Sentenza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'articolo  13,  comma
7, della legge 27 marzo 1992, n. 257 (Norme relative alla  cessazione
dell'impiego dell'amianto), come modificato dall'articolo  1-bis  del
decreto-legge 5 giugno 1993,  n.  169  (Disposizioni  urgenti  per  i
lavoratori del settore dell'amianto), convertito, con  modificazioni,
dalla legge 4 agosto 1993, n. 271, promosso dal Tribunale di  Ravenna
nel procedimento vertente tra G. D. N. e l'Istituto  nazionale  della
previdenza sociale (INPS) con ordinanza dell'11 giugno 2009, iscritta
al n. 275 del registro ordinanze 2009  e  pubblicata  nella  Gazzetta
Ufficiale della Repubblica n. 46, 1ª serie speciale, dell'anno 2009. 
    Visti gli atti di costituzione di G. D. N.  e  dell'INPS  nonche'
l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    Udito nell'udienza pubblica del 6 luglio 2010 il giudice relatore
Paolo Grossi; 
    Uditi gli avvocati Michele Miscione e Gianni Casadio  per  G.  D.
N., Alessandro Riccio per l'INPS e l'avvocato dello  Stato  Francesco
Lettera per il Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Con ordinanza dell'11 giugno 2009, il Tribunale  di  Ravenna
ha sollevato, in riferimento agli articoli 3, primo comma, e 2  della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale  dell'articolo
13, comma 7, della legge 27 marzo 1992, n. 257 (Norme  relative  alla
cessazione dell'impiego dell'amianto), come modificato  dall'articolo
1-bis del decreto-legge 5 giugno 1993, n. 169  (Disposizioni  urgenti
per  i  lavoratori  del  settore   dell'amianto),   convertito,   con
modificazioni, dalla legge 4 agosto 1993, n. 271, «nella parte in cui
nega  che  spetti  l'erogazione  del  beneficio  della  rivalutazione
contributiva  ai  lavoratori  affetti  da   malattia   cagionata   da
esposizione all'amianto che si  trovassero  in  pensione  al  momento
della entrata in vigore della legge n. 257/1992 (28 aprile 1992)». 
    Premette il giudice a quo di essere stato investito a seguito  di
ricorso proposto da  una  persona  che  ha  chiesto  in  giudizio  il
riconoscimento  della  maggiorazione   contributiva   di   cui   alla
disposizione  denunciata,  essendo  stata   riconosciuta   dall'INAIL
affetta  da   malattia   professionale   derivante   da   esposizione
all'amianto. Il ricorso e' stato  proposto  in  sede  giurisdizionale
avendo l'INPS respinto la domanda formulata  in  tal  senso  in  sede
amministrativa, sulla  base  del  fatto  che  l'istante  non  era  in
attivita' lavorativa alla data di entrata in vigore  della  anzidetta
disposizione  legislativa,  in  quanto  titolare   di   pensione   di
anzianita'  sin  dal  1°   marzo   1991.   Tesi,   questa,   ribadita
dall'Istituto previdenziale anche in corso di causa. 
    Rammenta, in  proposito,  il  rimettente  di  aver  a  suo  tempo
sollevato identica questione di legittimita' costituzionale e che  la
stessa  e'  stata  dichiarata  da  questa  Corte  inammissibile   con
l'ordinanza n. 357 del 2008, in quanto sollevata in modo  illogico  e
per ottenere un avallo interpretativo. 
    Tanto premesso, il  giudice  a  quo  -  aderendo  alla  eccezione
proposta dal ricorrente - rileva come il costante orientamento  della
giurisprudenza  di  legittimita'  sia  consolidato  nel   negare   la
corresponsione del beneficio di cui all'art. 13, comma 7, della legge
n. 257 del 1992 ai lavoratori ammalati che si trovino in pensione  di
anzianita' o di vecchiaia  alla  data  di  entrata  in  vigore  della
disposizione medesima: orientamento, questo, tanto cristallizzato  da
aver assunto i connotati  del  diritto  vivente.  Il  tutto,  d'altra
parte, in linea con la prassi applicativa adottata dall'INPS in  sede
amministrativa.  Da  qui,  la  nuova  proposizione  del   dubbio   di
legittimita' costituzionale. 
