Sentenza 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale  dell'art.  2,  comma  1,
lettera f), del decreto legislativo 5 aprile 2006,  n.  160,  recante
«Nuova disciplina dell'accesso in magistratura, nonche' in materia di
progressione  economica  e  di  funzioni  dei  magistrati,  a   norma
dell'articolo 1, comma 1, lettera a), della legge 25 luglio 2005,  n.
150», come sostituito dall'art. 1, comma 3, lettera b),  della  legge
30  luglio  2007,  n.  111  (Modifiche  alle  norme  sull'ordinamento
giudiziario), promosso dal Tribunale amministrativo regionale per  il
Lazio, sede di Roma, nel procedimento vertente tra T. E. ed  altri  e
il Ministero della Giustizia con  ordinanza  dell'11  novembre  2008,
iscritta al n. 20 del registro  ordinanze  2009  e  pubblicata  nella
Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  n.  5, 1ª   serie   speciale,
dell'anno 2009. 
    Visto l'atto di costituzione di M. M.; 
    Udito nell'udienza pubblica del  21  settembre  2010  il  Giudice
relatore Alfonso Quaranta; 
    Udito l'avvocato Carmelo Giurdanella per M. M. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede  di
Roma, ha sollevato - in riferimento agli articoli 3, 51 e 104,  primo
comma, della Costituzione - questione di legittimita'  costituzionale
dell'articolo 2, comma 1,  lettera  f),  del  decreto  legislativo  5
aprile 2006,  n.  160,  recante  «Nuova  disciplina  dell'accesso  in
magistratura, nonche' in  materia  di  progressione  economica  e  di
funzioni dei magistrati, a norma dell'articolo 1,  comma  1,  lettera
a),  della  legge  25  luglio  2005,   n.   150»,   come   sostituito
dall'articolo 1, comma 3, lettera b), della legge 30 luglio 2007,  n.
111 (Modifiche alle norme sull'ordinamento giudiziario). 
    1.1. - Il remittente premette,  in  punto  di  fatto,  di  essere
investito della domanda  di  annullamento,  previa  sospensione,  del
bando di concorso per esami a  500  posti  di  magistrato  ordinario,
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale - 4 serie speciale - n.  23,  del
21 marzo 2008. Deduce, inoltre, che l'art. 2, lettera  g),  punto  6,
del bando individua,  quale  requisito  di  ammissione  al  concorso,
l'iscrizione del candidato all'albo degli avvocati. 
    Il giudice a quo  ritiene  che  tale  prescrizione  realizzi  una
«ingiusta discriminazione» nei confronti di quei candidati che - come
le ricorrenti nel giudizio principale  -  risultino  aver  conseguito
l'abilitazione allo svolgimento della professione forense, ma che non
vogliono o non possono iscriversi nel suddetto albo. 
    Ritenuta  la  citata  previsione  del   bando   una   «pedissequa
riproduzione» dell'art. 2, comma 1, lettera f), del d.lgs. n. 160 del
2006, nel testo sostituito dall'art. 1, comma 3,  lettera  b),  della
legge n. 111 del 2007, il TAR del Lazio  ha  sollevato  questione  di
legittimita' costituzionale di tale norma,  disponendo  nel  contempo
l'ammissione delle ricorrenti, con riserva, al concorso, in attesa di
«pronunzia  definitiva  sull'istanza  cautelare»,  oltre  che  «della
decisione di merito». 
    1.2. - Tanto premesso, il giudice a quo osserva  che  il  sistema
configurato dal d.lgs. n. 160 del 2006, pur a seguito delle modifiche
operate dalla legge n. 111 del 2007, ha mantenuto il suo impianto  di
fondo, «ed in particolare l'opzione in favore del concorso di secondo
grado, riservato quindi a soggetti  aventi  requisiti  culturali  e/o
professionali specifici». 
