Sentenza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  5,  comma  2,
lettera d), del d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313  (Testo  unico  delle
disposizioni legislative e regolamentari  in  materia  di  casellario
giudiziale, di anagrafe delle sanzioni amministrative  dipendenti  da
reato e dei relativi carichi pendenti),  promosso  dal  Tribunale  di
Gela con ordinanza dell'11 dicembre 2009,  iscritta  al  n.  108  del
registro ordinanze 2010 e pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica n. 16, 1ª serie speciale, dell'anno 2010. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella camera di consiglio del 22 settembre 2010 il  giudice
relatore Gaetano Silvestri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Con ordinanza dell'11 dicembre 2009, il Tribunale  di  Gela,
in   composizione   monocratica   ed   in   funzione    di    giudice
dell'esecuzione,  ha  sollevato,  in  riferimento  all'art.  3  della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  5,
comma 2, lettera d), del d.P.R. 14 novembre 2002, n. 313 (Testo unico
delle  disposizioni  legislative  e  regolamentari  in   materia   di
casellario giudiziale,  di  anagrafe  delle  sanzioni  amministrative
dipendenti da reato e dei relativi carichi pendenti), nella parte  in
cui non consente di eliminare dal casellario giudiziale  -  «in  ogni
caso e, comunque, nei confronti di coloro i quali abbiano ottenuto la
riabilitazione» − le iscrizioni che si riferiscono  ai  provvedimenti
giudiziari di condanna per contravvenzioni per  le  quali  sia  stata
inflitta la pena dell'ammenda, trascorsi dieci anni dal giorno in cui
la pena e' stata eseguita ovvero si e' in altro modo estinta, qualora
con detti  provvedimenti  sia  stato  concesso  alcuno  dei  benefici
previsti dagli artt. 163 e 175 del codice penale. 
    La medesima norma e' inoltre oggetto  di  censura,  relativamente
alla sua applicazione nei confronti  dei  soggetti  riabilitati,  per
l'asserito contrasto con l'art. 27, terzo comma, Cost. 
    1.1. - Il rimettente e' chiamato  a  decidere  sulla  domanda  di
eliminazione dal casellario giudiziale dell'iscrizione concernente la
sentenza definitiva, pronunciata dal Pretore di  Gela  il  20  maggio
1981, con la quale l'istante era stato riconosciuto  colpevole  della
contravvenzione prevista dall'art. 651 cod. pen.  e  condannato  alla
pena di lire 6.000 di ammenda (corrispondenti a euro  3,10),  con  la
concessione dei benefici della sospensione condizionale della pena  e
della non menzione. Lo stesso  rimettente  precisa  altresi'  che  in
riferimento a tale condanna - oggetto dell'unica annotazione  apposta
nel certificato del casellario giudiziale - l'istante ha ottenuto  la
riabilitazione  con  provvedimento  emesso  il  2  maggio  2008   dal
Tribunale di sorveglianza di Caltanissetta. 
    1.2. - Tanto premesso in fatto, il  giudice  a  quo  richiama  la
previsione contenuta nell'art. 40 del d.P.R. n. 313 del 2002, in tema
di  competenza,  la  quale  devolve  le  questioni   concernenti   le
iscrizioni e i certificati del casellario giudiziale al tribunale del
luogo dove ha sede l'ufficio locale nel cui  ambito  territoriale  e'
nata la persona cui e' riferita l'iscrizione o  il  certificato,  che
decide in composizione monocratica e nelle forme  previste  dall'art.
666 del codice di procedura penale. 
    Quanto  alla  non  manifesta  infondatezza  della  questione,  il
rimettente osserva come la permanenza delle iscrizioni concernenti  i
provvedimenti di condanna per contravvenzioni per le quali sia  stata
inflitta la pena dell'ammenda, nei casi di concessione di alcuno  dei
benefici di cui  agli  artt.  163  e  175  cod.  pen.,  determini  un
trattamento  irragionevolmente  deteriore   dei   soggetti   ritenuti
meritevoli dei predetti benefici,  rispetto  a  coloro  i  quali  non
abbiano potuto «inizialmente» giovarsi degli stessi, in ragione della
ritenuta maggiore capacita' a delinquere  ovvero  di  altri  elementi
considerati  dall'autorita'   giurisdizionale   procedente.   Costoro
infatti,  dopo  aver   ottenuto   la   cancellazione   dei   relativi
provvedimenti di condanna una  volta  decorso  il  termine  decennale
previsto dalla norma censurata, possono ancora usufruire dei benefici
indicati in riferimento ad una eventuale, successiva condanna. 