    In punto di non manifesta  infondatezza,  il  giudice  rimettente
reputa irragionevole la esclusione in questione, in quanto «qualunque
lavoratore puo' contrarre una malattia da esposizione  all'amianto  a
prescindere  dalla  data  di  conseguimento  della  pensione,   dalla
cessazione dell'attivita'  morbigena  e  dal  settore  lavorativo  di
appartenenza», posto che,  come  e'  noto,  le  malattie  da  amianto
possono sopraggiungere anche  a  notevole  distanza  di  tempo  dalla
esposizione  professionale  e  dalla   cessazione   della   attivita'
lavorativa, rappresentando, dunque,  un  evento  futuro  ed  incerto,
privo di qualsiasi correlazione con l'epoca del  pensionamento.  Cio'
determinerebbe una irragionevole disparita' di trattamento,  che  non
si giustificherebbe neppure nella  prospettiva  di  una  agevolazione
all'esodo   dei   lavoratori   appartenenti   al   dismesso   settore
dell'amianto, in quanto la norma trova applicazione in  ogni  settore
merceologico. Anzi - segnala il rimettente - un  lavoratore  potrebbe
aver cessato di svolgere  la  propria  attivita'  lavorativa  proprio
perche' ammalato: sicche', non vi sarebbe ragione per  «differenziare
chi e' andato in pensione per lo stesso fatto di  aver  contratto  la
malattia prima o dopo l'entrata in vigore della legge». 
    Cio' ancor piu' ove si consideri che le provvidenze in  questione
non subiscono il termine di decadenza stabilito per i benefici di cui
al comma 8 dello stesso articolo 13 della legge n. 257  del  1992,  a
norma dell'art. 47 del d.l. n. 269 del 2003, convertito  dalla  legge
n. 326 del 2003; con la  conseguenza  che  l'INPS,  anche  alla  data
odierna, puo' accordare il beneficio a pensionati  ammalati  a  lunga
distanza di tempo dal pensionamento, discriminando, pero', chi  fosse
andato in pensione prima della lontana entrata in vigore della  norma
censurata. Esempio, questo, che rende impossibile  giustificare  tale
disparita' di trattamento sul rilievo che la norma stessa fosse  tesa
ad agevolare il raggiungimento della pensione e rimediare alla  crisi
del settore dell'amianto; al contrario - sottolinea ancora il giudice
a quo - in entrambe  le  ipotesi  poste  a  raffronto  «il  beneficio
potrebbe rivestire  l'eguale  effetto  di  compensare,  sia  pure  in
piccola parte, un pregiudizio effettivo  e  reale  derivante  da  una
patologia  professionale  sopraggiunta  nella  vita  di  entrambe  le
persone, senza alcuna connessione con il loro stato di pensionato». 
    La normativa impugnata risulterebbe, poi, in contrasto anche  con
i doveri  inderogabili  di  solidarieta'  sociale  ed  umana  sanciti
dall'art. 2 Cost., apparendo «disumano» precludere  il  diritto  alla
maggiorazione   per   i   lavoratori   riconosciuti   come   «esposti
all'amianto» solo perche' collocati in pensione prima  della  entrata
in vigore della legge n. 257 del 1992 e pur avendo essi contratto  la
malattia dopo la legge, al pari di  altri  lavoratori  che  si  siano
pensionati dopo; una discriminazione, questa, che minerebbe qualsiasi
vera  «solidarieta'  sociale,»   il   cui   «sentimento»   non   puo'
evidentemente  sussistere,  in  presenza  di  simili   sperequazioni,
neppure in capo a chi fruisca del beneficio. 
    2. - Nel giudizio davanti a questa  Corte  si  e'  costituita  la
parte  privata,  la  quale  ha  concluso  chiedendo  dichiararsi   la
illegittimita' costituzionale  della  norma  impugnata,  «cosi'  come
viene applicata e interpretata in modo unanime dalla giurisprudenza».
Nell'atto di costituzione, la parte privata, dopo  aver  sottolineato
come il «diritto  vivente»  si  sia  consolidato  sulla  base  di  un
equivoco, derivante dalla confusione operata tra il  comma  7  ed  il
comma 8 della disposizione impugnata, si riporta, nella sostanza,  ai
rilievi  svolti  nella  ordinanza  di  rimessione,  sottolineando  la
irrazionalita' della scelta normativa di cui si discute. 
    3. - Si e' costituito  in  giudizio  anche  l'Istituto  nazionale
della previdenza sociale (INPS), per  chiedere  una  declaratoria  di
inammissibilita' o di infondatezza. 