    Rileva, inoltre, che tale opzione  «non  costituisce  un'assoluta
novita', bensi' l'approdo di un  travagliato  progetto  di  riforma»,
alle cui origini si pone l'articolo 17,  comma  113,  della  legge  5
maggio 1997, n. 127 (Misure urgenti per lo snellimento dell'attivita'
amministrativa e dei procedimenti di decisione e di controllo).  Tale
norma delegava  il  Governo  ad  emanare  una  nuova  disciplina  del
concorso per l'accesso alla magistratura ordinaria,  sulla  base  dei
seguenti  principi  e  criteri  direttivi:   «semplificazione   delle
modalita' di svolgimento del concorso e introduzione  graduale,  come
condizione per l'ammissione al concorso, dell'obbligo  di  conseguire
un diploma biennale esclusivamente presso scuole di  specializzazione
istituite nelle universita', sedi delle facolta' di giurisprudenza». 
    In  attuazione  della  delega  -  prosegue  il  remittente,   nel
ricostruire  analiticamente  l'evoluzione  normativa  intervenuta  in
materia - venne emanato il decreto legislativo 17 novembre  1997,  n.
398, recante «Modifica  alla  disciplina  del  concorso  per  uditore
giudiziario  e  norme  sulle  scuole  di  specializzazione   per   le
professioni legali, a norma dell'articolo 17, commi 113 e 114,  della
legge 15 maggio 1997, n.  127  (Misure  urgenti  per  lo  snellimento
dell'attivita' amministrativa e dei procedimenti di  decisione  e  di
controllo)». In particolare, ai sensi dell'art.  6  di  tale  decreto
legislativo (che ebbe a sostituire il testo dell'art. 124  del  regio
decreto 30 gennaio 1941, n. 12, recante  «Ordinamento  giudiziario»),
si scelse di condizionare l'ammissione al  concorso  -  relativamente
agli iscritti al corso  di  laurea  in  giurisprudenza,  a  decorrere
dall'anno  accademico  1998/1999  -  al  possesso  del   diploma   di
specializzazione per le professioni legali, stabilendosi soltanto  in
via residuale la possibilita'  di  ammissione  dei  candidati  muniti
della sola laurea in giurisprudenza. Infatti, unicamente nell'ipotesi
in cui le  domande  di  partecipazione  al  concorso  presentate  dai
candidati fossero risultate «inferiori a cinque volte il  numero  dei
posti per i quali il concorso e' bandito», era previsto  che  fossero
ammessi - previo, peraltro, superamento della prova preliminare ed in
misura  pari  al  numero  necessario  per  raggiungere  il   rapporto
anzidetto - «anche i candidati  in  possesso  della  sola  laurea  in
giurisprudenza». 
    Successivamente, tuttavia, la citata disposizione -  rammenta  il
TAR remittente - venne modificata,  optando  il  legislatore  per  la
eliminazione della prova preliminare, in  forza  di  quanto  previsto
dall'articolo 9, comma  9,  della  legge  13  febbraio  2001,  n.  48
(Aumento  del   ruolo   organico   e   disciplina   dell'accesso   in
magistratura). 
    Su questo sistema si e' innestato, innovandolo profondamente,  il
gia' citato d.lgs. n. 160 del 2006, come modificato dalla  successiva
legge n. 111 del 2007, la cui disciplina si caratterizza sia  per  il
venir meno della «preferenza accordata, quale canale privilegiato  di
accesso   alla   selezione,   alla   frequenza   delle   scuole    di
specializzazione nelle professioni legali»  (concepite,  in  origine,
quale «quale strumento di formazione» comune «a tutti  gli  operatori
del diritto»), sia per la riconosciuta «eterogeneita' dei  titoli  di
ammissione    al    concorso     rispetto     alla     qualificazione
tecnico-professionale propria del magistrato». 
    In  particolare,  come  detto,  il  legislatore  ha   individuato
nell'iscrizione   all'albo   forense   una   delle   condizioni   per
l'ammissione  al  concorso,  disattendendo   «l'originario   progetto
governativo» che, invece, «richiedeva l'esercizio  della  professione
per almeno tre anni», in conformita'  alle  indicazioni  fornite  dal
Consiglio superiore della magistratura nel parere reso il  31  maggio
2007. 
    1.3. - Orbene, della scelta compiuta dal legislatore con la norma
censurata risulterebbe, secondo il remittente, «arduo comprendere  la
finalita'», avendo l'iscrizione all'albo «valenza puramente formale».
Essa  nulla  aggiungerebbe  «alla  particolare   qualificazione   e/o
esperienza richiesta agli aspiranti  magistrati  ordinari  che  hanno
conseguito l'abilitazione, atteso che l'iscrizione  medesima  non  e'
subordinata all'effettivo esercizio della professione di  avvocato  e
non  postula,  quindi,  nemmeno  l'attualita'  dell'esperienza  dalla
stessa derivante». 