    Ulteriore profilo di irragionevolezza del divieto di eliminazione
delle indicate iscrizioni si profilerebbe nei casi,  come  l'odierno,
in  cui  sia  intervenuta  la  riabilitazione  del  condannato,   con
conseguente estinzione di ogni effetto penale della condanna. In tali
situazioni, secondo il giudice a quo, «non e' possibile tenere  conto
ai fini della cancellazione dell'iscrizione dal casellario giudiziale
della sospensione condizionale dell'esecuzione e della  non  menzione
della condanna allora riconosciute, non essendo  ravvisabili  per  le
contravvenzioni le  deroghe  alla  piena  esplicazione  dei  benefici
indicati dall'art. 178 cod. pen. previste per i delitti». 
    Il Tribunale  prospetta  infine,  in  relazione  all'applicazione
della norma ai soggetti  riabilitati,  la  violazione  del  principio
della necessaria finalita'  rieducativa  della  pena,  per  l'effetto
pregiudizievole che discende dalla permanenza  dell'iscrizione  delle
condanne, posto  che,  secondo  la  giurisprudenza  di  legittimita',
l'intervenuta  riabilitazione  non  preclude   la   valutazione   dei
«precedenti penali e giudiziali del riabilitato e, in  genere,  della
condotta di vita antecedente  al  reato,  ai  fini  dell'accertamento
della capacita' a delinquere» (e' richiamata la sentenza n. 9116  del
1998 della Corte di cassazione). 
    2. - Con atto depositato l'11  maggio  2010,  e'  intervenuto  in
giudizio il Presidente del Consiglio dei  ministri,  rappresentato  e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che   la
questione sia dichiarata inammissibile o, comunque, infondata. 
    2.1. - In via preliminare,  l'Avvocatura  generale  prospetta  un
vizio di genericita' della motivazione, sia  con  riguardo  alla  non
manifesta infondatezza della questione, sul rilievo che il rimettente
avrebbe omesso l'esame del quadro normativo al cui interno si colloca
la  norma  censurata,  sia  con  riferimento  alla  rilevanza   della
questione medesima,  posto  che  lo  stesso  rimettente  non  avrebbe
chiarito  se  la  predetta   norma   costituisca   l'unico   ostacolo
all'accoglimento dell'istanza di cancellazione. 
    In particolare, secondo la difesa dello Stato, il rimettente  non
avrebbe approfondito  il  tema  dei  rapporti  tra  l'istituto  della
riabilitazione ed i benefici previsti dagli  artt.  163  e  175  cod.
pen., ne' quello della natura della non menzione della  condanna  nel
casellario giudiziale, entrambi significativi ai fini del giudizio di
rilevanza dell'odierna questione. Se infatti,  prosegue  l'Avvocatura
generale, si accede all'opinione dottrinale secondo cui  l'iscrizione
della condanna nel casellario giudiziale ha natura di pregiudizio  in
senso lato - e non anche  di  effetto  penale  della  condanna  -  la
riabilitazione non potrebbe esplicare alcuna influenza in proposito e
la questione odierna sarebbe priva di rilevanza. Ritenendo invece che
i benefici di cui agli artt. 163 e 175 cod. pen.  abbiano  natura  di
effetti penali  della  condanna,  come  affermato  di  recente  dalla
giurisprudenza di legittimita' (e' richiamata la  sentenza  n.  12451
del 2009  della  Corte  di  cassazione),  la  questione  risulterebbe
ugualmente priva di rilevanza, posto che nella specie non  e'  ancora
decorso il termine di sette anni  dalla  intervenuta  riabilitazione,
entro il quale, ai sensi dell'art. 180 cod. pen., questa e'  revocata
di diritto se l'interessato commette un delitto non  colposo  per  il
quale sia irrogata la pena della reclusione non inferiore a due anni. 