    L'INPS ha preliminarmente dedotto che l'esclusione dei pensionati
in data anteriore al 28 aprile 1992 dal novero dei beneficiari  della
tutela accordata dalla disposizione impugnata  troverebbe  fondamento
non gia' esclusivamente  -  come  parrebbe  presupposto  dal  giudice
rimettente - nella interpretazione («assurta a diritto vivente») data
a quest'ultima dalla  Corte  di  cassazione,  ma  «in  una  specifica
disposizione di legge», e cioe' nell'art. 80, comma 25,  della  legge
23  dicembre  2000,  n.  388  (a  proposito  di  rinuncia  all'azione
giudiziaria da parte di  lavoratori  esposti  all'amianto  e  cessati
dall'attivita' prima della data di entrata in vigore della  legge  n.
257 del 1992, nonche' di  recupero  di  incrementi  pensionistici  da
considerare  «indebiti»),   in   linea,   del   resto,   con   quanto
ripetutamente  affermato  dalla  Corte  di  cassazione  medesima:  la
«latitudine della citata  disposizione»  autorizzerebbe,  infatti,  a
riferire il suo contenuto  «anche  a  coloro  che  abbiano  adito  il
Giudice  per  sentire  accertare  il  loro   preteso   diritto   alla
rivalutazione contributiva connessa  alla  contrazione  di  patologia
amianto-correlata», ai sensi della disposizione denunciata. 
    La mancata censura, da parte del rimettente,  della  disposizione
in discorso  renderebbe,  pertanto,  la  questione  «inammissibile  o
comunque destituita di rilevanza», dal momento che la relativa  norma
(«che pure si presta ad essere applicata nel giudizio a quo») sarebbe
«di per se' sola sufficiente ad attestare l'insussistenza del diritto
preteso». 
    La questione risulterebbe, comunque, nel  merito,  infondata:  la
ratio della  disposizione  denunciata  sarebbe  non  gia'  quella  di
«indennizzare o compensare  il  lavoratore  colpito  dalla  patologia
professionale», ma piuttosto  quella  «di  incentivare  e  facilitare
l'esodo dal mondo del lavoro per coloro che siano stati coinvolti  in
lavorazioni  comunque  connotate  dall'impiego  di  amianto».   Tanto
attesterebbero sia elementi strettamente testuali (a cominciare dalla
rubrica del capo nel quale e' contenuto l'art. 13 della legge n.  257
del 1992, dedicata a «misure di  sostegno  per  i  lavoratori»,  come
anche emergerebbe dalla sentenza n. 434 del  2002  di  questa  Corte,
relativamente  a   diversa   fattispecie),   sia,   soprattutto,   la
circostanza che  la  tutela  prevista  dalla  disposizione  censurata
sarebbe   «espressamente   finalizzata   al   "conseguimento    delle
prestazioni pensionistiche"». 
    «Proprio  perche'  destinato   ad   operare   sulle   prestazioni
pensionistiche», il beneficio  in  questione  risulterebbe,  inoltre,
concretamente applicabile - in virtu' di «un incremento del pregresso
patrimonio   contributivo»   ottenuto    attraverso    il    previsto
moltiplicatore - «solo nei confronti di lavoratori  che  non  abbiano
gia' raggiunto la massima anzianita' contributiva (40 anni)»;  coloro
che  fossero  prossimi  a  raggiungerla  «potrebbero  avvalersi   del
coefficiente solo nella misura sufficiente per conseguire, appunto, i
40 anni di contributi». 
    Se, diversamente, si pensasse che la norma in esame  si  prefigga
di «compensare o  indennizzare  il  lavoratore  affetto  da  malattia
connessa all'esposizione all'amianto», allora  «il  diritto  a  detto
indennizzo  dipenderebbe  direttamente,  sia  per  l'an  sia  per  il
quantum,   dalla    consistenza    della    posizione    contributiva
dell'istante»: e  «il  lavoratore  che  abbia  contratto  tecnopatia,
manifestatasi  quando  questi  abbia  gia'  maturato   40   anni   di
contributi,  non  vedra'  migliorata  in  nulla  la   sua   posizione
previdenziale, sicche' non gli sara' riconosciuto alcun  ristoro  del
pregiudizio patito». Con la non plausibile conseguenza di «una tutela
indennitaria  destinata  ad  applicarsi  o  meno,  nei  confronti  di
lavoratori che pure abbiano contratto identica malattia professionale
a seguito di identica esposizione all'asbesto, a seconda della misura
del patrimonio contributivo dell'istante». 