    L'irragionevolezza  della   previsione,   inoltre,   risulterebbe
confermata dal fatto che «la  peculiare  formazione  degli  abilitati
all'esercizio della professione forense e' omogenea o comunque affine
a quella richiesta al magistrato, laddove,  viceversa,  l'accesso  al
concorso  e'  consentito  anche  ai  possessori  di  titoli  che  non
necessariamente denotano il possesso di peculiari competenze tecniche
(come i funzionari e  dirigenti  amministrativi  aventi  l'anzianita'
prescritta) ovvero ancora hanno natura prettamente scientifica  (come
i dottori di ricerca)». 
    Inoltre,  essendo  «il  criterio  ispiratore  della  riforma»  di
«stampo  pluralistico»,  giacche'  il  legislatore   ha   scelto   di
valorizzare   pregresse   esperienze   «eterogenee   rispetto    alla
professione  di  magistrato»,  l'esclusione  degli   abilitati   alla
professione forense non iscritti all'albo degli  avvocati  appare  al
remittente «irrazionale ed arbitraria». 
    Significativo, al riguardo, risulterebbe -  secondo  il  TAR  del
Lazio - «il raffronto con l'accesso consentito ai diplomati presso le
scuole di specializzazione delle  professioni  legali»,  giacche'  il
diploma da essi conseguito e' valutato ai fini del  compimento  della
pratica per l'accesso alla professione forense (e  notarile)  per  il
periodo di un anno (secondo quanto previsto del Decreto del  Ministro
della giustizia  11  dicembre  2001,  n.  475,  recante  «Regolamento
concernente la valutazione del diploma conseguito presso le scuole di
specializzazione per le professioni  legali  ai  fini  della  pratica
forense e notarile, ai sensi dell'articolo 17, comma 114, della legge
15 maggio 1997, n. 127»). 
    Orbene, la circostanza che i diplomati presso le suddette  scuole
di specializzazione, mentre accedono, per cio' solo, al concorso  per
magistrato ordinario «sono comunque tenuti  a  compiere  un  anno  di
tirocinio per l'ammissione all'esame  di  avvocato»  dovrebbe  essere
intesa, secondo il giudice a  quo,  nel  senso  che  «il  superamento
dell'esame  di  abilitazione  all'esercizio  della   professione   di
avvocato  costituisca  un   quid   pluris   rispetto   al   diploma»,
conseguentemente, sarebbe del tutto irrazionale ammettere costoro  al
concorso «e che lo stesso non sia previsto  per  coloro  che  abbiano
conseguito l'abilitazione alla professione di avvocato». 
    Infine, osserva il TAR del Lazio, non deve essere dimenticato che
«la disciplina dell'accesso in magistratura  ordinaria  ha  incidenza
diretta    sui     valori     costituzionali     dell'autonomia     e
dell'indipendenza», sanciti per l'ordine giudiziario  dall'art.  104,
primo comma, Cost. 
    Se, dunque, il legislatore puo' legittimamente porsi alla ricerca
di un «punto di equilibrio tra il perseguimento di  una  composizione
pluralistica e paritaria del potere giudiziario e la creazione di  un
corpo magistratuale altamente qualificato e  professionale»,  a  tale
obiettivo non sembra, tuttavia, rispondere la norma  censurata.  Essa
subordina la partecipazione al concorso ad «un  requisito  di  ordine
meramente formale il quale viene in definitiva a costituire  soltanto
una incomprensibile, e ingiusta,  barriera  frapposta  a  soggetti  i
quali posseggono una formazione tecnica omogenea a  quella  richiesta
per l'esercizio della funzione cui  aspirano».  A  costoro,  infatti,
viene preclusa «la chance di pianificare un nuovo percorso di vita  e
professionale sol perche',  allo  stato,  si  trovano  ad  esercitare
attivita'  per  le  quali   e'   stabilita   l'incompatibilita'   con
l'esercizio della professione di avvocato», secondo  quanto  previsto
dall'articolo 3 del regio decreto-legge 27  novembre  1933,  n.  1578
(Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore). 
