Sentenza 
 
nei giudizi di legittimita' costituzionale degli artt. 1  e  2  della
legge 7 aprile 2010, n. 51 (Disposizioni in materia di impedimento  a
comparire in udienza) promossi dal Tribunale  di  Milano,  sezione  I
penale e sezione X penale, con ordinanze del 19 e del 16 aprile  2010
e dal Giudice per le indagini  preliminari  presso  il  Tribunale  di
Milano con ordinanza del 24 giugno 2010, rispettivamente iscritte  ai
nn. 173, 180 e 304 del registro ordinanze  2010  e  pubblicate  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 24 e 41, 1ª  serie  speciale,
dell'anno 2010. 
    Visti gli atti di  costituzione  di  S.B.  nonche'  gli  atti  di
intervento del Presidente del Consiglio dei ministri; 
    Udito nell'udienza  pubblica  dell'11  gennaio  2011  il  giudice
relatore Sabino Cassese; 
    Uditi gli avvocati Niccolo' Ghedini e Piero Longo per S.B. e  gli
avvocati  dello  Stato  Michele  Dipace  e  Maurizio  Borgo  per   il
Presidente del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - Il Tribunale di Milano, sezione I penale, con ordinanza  del
19 aprile 2010 (reg. ord. n. 173 del 2010), ha sollevato questione di
legittimita' costituzionale dell'articolo 1, commi 1, 3  e  4,  della
legge 7 aprile 2010, n. 51 (Disposizioni in materia di impedimento  a
comparire  in  udienza),   per   violazione   dell'art.   138   della
Costituzione. 
    1.1.  -  Il  collegio  rimettente   riferisce   che   la   difesa
dell'imputato nel giudizio principale ha dedotto e  documentato,  per
l'udienza del 12 aprile 2010, un legittimo impedimento  a  comparire,
consistente nell'impegno dell'imputato stesso a svolgere,  nella  sua
qualita' di Presidente del Consiglio  dei  ministri,  un  viaggio  di
Stato. Il Tribunale riporta inoltre che, a fronte della richiesta  di
ulteriori date utili per la  prosecuzione  del  giudizio,  la  difesa
dell'imputato, ai sensi  della  disciplina  censurata,  ha  formulato
richiesta di rinvio al 21 luglio 2010,  producendo  attestazione  del
Segretario generale della Presidenza del Consiglio  dei  ministri  di
impedimento continuativo dell'imputato motivato mediante  riferimento
esemplificativo a  plurime  attivita'  governative  da  svolgere  nel
periodo intercorrente fra il 9 aprile e il 21 luglio 2010. 
    Il giudice a quo espone che il pubblico ministero si  e'  opposto
alla richiesta di rinvio, sulla base di una interpretazione logica  e
sistematica della disciplina censurata, tale da consentire al giudice
di valutare l'assolutezza dell'impedimento a  comparire  dedotto  dal
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri.  In  particolare,  secondo
l'interpretazione  proposta  dal   pubblico   ministero,   «la   mera
attestazione di un impegno  continuativo  e  correlato  all'esercizio
delle   funzioni»   indicate   dalla   disciplina   censurata    «non
precluderebbe al giudice l'accertamento della sussistenza in concreto
dell'assoluto impedimento a comparire dell'imputato  per  il  periodo
indicato nell'attestazione»  stessa.  In  subordine,  secondo  quanto
riferisce il Tribunale rimettente, il pubblico ministero  ha  dedotto
l'illegittimita' costituzionale della norma  censurata,  nell'ipotesi
in cui essa dovesse intendersi come preclusiva di  un  sindacato  del
giudice  in  ordine  alla  sussistenza  in  concreto  del   legittimo
impedimento del Presidente del Consiglio dei ministri. 
    Ad avviso del  giudice  a  quo,  l'interpretazione  del  pubblico
ministero  non  puo'  essere  condivisa,  in  quanto  la   disciplina
censurata qualifica come legittimo impedimento,  ai  sensi  dell'art.
420-ter  del  codice  di  procedura  penale,  «non  solo   le   varie
attribuzioni previste dalle leggi o dai regolamenti con riguardo alla
funzione ministeriale», ma anche le relative «attivita'  preparatorie
e consequenziali», nonche' ogni «attivita' comunque coessenziale alle
funzioni di governo», imponendo, inoltre, il rinvio del processo  ove
la Presidenza del Consiglio dei ministri «attesti  che  l'impedimento
e'  continuativo  e  correlato»  allo  svolgimento   delle   suddette
funzioni. 
    Alla luce di tali circostanze, il  Tribunale  rimettente  ritiene
che la disciplina censurata non si limiti «ad integrare la previsione
di cui all'art. 420-ter del c.p.p.», introducendo «casi ulteriori  di
legittimo impedimento legati a situazioni specificamente individuate»
e tipizzando «taluni atti o attivita' di governo come  integranti  la
fattispecie legale di impedimento»,  ma  sostanzialmente  identifichi
l'intera attivita' di governo «(peraltro mediante  un  meccanismo  di
autocertificazione) con l'assoluta impossibilita' a comparire».  Cio'
si traduce, ad  avviso  del  giudice  a  quo,  nella  privazione  del
potere-dovere   del   giudice   di    verificare    la    sussistenza
dell'impedimento con riferimento ad uno specifico  impegno  correlato
alla singola udienza. In altri termini - osserva ancora  il  collegio
rimettente - la definizione di  legittimo  impedimento  di  cui  alla
disciplina censurata e' talmente ampia e generica  da  risolversi  in
una  «presunzione  assoluta  di   impedimento»,   considerata   quale
situazione legata non gia' ad  un  «fatto  contingente»,  ma  ad  uno
«status permanente», con conseguente venir  meno  della  possibilita'
del   giudice   di   accertare   la   «sussistenza    in    concreto»
dell'impedimento stesso. 
    L'impossibilita'  di  seguire  l'interpretazione   proposta   dal
pubblico  ministero  rende  rilevante,  ad   avviso   del   Tribunale
rimettente,  la  questione  di  legittimita'   costituzionale   della
disciplina censurata.  Secondo  il  giudice  a  quo,  tale  questione
sarebbe  non  manifestamente   infondata,   dal   momento   che   «le
disposizioni in esame, introducendo una presunzione iuris et de  iure
di impedimento continuativo per un lungo periodo  di  tempo  connessa
alle funzioni di governo  si  sostanziano  in  una  norma  di  status
derogatoria dell'ordinaria giurisdizione e dunque in una  prerogativa
che richiede una copertura costituzionale». 
    Ad  avviso  del  Tribunale  rimettente,  infatti,  la  disciplina
censurata,  stabilendo  a  priori  e  in  modo  vincolante   che   la
titolarita' e l'esercizio di funzioni pubbliche costituiscono  sempre
legittimo impedimento per rilevanti periodi di tempo, prescindendo da
qualsiasi  valutazione  del  caso  concreto,  si  tradurrebbe   nella
«statuizione di una vera e propria  prerogativa  dei  titolari  delle
cariche pubbliche diretta a tutelarne non gia' il diritto  di  difesa
nel processo bensi' lo status o la funzione», realizzandosi,  in  tal
modo,  «la  medesima   situazione   gia'   analizzata   dalla   Corte
costituzionale nella sentenza n. 262 del 2009». Inoltre,  secondo  il
giudice a quo, la circostanza che la stessa legge  censurata  indichi
espressamente la propria «funzione di legge ponte»,  in  vista  della
successiva   entrata   in   vigore   di   una   organica   disciplina
costituzionale delle prerogative del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri e  dei  ministri,  ne  renderebbe  esplicita  «la  ratio  di
anticipazione di una disciplina innovativa in una  materia  che  deve
essere necessariamente introdotta con procedimento costituzionale»  e
confermerebbe, quindi, la violazione dell'art. 138 Cost. 
    1.2. - E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
sollevata sia dichiarata non fondata. 
    1.2.1. - Secondo l'Avvocatura generale dello Stato, il giudice  a
quo deduce l'illegittimita' costituzionale della disciplina censurata
erroneamente presupponendo  che  essa  introduca  una  prerogativa  o
immunita' in favore del Presidente del Consiglio dei ministri  e  dei
ministri,  cio'  che,  per  pacifica  giurisprudenza  costituzionale,
potrebbe avvenire solo mediante legge costituzionale. In realta',  ad
avviso della difesa dello  Stato,  la  finalita'  delle  disposizioni
oggetto di censura, come emergerebbe anche  dai  lavori  preparatori,
sarebbe  quella  di  «identificare   normativamente   le   attivita',
esercitate da soggetti che rivestono  cariche  pubbliche  di  rilievo
costituzionale,  che  costituiscono  impedimento  a  comparire  nelle
udienze del procedimento penale nel quale risultano  imputati».  Tali
disposizioni - osserva  l'Avvocatura  generale  dello  Stato  -  sono
quindi  dirette  ad  integrare  la  disciplina   generale   contenuta
nell'art. 420-ter cod. proc. pen. e a «tipizzare gli atti,  o  meglio
le attivita' di governo, che si traducono in altrettante  fattispecie
di  legittimo  impedimento».  Simile  tipizzazione   legislativa   si
rivelerebbe necessaria, secondo il punto di vista della difesa  dello
Stato, allo scopo di adattare le soluzioni indicate da  questa  Corte
con riferimento all'impedimento a comparire dei membri del Parlamento
(sentenza n. 225 del 2001, secondo cui in particolare il giudice  «ha
l'onere di programmare il calendario delle udienze in modo da evitare
coincidenze con i giorni di riunione degli organi parlamentari») alla
diversa fattispecie del  legittimo  impedimento  del  Presidente  del
Consiglio dei ministri e dei ministri, le cui attivita',  rispetto  a
quelle  dei  parlamentari,  «si  svolgono  con  modalita'  e  cadenze
temporali [...] piu' eterogenee e non  facilmente  preventivabili»  e
sono «piu' soggett[e] a variazioni, atteso che l[e] stess[e] dev[ono]
tenere conto di svariate evenienze». L'intervento  legislativo  della
cui legittimita' si dubita, secondo la difesa  dello  Stato,  sarebbe
dunque rivolto a tipizzare, anche a fini di certezza  del  diritto  e
allo scopo di evitare divergenti  interpretazioni  giurisprudenziali,
«le ipotesi in cui lo svolgimento  dell'attivita'  governativa  rende
assolutamente impossibile, al Presidente del Consiglio dei Ministri e
ai  Ministri»,  la  comparizione  in   giudizio,   in   quanto   essa
precluderebbe  «lo  svolgimento  di   attivita'   istituzionali   non
delegabili». 
    L'Avvocatura  generale  dello  Stato  ritiene,  inoltre,  che  la
disciplina censurata, a differenza della legge 23 luglio 2008, n. 124
(Disposizioni in materia  di  sospensione  del  processo  penale  nei
confronti delle alte cariche dello  Stato),  non  determini  «in  via
automatica» la sospensione del processo.  In  primo  luogo,  essa  si
limiterebbe a consentire all'imputato di ottenere, «volta per volta»,
il rinvio dell'udienza. In secondo luogo, le funzioni di  governo  in
grado  di  giustificare  la  richiesta  di  rinvio  troverebbero   un
«esplicito  fondamento  normativo  in  fonti  di  rango  primario   o
secondario»   espressamente   richiamate,   o   sarebbero    comunque
«adeguatamente determinate e agevolmente individuabili atteso il loro
carattere strettamente strumentale rispetto a  quelle  specificamente
indicate con il richiamo delle rispettive fonti normative» (attivita'
preparatorie, consequenziali o comunque coessenziali alle funzioni di
governo). Infine, il  giudice  non  sarebbe  privato  del  potere  di
accertare «la sussistenza in  concreto»  del  legittimo  impedimento,
perche' egli potrebbe comunque valutare «se  l'attivita'  governativa
dedotta quale legittimo impedimento rientri fra le  ipotesi  previste
dalle disposizioni» censurate. Al giudice, pertanto, resterebbe  solo
precluso il  potere  di  «sindacare  se  le  attivita'  istituzionali
indicate» da tali disposizioni siano, «una volta provatane  in  fatto
l'esistenza, causa di legittimo impedimento»: se cosi' non fosse,  si
avrebbe,  ad  avviso  dell'Avvocatura  generale   dello   Stato,   un
inammissibile sindacato del giudice penale  sulle  ragioni  politiche
sottese all'esercizio  delle  attivita'  istituzionali  degli  organi
costituzionali. 
    La  difesa  dello  Stato  esclude,  quindi,  che  la   disciplina
censurata costituisca, come invece affermato dal giudice a  quo,  una
prerogativa o immunita' tale da richiedere copertura  costituzionale.
Si tratterebbe, invece, di un intervento legislativo di «modulazione»
dell'istituto generale del legittimo impedimento, che, in definitiva:
«non comporta esenzione dalla giurisdizione penale»; «non prevede una
sospensione generale e  automatica  del  procedimento  penale»;  «ha,
quale unico effetto processuale, quello del rinvio  del  processo  ad
altra udienza su richiesta di parte»; prevede un rinvio che  «non  ha
una   durata   indeterminata»   e,   nell'ipotesi   di    impedimento
continuativo, comunque «non puo' essere superiore a sei  mesi»;  «non
comporta  una  presunzione  assoluta  di  legittimo  impedimento,  ma
soltanto l'indicazione di categorie di  attivita'  istituzionali  che
possono comportare la richiesta del rinvio dell'udienza a tutela  del
diritto di difesa  dell'imputato  in  coerenza  con  l'esercizio  dei
propri doveri costituzionali»; «contiene un ragionevole bilanciamento
dei  due   valori   costituzionali,   quello   dell'esercizio   della
giurisdizione    e    quello    dell'esercizio    delle     attivita'
politico-istituzionali dei membri del Governo,  senza  far  prevalere
l'uno sull'altro e soprattutto senza sacrificarne nessuno». 
