga questione di legittimita'  costituzionale  dell'art.
6, commi 2, 3, 4, 5 e 6, della legge n. 140 del 2003, in  riferimento
agli artt. 3, primo comma, 68, terzo comma, 102 e 104,  primo  comma,
Cost., e' sollevata dal  Giudice  per  le  indagini  preliminari  del
Tribunale di Napoli con ordinanza del 26 gennaio 2009  (r.o.  n.  215
del 2009). 
    Il giudice a quo premette di doversi pronunciare sull'istanza del
pubblico ministero di inoltro della richiesta  di  autorizzazione  ad
utilizzare le conversazioni telefoniche intercettate nei confronti di
due membri della Camera dei  deputati,  sottoposti  ad  indagini,  il
primo, per i reati previsti dagli artt. 416, 353 e 326 cod. pen.,  e,
il secondo, per il reato previsto dall'art. 416  cod.  pen.:  istanza
formulata dalla pubblica accusa contestualmente a quella di  adozione
di misure coercitive tanto nei confronti dei due parlamentari che  di
altri diciotto indagati. 
    A  parere  del  rimettente,  la  questione   sarebbe   rilevante,
sussistendo la necessita' di utilizzare le intercettazioni di cui  si
discute, in quanto pertinenti ai fatti contestati. 
    Contrariamente  a  quanto  sostenuto  dalla  difesa,  si  sarebbe
altresi' di fronte  ad  intercettazioni  «casuali»,  e  non  gia'  ad
intercettazioni  «dirette»,  soggette  al  regime  di  autorizzazione
preventiva previsto dall'art. 4 della  legge  n.  140  del  2003.  Le
conversazioni dei  parlamentari  sarebbero  state,  infatti,  captate
occasionalmente sulle utenze - legittimamente sottoposte a  controllo
- del principale indagato nel procedimento a quo, e non su utenze  in
uso al  parlamentare  o  a  suoi  interlocutori  abituali,  onde  non
potrebbe ritenersi che le operazioni fossero direttamente finalizzate
ad invadere la sfera  di  riservatezza  del  membro  del  Parlamento:
circostanza confermata anche dall'esiguo numero  delle  conversazioni
che vedono come interlocutori  i  parlamentari,  rispetto  alla  mole
complessiva di quelle intercettate. 
    Quanto, poi, alla non manifesta infondatezza della questione,  il
rimettente  svolge  argomenti  analoghi,  in  parte  qua,  a   quelli
dell'ordinanza di rimessione r.o. n. 108 del 2009. 
    3. - In entrambi i giudizi di costituzionalita' e' intervenuto il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello  Stato,  chiedendo  che  le  questioni
siano dichiarate inammissibili o manifestamente infondate. 
    Secondo la difesa erariale, le questioni sarebbero  inammissibili
per difetto di  motivazione  sulla  rilevanza,  avendo  i  rimettenti
omesso qualsiasi ricostruzione dei fatti di  causa.  In  particolare,
essi  non  avrebbero  specificato  quali  imputazioni   siano   state
formulate nei confronti dei parlamentari, quali soggetti siano  stati
intercettati, quali rapporti essi avessero con i  parlamentari  e  in
quali  occasioni  le  intercettazioni  siano  avvenute:  circostanze,
queste,  fondamentali  ai  fini  di  stabilire  se   si   tratti   di
intercettazioni «indirette» o meramente «occasionali». 
    Le censure relative agli artt. 24,  secondo  comma,  102  e  104,
primo comma, Cost. risulterebbero, altresi', inammissibili in  quanto
prospettate  in  forma  ipotetica,  non  essendo  intervenuta  alcuna
valutazione    della    Camera    di    appartenenza    in     ordine
all'autorizzazione, non ancora richiesta. 