    1.4. - Non conferente, invece, appare - secondo il TAR rimettente
- la comparazione stabilita dalle ricorrenti, sempre in  ordine  alla
ragionevolezza della norma censurata, con la disposizione transitoria
di cui all'art. 2, comma 5, del d.lgs. n. 160 del 2006, che contempla
l'accesso diretto al concorso dei laureati iscrittisi all'universita'
prima dell'anno accademico 1998-1999. 
    Nel premettere che «il legislatore gode di ampia discrezionalita'
nel collocare nel tempo le innovazioni normative», il TAR  del  Lazio
osserva che  la  disposizione  suddetta  non  appare  «manifestamente
discriminatoria  o  irragionevole»,  giacche'  essa   tende   ad   un
obbiettivo «di tutela delle aspettative di quanti abbiano iniziato il
proprio percorso formativo, e correlativamente pianificato la propria
esistenza, in epoca  anteriore  all'avvio  del  travagliato  iter  di
riforma» della disciplina dell'accesso in magistratura. 
    1.5. - In forza delle considerazioni sopra illustrate il TAR  del
Lazio ha, dunque, sollevato questione di legittimita' costituzionale,
in riferimento agli  articoli  3,  51  e  104,  primo  comma,  Cost.,
dell'articolo 2, comma 1, lettera f), del d.lgs.  n.  150  del  2006,
come sostituito dall'art. 1, comma 3, lettera b), della legge n.  111
del 2007, «nella parte in cui richiede, ai  fini  dell'ammissione  al
concorso per magistrato ordinario, che  gli  abilitati  all'esercizio
della professione forense  siano  anche  iscritti  al  relativo  albo
professionale». 
    2. - Con atto depositato in cancelleria il 18  febbraio  2009  e'
intervenuta in giudizio M. M., parte ricorrente nel giudizio  a  quo,
insistendo per la declaratoria di illegittimita' costituzionale - per
violazione degli artt. 3  e  51  Cost.  -  della  norma  censurata  e
dell'art. 2, lettera g),  del  bando  di  concorso  pubblicato  nella
Gazzetta Ufficiale, IV serie speciale, n. 23 del 21 marzo 2008. 
    2.1.  -  Ribadisce  la  parte  privata  che  «la  previsione  del
requisito meramente formale dell'iscrizione all'albo degli avvocati»,
quale  condizione  per  l'ammissione  al  concorso  in  magistratura,
«costituisce  soltanto  una  incomprensibile  e   ingiusta   barriera
frapposta a soggetti  che,  pur  possedendo  una  formazione  tecnica
omogenea  a  quella  richiesta  per  l'esercizio  delle  funzioni  di
magistrato,  esercitano  attivita'  ritenute  incompatibili  con   la
professione di avvocato». 
    Ricorrerebbe, dunque, un primo  vizio  di  costituzionalita'  per
«palese violazione del principio di  eguaglianza  per  disparita'  di
trattamento», atteso che l'esclusione di soggetti comunque  abilitati
all'esercizio della professione forense integrerebbe una  limitazione
non fondata «su  finalita'  o  interessi  coerenti  e  conformi  alla
Costituzione». 
    Difatti, i titoli di ammissione  al  concorso  dovrebbero  essere
individuati   dal   legislatore   «nel   rispetto   dei   canoni   di
ragionevolezza e coerenza», in modo da  garantire  l'osservanza  «dei
principi costituzionali  di  non  discriminazione  e  di  accesso  ai
pubblici uffici in condizioni di eguaglianza». 
    Nel caso di specie, per contro,  tali  condizioni  non  risultano
soddisfatte, sicche'  la  Corte  costituzionale  -  nel  vagliare  la
ragionevolezza della censurata  disposizione  legislativa  (scrutinio
che implica «un apprezzamento di conformita' tra la regola introdotta
e la causa normativa che la deve assistere»; sentenza n. 89 del 1996)
- non potra' che pervenire alla declaratoria di illegittimita'  della
stessa. 