    Ne' puo' sostenersi, secondo la difesa dello Stato, che il rinvio
effettuato dall'art. 2 della legge n. 51 del 2010 ad  una  successiva
organica disciplina costituzionale delle prerogative  del  Presidente
del Consiglio dei ministri e dei ministri dimostri  il  carattere  di
prerogativa di  quanto  disposto  dalla  disciplina  censurata.  Tale
richiamo, ad  avviso  dell'Avvocatura  generale  dello  Stato,  «vuol
significare  soltanto  che  -  correttamente  -   sara'   una   legge
costituzionale a disciplinare le  vere  prerogative  dei  membri  del
Governo»,  mentre,  fino  a  quel  momento,  «rimarranno  in   vigore
specifiche previsioni di  legge  ordinaria  (come  quella  in  esame)
inerenti a  specifici  aspetti  della  materia  che  al  concetto  di
prerogativa non sono certo riconducibili». Del resto, il  disegno  di
legge costituzionale effettivamente presentato (A.S. n. 2180, recante
«Disposizioni in materia  di  sospensione  del  processo  penale  nei
confronti delle alte  cariche  dello  Stato»),  costituisce,  secondo
l'Avvocatura generale dello Stato, un intervento legislativo  che  ha
un  contenuto  ben  diverso  rispetto  a  quello   della   disciplina
censurata. Il disegno di legge, infatti, disporrebbe «la  sospensione
della giurisdizione nei confronti delle alte cariche dello  Stato  al
fine di fornire una obiettiva  protezione  del  regolare  svolgimento
delle attivita' connesse alla carica stessa».  La  legge  n.  51  del
2010, invece, prevederebbe un impedimento a  comparire  «in  caso  di
concomitante esercizio di una  o  piu'  attribuzioni  previste  dalle
leggi e dai regolamenti» per le  alte  cariche,  senza  «sospende[re]
l'esercizio della giurisdizione», ne' «crea[re] un particolare status
giuridico per tale carica», ma  limitandosi  a  disporre  un  «rinvio
dell'udienza  con  conseguente  sospensione  della  prescrizione  per
l'intera durata del rinvio». 
    Infine, secondo l'Avvocatura  generale  dello  Stato,  la  scelta
normativa, «particolarmente stigmatizzata  dal  giudice  a  quo»,  di
attribuire alla Presidenza del Consiglio dei ministri il  compito  di
attestare la continuativita' e la  correlazione  con  lo  svolgimento
delle  funzioni  governative  dell'impedimento  del  Presidente   del
Consiglio dei  ministri,  troverebbe  invece  giustificazione  «nella
necessita' ed opportunita' di attribuire tale delicato compito ad  un
soggetto [...] distinto rispetto  al  Presidente  del  Consiglio  dei
Ministri coinvolto nel processo penale come imputato», mentre sarebbe
stato  «irragionevole»  lasciare  a  quest'ultimo  «il   compito   di
autocertificare che l'impedimento presenta carattere continuativo». 
    1.2.2. - In data 23 novembre 2010,  l'Avvocatura  generale  dello
Stato ha depositato, per il Presidente del  Consiglio  dei  ministri,
memoria illustrativa, ribadendo le  ragioni  dedotte  con  l'atto  di
intervento e insistendo per l'inammissibilita' e l'infondatezza della
questione di legittimita' costituzionale sollevata. 
    La difesa dello Stato deduce l'inammissibilita'  della  questione
sostenendo,  in  primo  luogo,  che  l'ordinanza  di  rimessione  non
preciserebbe i fatti del processo a quo, ne' indicherebbe i reati per
i quali esso viene celebrato, in tal modo non  permettendo  a  questa
Corte di valutare la rilevanza della questione, se  non  violando  il
principio di autosufficienza  dell'atto  di  rimessione.  Il  giudice
rimettente, in secondo luogo, ad avviso  della  difesa  statale,  non
avrebbe «spiegato perche' non potesse  decidere  sulla  richiesta  di
rinvio dell'udienza, formulata dalla difesa  dell'imputato  [...]  in
quanto quest'ultimo era assolutamente impossibilitato  a  presenziare
alla medesima  udienza  per  legittimo  impedimento  concretatesi  in
impegni istituzionali specificamente indicati  dall'attestazione  del
Segretario generale della Presidenza del  Consiglio  dei  ministri  e
facilmente accertabili da parte del Tribunale indipendentemente dalla
risoluzione della  pregiudiziale  costituzionale  avente  ad  oggetto
l'art. 1, commi 1, 3 e 4,  della  legge  n.  51  del  2010».  Secondo
l'Avvocatura generale dello Stato,  quindi,  il  giudice  a  quo  non
avrebbe fornito alcuna giustificazione  in  relazione  al  fatto  che
l'istanza difensiva non potesse essere valutata e decisa alla stregua
della  disciplina  di  cui  all'art.  420-ter  cod.  proc.  pen.   La
questione, pertanto,  sarebbe  stata  proposta  non  all'esito  della
necessaria verifica della sua rilevanza,  bensi'  «per  sindacare  la
legittimita' costituzionale di una norma di legge  senza  fornire  la
prova della incidenza  della  stessa  in  concreto  sul  processo  in
corso». 
    Nel merito,  la  difesa  dello  Stato  ribadisce  quanto  dedotto
nell'atto di intervento, rimarcando che le disposizioni  della  legge
n. 51 del 2010 non si discosterebbero dalla logica dell'art.  420-ter
cod. proc. pen., «di cui precisano  soltanto  alcune  fattispecie  di
impedimento e pertanto  non  hanno  la  finalita'  di  proteggere  la
funzione  pubblica,  in  se'  e  per  se'  considerata,  creando  una
prerogativa ovvero un'immunita' per specifici imputati, ma sono volte
a tutelare il diritto di difesa dell'imputato che in  un  determinato
periodo di tempo (es. giorno dell'udienza) e' impedito a  partecipare
al processo per un proprio impegno istituzionale non prorogabile». La
normativa censurata, secondo l'Avvocatura generale dello  Stato,  non
introduce alcuna forma di immunita', ma «specifica, tipizzandola  (e,
peraltro, riducendola significativamente)» la  portata  dell'istituto
dell'impedimento a comparire gia'  previsto  dall'art.  420-ter  cod.
proc. pen. Ne' potrebbe dirsi, sostiene la difesa dello Stato, che si
sia dinanzi a una presunzione iuris et de iure, in base alla quale la
legge n. 51 del  2010  avrebbe  privato  il  giudice  del  potere  di
qualsiasi valutazione con riferimento al caso concreto,  dal  momento
che «il giudice e' tenuto ad accertare quando  ricorrono  le  ipotesi
previste dall'art. 1, comma 1, della legge  e  rinviare  il  processo
solo accertata la sussistenza di tali casi». 
    1.3. - Si e' costituito in giudizio, con atto depositato in  data
5 luglio 2010, l'imputato nel giudizio principale, chiedendo  che  la
questione di legittimita'  costituzionale  sollevata  sia  dichiarata
inammissibile o, comunque, manifestamente infondata. 
    1.3.1.  -   L'imputato   nel   giudizio   principale   eccepisce,
innanzitutto,  l'inammissibilita'  della  questione   sollevata,   in
ragione  della  omessa  descrizione  della  fattispecie  oggetto  del
giudizio principale, tale da non permettere alla Corte  di  valutarne
compiutamente la rilevanza. Egli nega che, in  relazione  alle  norme
processuali,  risulti  attenuato  l'obbligo  del  giudice  a  quo  di
descrivere puntualmente la fattispecie  sottoposta  al  suo  esame  e
comunque ritiene che, ove pure si volesse aderire  a  tale  tesi,  la
mancata descrizione della fattispecie sarebbe,  nel  caso  in  esame,
cosi' «drastica» da  determinare  comunque  l'inammissibilita'  della
questione. Sostiene la parte privata,  infatti,  che  l'ordinanza  di
rimessione: non chiarisce a quali reati si  riferisce  l'imputazione,
ne' dove e quando gli stessi sarebbero stati commessi, ne'  se  siano
contestate ipotesi di concorso con altre persone;  non  fornisce  una
puntuale  descrizione  della  «condizione  soggettiva  che  legittima
l'applicazione » della norma censurata; non indica lo stato in cui si
trova il processo che si sta celebrando dinanzi al giudice a quo.  Ad
avviso dell'imputato nel giudizio principale, in virtu' del principio
di autosufficienza dell'ordinanza di rimessione,  tali  elementi,  di
cui  la  Corte  «deve  avere  necessariamente  contezza   [...]   per
comprendere l'impatto che l'applicazione» della disciplina  censurata
potrebbe avere sul giudizio  principale,  neppure  potrebbero  essere
ricavati «ricorrendo alle deduzioni delle altre parti intervenute,  o
alla visione diretta del fascicolo, o, addirittura, a fatti  ritenuti
notori». 
    L'imputato  nel  giudizio  principale,  inoltre,  deduce,   quale
ulteriore ragione di inammissibilita', il difetto della rilevanza  in
concreto della questione sollevata dal giudice rimettente, per aversi
la quale sarebbe «necessario che l'interpretazione non costituzionale
della legge, oltre ad essere l'unica possibile, supporti  ed  orienti
l'applicazione che nel medesimo contesto il giudice si accingerebbe a
farne». Cio' non accadrebbe nel caso in esame, nel  quale  la  difesa
dell'imputato, all'udienza  del  12  aprile  2010,  da  un  lato,  ha
prospettato  un  legittimo  impedimento   per   il   giorno   stesso,
rappresentato da un viaggio di Stato a Washington D.C.,  negli  Stati
Uniti d'America, e, dall'altro lato,  ha  prodotto  attestazione  del
Segretario generale della Presidenza del Consiglio  dei  ministri  di
legittimo impedimento continuativo fino al successivo 21 luglio. 
    Alla luce di tali circostanze, secondo  l'imputato  nel  giudizio
principale, la rilevanza in concreto difetterebbe per due ragioni. 
    In  primo   luogo,   la   questione   sarebbe   stata   sollevata
«prematuramente  rispetto   alla   necessita'   di   dare   effettiva
applicazione» alla  disciplina  censurata,  in  considerazione  della
«sussistenza dell'impedimento puntuale,  valevole  hic  et  nunc  per
l'udienza  del  12  aprile  2010,  dato  dal  viaggio  di   Stato   a
Washington».  L'imputato  nel  giudizio  principale   chiarisce   che
l'attestazione della Presidenza del Consiglio dei ministri  e'  stata
prodotta al solo fine di indicare, per la prosecuzione del  giudizio,
i giorni del 21  e  del  28  luglio,  date  che  pero'  il  Tribunale
rimettente non avrebbe neppure preso  in  considerazione,  sollevando
invece direttamente - e  quindi  prematuramente  -  la  questione  di
legittimita' costituzionale della disciplina censurata. 
    In secondo luogo, l'imputato nel giudizio principale rileva  che,
ove pure «si ritenesse che la mera esibizione dell'attestazione [...]
equivalga a una  richiesta  di  applicazione  della  stessa,  pur  in
presenza di un legittimo impedimento valido ed operante per il giorno
dell'udienza in cui avviene detta esibizione», tale  attestazione  si
e' limitata ad indicare un impedimento continuativo per un periodo di
tempo di poco piu' di tre mesi, inferiore quindi al  periodo  massimo
di sei mesi previsto dalla disciplina censurata. Quest'ultima avrebbe
avuto quindi, nel giudizio a quo, una «applicazione  parziale»  e  la
questione  di  legittimita'  costituzionale  avrebbe  dovuto   essere
formulata  in  relazione  alla  disciplina  che  ha  avuto   concreta
applicazione, cioe' di una disciplina che produce una sospensione del
dibattimento per tre mesi, mentre il giudice a quo - rileva la  parte
privata - «discetta in astratto di "rilevanti periodo  di  tempo"  in
cui potrebbe essere fatto valere il legittimo impedimento». 
    Nel merito, l'imputato nel giudizio  principale  ritiene  che  il
Tribunale rimettente abbia sollevato  la  questione  di  legittimita'
costituzionale della disciplina  censurata  sulla  base  dell'erroneo
presupposto che essa abbia introdotto un meccanismo che, «al  di  la'
dell'evocazione del nomen di legittimo impedimento, costituirebbe  in
realta'  una  prerogativa  connessa  alla  carica  costituzionale  di
Presidente del Consiglio dei ministri e  richiederebbe  pertanto  una
fonte di rango costituzionale». 
    Innanzitutto, la  circostanza  su  cui  il  Tribunale  rimettente
fonderebbe questo assunto, cioe' l'asseritamente prevista sottrazione
del  potere-dovere  del  giudice   di   verificare   la   sussistenza
dell'impedimento, e' negata dall'imputato  nel  giudizio  principale.
Questi infatti osserva come «nulla viet[i] al giudice, al quale venga
esibita l'attestazione della Presidenza del Consiglio  dei  Ministri»
di cui alla disciplina censurata, «sia di controllare  l'autenticita'
della stessa, sia di chiedere [...] ulteriori precisazioni in  merito
all'attivita' di  governo  che  deve  essere  compiuta»,  restandogli
soltanto  preclusa  la   possibilita'   «di   sindacare   il   merito
dell'attivita' di governo, giudicandola  piu'  o  meno  importante  e
necessaria», cio' che peraltro contrasterebbe anche con il  principio
di separazione dei poteri. 