    2.2. - Nel merito l'Avvocatura generale  osserva  come  la  norma
censurata, esaminata all'interno del quadro normativo di riferimento,
appaia tutt'altro che irragionevole. 
    L'art. 164  cod.  pen.  prevede  infatti  che  il  giudice  possa
disporre la sospensione condizionale della pena non piu' di una volta
(o due quando il cumulo delle condanne non superi  i  limiti  di  cui
all'art. 163 cod. pen.), la' dove  l'unico  strumento  dal  quale  il
giudice  puo'  attingere  informazioni  in  ordine  alle   precedenti
concessioni  del  beneficio  e'  costituito   dal   certificato   del
casellario giudiziale. 
    Se,  dunque,  si  potesse  procedere  alla  cancellazione   delle
iscrizioni in via indiscriminata, un soggetto condannato  piu'  volte
potrebbe ottenere un numero di sospensioni  condizionali  della  pena
superiore a quello consentito dalla legge. 
    In questo senso sarebbe orientata la prevalente giurisprudenza di
legittimita', che ha evidenziato come la concessione dei benefici  di
cui agli artt. 163 e 175 cod. pen. sia di  ostacolo  all'eliminazione
della  iscrizione  della  condanna  dal  casellario  giudiziale,  sul
rilievo che tale iscrizione non abbia natura di effetto penale  della
condanna,  bensi'  di  atto  che  assolve   a   finalita'   meramente
informative, con conseguente ininfluenza delle vicende estintive  del
reato e degli effetti penali della condanna. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Il Tribunale di Gela,  in  composizione  monocratica  ed  in
funzione di giudice dell'esecuzione,  ha  sollevato,  in  riferimento
all'art.   3   della   Costituzione,   questione   di    legittimita'
costituzionale dell'art. 5,  comma  2,  lettera  d),  del  d.P.R.  14
novembre 2002, n. 313 (Testo unico delle disposizioni  legislative  e
regolamentari in materia di casellario giudiziale, di anagrafe  delle
sanzioni amministrative dipendenti da reato e  dei  relativi  carichi
pendenti),  nella  parte  in  cui  non  consente  di  eliminare   dal
casellario giudiziale - «in ogni caso e, comunque, nei  confronti  di
coloro i quali abbiano ottenuto la riabilitazione»  −  le  iscrizioni
che si  riferiscono  ai  provvedimenti  giudiziari  di  condanna  per
contravvenzioni per le quali sia stata inflitta la pena dell'ammenda,
trascorsi dieci anni dal giorno in cui  la  pena  e'  stata  eseguita
ovvero si e' in altro modo estinta, qualora con  detti  provvedimenti
sia stato concesso alcuno dei benefici previsti dagli artt. 163 e 175
del codice penale. 
    La medesima norma e' inoltre oggetto  di  censura,  relativamente
alla sua applicazione nei confronti  dei  soggetti  riabilitati,  per
l'asserito contrasto con l'art. 27, terzo comma, Cost. 
    2. - La questione e' fondata. 
    2.1. - La norma censurata si pone come eccezione  al  trattamento
riservato dalla legge - in tema di permanenza  delle  iscrizioni  nel
casellario giudiziale  -  ai  provvedimenti  di  condanna  alla  pena
dell'ammenda per reati contravvenzionali, per i  quali  e'  possibile
l'eliminazione, «trascorsi dieci anni dal giorno in cui  la  pena  e'
stata eseguita ovvero si e' in altro modo estinta» (art. 5, comma  2,
lettera d) del  d.P.R.  n.  313  del  2002).  La  possibilita'  della
cancellazione e' stata esclusa, sin dal codice  di  rito  penale  del
1930, per i provvedimenti con cui siano  stati  concessi  i  benefici
della sospensione condizionale della pena e della non menzione  della
condanna nel certificato del casellario giudiziale. 