    2.2. - Ripropone, per il resto, la parte  privata  le  ragioni  -
gia' fatte valere nel giudizio principale -  volte  a  contestare  la
legittimita' dell'impugnato bando di  concorso  nella  parte  in  cui
detta una previsione analoga a quella di cui all'articolo 2, comma 1,
lettera f), del d.lgs. n. 160 del 2006. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Il Tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sede  di
Roma, ha sollevato - in riferimento agli articoli 3, 51 e 104,  primo
comma, della Costituzione - questione di legittimita'  costituzionale
dell'articolo 2, comma 1,  lettera  f),  del  decreto  legislativo  5
aprile 2006,  n.  160,  recante  «Nuova  disciplina  dell'accesso  in
magistratura, nonche' in  materia  di  progressione  economica  e  di
funzioni dei magistrati, a norma dell'articolo 1,  comma  1,  lettera
a),  della  legge  25  luglio  2005,   n.   150»,   come   sostituito
dall'articolo 1, comma 3, lettera b), della legge 30 luglio 2007,  n.
111 (Modifiche alle norme sull'ordinamento giudiziario). 
    1.1. - Il remittente premette,  in  punto  di  fatto,  di  essere
investito della domanda  di  annullamento,  previa  sospensione,  del
bando di concorso per esami a  500  posti  di  magistrato  ordinario,
pubblicato nella Gazzetta Ufficiale - 4 serie speciale - n.  23,  del
21 marzo 2008. Deduce, inoltre, che l'articolo 2, lettera  g),  punto
6, del suddetto bando individua, quale  requisito  di  ammissione  al
concorso, l'iscrizione del candidato all'albo degli avvocati. 
    Ad avviso del giudice a quo tale prescrizione  realizzerebbe  una
«ingiusta discriminazione» nei confronti di quei candidati che - come
le ricorrenti nel giudizio principale  -  risultano  aver  conseguito
l'abilitazione allo svolgimento della professione forense, ma che non
vogliono o non possono iscriversi nel suddetto albo. 
    Orbene, poiche' la citata previsione del  bando  costituisce  una
«pedissequa riproduzione» dell'art.  2,  comma  1,  lettera  f),  del
d.lgs. n. 160 del 2006, nel testo sostituito dall'art.  1,  comma  3,
lettera b), della legge  n.  111  del  2007,  il  TAR  del  Lazio  ha
sollevato questione di legittimita'  costituzionale  di  tale  norma,
disponendo nel contempo l'ammissione delle ricorrenti,  con  riserva,
al  concorso,  in  attesa  di  «pronunzia   definitiva   sull'istanza
cautelare», oltre che «della decisione di merito». 
    1.2. - Secondo  il  TAR  remittente,  la  censurata  disposizione
legislativa violerebbe gli artt. 3, 51 e  104,  primo  comma,  Cost.,
giacche' subordinerebbe - in modo irragionevole -  la  partecipazione
al concorso per magistrato  ordinario  ad  «un  requisito  di  ordine
meramente formale», introducendo «una  incomprensibile,  e  ingiusta,
barriera frapposta a soggetti» (coloro  i  quali  abbiano  conseguito
l'abilitazione allo  svolgimento  della  professione  forense,  senza
essere pero' iscritti nell'albo degli avvocati) che pure  «posseggono
una formazione tecnica omogenea a quella  richiesta  per  l'esercizio
della funzione cui aspirano». 
    L'irragionevolezza   della   norma   sarebbe    resa    evidente,
innanzitutto,  dal  fatto  che   la   «valenza   puramente   formale»
dell'iscrizione  all'albo  nulla  aggiungerebbe   «alla   particolare
qualificazione e/o esperienza  richiesta  agli  aspiranti  magistrati
ordinari che hanno conseguito l'abilitazione, atteso che l'iscrizione
medesima non e' subordinata all'effettivo esercizio della professione
di   avvocato   e   non   postula,   quindi,   nemmeno   l'attualita'
dell'esperienza dalla stessa derivante». 
    Il carattere irragionevole della disposizione  censurata  sarebbe
reso  evidente,  altresi',  dalla  circostanza  che   «la   peculiare
formazione degli abilitati all'esercizio della professione forense e'
omogenea o comunque affine a quella richiesta al magistrato, laddove,
viceversa, l'accesso al concorso e' consentito anche ai possessori di
titoli che non necessariamente  denotano  il  possesso  di  peculiari
competenze tecniche (come i  funzionari  e  dirigenti  amministrativi
aventi  l'anzianita'   prescritta)   ovvero   ancora   hanno   natura
prettamente scientifica (come i dottori di ricerca)». 