    Inoltre, la «facolta' del giudice di  entrare  nel  merito  della
fondatezza del legittimo impedimento», ad  avviso  dell'imputato  nel
giudizio principale, non  sarebbe  «cosi'  coessenziale  alla  natura
stessa dell'istituto» da far  escludere  che  possa  rientrare  nella
categoria  del  legittimo  impedimento  (e  non   in   quella   della
prerogativa  costituzionale)   anche   «un'ipotesi   di   impedimento
qualificato a monte come legittimo da una fonte di  rango  ordinario,
rispetto al quale il giudice possa solo verificare se si versi o meno
nei  casi  previsti  dalla  legge».  Ragionando  in  via   analogica,
l'imputato nel giudizio principale ritiene che non potrebbe ritenersi
preclusa al legislatore ordinario «la compilazione di  un  elenco  di
patologie invalidanti  in  presenza  delle  quali  il  giudice  fosse
costretto a riconoscere il legittimo impedimento dell'imputato che ne
sia affetto», potendo «disporre accertamenti  sulla  veridicita'  del
certificato», ma senza  «sindacare  la  ragionevolezza  della  scelta
legislativa di  inserire  nell'elenco  una  patologia  piuttosto  che
un'altra». Una simile  disciplina,  infatti,  «non  cancellerebbe  la
natura di legittimo impedimento» dell'imputato «affetto da una  delle
patologie legislativamente previste, per trasformare questa evenienza
in una prerogativa per quel tipo di malati». 
    Ad avviso  dell'imputato  nel  giudizio  principale,  dunque,  il
Tribunale rimettente, nel negare che la disciplina censurata  preveda
una ipotesi di legittimo impedimento, muoverebbe  da  un  presupposto
giuridico  errato  e,  di  conseguenza,  evocherebbe   un   parametro
costituzionale (art. 138  Cost.)  non  pertinente,  dal  momento  che
«nessuno puo' seriamente dubitare che una tipizzazione da  parte  del
legislatore di alcuni casi di legittimo  impedimento  debba  e  possa
avvenire  con  legge  ordinaria».  Quest'ultima  -   osserva   ancora
l'imputato nel giudizio principale - deve realizzare  un  ragionevole
bilanciamento fra i valori costituzionali in gioco (diritto di difesa
e  obbligatorieta'  dell'azione  penale  e  ragionevole  durata   del
processo),  che  e'  oggetto  di  sindacato  da  parte  della   Corte
costituzionale.   Ma   l'ordinanza   di   rimessione    trascurerebbe
completamente di considerare il  profilo  della  «ragionevolezza  del
concreto  bilanciamento  di  interessi  operato»   dalla   disciplina
censurata,  rimanendo   invece   «ancorata   al   pregiudizio   della
"prerogativa dei titolari delle cariche pubbliche diretta a  tutelare
non gia' il diritto di difesa del processo  bensi'  lo  status  e  le
funzioni"». 
    La tesi che la disciplina  censurata  introduca  una  prerogativa
costituzionale sarebbe ulteriormente contraddetta,  ad  avviso  della
parte privata, dal suo carattere temporaneo: una normativa  destinata
«a dispiegare  i  propri  effetti  nell'ordinamento  al  piu'  per  i
diciotto  mesi  successivi  alla  sua  pubblicazione»,  infatti,  non
potrebbe «integrare una prerogativa costituzionale,  a  meno  di  non
voler pensare che le prerogative  costituzionali  possano  avere  una
scadenza». 
    Ne' la tesi  della  prerogativa  costituzionale  potrebbe  trarre
conforto dalla circostanza che la disciplina  censurata  «preannuncia
una riforma costituzionale»  delle  prerogative  del  Presidente  del
Consiglio  dei  ministri  e  dei  ministri.  Secondo  l'imputato  nel
giudizio a quo, tale argomento,  adoperato  dal  giudice  rimettente,
«equipara in modo del tutto arbitrario il contenuto» della  normativa
oggetto di censura con quello della futura disciplina costituzionale.
Quest'ultima, secondo l'imputato nel giudizio principale, nel dettare
una disciplina costituzionale organica delle prerogative  dei  membri
del  Governo  potra'  regolare  «anche  [...]  l'interazione  fra  le
suddette prerogative e [...] istituti  previsti  da  leggi  ordinarie
[...] quali il legittimo impedimento». Ma cio' non significa  che  le
disposizioni censurate  intendano  «anticipare  a  livello  di  legge
ordinaria gli effetti di una riforma costituzionale».  Esse,  invece,
secondo la parte privata, risponderebbero allo scopo di «regolare  in
modo estremamente equilibrato un lasso di  tempo  intermedio  fra  la
mancanza assoluta di una disciplina che  si  occupi  delle  eventuali
difficolta' che il Presidente del Consiglio dei ministri e i Ministri
possono trovare a difendersi efficacemente in un processo penale  che
li veda imputati e l'approvazione di  una  legge  costituzionale  che
ridefinisca lo status di queste cariche». 
    Il  carattere  equilibrato  del  contemperamento   di   interessi
realizzato dalla disciplina  transitoria  censurata  sarebbe  inoltre
dimostrato,  ad  avviso  dell'imputato  nel  giudizio  a  quo,  dalle
seguenti ulteriori circostanze. In primo luogo, la disciplina prevede
la sospensione del decorso della prescrizione, con la conseguenza che
per effetto del  legittimo  impedimento  «la  situazione  processuale
viene semplicemente congelata senza alcun effetto pregiudizievole sul
piano sostanziale». In secondo luogo, l'applicazione concreta di tale
disciplina  nel  giudizio  a  quo  permetterebbe  presumibilmente  di
realizzare un equo bilanciamento degli interessi in gioco, atteso che
l'imputato  nel  processo  principale   si   e'   raramente   avvalso
dell'istituto  del  legittimo  impedimento,  permettendo   cosi'   la
celebrazione di  ben  83  udienze.  Infine,  il  periodo  massimo  di
differimento del processo, consentito dalle disposizioni  oggetto  di
censura, e' di appena sei mesi, che e' intervallo di tempo assai piu'
breve rispetto al periodo di sospensione che si determina per effetto
della  remissione  alla  Corte  costituzionale  della  questione   di
legittimita' sollevata dal giudice a quo. 
    1.3.2. - In  data  22  novembre  2010,  l'imputato  nel  giudizio
principale   ha   depositato    memoria    illustrativa,    ribadendo
l'infondatezza della  questione.  Nella  memoria,  la  parte  privata
illustra  le  vicende  del  processo  a  quo,   in   relazione   alla
celebrazione delle udienze e alle richieste di rinvio fino al  giorno
19 aprile 2010, al dichiarato fine di consentire a  questa  Corte  di
«valutare la ragionevolezza di quanto deciso dal Tribunale di  Milano
a fronte di una richiesta di rinvio corredata anche  dall'indicazione
di possibili date per  la  celebrazione  delle  successive  udienze».
Dalle vicende del giudizio principale  emergerebbe  come  «la  difesa
abbia rigorosamente interpretato  quei  canoni  ermeneutici  offerti»
dalla Corte «per individuare  il  concetto  di  leale  collaborazione
processuale,  concordando  le  date,  non   frapponendo   impedimenti
pretestuosi, consentendo la celebrazione delle udienze  anche  quando
l'imputato  era  impedito,  se  la   sua   partecipazione   non   era
oggettivamente necessaria». Con osservazioni estese anche ai  giudizi
di cui al reg. ord. nn. 180 e 304 del 2010, inoltre, la parte privata
sostiene che i rinvii richiesti per legittimo  impedimento  sarebbero
stati sempre limitati e rispettosi dell'attivita' giudiziaria  e  che
le attestazioni fornite sono state sempre assai inferiori al  termine
massimo dei sei mesi. Sarebbe quindi stato sufficiente,  conclude  la
difesa dell'imputato nel giudizio principale, applicare i  canoni  di
cui all'art. 420-ter cod. proc. pen. per poter continuare i processi. 
    2. - Il Tribunale di Milano, sezione X penale, con ordinanza  del
16 aprile 2010 (reg. ord. n. 180 del 2010), ha sollevato questione di
legittimita' costituzionale degli artt. 1 e 2 della legge n.  51  del
2010, per violazione degli artt. 3 e 138 Cost. 
    2.1.  -  Il  collegio  rimettente   riferisce   che   la   difesa
dell'imputato nel giudizio principale,  al  quale  e'  contestato  il
reato di cui agli artt. 110, 319, 319-ter e 321 del codice penale, ha
anticipato via fax, in data 14 aprile 2010, una richiesta  di  rinvio
dell'udienza  del  16  aprile  (data  che  era  stata  indicata   dal
Tribunale, nel corso della precedente udienza del 27  febbraio  2010,
insieme a quelle, successive, del 30 aprile, 7 maggio, 12 maggio e 29
maggio  del  2010),  deducendo  legittimo   impedimento   consistente
nell'impegno a presiedere il Consiglio dei ministri convocato per  lo
stesso  giorno.  Il  Tribunale  rimettente  espone  che,  nel   corso
dell'udienza del 16 aprile,  la  difesa  dell'imputato  nel  giudizio
principale ha prodotto copia dell'ordine del giorno del Consiglio dei
ministri (datato 14 aprile 2010) e ha esibito l'originale, producendo
copia, «dell'attestazione del Segretario  Generale  della  Presidenza
del   Consiglio   dei   Ministri   relativa   alla    continuativita'
dell'impedimento  correlato  allo  svolgimento  delle   funzioni   di
governo» ai sensi della legge censurata. Il giudice a quo  riferisce,
inoltre, che il pubblico ministero  ha  domandato  il  rigetto  della
richiesta di rinvio, negando il carattere  assoluto  dell'impedimento
alla luce dei punti posti all'ordine  del  giorno  della  seduta  del
Consiglio dei ministri del 14 aprile 2010 e della circostanza per cui
l'impedimento  e'   intervenuto   successivamente   alla   fissazione
concordata  del   calendario   del   processo,   mentre   la   difesa
dell'imputato ha ribadito la rilevanza dei temi posti all'ordine  del
giorno del Consiglio dei ministri e, dunque,  il  carattere  assoluto
dell'impedimento. 
    Ad avviso del Tribunale rimettente, ai fini della decisione sulla
richiesta  di  rinvio  e  della  prosecuzione  del  dibattimento,  e'
«imprescindibile» accertare preliminarmente se, in applicazione della
disciplina   legislativa   censurata,    il    giudice    «mantenga»,
conformemente  alla  natura  stessa  dell'«istituto   generale»   del
legittimo impedimento di cui all'art. 420-ter cod.  proc.  pen.,  «il
potere-dovere     di     verificare      l'effettiva      sussistenza
dell'impedimento», mediante un «accertamento di fatto da  effettuarsi
caso per caso e in concreto». La  disciplina  censurata,  secondo  il
collegio rimettente, sottrae al giudice tale potere  di  valutazione.
Essa, infatti,  non  contiene  una  «disciplina[..]  presuntiva[...]»
dell'istituto «in relazione  a  specifiche  situazioni  di  fatto»  e
«coerente[...]  con  il  sistema  delineato  dall'art.   420-ter   di
applicazione generale». L'art. 1, comma 1,  della  legge  n.  51  del
2010, ad  avviso  del  giudice  a  quo,  «stila[...]  un  elenco»  di
impedimenti legittimi che include anche le «attivita' preparatorie  e
consequenziali, nonche' [...] ogni  attivita'  comunque  coessenziale
alle funzioni di governo».  La  «genericita'»  di  tale  formulazione
limiterebbe la possibilita' del giudice di apprezzare  l'effettivita'
dell'impedimento rispetto alla singola udienza, cio' che risulterebbe
rafforzato dal dettato del comma 4 del medesimo art. 1,  secondo  cui
«il giudice rinvia  il  processo  a  seguito  di  certificazione  che
attesti  che  l'impedimento  e'   continuativo   e   correlato   allo
svolgimento delle funzioni» di governo. Da  tutto  cio'  il  collegio
rimettente conclude che,  in  base  alla  disciplina  censurata,  «il
rinvio e' imposto da ragioni genericamente indicate  e  insindacabili
dalla autorita' giudiziaria e si traduce in una causa  automatica  di
rinvio del  dibattimento  sproporzionata  rispetto  alla  tutela  del
diritto di difesa, per il quale l'istituto del legittimo  impedimento
a comparire e' previsto». Ne' puo'  seguirsi,  secondo  il  Tribunale
rimettente, una diversa interpretazione della legge  censurata,  tale
da «salvaguarda[re] il sindacato del giudice in  ordine  alla  natura
dell'impedimento   e   alla   sua   continuativita'»:   una    simile
interpretazione,  infatti,  «si  risolverebbe  in   una   sostanziale
disapplicazione della nuova legge» e contrasterebbe con  la  volonta'
del legislatore, quale espressamente palesata dall'art. 2 della legge
censurata, secondo il quale «le nuove disposizioni  si  applicano  al
fine di consentire al Presidente del  Consiglio  dei  Ministri  e  ai
Ministri il sereno svolgimento delle funzioni loro  attribuite  dalla
Costituzione e dalla legge». 
    Alla luce di tali circostanze, il  Tribunale  rimettente  ritiene
che il meccanismo processuale previsto  dalla  disciplina  censurata,
sebbene  qualificato  come  legittimo  impedimento,  rappresenti   in
realta'  una  «nuova  prerogativa»,  «connessa  all'esercizio   delle
cariche costituzionali di Presidente del Consiglio dei Ministri e  di
Ministro», e consistente in una «causa di sospensione del  processo».