    La finalita' della sottrazione delle due  ipotesi  di  cui  sopra
alla disciplina riguardante le condanne alla sola  pena  dell'ammenda
si deduce, per quanto riguarda  la  sospensione  condizionale,  dalla
regola, contenuta nel quarto  comma  dell'art.  164  cod.  pen.,  che
escludeva, nella sua originaria formulazione, la  concedibilita'  del
beneficio per piu' di  una  volta.  Per  cio'  che  concerne  la  non
menzione  nel  certificato  del  casellario  giudiziale,  spedito   a
richiesta di privati, non per ragione  di  diritto  elettorale  (art.
175, primo comma, cod. pen.), la ratio  dell'esclusione  si  rinviene
nel terzo comma del citato art. 175 cod. pen., che prevede la  revoca
dell'ordine  di  non  menzione,  qualora   il   condannato   commetta
successivamente un delitto. 
    Il legislatore ha ritenuto che fosse  necessario  mantenere  sine
die l'iscrizione  della  condanna,  allo  scopo  di  evitare  che  il
beneficio della sospensione condizionale sia concesso per  un  numero
di  volte  eccedente  i  limiti  posti  dalla  legge  e  per  rendere
concretamente praticabile la revoca del beneficio della non menzione,
nell'ipotesi di successiva commissione di un  delitto  da  parte  del
condannato. E' stata cosi' stabilita una sorta di  simmetria  fra  il
trattamento piu' favorevole deciso dal giudice nei  confronti  di  un
condannato, derivante dalla concessione dei benefici di cui sopra,  e
la conseguenza piu' sfavorevole,  scaturente  dal  carattere  perenne
della iscrizione, volto ad evitare che il beneficiario possa ottenere
ulteriori vantaggi dalla  minore  severita'  della  condanna  subita,
nell'ipotesi di successive condanne penali. 
    2.2. - Occorre tuttavia rimarcare che il rigore  del  divieto  di
concessione per piu' di una volta  del  beneficio  della  sospensione
condizionale della pena si e', nel corso  del  tempo,  attenuato  per
effetto di interventi di questa Corte e del legislatore. 
    In particolare,  con  la  sentenza  n.  73  del  1971,  e'  stata
dichiarata  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  164,  quarto
comma, cod. pen., nella parte in cui escludeva che potesse concedersi
una seconda sospensione condizionale, nel caso di nuova condanna  per
delitto anteriormente commesso, ad una pena che, cumulata con  quella
gia'  sospesa,  non  superasse  i  limiti  per  l'applicabilita'  del
beneficio. In conformita' a  tale  orientamento,  e'  intervenuto  il
legislatore,  che,  con  decreto-legge  11   aprile   1974,   n.   99
(Provvedimenti urgenti  sulla  giustizia  penale),  convertito  dalla
legge 7 giugno 1974, n. 220, ha sostituito  il  testo  dell'art.  164
cod. pen., introducendo la regola contenuta nella suddetta sentenza. 
    La  reiterabilita'  della  sospensione  condizionale  della  pena
consegue anche  dalla  disciplina  del  codice  di  procedura  penale
riguardante alcuni riti alternativi. L'art. 460, comma 5, cod.  proc.
pen., in materia di decreto penale di condanna,  stabilisce  che  «il
reato e' estinto, se nel termine di cinque anni,  quando  il  decreto
concerne un delitto, o di due anni quando  il  decreto  concerne  una
contravvenzione,  l'imputato  non  commette  un  delitto  ovvero  una
contravvenzione della stessa indole. In questo caso si estingue  ogni
effetto penale e  la  condanna  non  e'  comunque  di  ostacolo  alla
concessione di una successiva sospensione condizionale della pena». 