    D'altra  parte,  la  natura  indennitaria  o  risarcitoria  della
rivalutazione contributiva di  cui  alla  norma  denunciata  dovrebbe
intendersi esclusa  anche  in  considerazione  del  fatto  che  detta
«tutela   indennitaria   [...]   e'    comunque    gia'    assicurata
dall'ordinamento nei termini di cui al  d.P.R.  30  giugno  1965,  n.
1124». 
    Assumendo, invece, che la norma denunciata  miri  «esclusivamente
ad agevolare il raggiungimento della  pensione»,  dovrebbe  risultare
«del  tutto  razionale  e  logico  condizionarne  l'applicazione   in
relazione al fatto che il trattamento pensionistico  sia  gia'  stato
conseguito o meno alla data di entrata in vigore della ripetuta legge
n. 257/1992»: cio' anche sulla  base  del  principio  generale  della
disciplina della materia, secondo cui  «la  pensione  si  liquida  in
applicazione della normativa vigente al  momento  della  liquidazione
stessa».  Ne'  questa   scelta   potrebbe   apparire   «tacciata   di
irragionevolezza» in  quanto  diretta  a  provocare  «un  trattamento
differenziato alla stessa categoria di soggetti», posto che,  secondo
la  giurisprudenza  costituzionale,  «lo  stesso  fluire  del   tempo
costituisce di per se' un elemento diversificatore». 
    4. - E' intervenuto il Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,
rappresentato e difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  per
chiedere  una  pronuncia  di   inammissibilita'   o,   comunque,   di
infondatezza. 
    Richiamato il precedente di cui alla sentenza  n.  434  del  2002
(con la quale questa Corte, escludendo il carattere risarcitorio  del
beneficio in discorso, ha dichiarato l'infondatezza  della  questione
di legittimita' costituzionale dell'art. 13, comma 8, della legge  n.
257 del 1992, che tuttavia la Corte di cassazione, con la sentenza n.
2849 del 2004, avrebbe considerato applicabile anche alla  norma  ora
in esame), la difesa  erariale  ha  sottolineato  l'improprieta'  del
richiamo, da parte del rimettente, della norma di cui all'art. 47 del
d.l. n. 269 del  2003,  convertito  nella  legge  n.  326  del  2003,
relativo all'ipotesi disciplinata  al  comma  8  e  non  al  comma  7
dell'art. 13 della legge ora in esame. 
    Gli argomenti sviluppati nell'ordinanza a sostegno del dubbio  di
legittimita'  costituzionale  in  riferimento  ai  parametri  evocati
risulterebbero, secondo l'Avvocatura, estranei «al  quadro  normativo
di riferimento». Da questo  emergerebbe  che  il  discrimine  del  28
aprile 1992 e' stato introdotto per l'attribuzione di  «un  beneficio
ulteriore rispetto ai normali benefici pensionistici, in  proporzione
alle  disponibilita'  di  bilancio»:  queste  verrebbero,   peraltro,
significativamente  aggravate  «qualora  dalle  motivazioni  di   una
eventuale  pronuncia  di  incostituzionalita'  del  comma  7  potesse
trovare spazio un successivo ampliamento del  campo  di  applicazione
del complesso delle disposizioni di cui all'art. 13 cit.», dopo  che,
nonostante le  limitazioni  via  via  previste,  «la  disciplina  dei
benefici previdenziali per l'esposizione all'amianto ha  determinato,
in   questi   anni,   una   consistente   espansione   della    spesa
pensionistica». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Il Tribunale di Ravenna ha sollevato,  in  riferimento  agli
articoli 3,  primo  comma,  e  2  della  Costituzione,  questione  di
legittimita' costituzionale dell'articolo 13, comma 7, della legge 27
marzo 1992, n.  257  (Norme  relative  alla  cessazione  dell'impiego
dell'amianto), come modificato dall'articolo 1-bis del  decreto-legge
5 giugno 1993, n. 169 (Disposizioni  urgenti  per  i  lavoratori  del
settore dell'amianto), convertito, con modificazioni, dalla  legge  4
agosto 1993, n. 271, «nella parte in cui nega che spetti l'erogazione
del beneficio della rivalutazione contributiva ai lavoratori  affetti
da malattia cagionata da esposizione all'amianto che si trovassero in
pensione al momento della entrata in vigore della legge  n.  257/1992
(28 aprile 1992)». 