    Nel merito, in ogni caso, la sentenza n. 390 del 2007 non avrebbe
affatto indirizzato la risoluzione del  dubbio  di  costituzionalita'
nella direzione indicata dai rimettenti. Con essa, infatti, la  Corte
costituzionale ha evidenziato che solo «di regola»  l'intercettazione
fortuita non incide sul bene  tutelato  dall'art.  68,  terzo  comma,
Cost. (l'indipendenza del potere legislativo da quello  giudiziario),
lasciando cosi' intendere che detta incidenza non puo' essere esclusa
in assoluto. Ne', d'altra parte, potrebbe trascurarsi la  circostanza
che  la  distinzione  -   pure   teoricamente   chiarissima   -   tra
intercettazioni «indirette»  e  «fortuite»,  tracciata  dalla  citata
pronuncia, abbia, in concreto, confini estremamente labili. 
    In tale prospettiva, anche a ritenere che  il  vaglio  successivo
delle   Camere   sulle   intercettazioni   «occasionali»   non    sia
costituzionalmente imposto, esso sarebbe comunque  costituzionalmente
consentito, ed anzi perfettamente coerente con il dettato ed  i  fini
della norma costituzionale.  Nessuna  lesione  risulterebbe  pertanto
ravvisabile, non soltanto  in  rapporto  all'art.  68,  terzo  comma,
Cost., ma  neppure  in  relazione  all'art.  3  Cost.  -  essendo  la
diversita' di regime rispetto al comune cittadino giustificata  dalle
particolari esigenze di tutela, non tanto  del  parlamentare,  quanto
del potere  legislativo  -  e  agli  altri  parametri  costituzionali
evocati. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Il Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di  Napoli
e il Giudice per  le  indagini  preliminari  del  medesimo  Tribunale
dubitano della legittimita' costituzionale dell'art. 6, commi  2,  3,
4, 5 e 6, della legge  20  giugno  2003,  n.  140  (Disposizioni  per
l'attuazione dell'art. 68 della Costituzione nonche'  in  materia  di
processi penali nei confronti delle alte cariche dello Stato),  nella
parte residuata rispetto  alla  declaratoria  di  incostituzionalita'
recata dalla sentenza n. 390 del 2007: chiedendo, in specie, che  sia
rimosso  l'obbligo  di  chiedere  l'autorizzazione  della  Camera  di
appartenenza al fine di utilizzare le  intercettazioni  «casuali»  di
conversazioni o comunicazioni di membri del Parlamento, anche  quando
si tratti di utilizzazione nei confronti  dello  stesso  parlamentare
interessato. 
    Ad avviso dei rimettenti, la norma impugnata violerebbe gli artt.
3, primo comma, e 68, terzo comma, della  Costituzione,  introducendo
una deroga al  principio  di  parita'  di  trattamento  davanti  alla
giurisdizione non espressamente prevista dal citato  art.  68,  terzo
comma,  Cost.,  ne'  riconducibile  alla  sua  ratio  (il  «periculum
persecutionis»), e finalizzata, altresi', alla tutela di un valore  -
la riservatezza del parlamentare - non sovraordinato  o  equiordinato
rispetto al principio derogato. 
    La disciplina censurata lederebbe anche  gli  artt.  102  e  104,
primo comma, Cost.,  giacche',  in  contrasto  con  il  principio  di
separazione dei  poteri,  attribuirebbe  alle  Camere  un  potere  di
sindacato sulla gestione processuale di una prova gia' legittimamente
formata. 
    Il solo Giudice dell'udienza preliminare del Tribunale di  Napoli
solleva, inoltre, in via subordinata - prospettando un contrasto  con
l'art.  24,  secondo  comma,  Cost.  -  questione   di   legittimita'
costituzionale dell'art. 6, comma 2, della legge  n.  140  del  2003,
nella parte in cui non stabilisce «che l'attivazione della  procedura
ivi prevista [...] sia subordinata al previo consenso/nulla osta  del
Parlamentare interessato». 