    Con  riferimento  al  tema  delle   iscrizioni   nel   casellario
giudiziale, si deve notare che l'art. 460, comma 2, cod.  proc.  pen.
e' stato modificato dall'art. 2-decies  del  decreto-legge  7  aprile
2000, n. 82 (Modificazioni della disciplina dei termini  di  custodia
cautelare nella fase del giudizio abbreviato), convertito dalla legge
5 giugno 2000, n. 144.  A  seguito  della  novella  il  giudice,  nel
provvedere alla condanna  per  decreto,  non  puo'  disporne  la  non
menzione nel certificato penale spedito a richiesta dei  privati  (un
generalizzato divieto di menzione del decreto  penale  e'  stato  poi
introdotto mediante il d.P.R. n. 313 del 2002, con evidenti  fini  di
ulteriore incentivazione all'acquiescenza per  il  destinatario).  In
conseguenza dell'innovazione, le iscrizioni concernenti  le  condanne
irrogate per decreto sono ormai suscettibili di eliminazione, decorsi
dieci anni dalla esecuzione o dalla estinzione della pena.  Che  tale
nuova situazione dei condannati per decreto sia piu' favorevole della
precedente, poiche' appunto consente la cancellazione dell'iscrizione
della  condanna  dal  casellario  giudiziale,  e'  confermato   dalla
giurisprudenza di  legittimita',  la  quale,  richiamando  l'art.  2,
quarto comma,  cod.  pen.,  ha  ritenuto  che  la  cancellazione  dal
casellario giudiziale, connessa  all'intervenuto  divieto  della  non
menzione, sia consentita anche riguardo  alle  condanne  per  decreto
anteriori alla novella  dell'art.  460  cod.  proc.  pen.  (Corte  di
cassazione, sentenza n. 12451 del 2009). 
    Nella stessa direzione si muove l'art. 445, comma 2,  cod.  proc.
pen., in materia di  patteggiamento,  che  dispone  l'estinzione  del
reato «ove sia stata irrogata una pena detentiva a due  anni  soli  o
congiunti a pena pecuniaria, se nel termine di cinque anni, quando la
sentenza concerne un delitto, ovvero di due anni, quando la  sentenza
concerne una contravvenzione,  l'imputato  non  commette  un  delitto
ovvero una contravvenzione della stessa indole.  In  questo  caso  si
estingue ogni effetto penale,  e  se  e'  stata  applicata  una  pena
pecuniaria o una sanzione sostitutiva, l'applicazione non e' comunque
di  ostacolo  alla  concessione   di   una   successiva   sospensione
condizionale della pena». 
    2.3. - Le disposizioni sopra richiamate inducono alla conclusione
che l'ordinamento si orienta a togliere  valore  preclusivo  assoluto
alla regola della non concedibilita' della  sospensione  condizionale
della pena per piu' di una volta, specie allo scopo di eliminare  gli
effetti  irragionevoli  che  si  possono  produrre  quando  la  prima
concessione  riguardi  reati  puniti  con  una  pena  pecuniaria.  La
tendenza emergente e' quella di evitare che  una  pregressa  condanna
per un reato di non  grave  entita'  si  proietti  senza  limiti  sul
futuro,  con   conseguenze   che   potrebbero   essere   paradossali,
nell'ipotesi di una contravvenzione punita con una pena molto  lieve,
che diventa preclusiva di una specifica valutazione  del  giudice  in
relazione ad un reato commesso anche dopo molti anni, quando la prima
condanna, con tutti i suoi effetti, si e' gia' estinta per il decorso
di un determinato lasso di  tempo,  senza  che  il  condannato  abbia
commesso reati della stessa indole. Il legislatore ha ritenuto, nelle
fattispecie sopra ricordate, che, estintosi il primo reato di modesta
entita', il condannato possa aspirare ad essere nuovamente messo alla
prova, se  il  giudice  «avuto  riguardo  alle  circostanze  indicate
nell'art. 133,  [...]  presume  che  il  colpevole  si  asterra'  dal
commettere ulteriori reati» (art. 164, primo comma, cod. pen.). 
    A quanto detto si deve aggiungere che lo stesso art. 5 del d.P.R.
n. 313 del 2002, alla lettera g) del comma  2,  prevede  che  possano
essere cancellate le iscrizioni relative «ai provvedimenti giudiziari
di condanna emessi dal giudice di pace,  trascorsi  cinque  anni  dal
giorno in cui la sanzione e' stata eseguita se e' stata  inflitta  la
pena pecuniaria, o dieci anni se e' stata inflitta una pena  diversa,
se nei periodi indicati non e' stato commesso un ulteriore reato». 