    2. -  Va  preliminarmente  respinta,  per  la  sua  evidente  non
plausibilita', l'eccezione di  inammissibilita'  formulata  dall'INPS
sul presupposto che la mancata  censura,  da  parte  del  rimettente,
anche dell'art. 80, comma 25, della legge 23 dicembre  2000,  n.  388
(vale a dire di una disposizione considerata, in  ragione  della  sua
asserita «latitudine», «di per  se'  sola  sufficiente  ad  attestare
l'insussistenza del diritto preteso»)  determinerebbe  «comunque»  un
difetto di rilevanza della questione  sollevata:  la  quale,  invece,
indipendentemente  dal  problema  dell'«estensione»   della   portata
normativa della disposizione teste'  richiamata  o  da  quello  della
pertinenza  del   richiamo,   risulta,   nella   prospettazione   del
rimettente, ampiamente dotata dei necessari requisiti. 
    3. - Nel merito, la questione non e' fondata. 
    Come questa Corte ha avuto modo di sottolineare nella sentenza n.
434 del 2002, ancorche' riferita alla  disciplina  dettata  dall'art.
13, comma 8, della legge n. 257  del  1992,  la  ratio  sottesa  alla
applicazione dei benefici nei confronti dei lavoratori  che  avessero
contratto   malattie   professionali   a    causa    dell'esposizione
all'amianto,  o  che  fossero   stati   comunque   soltanto   esposti
all'amianto, non era quella di conferire  una  provvidenza  a  titolo
risarcitorio o indennitario, ma di consentire un piu'  agevole  esodo
dal mondo del lavoro. 
    Verso tale univoca conclusione, d'altra  parte,  orientavano  non
soltanto l'origine della iniziativa legislativa -  rinvenibile  nella
direttiva comunitaria 83/477/CEE, la quale prescriveva l'adozione  di
misure volte alla  eliminazione  dei  rischi  derivanti  dall'impiego
dell'amianto in qualsiasi  ciclo  lavorativo  -  nonche'  i  relativi
lavori parlamentari,  quanto,  soprattutto,  la  disciplina  positiva
dettata dalla norma ed il contesto di provvidenze in cui la stessa si
trova inserita. L'art. 13 della  legge  n.  257,  infatti,  esaurendo
l'intero capo IV, dedicato - come recita la relativa rubrica  -  alle
«Misure  di  sostegno  per  i  lavoratori»,  prevede  una  serie   di
provvidenze aventi tutte natura previdenziale: quali, in particolare,
la  concessione  del  trattamento   straordinario   di   integrazione
salariale, «anche se il requisito occupazionale sia pari  a  quindici
unita' per effetto di decremento di organico dovuto al  pensionamento
anticipato» (dopo le aggiunte disposte dal d.l. n. 510 del 1996, come
convertito dalla legge n. 608 del 1996); il pensionamento  anticipato
per  un  numero  limitato  di  unita'  in  possesso  di   determinati
requisiti;  l'aumento   figurativo   della   contribuzione   a   fini
pensionistici  per  i  lavoratori  che  avessero  contratto  malattie
professionali a causa della esposizione  all'amianto  o  che  fossero
stati esposti all'amianto per un periodo superiore a dieci anni. 