    La norma impugnata comprometterebbe, per tale verso,  il  diritto
di  difesa  del  parlamentare,  il  quale  -  nel  caso  in  cui   le
intercettazioni  «occasionali»  risultassero  utili,  o   addirittura
decisive,  per  la  propria  difesa  -   vedrebbe   condizionata   la
possibilita'  di  utilizzarle  da  una  decisione  della  Camera   di
appartenenza: decisione che potrebbe essere strumentalizzata per fini
di ritorsione politica. 
    2. - Le ordinanze di rimessione sollevano questioni  parzialmente
coincidenti, relative alla medesima norma, onde  i  relativi  giudizi
vanno riuniti per essere definiti con unica decisione. 
    3. - L'eccezione  di  inammissibilita'  dell'Avvocatura  generale
dello Stato, tesa a far valere  il  carattere  solo  ipotetico  delle
censure relative agli artt. 24,  secondo  comma,  102  e  104,  primo
comma, Cost., non e' fondata. 
    A differenza, infatti, che nel caso  esaminato  da  questa  Corte
nella sentenza n. 390 del 2007, i rimettenti  non  si  dolgono  della
disciplina degli effetti del  diniego  di  autorizzazione,  ma  della
stessa previsione dell'obbligo  di  richiederla.  Di  conseguenza,  i
giudici a quibus hanno correttamente sollevato la questione prima  di
proporre la richiesta di  autorizzazione:  iniziativa,  questa,  che,
presupponendo   l'applicazione   della   norma   censurata,   avrebbe
determinato l'esaurimento del loro potere decisorio sul punto. 
    4. - Fondata, per converso, e' l'ulteriore eccezione della difesa
erariale,  di  inammissibilita'  delle  questioni  per  insufficiente
descrizione della fattispecie concreta e difetto di motivazione sulla
rilevanza, con particolare riguardo  alla  natura  «casuale»,  e  non
«indiretta», delle intercettazioni  che  si  intende  utilizzare  nei
giudizi a quibus. 
    Rappresentando  la  distinzione  tra   le   ipotesi   considerate
rispettivamente dall'art. 4 e dall'art. 6  della  legge  n.  140  del
2003, questa Corte ha infatti rilevato, con la sentenza  n.  390  del
2007, che la disciplina dell'autorizzazione preventiva, delineata dal
primo dei citati articoli in attuazione dell'art.  68,  terzo  comma,
Cost. - il quale  «vieta  di  sottoporre  ad  intercettazione,  senza
autorizzazione,  non  le  utenze  del   parlamentare,   ma   le   sue
comunicazioni» - deve trovare applicazione «tutte le volte in cui  il
parlamentare  sia  individuato   in   anticipo   quale   destinatario
dell'attivita' di captazione»:  dunque,  non  soltanto  quando  siano
sottoposti  ad  intercettazione  utenze  o  luoghi  appartenenti   al
soggetto  politico  o  nella  sua   disponibilita'   (intercettazioni
«dirette»), ma anche quando lo siano  utenze  o  luoghi  di  soggetti
diversi,   che   possono   tuttavia   «presumersi   frequentati   dal
parlamentare» (intercettazioni «indirette»). In  altre  parole,  cio'
che rileva «non e' la titolarita'  o  la  disponibilita'  dell'utenza
captata, ma la direzione dell'atto di indagine»: «se quest'ultimo  e'
volto, in concreto, ad accedere nella sfera delle  comunicazioni  del
parlamentare, l'intercettazione non  autorizzata  e'  illegittima,  a
prescindere dal fatto che il procedimento riguardi  terzi  o  che  le
utenze sottoposte a controllo appartengano a terzi». 
    Viceversa, la disciplina dell'autorizzazione successiva, prevista
dall'impugnato art. 6, si riferisce unicamente  alle  intercettazioni
«casuali» (o «fortuite»): rispetto alle quali, cioe' -  «proprio  per
il  carattere  imprevisto  dell'interlocuzione  del  parlamentare»  -
«l'autorita'  giudiziaria  non  potrebbe,  neanche  volendo,  munirsi
preventivamente del placet della Camera di appartenenza» (sentenza n.