    Non compaiono, nella disposizione sopra riportata,  le  eccezioni
previste dalla norma censurata nel presente  giudizio.  Peraltro,  la
sospensione condizionale della pena e' stata completamente eliminata,
per i reati di competenza del  giudice  di  pace,  dall'art.  60  del
decreto legislativo  28  agosto  2000,  n.  274  (Disposizioni  sulla
competenza penale del giudice di pace, a  norma  dell'art.  14  della
legge 24 novembre 1999 n. 468). 
    3. - Alla luce delle indicate linee  evolutive  dell'ordinamento,
si impone una riconsiderazione della preclusione  drastica  derivante
dalla norma censurata, che vieta, sempre e comunque, la cancellazione
dal casellario giudiziale della condanna all'ammenda,  decorsi  dieci
anni  dall'esecuzione  o  dall'estinzione  della  pena,  quando   sia
concesso alcuno dei benefici di cui agli artt. 163 e 175 cod. pen. 
    Tale limitazione persegue lo scopo di salvaguardare  il  divieto,
in origine assoluto, di concedere  la  sospensione  condizionale  per
piu' di una volta. Tuttavia - come e' stato evidenziato nel paragrafo
precedente - tale divieto ha subito significative attenuazioni, tutte
volte a salvaguardare  altre  finalita'  meritevoli  di  tutela,  che
sarebbero  state  compromesse  dall'indiscriminata  operativita'  del
divieto stesso. Le nuove discipline riguardanti le pene irrogate  con
decreto penale o in seguito a patteggiamento, o ancora dal giudice di
pace, dimostrano che le condanne a pene di lieve entita', relative  a
reati di modesta rilevanza, sono considerate dal legislatore  in  una
luce diversa rispetto al passato,  con  il  progressivo  abbattimento
delle barriere rigide costruite dalla legge in seguito ad  una  prima
infrazione di una norma penale. Viene in primo piano  la  valutazione
sulla  specificita'  dei  casi   concreti,   sulla   gravita'   delle
trasgressioni e sull'esigenza di non aggravare,  con  la  perpetuita'
delle preclusioni, gli effetti  di  comportamenti  antigiuridici  non
gravi e lontani nel tempo. 
    Questa tendenza della giurisprudenza costituzionale e della  piu'
recente legislazione  e'  contraddetta  dalla  norma  censurata,  che
capovolge irragionevolmente i trattamenti  rispettivamente  riservati
al condannato cui non sono stati concessi  i  benefici  di  cui  agli
artt. 163 e 175 cod. pen. e a quello cui invece  tali  benefici  sono
stati accordati. 
    Occorre ricordare ancora una volta che l'art. 164,  primo  comma,
cod. pen. subordina la  concessione  della  sospensione  condizionale
della  pena  alla  prognosi  -  conseguente  alla  valutazione  degli
elementi da cui desumere la gravita' del  reato,  indicati  nell'art.
133 cod. pen. - che il colpevole si asterra' in futuro dal commettere
ulteriori reati. Avuto riguardo alle stesse circostanze,  il  giudice
puo'  ordinare  che  non  sia  fatta  menzione  della  condanna   nel
certificato del casellario giudiziale spedito a richiesta di privati.
In entrambe le ipotesi, la valutazione del giudice e' meno severa  di
quella formulata  a  carico  dei  condannati  che,  in  seguito  alla
considerazione delle suddette circostanze, appaiono non  meritare  la
concessione dei benefici di cui sopra. Si puo' addirittura verificare
il paradosso di un soggetto che subisca una nuova condanna alla  pena
dell'ammenda e possa, per tale  secondo  provvedimento,  chiedere  ed
ottenere, trascorsi dieci anni dalla esecuzione  o  estinzione  della
pena, la  cancellazione  della  relativa  iscrizione  dal  casellario
giudiziale, anche se il  secondo  reato  sia  stato  sanzionato  piu'
gravemente del primo. La conseguenza sarebbe che  di  un  reato  piu'
grave si perde memoria, mentre rimane sempre iscritta la condanna per
il reato piu' lieve. 