    La circostanza, dunque, che tanto la  maggiorazione  contributiva
prevista dal comma 7 della legge citata,  quanto  quella  di  cui  al
comma 8 - scrutinata, come si e' detto, dalla Corte nella  richiamata
sentenza n. 434 del 2002 - fossero entrambe destinate non  a  fornire
un beneficio di tipo indennitario o risarcitorio, a fronte dei  danni
o  dei  pericoli  per  la  salute  dei  lavoratori  derivanti   dalla
esposizione  all'amianto,  ma  unicamente  ad  aumentare  il  periodo
contributivo necessario per il raggiungimento del diritto a pensione,
escludeva dalla platea dei beneficiari sia coloro che  alla  data  di
entrata in vigore della legge  fossero  gia'  usciti  dal  mondo  del
lavoro, sia coloro i quali avessero, a quella data, gia' maturato  il
massimo di contribuzione  a  fini  pensionistici.  A  tale  specifico
riguardo,  nella  citata  pronuncia,   questa   Corte   ha   peraltro
sottolineato come non rivestisse rilievo contrario alla  logica  "non
indennitaria  o  risarcitoria"  della  misura  concernente  l'aumento
figurativo della contribuzione la circostanza che tra  i  beneficiari
fossero annoverati anche coloro che, pur non avendo ancora  raggiunto
l'anzianita' contributiva massima, avessero tuttavia  maturato  prima
della entrata in vigore della legge n.  257  del  1992,  anche  senza
l'aumento  figurativo  della  contribuzione,  i  requisiti   per   il
conseguimento della pensione di anzianita' o di vecchiaia  e  fossero
stati collocati in quiescenza in epoca successiva. Cio' in  quanto  -
si sottolineo' - un siffatto meccanismo si giustificava alla luce del
«principio generale secondo cui le  prestazioni  si  liquidano  sulla
base della legge vigente alla data della liquidazione stessa». 
    La circostanza, poi, che una  simile  inclusione  si  sarebbe  in
concreto tradotta in  un  incremento  della  misura  del  trattamento
pensionistico, e non in una agevolazione per  il  raggiungimento  del
diritto a pensione, non poteva  reputarsi  evenienza  discriminatoria
nei confronti dei pensionati esclusi  ratione  temporis,  in  quanto,
come  ripetutamente  affermato  dalla  giurisprudenza  costituzionale
richiamata nella predetta pronuncia, «l'estensione di agevolazioni  a
categorie di soggetti non contemplate dalla disciplina di favore puo'
ritenersi costituzionalmente necessitata solo ove, accertata la piena
omogeneita' delle situazioni poste a raffronto,  lo  esiga  la  ratio
della disciplina invocata quale tertium comparationis». Nella specie,
concluse questa Corte, una simile omogeneita' doveva essere  esclusa,
«in considerazione della diversita'  di  date  di  conseguimento  del
diritto cui si deve fare riferimento per ciascuna delle categorie  di
soggetti di cui si tratta e della  corrispondenza  di  tale  criterio
discretivo   ai   principi   generali   regolatori   della   materia,
corrispondenza  che  porta  a  concludere  che  il   legislatore   ha
esercitato non irragionevolmente la discrezionalita' che gli  compete
nella scelta delle modalita' di configurazione dei trattamenti che  -
come la rivalutazione contributiva in  oggetto  -  abbiano  carattere
eccezionale». 
    4.  -  Tali  conclusioni  devono  ritenersi  valide   anche   con
riferimento al  peculiare  meccanismo  di  agevolazione  contributiva
previsto dal comma 7 dell'art. 13, non  senza  sottolineare  come,  a
differenza di quanto avvenuto per il comma  8,  profondamente  inciso
dalle piu' recenti novelle anche sul  piano  dei  relativi  connotati
«finalistici», il testo della disposizione sia rimasto nella sostanza
inalterato rispetto a quello originario. E' infatti agevole avvedersi
di come, con  la  introduzione  della  normativa  qui  in  esame,  il
legislatore abbia, da un  lato,  inteso  mantenere  ovviamente  ferme
tutte le provvidenze previste  in  tema  di  invalidita'  e  malattie
professionali dalla normativa vigente; e, dall'altro,  provveduto  ad
inserire, in uno specifico pacchetto di disposizioni, un contesto  di
misure tutte incentrate sulla agevolazione all'esodo  dei  lavoratori
esposti  all'amianto,  dedicando,  a  quanti   ne   avessero   patito
conseguenze  morbigene,  uno   specifico   beneficio   previdenziale,
consistente  nel  riconoscimento  di  un  peculiare  coefficiente  di
maggiorazione   contributiva,   valido    esclusivamente    a    fini
pensionistici, per il periodo in cui il lavoratore - ammalatosi - era
stato esposto all'agente patogeno. 