390 del 2007). 
    5.  -  Nella  specie,  i  giudici  rimettenti  -  i   quali   non
specificano, tra l'altro, i fatti per cui si procede  nei  giudizi  a
quibus, ma fanno un mero riferimento numerico agli articoli di  legge
che prevedono le astratte ipotesi di reato cui tali fatti  dovrebbero
corrispondere - affermano la natura «casuale»  delle  intercettazioni
in  termini  sostanzialmente  apodittici,  facendola  discendere,  in
pratica, dalla sola circostanza  che  l'attivita'  di  captazione  e'
stata disposta su utenze in uso ad altri indagati. 
    Tale indicazione risulta insufficiente, tanto piu' in ragione del
fatto che i giudici a quibus non deducono che,  nel  momento  in  cui
l'intercettazione delle comunicazioni dei  parlamentari  ebbe  luogo,
questi ultimi non figurassero ancora nel novero  degli  indagati.  Il
Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli  afferma,
anzi, il contrario, al punto che si pone espressamente - risolvendolo
in senso positivo, sulla scorta delle affermazioni della sentenza  n.
390 del 2007 - il problema dell'applicabilita' dell'art. 6 anche  nel
caso di  intercettazioni  effettuate  in  procedimenti  nei  quali  i
parlamentari risultino gia' sottoposti alle indagini. 
    In   siffatta   evenienza,   peraltro,   e'   indubbio   che   la
qualificazione  dell'intercettazione  come  «casuale»  richieda   una
verifica particolarmente attenta. 
    E' ben vero, infatti, che - come affermato dalla stessa  sentenza
n. 390 del 2007 - non puo' giungersi ad  ipotizzare  addirittura  una
presunzione assoluta del carattere  «indiretto»  dell'intercettazione
(tale  da   far   sorgere   sempre   l'esigenza   dell'autorizzazione
preventiva),   basata   sulla   «elevata    probabilita'    che    le
intercettazioni, disposte in un procedimento che riguarda (anche)  il
parlamentare, finiscano comunque per captarne le  comunicazioni,  ove
pure il controllo venga materialmente effettuato su altri  soggetti».
Ma  e'  altrettanto  vero  che,  nella  fattispecie  considerata,  il
sospetto dell'elusione della garanzia e' piu' forte e che,  comunque,
l'ingresso del  parlamentare  -  gia'  preventivamente  raggiunto  da
indizi  di  reita'  -  nell'area  di  ascolto  evoca   con   maggiore
immediatezza,  nell'autorita'  giudiziaria,  la  prospettiva  che  la
prosecuzione  dell'attivita'  di  intercettazione  su  utenze  altrui
servira' (anche) a captare comunicazioni del membro  del  Parlamento,
suscettibili  di  impiego  a  suo  carico:  ipotesi  nella  quale  la
captazione successiva di tali comunicazioni perde ogni  «casualita'»,
per divenire mirata. 
    Da cio' deriva la necessita' che, in sede  di  motivazione  sulla
rilevanza della questione di costituzionalita', il giudice mostri  di
aver  tenuto  effettivamente  conto   del   complesso   di   elementi
significativi al  fine  di  affermare  o  escludere  la  «casualita'»
dell'intercettazione: e cosi', ad esempio, dei rapporti intercorrenti
tra parlamentare e terzo sottoposto a intercettazione, avuto riguardo
al tipo di attivita' criminosa oggetto di indagine; del numero  delle
conversazioni intercorse tra il terzo e il parlamentare; dell'arco di
tempo durante il quale tale  attivita'  di  captazione  e'  avvenuta,
anche rispetto  ad  eventuali  proroghe  delle  autorizzazioni  e  al
momento in cui sono sorti indizi a carico del parlamentare. 
    Nell'assenza di  tali  verifiche  e  di  adeguata  corrispondente
motivazione sul punto, le questioni devono essere  dunque  dichiarate
inammissibili.