    4. - Il tendenziale attenuarsi del rigore delle preclusioni e  la
progressiva scomparsa del riferimento ai benefici nelle  disposizioni
riguardanti le condanne per reati  di  minore  gravita',  mettono  in
risalto un evidente squilibrio tra il bene protetto dalla norma sulla
cancellazione  delle  iscrizioni  per  le  condanne  alla  sola  pena
dell'ammenda e la cautela adottata dal  legislatore,  a  partire  dal
1930, volta ad impedire che i beneficiari dei  provvedimenti  di  cui
agli artt. 163 e 175 cod. pen. possano nuovamente fruirne nel caso di
successive violazioni della legge penale. 
    Innanzitutto, c'e' da rilevare il lungo lasso di tempo  che  deve
intercorrere tra  la  condanna  e  la  possibilita'  di  chiedere  la
cancellazione (dieci  anni  dall'estinzione  della  pena),  che  gia'
supera del doppio quello  previsto  per  tutte  le  condanne  a  pene
pecuniarie irrogate dal giudice di pace. 
    In secondo luogo, diventa stridente la diversita' di  trattamento
fra condannati alla pena dell'ammenda per i  medesimi  reati.  Mentre
originariamente la cautela contro possibili trasgressioni successive,
che rendeva retroattivamente immeritevoli dei benefici coloro che  ne
avessero goduto, veniva ritenuta prevalente sul diritto, riconosciuto
in generale dall'ordinamento, a pretendere  che  non  sia  conservata
memoria di infrazioni «bagatellari», oggi si  deve  ritenere  che  il
bilanciamento fra  le  due  opposte  tutele  -  quella  del  «diritto
all'oblio» di chi si  sia  reso  responsabile  in  tempi  passati  di
modeste infrazioni alla legge penale e per  un  periodo  congruo  non
abbia commesso altri  reati,  e  quella  contrapposta  di  precludere
un'indebita reiterazione dei benefici - porti alla  prevalenza  della
prima. Difatti tale reiterazione e' ammessa in un numero crescente di
casi e per altro verso si tende, per le pene piu' lievi, ad eliminare
la possibilita' stessa di concedere  tali  benefici,  che  finiscono,
nella pratica, per produrre piu' danni che vantaggi  ai  destinatari.
Tanto questo  e'  vero  che  la  giurisprudenza  di  legittimita'  ha
riconosciuto l'interesse ad impugnare  i  provvedimenti  di  condanna
alla pena dell'ammenda, nella parte in  cui  concedono,  sebbene  non
richiesti, i benefici ostativi alla cancellazione dell'iscrizione nel
casellario giudiziale (ex plurimis, Corte di cassazione, sentenza  n.
13000 del 2009). 
    In definitiva, l'esclusione di  coloro  che  abbiano  fruito  dei
benefici di cui agli artt. 163 e 175 cod. pen. dalla possibilita'  di
ottenere la cancellazione dal casellario giudiziale delle  iscrizioni
relative a  condanne  alla  pena  dell'ammenda,  decorsi  dieci  anni
dall'estinzione  della  pena  medesima,  nel  corso  dei   quali   il
condannato  non  abbia   compiuto   altri   reati,   deve   ritenersi
costituzionalmente   illegittima.   Tale   preclusione   produce   un
trattamento irragionevolmente  differenziato  fra  condannati  per  i
medesimi  reati,  sulla  base  di  una   cautela   che,   alla   luce
dell'evoluzione legislativa, e' divenuta eccessiva e  sproporzionata,
non  tale  quindi  da  bilanciare  lo  svantaggio  della   perennita'
dell'iscrizione,  non  prevista  invece  per  condannati  in  ipotesi
giudicati in modo piu' severo dal giudice. 
    5.  -  Sono  assorbite  le  altre   censure   di   illegittimita'
costituzionale prospettate nell'atto introduttivo del giudizio.