Ma - osserva  il  giudice  a  quo  -  la  previsione  di  una  simile
prerogativa,  in  quanto  «derogatoria   al   principio   di   eguale
sottoposizione alla legge e alla giurisdizione di tutti i cittadini»,
non puo' avvenire con legge ordinaria. Essa richiede  necessariamente
una fonte costituzionale, come  affermato  da  questa  Corte  con  la
sentenza n. 262 del 2009 e come del resto riconosciuto dalla medesima
disciplina censurata, che ha carattere temporaneo ed  e'  rivolta  ad
anticipare gli  effetti  di  una  legge  costituzionale  recante  una
disciplina organica delle prerogative del  Presidente  del  Consiglio
dei ministri e dei ministri. 
    2.2. - E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che la Corte dichiari la questione  di  legittimita'
costituzionale  sollevata  inammissibile,  in  relazione  all'art.  3
Cost., e comunque non fondata,  in  relazione  al  medesimo  art.  3,
nonche' all'art. 138 Cost. 
    2.2.1.  -  Quanto  all'asserita  lesione   dell'art.   3   Cost.,
l'Avvocatura  generale  dello  Stato  eccepisce  preliminarmente   la
manifesta  inammissibilita'  della  questione,  per  non  avere   «il
Tribunale  rimettente  esplicitato  i  motivi  che  fonderebbero   la
predetta violazione». Nel merito, la difesa dello Stato  ritiene  che
le disposizioni censurate prevedano un «trattamento differenziato per
i titolari delle cariche ivi indicate del tutto conforme al richiesto
requisito della  ragionevolezza  e  proporzionalita'»,  essendo  tali
disposizioni dirette a  pervenire,  con  specifico  riferimento  alla
fattispecie del legittimo impedimento del  Presidente  del  Consiglio
dei ministri imputato «ad un ragionevole  bilanciamento  fra  le  due
esigenze, entrambe di valore  costituzionale,  della  speditezza  del
processo e della integrita' funzionale  dell'organo  costituzionale».
Ne' puo' ritenersi, secondo l'Avvocatura generale dello Stato, che la
violazione   dell'art.   3   Cost.   dipenda   da   una   illegittima
differenziazione della posizione del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri  rispetto  a  quella  dei  ministri,  dal  momento  che   la
disciplina censurata si riferisce ad entrambe le cariche. 
    Con riguardo, invece, alla  lamentata  violazione  dell'art.  138
Cost., l'Avvocatura generale dello Stato  deduce  la  non  fondatezza
della censura sulla base di argomenti testualmente identici a  quelli
svolti nell'atto di intervento riferito all'ordinanza  di  rimessione
di cui al reg. ord. n. 173 del 2010. 
    2.2.2. - In data 23 novembre 2010,  l'Avvocatura  generale  dello
Stato ha depositato, per il Presidente del  Consiglio  dei  ministri,
memoria illustrativa, ribadendo le  ragioni  dedotte  con  l'atto  di
intervento a sostegno dell'inammissibilita' e dell'infondatezza della
questione di  costituzionalita'  sollevata.  La  difesa  dello  Stato
formula   ulteriori   osservazioni   in   ordine    alla    manifesta
inammissibilita' e alla infondatezza della questione, sulla  base  di
argomenti  testualmente  identici  a  quelli  dedotti  nella  memoria
riferita all'ordinanza di rimessione di cui al reg. ord. n.  173  del
2010. 
    2.3. - Si e' costituito in giudizio, con atto depositato in  data
5 luglio 2010, l'imputato nel giudizio principale, chiedendo  che  la
Corte dichiari inammissibile o, comunque, manifestamente infondata la
questione di legittimita' costituzionale sollevata. 
    2.3.1.  -   L'imputato   nel   giudizio   principale   eccepisce,
innanzitutto,  l'inammissibilita'  della  questione   sollevata,   in
ragione  della  omessa  descrizione  della  fattispecie  oggetto  del
giudizio principale, tale da non permettere alla Corte  di  valutarne
compiutamente la rilevanza. In particolare, l'ordinanza di rimessione
conterrebbe, ad avviso dell'imputato  nel  giudizio  principale,  una
«laconica indicazione degli articoli  del  codice  penale  contestati
all'imputato  e  delle  coordinate  spazio-temporali  del   capo   di
imputazione»  e  non  fornirebbe  una  puntuale   descrizione   della
«condizione soggettiva  che  legittima  l'applicazione»  della  norma
censurata, ne' dello stato in cui si trova il  processo  che  si  sta
celebrando dinanzi al giudice a quo. Secondo l'imputato nel  giudizio
principale, in virtu' del principio di autosufficienza dell'ordinanza
di  rimessione,  tali  elementi,  di  cui  la   Corte   «deve   avere
necessariamente contezza per  potersi  pronunciare»,  non  potrebbero
essere  ricavati  «ricorrendo  alle  deduzioni  delle   altre   parti
intervenute, o  alla  visione  diretta  del  fascicolo  del  giudizio
principale, o, addirittura, a fatti ritenuti notori». 
    L'imputato nel giudizio principale deduce  poi,  quale  ulteriore
ragione di inammissibilita', il difetto della rilevanza  in  concreto
della questione sollevata dal giudice rimettente, per aversi la quale
sarebbe «necessario che l'interpretazione  non  costituzionale  della
legge,  oltre  ad  essere  l'unica  possibile,  supporti  ed  orienti
l'applicazione che nel medesimo contesto il giudice si accingerebbe a
farne». Cio' non accadrebbe nel caso in esame, nel  quale  la  difesa
dell'imputato, all'udienza  del  16  aprile  2010,  da  un  lato,  ha
prospettato un legittimo impedimento per il giorno stesso, costituito
dalla concomitante riunione del Consiglio dei ministri, e, dall'altro
lato,  ha  prodotto  attestazione  del  Segretario   generale   della
Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri  di  legittimo  impedimento
continuativo fino al 21 luglio 2010. 
    Sulla base di tali circostanze, secondo l'imputato  nel  giudizio
principale, la rilevanza in concreto difetterebbe per due ragioni. 
    In  primo   luogo,   la   questione   sarebbe   stata   sollevata
«prematuramente  rispetto   alla   necessita'   di   dare   effettiva
applicazione» alla  disciplina  censurata,  in  considerazione  della
«sussistenza dell'impedimento puntuale,  valevole  hic  et  nunc  per
l'udienza del 16 aprile 2010, dato dalla  concomitante  riunione  del
Consiglio dei Ministri». L'imputato nel giudizio principale chiarisce
che l'attestazione della Presidenza del  Consiglio  dei  ministri  e'
stata prodotta al solo fine di  indicare,  per  la  prosecuzione  del
giudizio, i giorni del 21 e del 28 luglio 2010,  date  che  pero'  il
Tribunale rimettente non avrebbe  neppure  preso  in  considerazione,
sollevando  invece  direttamente  -  e  quindi  prematuramente  -  la
questione di legittimita' costituzionale della disciplina censurata. 
    In secondo luogo, l'imputato nel giudizio principale rileva  che,
ove pure «si ritenesse che la mera esibizione dell'attestazione [...]
equivalga a una  richiesta  di  applicazione  della  stessa,  pur  in
presenza di un legittimo impedimento valido ed operante per il giorno
dell'udienza in cui avviene detta esibizione», tale  attestazione  si
e' limitata ad indicare un impedimento continuativo per un periodo di
tempo di poco piu' di tre mesi, inferiore quindi al  periodo  massimo
di sei mesi previsto dalla disciplina censurata. Quest'ultima avrebbe
quindi avuto, nel giudizio a quo, una «applicazione  parziale»  e  la
questione  di  legittimita'  costituzionale  avrebbe  dovuto   essere
formulata  in  relazione  alla  disciplina  che  ha  avuto   concreta
applicazione, cioe' di una disciplina che produce una sospensione del
dibattimento per tre mesi, mentre  il  giudice  a  quo  «discetta  in
astratto di "rilevanti periodo di tempo" in cui potrebbe essere fatto
valere il legittimo impedimento». 
    Nel merito,  la  parte  privata  sostiene  che  la  questione  di
legittimita' costituzionale, sollevata dal  Tribunale  rimettente  in
relazione all'art. 138 Cost., sia manifestamente  infondata,  per  le
ragioni indicate, con argomenti testualmente identici,  nell'atto  di
costituzione relativo al giudizio di cui al  reg.  ord.  n.  173  del
2010. 
    Relativamente, invece, all'asserita violazione dell'art. 3 Cost.,
la parte privata osserva  che  «manca  nell'ordinanza  di  rimessione
qualunque valutazione relativa al tertium comparationis [...] nonche'
alla ragionevolezza del bilanciamento  di  interessi  operato»  dalla
disciplina censurata. 
    Sotto  il  primo  profilo,  viene  rilevato  che  l'ordinanza  di
rimessione non chiarisce quali siano i soggetti rispetto ai quali  la
disciplina  censurata  «creerebbe  sperequazioni:  se   rispetto   al
semplice cittadino, o ad altre cariche dello Stato, o a un Presidente
del Consiglio  dei  Ministri  e  a  dei  Ministri  tutelati  da  vere
immunita' costituzionali». 
    Sotto il secondo profilo, si osserva come il  giudice  a  quo  si
limiti ad affermare  che  il  meccanismo  processuale  denunciato  e'
«causa automatica di rinvio del dibattimento sproporzionata  rispetto
alla tutela del diritto di  difesa»,  senza  pero'  impiegare  alcuna
altra argomentazione «per  dare  sostanza  e  contenuto  all'asserita
sproporzione»  e,  soprattutto,  senza   considerare   il   carattere
temporaneo e transitorio della disciplina denunciata, suscettibile di
influenzare significativamente il giudizio sulla  ragionevolezza  del
bilanciamento di interessi da essa operato. 
    2.3.2. - In  data  22  novembre  2010,  l'imputato  nel  giudizio
principale ha depositato memoria illustrativa, insistendo perche'  la
questione di legittimita' costituzionale sollevata sia dichiarata non
fondata. La parte privata, in particolare, illustra  le  vicende  del
processo a quo, in relazione alla celebrazione delle udienze  e  alle
richieste di rinvio, riproducendo le medesime  argomentazioni  svolte
nella memoria riferita al giudizio di cui al reg.  ord.  n.  173  del
2010. 
    3. - Il Giudice per le indagini preliminari presso  il  Tribunale
di Milano, con ordinanza del 24 giugno 2010 (reg.  ord.  n.  304  del
2010),  ha  sollevato  questione   di   legittimita'   costituzionale
dell'art. 1 della legge n. 51 del 2010, per violazione dell'art.  138
Cost. 
    3.1.  -  Il  giudice   rimettente   riferisce   che   la   difesa
dell'imputato nel giudizio principale ha  avanzato,  ai  sensi  della
disciplina   censurata,   istanza   di   differimento    dell'udienza
preliminare alla data del 27 luglio 2010, producendo una attestazione
della Segreteria della Presidenza del Consiglio dei ministri  in  cui
viene dato atto di un impedimento continuativo,  fino  alla  suddetta
data, correlato alle funzioni di governo  che  l'imputato  stesso  e'
chiamato a svolgere nella sua  qualita'  di  attuale  Presidente  del
Consiglio dei ministri. Il giudice a  quo  espone,  inoltre,  che,  a
fronte di tale richiesta di differimento, il  pubblico  ministero  ha
chiesto la fissazione di un calendario di udienze  per  i  successivi
mesi di settembre e ottobre e la difesa dell'imputato ha  offerto  la
propria  disponibilita',  tuttavia   precisando   che   «un'eventuale
programmazione delle udienze dovra' comunque  essere  modulata  sulla
base dei futuri impegni istituzionali  del  proprio  assistito,  allo
stato non individuabili». 
    Il giudice  rimettente  ritiene  che,  ai  fini  della  decisione
sull'istanza  di  differimento  dell'udienza   preliminare,   occorra
preliminarmente  stabilire   se,   alla   luce   della   disposizione
legislativa censurata, «il  giudice  conservi  il  potere,  stabilito
dall'art. 420-ter del codice di procedura penale, di  sindacare  caso
per caso se l'impedimento  legittimo  possa  ritenersi  assoluto  per
tutto il periodo in cui viene rappresentato e, come tale, legittimare
la richiesta di rinvio dell'udienza».  A  tal  fine,  ad  avviso  del
giudice a quo, la legge censurata deve  essere  interpretata  tenendo
conto della «ratio» dalla medesima indicata all'art. 2, cioe'  quella
di regolare «le prerogative del Presidente del Consiglio dei Ministri
e degli  stessi  Ministri  in  vista  del  sereno  svolgimento  delle
funzioni loro attribuite [...]  in  attesa  di  una  legge  di  rango
costituzionale  che  valga  ad  attuarne  un'organica  e   definitiva
regolamentazione».  Alla  luce  di  tale  circostanza,   il   giudice
rimettente ritiene che, «a fronte di una  certificazione  governativa
in cui vengano indistintamente richiamati gli  impegni  istituzionali
non rinviabili presenti nell'agenda del Presidente del Consiglio  dei
ministri per un  determinato  arco  temporale,  senza  alcun  preciso
riferimento in ordine alla relativa natura, frequenza  e  durata,  al
giudice sia precluso ogni sindacato in merito al  carattere  assoluto
dell'impedimento cosi' rappresentato». 
    Tuttavia, una simile qualificazione legislativa,  vincolante  per
il giudice, di «legittimo  impedimento  continuativo  correlato  alle
funzioni governo», si tradurrebbe in pratica, ad avviso  del  giudice
rimettente, in una «sorta di temporanea esenzione dalla giurisdizione
penale destinata a perdurare per tutto il  tempo  in  cui  l'incarico
governativo viene ad essere ricoperto». Tale deroga al comune  regime
giurisdizionale  costituirebbe  una   prerogativa   in   favore   dei
componenti di un organo costituzionale che, secondo quanto  affermato
da  questa   Corte,   puo'   essere   introdotta   solo   con   legge
costituzionale. Del resto - osserva ancora il  giudice  a  quo  -  lo
stesso art. 2 della legge censurata, «nel rappresentarne il carattere
temporaneo, pare essere consapevole della necessita'  che  l'organico
assetto delle prerogative dei componenti del Consiglio  dei  ministri
sia attuato attraverso il meccanismo previsto dall'art.  138  Cost.».