    Le peculiarita'  strutturali  del  beneficio  sono  evidenti:  la
malattia, infatti, non si atteggia alla  stregua  di  evento  in  se'
indennizzabile sul piano previdenziale, quale fattore sintomatico  di
una diminuita capacita' di guadagno, ma si  configura  esclusivamente
come mero presupposto applicativo  del  beneficio,  il  quale  opera,
dunque, a prescindere dalla gravita'  del  morbo  e  degli  eventuali
effetti  invalidanti  e  senza  alcun  parametro  di   commisurazione
monetaria  su  tali  indici.  A  sua  volta,   il   coefficiente   di
maggiorazione contributiva non prende in considerazione ne'  il  tipo
ne' la durata della  malattia,  ma  si  riflette  esclusivamente  sul
periodo di «provata esposizione all'amianto»:  sicche',  e'  soltanto
questo elemento «fattuale» caratteristico del rapporto di  lavoro  ad
assumere risalto «temporale» ai fini  della  concreta  determinazione
del periodo contributivo da incrementare figurativamente. Che poi  il
lavoratore possa in effetti beneficiare o meno di tale  maggiorazione
contributiva, resta circostanza del tutto neutra agli  effetti  della
intentio  legis,  proprio  perche',  stabilita  la   previsione   del
collocamento in cassa  integrazione  straordinaria  e  una  specifica
disciplina di prepensionamento (commi 2 e seguenti dell'art. 13),  le
agevolazioni contributive potevano in concreto non produrre benefici,
sia per coloro che  avessero  gia'  raggiunto  il  tetto  massimo  di
contribuzione, sia per coloro che, appunto,  fossero  gia'  titolari,
alla data di entrata in vigore della legge, di pensione di anzianita'
o di vecchiaia. 
    5. - Si tratta, dunque, di misura non  soltanto  eccezionale,  ma
che presenta, proprio per i  profili  dianzi  additati,  connotazioni
addirittura  extra  ordinem,  le  quali  possono  spiegarsi  solo  ed
esclusivamente ove riferite a persone che, alla data  di  entrata  in
vigore  della  legge,  fossero  ancora  in  attesa   di   trattamento
pensionistico. Le censure che muove  il  giudice  a  quo,  postulano,
invece, a ben guardare, il ribaltamento  della  logica  sottesa  alla
applicazione della misura in discorso, trasformandone  la  fisionomia
da quella di un beneficio specificamente  deputato  ad  aumentare  il
periodo contributivo del lavoratore, in quella tipica di un beneficio
pensionistico tout court.  Il  tema  del  raffronto  suggerito  dalla
ordinanza  di  rimessione  si  fonda,  infatti,   su   una   premessa
logicamente eccentrica rispetto alla norma censurata,  posto  che  al
centro della attenzione non viene a raffrontarsi la condizione di due
lavoratori ancora in attivita' ad una certa data, ma  quella  di  due
pensionati: vale a dire, proprio la posizione  di  chi  la  legge  ha
espressamente inteso  non  ricomprendere  nel  novero  dei  possibili
beneficiari  delle  diverse  provvidenze  stabilite  dal  piu'  volte
richiamato  art.  13.  E  cio',  non  per  una  scelta  arbitraria  o
irragionevolmente discriminatoria, ma proprio perche' era la natura e
la finalita' dei benefici a presupporre  l'assenza  dello  status  di
pensionato di  anzianita'  o  vecchiaia  al  momento  in  cui  quella
normativa e' stata coniata. Che poi, come si e' accennato,  l'aumento
figurativo  di  contribuzione  possa  aver  prodotto,  in   concreto,
benefici di «quantita'» del trattamento pensionistico in capo  a  chi
abbia raggiunto il diritto  a  pensione  o  sia  comunque  andato  in
quiescenza solo dopo l'entrata in vigore della legge, e'  conseguenza
eventuale della norma, che non ne modifica i connotati e che non puo'
certo  essere  evocata  a   fondamento   del   supposto   trattamento
discriminatorio. 
    E' ben vero,  infatti,  che,  come  ha  puntualmente  dedotto  il
giudice rimettente,  ove  la  malattia  derivante  dalla  esposizione
all'amianto sia emersa - come e' tipico di certe patologie - soltanto
a distanza di molto  tempo  da  quella  esposizione  e  dalla  stessa
eventuale cessazione del rapporto d'impiego,  si  genera  un  diverso
regime tra pensionati, entrambi malati; ma tutto cio' non puo' valere
ad incrinare la legittimita' della scelta  normativa,  posto  che  il
momento di  emersione  del  morbo  e  l'accertamento  della  relativa
origine finiscono ineluttabilmente per assumere i  connotati  di  una
problematica di mero  fatto,  che  nulla  ha  a  che  vedere  con  la
struttura e la funzione della norma, in se' e per se' considerata.