    Infine, l'irragionevolezza della disciplina in esame  emergerebbe
dal confronto con quanto previsto per i diplomati presso le Scuole di
specializzazione per le professioni legali, i quali - mentre accedono
al concorso per magistrato  ordinario  per  il  solo  fatto  di  aver
conseguito tale diploma - «sono comunque tenuti a compiere un anno di
tirocinio per l'ammissione all'esame di avvocato». Tale  circostanza,
difatti, denoterebbe come «il superamento dell'esame di  abilitazione
all'esercizio della  professione  di  avvocato  costituisca  un  quid
pluris rispetto al diploma» di specializzazione, di  talche'  sarebbe
del tutto irrazionale ammettere al concorso per magistrato  ordinario
coloro  che  abbiano  conseguito  detto   diploma,   mentre   analoga
possibilita'  non  e'  prevista,  invece,  «per  coloro  che  abbiano
conseguito l'abilitazione alla professione di avvocato». 
    2.― E' intervenuta una  delle  ricorrenti  nel  giudizio  a  quo,
insistendo per la declaratoria di illegittimita' costituzionale - per
violazione degli artt. 3 e 51 Cost. - della  norma  censurata,  oltre
che dell'art. 2, lettera g), del bando di concorso  pubblicato  nella
Gazzetta Ufficiale, IV serie speciale, n. 23 del 21 marzo 2008. 
    3. ― Preliminarmente, deve chiarirsi come  oggetto  del  presente
scrutinio sia la sola disposizione di legge  censurata  dal  TAR  del
Lazio, non potendo il sindacato di questa Corte  estendersi  ad  atti
diversi da quelli indicati dall'art. 134 Cost., ne' - in  ogni  caso,
su sollecitazione di parte - oltre  i  limiti  del  thema  decidendum
individuato nell'ordinanza di rimessione. 
    4. - La questione e' fondata. 
    4.1. - In limine,  deve  osservarsi,  quanto  alle  procedure  di
reclutamento degli appartenenti alla magistratura ordinaria, come  le
scelte compiute, negli ultimi anni, dal legislatore - sulla scorta di
quanto previsto dall'articolo 17, comma 113,  della  legge  5  maggio
1997, n.  127  (Misure  urgenti  per  lo  snellimento  dell'attivita'
amministrativa e dei procedimenti di decisione e di  controllo),  che
delegava il Governo ad emanare una nuova disciplina del concorso  per
l'accesso  alla  magistratura  ordinaria   -   abbiano   subito   una
progressiva evoluzione. In effetti,  come  ha  esattamente  precisato
l'ordinanza di rimessione, ad una  iniziale  tendenza  ad  attribuire
rilievo  preminente   ai   diplomi   rilasciati   dalle   scuole   di
specializzazione  per  le  professioni  legali,  ha   fatto   seguito
un'opzione del tutto  diversa,  incentrata  sulla  eterogeneita'  dei
titoli  di  ammissione  al  concorso  rispetto  alla   qualificazione
tecnico-professionale propria del magistrato. 
    Ne e' scaturito un percorso non  sempre  lineare,  come  conferma
proprio il contenuto della disposizione ora oggetto di scrutinio,  la
quale si  presenta  viziata  da  palese  irragionevolezza,  anche  in
relazione a quanto emerge dai lavori preparatori che  hanno  condotto
alla sua approvazione. 
    4.2. - Sul punto occorre rammentare che il testo del  disegno  di
legge governativo, dal quale e' scaturita la legge n. 111  del  2007,
individuava, tra i titoli di ammissione  al  concorso,  non  la  mera
iscrizione del candidato  all'albo  degli  avvocati,  ma  l'effettivo
esercizio della professione forense protratto da almeno tre anni. 