L'asserita violazione  di  quest'ultima  disposizione  costituzionale
induce  pertanto  il  giudice  rimettente  a   sollevare   d'ufficio,
ritenendola rilevante e non manifestamente infondata, la questione di
legittimita' costituzionale della disciplina censurata, la quale,  in
quanto legge ordinaria, non potrebbe,  «neppure  per  un  periodo  di
tempo  limitato,  anticipare  gli  effetti  di  una  legge  di  rango
costituzionale». 
    3.2. - E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei
ministri,  rappresentato  e  difeso  dall'Avvocatura  generale  dello
Stato, chiedendo che  la  questione  di  legittimita'  costituzionale
sollevata sia dichiarata inammissibile o, comunque, non fondata. 
    La difesa dello Stato eccepisce  innanzitutto  l'inammissibilita'
«per  difetto  di  rilevanza   in   concreto   della   questione   di
costituzionalita'  dedotta».  L'Avvocatura   generale   dello   Stato
osserva,  infatti,  che,  come  emerge  della  stessa  ordinanza   di
rimessione, alla richiesta di differimento  dell'udienza  preliminare
per l'attestato impedimento dell'imputato, nessuna delle parti si  e'
opposta, compreso il pubblico ministero, che ha chiesto la fissazione
di un calendario di udienze per i  successivi  mesi  di  settembre  e
ottobre. In tale contesto, ad avviso della  difesa  dello  Stato,  il
giudice  rimettente  avrebbe  dovuto  preliminarmente   valutare   la
richiesta di rinvio ai sensi della norma  generale  di  cui  all'art.
420-ter cod. proc. pen. e, solo in caso di ritenuta  inapplicabilita'
di  tale  disposizione,  verificare  l'applicabilita'   della   norma
speciale  censurata.  Secondo  l'Avvocatura  generale  dello   Stato,
invece, il giudice rimettente  avrebbe  proceduto,  «in  astratto»  e
«senza fornire alcuna indicazione  in  ordine  alla  rilevanza  della
stessa con riferimento al processo  in  questione»,  a  sollevare  la
questione di legittimita' costituzionale della norma  censurata,  che
si rivelerebbe, pertanto, inammissibile. 
    Nel merito, l'Avvocatura  generale  dello  Stato  deduce  la  non
fondatezza  della  questione  sollevata  sulla  base   di   argomenti
testualmente  identici  a  quelli  svolti  nell'atto  di   intervento
riferito all'ordinanza di rimessione di cui al reg. ord. n.  173  del
2010.  La  difesa  dello  Stato  esclude,  in  particolare,  che   la
disciplina censurata possa costituire una prerogativa costituzionale.
Essa infatti sarebbe rivolta ad integrare la disciplina dell'istituto
processuale generale del legittimo impedimento,  il  quale  puo'  ben
essere regolato con legge ordinaria in quanto «prescinde dalla natura
dell'attivita' che legittima l'impedimento medesimo, [e'] di generale
applicazione e pertanto non deroga al comune regime giurisdizionale». 
    3.3. - Si e' costituito in giudizio, con atto depositato in  data
26 ottobre 2010, l'imputato nel giudizio principale, chiedendo che la
Corte dichiari inammissibile o, comunque, manifestamente infondata la
questione di legittimita' costituzionale sollevata. 
    3.3.1.  -   L'imputato   nel   giudizio   principale   eccepisce,
innanzitutto,  l'inammissibilita'  della  questione   sollevata,   in
ragione  della  omessa  descrizione  della  fattispecie  oggetto  del
giudizio principale, tale da non permettere alla Corte  di  valutarne
compiutamente  la   rilevanza.   In   particolare,   l'ordinanza   di
rimessione, ad avviso  dell'imputato  nel  giudizio  principale,  non
indicherebbe i reati  contestati  e  il  luogo  e  tempo  della  loro
commissione,  ne'   fornirebbe   una   puntuale   descrizione   della
«condizione soggettiva  che  legittima  l'applicazione»  della  norma
censurata e dello stato in cui  si  trova  il  processo  che  si  sta
celebrando dinanzi al giudice a quo. Secondo l'imputato nel  giudizio
principale, in virtu' del principio di autosufficienza dell'ordinanza
di  rimessione,  tali  elementi,  di  cui  la   Corte   «deve   avere
necessariamente contezza per  potersi  pronunciare»,  non  potrebbero
essere  ricavati  «ricorrendo  alle  deduzioni  delle   altre   parti
intervenute, o  alla  visione  diretta  del  fascicolo  del  giudizio
principale, o, addirittura, a fatti ritenuti notori». 
    L'imputato nel giudizio principale deduce  poi,  quale  ulteriore
ragione di inammissibilita', il difetto della rilevanza  in  concreto
della questione sollevata dal giudice rimettente. Rileva al proposito
la parte privata, integrando la descrizione  asseritamente  imprecisa
contenuta nell'ordinanza di rimessione, che, nel caso  in  esame,  la
difesa dell'imputato, all'udienza del 24 giugno 2010, da un lato,  ha
prospettato un legittimo impedimento per il giorno stesso, costituito
dalla concomitante  riunione  del  Consiglio  dei  ministri  e  dalla
successiva partenza per  un  vertice  internazionale  in  Canada,  e,
dall'altro lato, ha prodotto  attestazione  del  Segretario  generale
della Presidenza del Consiglio dei ministri di legittimo  impedimento
continuativo fino al 27 luglio 2010. 
    Sulla base di tali circostanze, secondo l'imputato  nel  giudizio
principale, la rilevanza in concreto difetterebbe per due ragioni. 
    In  primo   luogo,   la   questione   sarebbe   stata   sollevata
«prematuramente  rispetto   alla   necessita'   di   dare   effettiva
applicazione» alla  disciplina  censurata,  in  considerazione  della
«sussistenza dell'impedimento puntuale,  valevole  hic  et  nunc  per
l'udienza del 24 giugno 2010, dato dal Consiglio dei ministri  e  dal
viaggio di Stato  in  Canada».  L'imputato  nel  giudizio  principale
chiarisce che l'attestazione della Presidenza del Consiglio e'  stata
prodotta al solo fine di indicare, per la prosecuzione del  giudizio,
i giorni del 21  e  del  28  luglio,  date  che  pero'  il  Tribunale
rimettente non avrebbe neppure preso  in  considerazione,  sollevando
invece direttamente - e  quindi  prematuramente  -  la  questione  di
legittimita' costituzionale della disciplina censurata. 
    In secondo luogo, l'imputato nel giudizio principale rileva  che,
ove pure «si ritenesse  che  la  produzione  dell'attestazione  [...]
equivalga a una  richiesta  di  applicazione  della  stessa,  pur  in
presenza di un legittimo impedimento valido ed operante per il giorno
dell'udienza in cui avviene detta produzione», tale  attestazione  si
e' limitata ad indicare un impedimento continuativo per un periodo di
tempo di poco piu' di  un  mese,  ben  inferiore  quindi  al  periodo
massimo di sei mesi previsto dalla disciplina censurata. Quest'ultima
avrebbe quindi avuto, nel giudizio a quo, una «applicazione parziale»
e la questione di legittimita' costituzionale avrebbe  dovuto  essere
formulata  in  relazione  alla  disciplina  che  ha  avuto   concreta
applicazione, cioe' ad una disciplina che produce una sospensione del
dibattimento per poco piu' di  un  mese,  mentre  il  giudice  a  quo
«discetta in modo astratto ed impreciso di "una sorta  di  temporanea
esenzione dalla giurisdizione penale destinata a perdurare per  tutto
il tempo in cui l'incarico governativo viene ad essere ricoperto"». 
    Nel merito,  la  parte  privata  sostiene  che  la  questione  di
legittimita' costituzionale sollevata dal  Tribunale  rimettente  sia
manifestamente infondata  per  le  ragioni  indicate,  con  argomenti
testualmente identici, nell'atto di costituzione relativo al giudizio
di cui al reg. ord. n. 173 del 2010. 
    3.3.2. - In  data  22  novembre  2010,  l'imputato  nel  giudizio
principale ha depositato memoria illustrativa, insistendo perche'  la
questione di legittimita' costituzionale sia dichiarata non  fondata.
La parte privata illustra le vicende del processo a quo, in relazione
alla  celebrazione  delle  udienze  e  alle  richieste   di   rinvio,
riproducendo le medesime argomentazioni svolte nelle memorie riferite
ai giudizi di cui al reg. ord. nn. 173 e 180 del 2010. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Il Tribunale di Milano, con  tre  distinte  ordinanze  della
sezione I penale (reg. ord. n. 173 del 2010), della sezione X  penale
(reg. ord. n. 180 del 2010) e del Giudice per le indagini preliminari
(reg. ord. n.  304  del  2010),  solleva  questione  di  legittimita'
costituzionale della legge 7 aprile  2010,  n.  51  (Disposizioni  in
materia di impedimento a comparire in udienza).  In  particolare,  la
sezione X ha censurato l'intero testo della legge  n.  51  del  2010,
mentre il Giudice per le indagini preliminari ha  censurato  il  solo
articolo 1 e la sezione I soltanto i commi 1, 3 e 4 di tale articolo. 
    Tutte  le  ordinanze  di  rimessione   sollevano   questione   di
legittimita' costituzionale della predetta disciplina in quanto  essa
introdurrebbe, con legge ordinaria, una  prerogativa  in  favore  dei
titolari di cariche governative, in contrasto  con  il  principio  di
eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione  e  con  l'art.  138
Cost. Tali disposizioni costituzionali sono  entrambe  esplicitamente
indicate quali parametri violati nell'ordinanza di  rimessione  della
sezione X e risultano implicitamente  evocati,  in  congiunzione  fra
loro,  anche  nelle  altre  due  ordinanze,  benche'  queste  ultime,
testualmente, richiamino soltanto l'art.  138  Cost.  La  sezione  X,
inoltre, censura la legge n. 51 del 2010 anche in relazione  all'art.
3  Cost.,  considerato  autonomamente  e  sotto  il   profilo   della
ragionevolezza. 
    1.1.  -  La  legge  n.  51  del  2010  disciplina  il   legittimo
impedimento a comparire in udienza, ai sensi  dell'art.  420-ter  del
codice di procedura penale, del Presidente del Consiglio dei ministri
(art. 1, comma 1) e dei ministri (art. 1, comma 2),  in  qualita'  di
imputati. In particolare, in base all'art. 1, comma 3, di tale legge,
il giudice, su richiesta  di  parte,  rinvia  il  processo  ad  altra
udienza quando  ricorrono  le  ipotesi  di  impedimento  a  comparire
individuate dal comma 1 (per il Presidente del Consiglio) e dal comma
2 (per i ministri) della medesima legge. In base a  tale  disciplina,
costituisce legittimo impedimento «il concomitante esercizio di una o
piu' delle attribuzioni previste dalle leggi o dai regolamenti  e  in
particolare dagli articoli 5, 6 e 12 della legge 23 agosto  1988,  n.
400, e successive modificazioni, dagli articoli 2, 3 e 4 del  decreto
legislativo 30 luglio 1999, n. 303, e successive modificazioni, e dal
regolamento interno del Consiglio dei ministri, di cui al decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri 10  novembre  1993,  pubblicato
nella Gazzetta Ufficiale n. 268 del 15 novembre  1993,  e  successive
modificazioni,    delle    relative    attivita'    preparatorie    e
consequenziali, nonche' di ogni attivita' comunque coessenziale  alle
funzioni di Governo». Inoltre, l'art.  1,  comma  4,  della  medesima
legge, dispone che «ove la  Presidenza  del  Consiglio  dei  Ministri
attesti  che  l'impedimento  e'   continuativo   e   correlato   allo
svolgimento delle funzioni di cui alla  presente  legge,  il  giudice
rinvia il processo a udienza successiva al periodo indicato, che  non
puo' essere superiore a sei mesi». L'art. 1, comma 5, della legge  n.
51 del 2010 chiarisce che «il corso della prescrizione rimane sospeso
per l'intera durata del rinvio». Tale disciplina si applica «anche ai
processi penali in corso, in ogni fase, stato o grado, alla  data  di
entrata in vigore della» medesima legge (art. 1,  comma  6)  e  «fino
alla data di entrata in vigore della legge costituzionale recante  la
disciplina organica delle prerogative del  Presidente  del  Consiglio
dei Ministri e dei Ministri, nonche' della disciplina attuativa delle
modalita' di  partecipazione  degli  stessi  ai  processi  penali  e,
comunque, non oltre diciotto mesi dalla data  di  entrata  in  vigore
della presente legge, salvi i casi previsti  dall'articolo  96  della
Costituzione, al fine di consentire al Presidente del  Consiglio  dei
Ministri e ai Ministri il  sereno  svolgimento  delle  funzioni  loro
attribuite dalla Costituzione e dalla legge» (art. 2). 
    1.2. - I giudici a  quibus  ritengono,  in  particolare,  che  la
disciplina censurata individui con formule generiche e  indeterminate
le attivita' costituenti legittimo impedimento del  titolare  di  una
carica governativa e sottragga al giudice il potere  di  valutare  in
concreto l'impossibilita' a comparire connessa allo specifico impegno
addotto, soprattutto nell'ipotesi di impedimento continuativo,  nella
quale l'imputato potrebbe ottenere il rinvio mediante un  «meccanismo
di autocertificazione» di legittimo impedimento. Cio'  costituirebbe,
ad avviso dei rimettenti, una «presunzione assoluta di  impedimento»,
collegata allo «status permanente» della titolarita' della carica,  o
comunque una prerogativa o immunita' del titolare, la quale, come  ha
stabilito la Corte costituzionale con la sentenza n.  262  del  2009,
non puo' essere introdotta con legge ordinaria. 
    L'Avvocatura generale dello Stato e la difesa  dell'imputato  nei
giudizi  principali  escludono  che  la  disciplina   censurata   sia
costituzionalmente illegittima, osservando, in particolare, come essa
sia  diretta  ad  «integrare»  la  disciplina   processuale   comune,
contenuta  nell'art.  420-ter   cod.   proc.   pen.,   mediante   una
«tipizzazione» delle attivita' di governo che costituiscono legittimo
impedimento a comparire in udienza. 
    2. - In ragione  della  loro  connessione  oggettiva,  i  giudizi
devono essere riuniti, per essere congiuntamente  trattati  e  decisi
con un'unica pronuncia. 
    3. -  Devono  essere  preliminarmente  esaminati  i  profili  che
attengono all'ammissibilita' delle questioni sollevate. 
    3.1. - Vanno  dichiarate  inammissibili  le  censure  prospettate
dalla sezione X (reg. ord. n. 180 del 2010)  e  dal  Giudice  per  le
indagini preliminari (reg. ord. n. 304 del  2010)  del  Tribunale  di
Milano, nella parte in cui si riferiscono all'art. 1, commi 2, 5 e 6,
nonche' all'art. 2 della legge  n.  51  del  2010.  Le  questioni  di
legittimita'  costituzionale  dell'art.  1,  comma  2,  della   legge
censurata non assumono rilevanza nei giudizi a quibus, nei quali tale
disposizione  non  puo'  trovare  applicazione,  in  quanto  riferita
esclusivamente ai ministri e non  al  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, cioe' alla carica di cui e' titolare l'imputato nei giudizi
principali. Le questioni di legittimita' costituzionale dell'art.  1,
commi 5 e  6,  e  dell'art.  2  della  legge  n.  51  del  2010  sono
inammissibili, atteso che tali norme  non  risultano  in  alcun  modo
investite dalle censure svolte nelle motivazioni delle  ordinanze  di
rimessione. 
    3.2. - Vanno  disattese  le  eccezioni  dell'Avvocatura  generale
dello Stato e della difesa della  parte  privata,  con  le  quali  si
deduce   l'inammissibilita'   delle   questioni    di    legittimita'
costituzionale riferite all'art. 1, commi 1, 3 e 4, della legge n. 51
del 2010. 
    3.2.1. - La difesa della parte privata  e  l'Avvocatura  generale
dello Stato eccepiscono, innanzitutto, relativamente a tutti e tre  i
giudizi,  la  insufficiente  e  lacunosa  descrizione,  compiuta  dai
giudici a quibus, delle fattispecie  sottoposte  al  loro  esame.  Le
denunciate  carenze  atterrebbero,  in  particolare,   alla   mancata
indicazione del tipo di reati cui  si  riferisce  l'imputazione,  del
luogo e data di commissione degli stessi, delle eventuali ipotesi  di
concorso con altre persone, della condizione soggettiva che legittima
l'applicazione della norma censurata e dello stato in cui si trova il
processo che si sta celebrando dinanzi ai giudici a quibus. 
    L'eccezione non e' fondata. 
    In primo luogo, va rilevato che l'ordinanza di  rimessione  della
sezione X del Tribunale  di  Milano  (reg.  ord.  n.  180  del  2010)
contiene tutte le informazioni di cui  si  lamenta  la  mancanza.  In
secondo luogo, le altre due ordinanze di rimessione (reg. ord. n. 173
e n. 304 del 2010) indicano quale sia la  condizione  soggettiva  che
legittima l'applicazione della disciplina censurata (cioe' la  carica
di Presidente del Consiglio dei ministri rivestita  dall'imputato)  e
chiariscono che la richiesta di rinvio si riferisce ad una  «udienza»
disposta nel corso di un processo penale. Infine,  l'indicazione  del
tipo,  luogo  e  data  di  commissione  dei  reati   contestati   non
costituisce un elemento necessario per la valutazione della rilevanza
della questione sollevata, atteso che la disciplina censurata dispone
la propria applicabilita' a tutti i processi penali, anche in  corso,
senza distinguere in base alle caratteristiche  del  reato  commesso,
salvo il caso, pacificamente escluso dai rimettenti  e  dalla  stessa
parte privata, di applicazione dell'art. 96 Cost. 
    3.2.2. - L'Avvocatura generale dello  Stato  eccepisce,  inoltre,
che i giudici rimettenti avrebbero dovuto preliminarmente valutare la
richiesta di rinvio dell'udienza ai sensi della norma generale di cui
all'art. 420-ter  cod.  proc.  pen.  e,  solo  in  caso  di  ritenuta
inapplicabilita'  di  tale  disposizione,   essi   avrebbero   dovuto
verificare l'applicabilita' della norma speciale censurata. Ad avviso
della  difesa  dello   Stato,   la   questione   sarebbe,   pertanto,
irrilevante,  perche'  il  giudice  avrebbe   potuto   risolverla   a
prescindere dalla norma censurata. 
    L'eccezione non e' fondata. 
    Il giudice non avrebbe potuto, applicando soltanto l'art. 420-ter
cod. proc. pen., ignorare la  disciplina  censurata,  che  regola  la
fattispecie sottoposta al suo esame.  Alla  luce  del  comune  regime
processuale,  il   giudice   avrebbe   potuto   rinviare   l'udienza,
riconoscendo  l'assoluta  impossibilita'  a  comparire  dovuta   allo
specifico impegno istituzionale addotto, ma in  tal  caso  il  rinvio
sarebbe stato  comunque  subordinato  all'esito  di  un  accertamento
giudiziale, che i rimettenti ritengono di non poter compiere a  causa
della intervenuta disciplina speciale, che proprio per  tale  ragione
essi hanno censurato. 
    3.2.3.  -  La  difesa  della  parte   privata   eccepisce,   poi,
l'inammissibilita'  per  difetto  di  rilevanza  in  concreto   della
questione sollevata. Viene osservato, al riguardo, che nei giudizi  a
quibus il Presidente del Consiglio dei ministri  ha  addotto  sia  un
impedimento puntuale per il giorno dell'udienza, sia  un  impedimento
continuativo, attestato dalla Presidenza  del  Consiglio.  Ad  avviso
della difesa  dell'imputato  nei  giudizi  principali,  l'impedimento
puntuale  sarebbe  stato   prospettato   per   ottenere   il   rinvio
dell'udienza specifica in relazione alla quale e'  stato  presentato,
mentre l'attestato di impedimento continuativo sarebbe stato prodotto
solo  ai  fini  della  individuazione  delle  date   utili   per   la
prosecuzione del giudizio. Di  conseguenza,  ad  avviso  della  parte
privata, i  giudici  rimettenti  avrebbero  dovuto,  prima,  valutare
l'impedimento puntuale  ai  fini  del  rinvio  dell'udienza  e,  solo
successivamente, «sindacare la fondatezza o meno della  richiesta  di
rinvio per l'ulteriore periodo indicato  con  le  modalita'  previste
dalla  legge  in  discussione».  Al  contrario,  secondo  la   difesa
dell'imputato, i giudici a quibus avrebbero sollevato la questione di
legittimita' costituzionale della disciplina censurata immediatamente
e,  pertanto,  «prematuramente  rispetto  alla  necessita'  di   dare
effettiva applicazione» alla medesima. 
    L'eccezione non e' fondata. 
    In primo luogo, va osservato che il giudice non  e'  chiamato  ad
applicare la disciplina censurata solo nel caso in cui venga  addotto
dall'imputato un impedimento continuativo, mediante l'attestato della
Presidenza del Consiglio dei ministri, previsto dall'art. 1, comma 4,
della legge n. 51 del 2010, ma anche quando sia  dedotto  un  impegno
specifico e  puntuale,  che  il  giudice  deve  valutare  sulla  base
dell'art. 1, commi 1  e  3,  della  medesima  legge.  Queste  ultime,
quindi, sono disposizioni in relazione alle  quali  la  questione  di
legittimita'  costituzionale  sollevata   deve   ritenersi   comunque
rilevante. Inoltre, l'attestato della Presidenza  del  Consiglio  dei
ministri, presentato nei giudizi a quibus, comprende in realta' anche
il giorno dell'udienza cui si riferisce la richiesta di rinvio. Esso,
pertanto, non rileva  nei  giudizi  principali  solo  ai  fini  della
programmazione delle udienze future, ma  anche  ai  fini  del  rinvio
della specifica udienza nel corso della quale e' stato presentato. Ne
deriva che, sotto il profilo considerato, e' rilevante  la  questione
di legittimita' costituzionale sia dei commi 1 e 3 dell'art. 1  della
legge n. 51 del 2010, sia del comma 4 del medesimo articolo. 
    3.2.4.  -  La  difesa  della  parte  privata  eccepisce,  ancora,
l'inammissibilita'  delle  questioni   sollevate   per   difetto   di
rilevanza, asserendo che, nei giudizi a quibus, l'attestazione  della
Presidenza del Consiglio si e' limitata ad  indicare  un  impedimento
continuativo per un periodo di tempo inferiore al periodo massimo  di
sei mesi previsto dalla disciplina  censurata.  Alla  luce  di  cio',
secondo la difesa  dell'imputato,  la  disciplina  censurata  avrebbe
ricevuto una «applicazione parziale» e la questione  di  legittimita'
costituzionale avrebbe dovuto essere  conseguentemente  formulata  in
relazione  alla  disciplina  che  ha  avuto  concreta   applicazione,
determinando la sospensione del dibattimento per il tempo indicato in
concreto nell'attestazione, e non per il tempo indicato  in  astratto
dalla norma. Al contrario, la  difesa  dell'imputato  lamenta  che  i
giudici a quibus avrebbero «discett[ato] in  astratto  di  "rilevanti
periodi di tempo" in cui potrebbe essere fatto  valere  il  legittimo
impedimento». 
    L'eccezione non e' fondata. 
    I giudici rimettenti dubitano della  legittimita'  costituzionale
della disciplina censurata in quanto consente all'imputato di dedurre
un impedimento continuativo per un «rilevante periodo di tempo». Tale
formula si adatta sia al tempo massimo di  sei  mesi  previsto  dalla
norma in astratto, sia al tempo inferiore, ma comunque significativo,
previsto dall'attestato che in concreto e' stato prodotto nei giudizi
principali, in evidente applicazione, nel caso di specie, della norma
censurata. 
    3.2.5. - Sia l'Avvocatura generale dello  Stato,  sia  la  difesa
della parte privata,  infine,  eccepiscono  l'inammissibilita'  della
questione di legittimita' costituzionale della disciplina  censurata,
sollevata dalla sezione X del Tribunale di Milano (reg. ord.  n.  180
del 2010), in relazione all'art. 3  Cost.,  sotto  il  profilo  della
ragionevolezza. Viene lamentato, in particolare, che il giudice a quo
non avrebbe  «esplicitato  i  motivi  che  fonderebbero  la  predetta
violazione» e che mancherebbe «nell'ordinanza di rimessione qualunque
valutazione relativa al  tertium  comparationis  [...]  nonche'  alla
ragionevolezza  del  bilanciamento  di   interessi   operato»   dalla
disciplina censurata. 
    L'eccezione non e' fondata. 
    In primo luogo,  il  giudice  rimettente  motiva  la  censura  di
irragionevolezza, osservando che «il rinvio [dell'udienza] e' imposto
da ragioni genericamente indicate  e  insindacabili  dalla  autorita'
giudiziaria e si traduce  in  una  causa  automatica  di  rinvio  del
dibattimento sproporzionata  rispetto  alla  tutela  del  diritto  di
difesa, per il quale l'istituto del legittimo impedimento a comparire
e' previsto». In secondo luogo, gli argomenti in  base  ai  quali  il
rimettente afferma esservi lesione degli artt. 3 e 138 Cost., tra cui
in particolare il carattere generale e automatico  delle  presunzioni
di  legittimo  impedimento  introdotte  dalla  disciplina  censurata,
sorreggono anche la  prospettata  irragionevolezza  di  quest'ultima.
Ne', in tale ultimo caso, si pone  un  problema  di  indicazione  del
tertium comparationis. 
    4. - Al fine di decidere nel merito le  questioni  sollevate  dai
giudici a  quibus,  e'  necessario,  preliminarmente,  inquadrare  il
problema generale del legittimo impedimento del titolare di un organo
costituzionale, alla luce  dei  principi  al  riguardo  affermati  da
questa Corte. 
    4.1. - Sotto tale  profilo  assumono  rilievo,  innanzitutto,  le
pronunce  con  le   quali   e'   stata   valutata   la   legittimita'
costituzionale di norme sulla sospensione dei processi  per  le  alte
cariche dello Stato (sentenze n. 262 del 2009  e  n.  24  del  2004).
Questa Corte ha stabilito che una presunzione assoluta  di  legittimo
impedimento del titolare di una carica governativa, quale  meccanismo
generale  e   automatico   introdotto   con   legge   ordinaria,   e'
costituzionalmente illegittima,  in  quanto  rivolta  a  tutelare  lo
stesso mediante una deroga al regime processuale comune e, quindi,  a
creare una prerogativa, in violazione degli artt. 3 e 138  Cost.  Una
simile presunzione, secondo il ragionamento sviluppato nella sentenza
n. 262 del 2009, costituisce deroga e non applicazione  delle  regole
generali sul  processo,  le  quali,  in  particolare,  consentono  di
differenziare «la posizione processuale del componente di  un  organo
costituzionale solo per lo stretto necessario, senza alcun meccanismo
automatico e generale». 