    Come si legge, infatti, nella relazione introduttiva  al  disegno
di legge de quo, l'esistenza di un «comune humus culturale»  con  gli
appartenenti all'ordine giudiziario era  stata  «ritenuta  condizione
necessaria  e  sufficiente»  per  l'inclusione  -  tra   i   soggetti
legittimati a partecipare alle procedure di selezione per  l'ingresso
nella magistratura ordinaria - anche «degli avvocati con  almeno  tre
anni  di  iscrizione   all'albo   professionale»   (A.S.   1447,   in
particolare, il punto 5). L'obiettivo  governativo  era,  dunque,  di
dare vita ad «una tipologia di  accesso  strutturata  in  gran  parte
sulla falsariga di  un  concorso  di  secondo  grado  tendenzialmente
omogenea a quella stabilita per le  altre  magistrature»,  avendo  il
legislatore gia' individuato tra i soggetti legittimati a partecipare
al concorso - per  l'accesso  alla  magistratura  sia  amministrativa
(articolo 14, primo comma, numero 6, della legge 6 dicembre 1971,  n.
1034, recante «Istituzione dei tribunali  amministrativi  regionali»)
che contabile (art. 12,  primo  comma,  lettera  d,  della  legge  20
dicembre 1961, n. 1345, recante «Istituzione  di  una  quarta  e  una
quinta Sezione speciale per  i  giudizi  su  ricorsi  in  materia  di
pensioni di guerra ed altre  disposizioni  relative  alla  Corte  dei
conti») - anche coloro che svolgono  la  professione  forense  da  un
congruo lasso di tempo, stimato, in entrambi questi casi, in non meno
di cinque anni. 
    4.3. - Orbene,  se  l'intenzione  di  valorizzare  una  pregressa
esperienza professionale sarebbe stata ragionevole (nonche'  coerente
con la configurazione, quale concorso di  secondo  grado,  di  quello
previsto per l'accesso alla magistratura ordinaria), non  puo'  dirsi
altrettanto della scelta, in concreto compiuta  dal  legislatore,  di
limitare la  partecipazione  al  concorso  per  magistrato  ordinario
esclusivamente agli  iscritti  all'albo  che  non  abbiano  riportato
sanzioni disciplinari, senza,  pero',  alcuna  individuazione  di  un
periodo minimo di iscrizione o di esercizio professionale. 
    Come,  infatti,   osserva   correttamente   il   remittente,   la
disposizione censurata attribuisce rilievo decisivo ad «un  requisito
di ordine meramente  formale»,  l'iscrizione  all'albo  forense,  del
quale non si comprende l'idoneita' a rivelare il  possesso,  in  capo
all'aspirante magistrato, di una  maggiore  attitudine  all'esercizio
della  funzione  giudiziaria  rispetto  a  quanti  risultino   "solo"
abilitati a svolgere la professione di avvocato. 
    Devono, inoltre,  essere  poste  in  rilievo  -  in  aggiunta  al
descritto profilo di intrinseca  irragionevolezza  -  le  conseguenze
paradossali  che   scaturiscono   dalla   norma   censurata   e   che
costituiscono   non   gia'   evenienze   puramente   contingenti   ed
accidentali, da  ricollegare  ad  un  suo  funzionamento  patologico,
bensi' effetti diretti del suo contenuto precettivo. 
    La disposizione de qua, infatti, se consente la partecipazione al
concorso a chi risulti appena iscritto, al limite persino da un  solo
giorno, nell'albo forense, la  preclude,  invece,  a  quanti  abbiano
conseguito l'abilitazione, si  siano  iscritti  all'albo  ed  abbiano
svolto la professione addirittura per alcuni anni,  per  poi  doversi
cancellare in ragione della sopravvenienza di taluna delle  cause  di
incompatibilita' di cui all'articolo  3,  secondo  comma,  del  regio
decreto-legge  n.  27  novembre  1933,  n.  1578  (Ordinamento  delle
professioni di avvocato e procuratore). 
    4.4. - La manifesta irragionevolezza della norma censurata  e  la
conseguente violazione  dell'art.  3  Cost.  ne  comportano,  dunque,
l'illegittimita'  costituzionale,  dovendo  ritenersi  assorbite   le
ulteriori censure formulate dal remittente. 
    Pertanto,   la   norma   censurata   deve    essere    dichiarata
costituzionalmente illegittima nella parte in cui non prevede, tra  i
soggetti ammessi a partecipare al concorso, anche coloro che  abbiano
soltanto conseguito l'abilitazione all'esercizio professionale. Resta
peraltro, fermo che  continua  ad  essere  preclusa  l'ammissione  al
concorso medesimo di coloro che, iscritti all'albo forense, risultino
aver riportato sanzioni disciplinari nel  corso  del  loro  esercizio
professionale.