    Devono poi  essere  considerate  le  pronunce  sui  conflitti  di
attribuzione  proposti  dalla  Camera  dei  deputati  nei   confronti
dell'autorita' giudiziaria e riguardanti il  mancato  riconoscimento,
da parte di  quest'ultima,  di  legittimi  impedimenti  dell'imputato
consistenti nella partecipazione ai lavori parlamentari (sentenze  n.
451 del 2005, n. 284 del 2004, n. 263 del 2003,  n.  225  del  2001).
Questa Corte ha chiarito che la posizione dell'imputato  parlamentare
«non e' assistita da speciali garanzie  costituzionali»  e  nei  suoi
confronti  trovano  piena  applicazione  «le  generali   regole   del
processo»  (sentenza  n.  225  del  2001).  Essa  ha  tuttavia  anche
affermato che, nell'applicazione di tali comuni  regole  processuali,
il giudice deve esercitare il  suo  potere  di  «apprezzamento  degli
impedimenti invocati» dall'imputato  parlamentare,  «tene[ndo]  conto
non solo delle esigenze delle attivita'  di  propria  pertinenza,  ma
anche degli interessi, costituzionalmente tutelati, di altri  poteri»
(sentenza  n.  225  del  2001),  operando  quindi   un   «ragionevole
bilanciamento fra le due esigenze [...] della speditezza del processo
e della integrita' funzionale del Parlamento» (sentenza  n.  263  del
2003), in particolare programmando «il calendario  delle  udienze  in
modo da evitare coincidenze con i giorni  di  riunione  degli  organi
parlamentari» (sentenza n. 451 del 2005). Non vi puo' essere, dunque,
applicazione  di  regole  derogatorie,  ma  il  diritto  comune  deve
applicarsi secondo il principio di leale collaborazione fra i  poteri
dello Stato. 
    4.2. - Alla luce di tali principi, e' rilevante,  ai  fini  della
verifica   della   legittimita'   costituzionale   della   disciplina
censurata, stabilire se quest'ultima, a prescindere dal suo carattere
temporaneo, rappresenti una deroga al regime processuale comune,  che
e' in particolare quello previsto dall'art. 420-ter cod.  proc.  pen.
Esso rappresenta  il  termine  di  riferimento  per  valutare  se  la
normativa censurata,  derogando  alle  ordinarie  norme  processuali,
introduca, con legge ordinaria, una prerogativa la cui disciplina  e'
riservata alla  Costituzione,  violando  il  principio  della  eguale
sottoposizione dei cittadini alla giurisdizione e ponendosi,  quindi,
in contrasto con gli artt. 3 e 138 Cost.  La  disciplina  oggetto  di
censura sara' dunque da ritenersi illegittima se, e nella  misura  in
cui, alteri i tratti essenziali del  regime  processuale  comune.  In
base ad esso, l'impedimento dedotto  dall'imputato  non  puo'  essere
generico e il rinvio dell'udienza  da  parte  del  giudice  non  puo'
essere automatico. Sotto il primo profilo, l'imputato ha  l'onere  di
specificare l'impedimento, potendo egli addurre come tale un  preciso
e puntuale impegno e non  gia'  una  parte  della  propria  attivita'
genericamente individuata o complessivamente  considerata.  Sotto  il
secondo profilo, il giudice deve valutare in concreto,  ai  fini  del
rinvio dell'udienza, lo specifico impedimento addotto. 
    5. - Per quanto le censure dei giudici a  quibus  si  riferiscano
alle disposizioni della legge n. 51 del  2010  considerate  nel  loro
insieme, e sebbene tali disposizioni rispondano ad un  comune  motivo
ispiratore, tuttavia la disciplina censurata  non  si  presenta  come
unitaria sotto il profilo strutturale. 
    Essa, infatti, si articola in  piu'  componenti,  ciascuna  delle
quali e' suscettibile di ricevere  una  autonoma  qualificazione  dal
punto di vista della coerenza con la disciplina processuale comune e,
quindi, anche una  diversa  valutazione  dal  punto  di  vista  della
verifica di legittimita' costituzionale. Questa deve essere  condotta
separatamente, in  relazione  alle  disposizioni  contenute  nei  tre
distinti commi dell'art. 1  della  legge  n.  51  del  2010,  cui  si
riferiscono le censure dei giudici rimettenti: il comma 1, che indica
le attribuzioni del Presidente del Consiglio dei ministri costituenti
legittimo  impedimento;  il  comma  3,  che  disciplina   il   rinvio
dell'udienza, da parte  del  giudice,  quando  ricorrono  le  ipotesi
previste dai precedenti commi; il comma 4, che  regola  l'ipotesi  di
impedimento continuativo e attestato dalla Presidenza  del  Consiglio
dei ministri. 
    5.1. - L'art. 1, comma 1, della legge  n.  51  del  2010  prevede
quanto  segue:  «Per  il  Presidente  del  Consiglio   dei   Ministri
costituisce legittimo impedimento, ai sensi dell'articolo 420-ter del
codice  di  procedura  penale,  a   comparire   nelle   udienze   dei
procedimenti penali, quale imputato, il concomitante esercizio di una
o piu' delle attribuzioni previste dalle leggi o dai regolamenti e in
particolare dagli articoli 5, 6 e 12 della legge 23 agosto  1988,  n.
400, e successive modificazioni, dagli articoli 2, 3 e 4 del  decreto
legislativo 30 luglio 1999, n. 303, e successive modificazioni, e dal
regolamento interno del Consiglio dei Ministri, di cui al decreto del
Presidente del Consiglio dei Ministri 10  novembre  1993,  pubblicato
nella Gazzetta Ufficiale n. 268 del 15 novembre  1993,  e  successive
modificazioni,    delle    relative    attivita'    preparatorie    e
consequenziali, nonche' di ogni attivita' comunque coessenziale  alle
funzioni di Governo». 
    Per la parte in  cui  si  riferiscono  a  tale  disposizione,  le
questioni sollevate dai  giudici  a  quibus  non  sono  fondate,  nei
termini di seguito precisati. 
    Ad avviso  dei  rimettenti,  la  disciplina  censurata,  anziche'
identificare   alcune   ipotesi   rigorosamente   e    tassativamente
circoscritte  di  impedimento  del  Presidente  del   Consiglio   dei
ministri,  contemplerebbe  una  presunzione  assoluta  di   legittimo
impedimento riferita ad una serie ampia e indeterminata di  funzioni,
in definitiva coincidenti con l'intera attivita' del  titolare  della
carica governativa. 
    Non  vi  e'  dubbio  che,  ove  fosse  in  tal  modo  intesa,  la
disposizione in esame  sarebbe  illegittima,  in  quanto  derogatoria
rispetto al regime processuale comune e, quindi, in contrasto con gli
artt. 3 e 138 Cost., per le ragioni indicate da  questa  Corte  nella
sentenza n. 262 del 2009. Tuttavia, una disposizione legislativa puo'
essere  dichiarata  illegittima  solo  quando   non   sia   possibile
attribuire ad essa un significato compatibile  con  la  Costituzione,
cioe', nella fattispecie in esame, ove non sia  possibile  ricondurla
nel solco della disciplina comune, interpretandola in conformita' con
l'istituto processuale generale di cui e' espressione l'art.  420-ter
cod. proc. pen. 
    Cio' e' possibile in considerazione del fatto che l'art. 1, comma
1, della legge n. 51 del 2010 richiama espressamente  l'art.  420-ter
cod.  proc.  pen.,  nonche'  del  fatto  che,  con  la   disposizione
censurata, il  legislatore  sembra  aver  voluto  introdurre  -  come
risulta dai lavori  preparatori  -  una  «mera  norma  interpretativa
dell'ambito di applicazione di un istituto processuale» (relazione in
aula, Camera dei deputati, Assemblea, seduta del 25 gennaio  2010,  e
Senato   della   Repubblica,   Assemblea,   347ª   seduta    pubblica
antimeridiana, martedi' 9 marzo 2010). 
    Come  ha  sostenuto  la  difesa  dell'imputato,  sia  negli  atti
scritti,  sia  nel  corso  dell'udienza  pubblica,  la   disposizione
censurata  «non  comporta  una  presunzione  assoluta  di   legittimo
impedimento» e «non impone  alcun  automatismo».  Essa  introduce  un
criterio volto ad orientare il  giudice  nell'applicazione  dell'art.
420-ter  cod.  proc.  pen.,  e  segnatamente  del  comma  1  di  tale
disposizione, mediante l'individuazione, in astratto, delle categorie
di attribuzioni governative a tal  fine  rilevanti.  Il  legislatore,
peraltro,  sembra  aver  recepito  al  riguardo,  sviluppandolo,   un
orientamento della Corte di  cassazione,  secondo  cui  costituiscono
legittimo impedimento, in base all'art. 420-ter cod. proc.  pen.,  le
attivita'  del  titolare  di  una  carica   governativa   che   siano
«coessenziali alla funzione tipica del Governo» (sentenza della Corte
di cassazione, sez. sesta penale, 9 febbraio 2004 - 9 marzo 2004,  n.
10773). Questa espressione e' ripresa dall'art.  1,  comma  1,  della
legge n. 51 del 2010 e assurge ad elemento qualificativo di tutte  le
ipotesi di legittimo impedimento da tale disposizione previste,  come
e' dimostrato dalla circostanza che le  attivita'  coessenziali  alla
funzione  di  governo  sono  poste  a  chiusura  della   formulazione
normativa e che l'avverbio «comunque» introduce un  collegamento  fra
il requisito della  coessenzialita'  e  le  attribuzioni  governative
previste da  leggi  e  regolamenti  (genericamente  e  specificamente
indicate). Deve pertanto ritenersi che, in  base  a  questo  criterio
posto dal legislatore, le  categorie  di  attivita'  qualificate,  in
astratto, come legittimo impedimento del Presidente del Consiglio dei
ministri sono solo quelle coessenziali alle funzioni di Governo,  che
siano previste da leggi o regolamenti (e in particolare  dalle  fonti
normative espressamente citate nella disposizione censurata), nonche'
quelle  rispetto   ad   esse   preparatorie   (cioe'   specificamente
preordinate) e  consequenziali  (cioe'  immediatamente  successive  e
strettamente conseguenti). 
    Simile  criterio  legislativo  e'  compatibile   con   i   tratti
essenziali del regime processuale comune. La  disposizione  censurata
non consente al Presidente del Consiglio dei ministri di addurre come
impedimento il generico dovere di esercitare le attribuzioni da  essa
previste, occorrendo sempre, secondo la logica dell'art. 420-ter cod.
proc. pen., che l'imputato  specifichi  la  natura  dell'impedimento,
adducendo un preciso e puntuale impegno  riconducibile  alle  ipotesi
indicate. Cio' naturalmente vale anche per le attivita' «preparatorie
e consequenziali», a proposito delle quali deve ritenersi che l'onere
di specificazione, sempre gravante sull'imputato,  si  riferisca  sia
all'impedimento    principale    (l'esercizio     di     attribuzione
coessenziale), sia a quello accessorio  (l'attivita'  preparatoria  o
consequenziale). In altri termini, il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri dovra' indicare un preciso e  puntuale  impegno,  che  abbia
carattere preparatorio o consequenziale rispetto ad altro  preciso  e
puntuale impegno,  quest'ultimo  riconducibile  ad  una  attribuzione
coessenziale alla funzione di governo prevista dall'ordinamento. 
    Ne' puo' ritenersi che il  criterio  posto  dal  legislatore  sia
irragionevole o sproporzionato, dal momento che esso e' ancorato alla
elaborazione giurisprudenziale e non  copre  l'intera  attivita'  del
titolare della carica, ma solo le  attribuzioni  che  possano  essere
qualificate in termini di coessenzialita' rispetto alle  funzioni  di
governo. 
    Tale criterio legislativo, infine, rispetto alla disciplina  gia'
ricavabile dall'art. 420-ter  cod.  proc.  pen.,  ha  un  effetto  di
chiarificazione della portata dell'istituto processuale comune, nelle
ipotesi in cui esso debba  trovare  applicazione  in  riferimento  ad
impedimenti consistenti nell'esercizio di  funzioni  di  governo.  In
termini  negativi,  il  giudice  non  riconoscera'  come  impedimenti
legittimi, in applicazione del criterio legislativo, impegni politici
non qualificati, cioe' non riconducibili ad attribuzioni coessenziali
alla funzione di governo, pur previste da  leggi  o  regolamenti.  In
termini positivi, ove venga addotto un  impedimento  riconducibile  a
tale tipologia di attribuzioni, il giudice non  potra'  disconoscerne
il  rilievo  in  astratto,  fermo  restando  il   suo   potere,   non
sottrattogli dalla disposizione in esame, di valutare in concreto  lo
specifico impedimento addotto. 
    Deve dunque concludersi che non  sono  fondate  le  questioni  di
legittimita'  costituzionale  sollevate,  per  la  parte  in  cui  si
riferiscono all'art. 1, comma 1, della  legge  n.  51  del  2010,  in
quanto tale disposizione venga interpretata in conformita' con l'art.
420-ter, comma 1, cod. proc. pen. 
    5.2. - L'art. 1, comma 3, della legge n. 51 del 2010 dispone: «Il
giudice, su richiesta di parte, quando ricorrono le ipotesi di cui ai
commi precedenti rinvia il processo ad altra udienza». 
    Per la parte in  cui  si  riferiscono  a  tale  disposizione,  le
questioni sollevate dai giudici a quibus sono fondate, nei termini di
seguito precisati. 
    L'art. 1, comma 3, della legge  censurata  regola  i  poteri  del
giudice in ordine all'accertamento del legittimo impedimento, ai fini
del conseguente rinvio dell'udienza, in  relazione  alla  quale  tale
impedimento e' dedotto. Occorre stabilire se la disciplina dettata da
tale disposizione sia conforme alla  corrispondente  regolamentazione
contenuta nell'art. 420-ter, comma 1, cod.  proc.  pen.,  secondo  la
quale il giudice rinvia l'udienza quando «risulta  che  l'assenza  e'
dovuta ad assoluta impossibilita' di  comparire  per  caso  fortuito,
forza maggiore o altro legittimo  impedimento».  La  norma  censurata
deve considerarsi legittima, in altri termini, a condizione che  essa
non sottragga al giudice, in relazione  alle  specifiche  ipotesi  di
impedimento  del  titolare  di  funzioni  di  governo,  i  poteri  di
valutazione dell'impedimento addotto,  che  al  giudice  stesso  sono
riconosciuti in base al comune regime processuale. 
    L'Avvocatura generale  dello  Stato  e  la  parte  privata  hanno
sostenuto che la disciplina censurata non abbia  privato  il  giudice
del  potere  di  valutazione  dell'impedimento,  previsto   dall'art.
420-ter, comma 1, cod. proc. pen. Il  giudice  conserverebbe  sia  il
potere  di   valutare   la   prova   della   sussistenza   in   fatto
dell'impedimento,  sia  quello  di  accertare  che  tale  impedimento
«rientri fra le ipotesi previste» dalle disposizioni di cui ai  commi
1  e  2  della  legge  censurata.  Ulteriori  poteri   di   controllo
risulterebbero, invece, preclusi al giudice, indipendentemente  dalla
legge n. 51 del 2010. Sarebbe infatti il principio della  separazione
dei poteri ad impedire che il  giudice  possa  «sindacare  il  merito
dell'attivita' di governo», valutando «le ragioni  politiche  sottese
all'esercizio» delle  attivita'  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, carica cui sarebbe oltretutto  da  riconoscere  una  «nuova
fisionomia» in quanto ricoperta da «persona che ha avuto direttamente
la  fiducia  e   l'investitura   dal   popolo».   Tali   affermazioni
ricostruiscono correttamente gli effetti della  disposizione  di  cui
all'art. 1, comma 3, della legge n. 51 del 2010, ma  non  altrettanto
correttamente colgono il significato e la portata dell'art.  420-ter,
comma  1,  cod.  proc.  pen.,  della  posizione  costituzionale   del
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  e  del   principio   della
separazione dei poteri. 
    Va osservato che l'art. 1, comma 3, della legge n. 51  del  2010,
subordina   il   rinvio   dell'udienza,   da   parte   del   giudice,
esclusivamente  ad  un  duplice   riscontro.   Nel   verificare   che
«ricorr[a]no le ipotesi di  cui  ai  precedenti  commi»,  il  giudice
dovrebbe infatti limitarsi ad accertare, da un  lato,  che  l'impegno
dedotto dall'imputato come impedimento sussista realmente in punto di
fatto, e, dall'altro lato, che esso sia riconducibile ad attribuzioni
coessenziali alle funzioni di governo previste da leggi o regolamenti
(o abbia carattere preparatorio o consequenziale rispetto  ad  esse).
Ma tali  accertamenti  non  esauriscono  lo  spettro  dei  poteri  di
valutazione dell'impedimento, che sono esercitati dal giudice in base
alla disciplina generale di cui all'art. 420-ter, comma 1, cod. proc.
pen. Secondo tale disciplina, infatti, spetta al giudice, ai fini del
rinvio dell'udienza, valutare in concreto non solo la sussistenza  in
fatto dell'impedimento, ma anche  il  carattere  assoluto  e  attuale
dello stesso. Cio'  implica  in  particolare,  con  riferimento  alle
ipotesi in esame, il potere del giudice di valutare, caso  per  caso,
se lo specifico impegno addotto  dal  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri,  pur  quando  riconducibile  in  astratto  ad  attribuzioni
coessenziali alle funzioni di governo ai sensi della legge censurata,
dia in concreto luogo ad impossibilita' assoluta (anche alla luce del
necessario bilanciamento con l'interesse costituzionalmente rilevante
a  celebrare  il  processo)  di  comparire  in  giudizio,  in  quanto
oggettivamente  indifferibile  e  necessariamente  concomitante   con
l'udienza di cui e' chiesto il rinvio. Tale potere  di  apprezzamento
in  concreto  dell'impedimento,  che  e'  elemento  essenziale  della
disciplina comune del legittimo impedimento, non  e'  pero'  previsto
dalla  disposizione  censurata,  ne'  esso  e'  ricavabile   in   via
interpretativa,  atteso  che  la  norma  in  questione  non  richiama
espressamente l'art. 420-ter cod. proc. pen. e detta  una  disciplina
che, sul punto, sostituisce e  non  integra  quella  contenuta  nella
predetta norma del codice di rito.  La  mancanza  di  tale  elemento,
pertanto, attribuisce all'art. 1, comma 3, della legge n. 51 del 2010
un carattere derogatorio rispetto al diritto  comune.  Per  i  motivi
gia' chiariti, cio' si traduce in un vizio  di  costituzionalita'  di
tale disposizione, che deve essere  pertanto  dichiarata  illegittima
nella parte in cui non prevede  siffatto  potere  di  valutazione  in
concreto dell'impedimento. 
    Ne' puo' ritenersi che l'esercizio di  un  simile  potere,  nelle
ipotesi in cui l'impedimento consista nello svolgimento  di  funzioni
di governo, sia di per se' lesivo delle  prerogative  del  Presidente
del Consiglio dei ministri, o si ponga in contrasto con il  principio
della  separazione  dei  poteri.  Va  detto,  innanzitutto,  che   la
disciplina elettorale, in base alla quale  i  cittadini  indicano  il
«capo della  forza  politica»  o  il  «capo  della  coalizione»,  non
modifica l'attribuzione al Presidente della Repubblica del potere  di
nomina del Presidente del Consiglio dei ministri,  operata  dall'art.
92,  secondo  comma,  Cost.,  ne'  la  posizione  costituzionale   di
quest'ultimo. A prescindere da cio',  quando  il  giudice  valuta  in
concreto, in base alle ordinarie regole del  processo,  l'impedimento
consistente nell'esercizio di funzioni governative, si mantiene entro
i confini della funzione giurisdizionale e non esercita un  sindacato
di merito sull'attivita' del potere esecutivo, ne', piu' in generale,
invade la sfera di competenza di altro potere dello Stato. 
    E' vero,  peraltro,  che  in  simili  ipotesi  l'esercizio  della
funzione giurisdizionale ha una  incidenza  indiretta  sull'attivita'
del titolare della carica governativa, incidenza che e'  obbligo  del
giudice  ridurre  al  minimo  possibile,  tenendo  conto  del  dovere
dell'imputato di assolvere le  funzioni  pubbliche  assegnategli.  Il
principio della separazione dei poteri non e', dunque, violato  dalla
previsione  del  potere  del  giudice   di   valutare   in   concreto
l'impedimento, ma, eventualmente, soltanto dal suo cattivo esercizio,
che  deve  rispondere   al   canone   della   leale   collaborazione.
Quest'ultimo principio ha carattere bidirezionale, nel senso che esso
riguarda  anche  il  Presidente  del  Consiglio  dei   ministri,   la
programmazione dei cui  impegni,  in  quanto  essi  si  traducano  in
altrettante cause di legittimo impedimento,  e'  suscettibile  a  sua
volta di incidere sullo svolgimento della  funzione  giurisdizionale.
Trova pertanto applicazione, anche nel caso del titolare di  funzione
governativa, quanto questa Corte  ha  affermato  con  riferimento  al
legittimo impedimento di membri del Parlamento,  tanto  piu'  che,  a
differenza di questi ultimi, il Presidente del Consiglio dei ministri
ha il potere di programmare una quota significativa degli impegni che
possono costituire legittimo impedimento (sentenze n. 451  del  2005,
n. 284 del 2004, n.  263  del  2003,  n.  225  del  2001).  La  leale
collaborazione deve  esplicarsi  mediante  soluzioni  procedimentali,
ispirate al coordinamento dei rispettivi calendari. Per un verso,  il
giudice deve definire il calendario delle udienze tenendo conto degli
impegni del Presidente del Consiglio dei  ministri  riconducibili  ad
attribuzioni coessenziali alla funzione  di  governo  e  in  concreto
assolutamente indifferibili.  Per  altro  verso,  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri deve programmare  i  propri  impegni,  tenendo
conto, nel rispetto della  funzione  giurisdizionale,  dell'interesse
alla speditezza del processo che lo  riguarda  e  riservando  a  tale
scopo spazio adeguato nella propria agenda. 
    Deve,  dunque,  concludersi  che  le  questioni  di  legittimita'
costituzionale  sollevate  dai  giudici  rimettenti,  in  quanto   si
riferiscono all'art. 1, comma 3, della legge n.  51  del  2010,  sono
fondate, nella parte in cui tale disposizione non prevede  il  potere
del giudice di valutare in concreto, a norma dell'art. 420-ter, comma
1, cod. proc. pen., l'impedimento addotto. 
    5.3. - L'art. 1, comma 4, della legge n.  51  del  2010  dispone:
«Ove  la  Presidenza  del  Consiglio   dei   Ministri   attesti   che
l'impedimento e' continuativo  e  correlato  allo  svolgimento  delle
funzioni di cui alla presente legge, il giudice rinvia il processo  a
udienza successiva al periodo indicato, che non puo' essere superiore
a sei mesi». 
    Per la parte in  cui  si  riferiscono  a  tale  disposizione,  le
questioni sollevate dai giudici a quibus sono fondate. 
    La norma in esame, a differenza di quelle di cui ai commi 1  e  2
del medesimo art. 1, non opera un  diretto  rinvio  all'art.  420-ter
cod. proc. pen. e introduce nell'ordinamento una peculiare figura  di
legittimo  impedimento  consistente  nell'esercizio  di  funzioni  di
governo, connotata dalla continuativita'  dell'impedimento  stesso  e
dalla attestazione di esso da parte della  Presidenza  del  Consiglio
dei ministri. Tali elementi rappresentano tuttavia una alterazione, e
non  gia'  una  integrazione   o   applicazione,   della   disciplina
dell'istituto generale di cui all'art. 420-ter  cod.  proc.  pen.  Si
tratta,  pertanto,  di  una  disposizione  derogatoria   del   regime
processuale comune, che  introduce  una  prerogativa  in  favore  del
titolare della carica, in contrasto con gli artt. 3 e 138 Cost. 
    In primo luogo, l'art. 1, comma 4, della legge n.  51  del  2010,
diversamente da quanto disposto  dall'art.  420-ter,  comma  1,  cod.
proc.  pen.,  prevede  che  l'imputato  possa  dedurre,  anziche'  un
impedimento  puntuale  e  riferito  ad  una  specifica  udienza,   un
impedimento continuativo riferito a tutte  le  udienze  eventualmente
programmate o programmabili entro un determinato intervallo di tempo,
che non puo' essere superiore a sei mesi (ma la norma non  vieta  che
alla scadenza  possa  essere  rinnovato  l'attestato  di  impedimento
continuativo). In tal modo, la disposizione in esame esclude,  almeno
parzialmente, l'onere  di  specificazione  dell'impedimento  che,  ai
sensi  dell'art.  420-ter,  comma   1,   cod.   proc.   pen.,   grava
sull'imputato. Essa consente infatti a quest'ultimo di  dedurre  come
impedimento il generico dovere di svolgere funzioni di governo in  un
determinato periodo di tempo. Cio' rende impossibile la verifica  del
giudice circa la sussistenza e consistenza di uno specifico e preciso
impedimento. Ne' puo' ritenersi che l'attestazione  della  Presidenza
del Consiglio dei ministri  debba  specificare,  giorno  per  giorno,
tutti gli impegni che rendono assolutamente impossibile  la  presenza
in udienza dell'imputato nel corso del periodo di tempo  considerato.
Una simile interpretazione della disposizione renderebbe  inutile  la
previsione di una apposita figura di impedimento continuativo e,  del
resto, non e' stata seguita, in sede  applicativa,  dalla  Presidenza
del Consiglio, le cui attestazioni,  nelle  fattispecie  oggetto  dei
giudizi principali,  hanno  indicato  succintamente  e  solo  in  via
esemplificativa alcuni degli impegni del Presidente del Consiglio dei
ministri compresi in un periodo di tempo considerato. 
    In secondo luogo, va  osservato  che  il  tenore  testuale  della
disposizione in esame ricollega l'effetto del  rinvio  del  processo,
per la durata dell'impedimento continuativo, alla attestazione  della
Presidenza del Consiglio. E' previsto, infatti, che il giudice rinvia
il processo non gia' quando «risulti»,  ma  «ove  la  Presidenza  del
Consiglio dei Ministri attesti» che l'impedimento e'  continuativo  e
correlato allo svolgimento delle funzioni di governo. In tal modo, il
rinvio costituisce un effetto automatico  dell'attestazione,  venendo
meno il filtro della valutazione del giudice e, piu' in generale,  di
una  valutazione  indipendente  e   imparziale,   dal   momento   che
l'attestazione risulta affidata ad una struttura organizzativa di cui
si avvale, in ragione della propria carica, lo  stesso  soggetto  che
deduce l'impedimento in questione. 
    Per tutte queste ragioni, l'art. 1, comma 4, della  legge  n.  51
del 2010 produce effetti  equivalenti  a  quelli  di  una  temporanea
sospensione del processo ricollegata al fatto della titolarita' della
carica, cioe' di una prerogativa disposta in favore del titolare.  Si
tratta, pertanto,  di  una  previsione  normativa  costituzionalmente
illegittima.