Sentenza 
 
nei giudizi di legittimita' costituzionale dell'art. 705  del  codice
di procedura penale e dell'art. 40 della legge 22 aprile 2005, n.  69
(Disposizioni per conformare il diritto interno alla decisione quadro
2002/584/GAI del Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa  al  mandato
d'arresto europeo e alle procedure di  consegna  tra  Stati  membri),
promossi dalla Corte di cassazione con ordinanze del  14  febbraio  e
del 25 marzo 2011, iscritte rispettivamente  ai  nn.  71  e  147  del
registro ordinanze 2011 e pubblicate nella Gazzetta  Ufficiale  della
Repubblica nn. 18 e 28, prima serie speciale, dell'anno 2011; 
    Visti gli atti di intervento del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    Udito nella camera di consiglio del 21 settembre 2011 il  Giudice
relatore Giuseppe Tesauro. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1. - La Corte di cassazione, con ordinanza del 14  febbraio  2011
(R.O. n. 71 del 2011), ha sollevato, in riferimento agli articoli  3,
27, terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione, questione di
legittimita' costituzionale dell'art. 705  del  codice  di  procedura
penale, nella parte in cui non prevede una riserva analoga  a  quella
richiamata dall'art. 18, comma 1, lettera r), della legge  22  aprile
2005, n. 69 (Disposizioni per  conformare  il  diritto  interno  alla
decisione quadro 2002/584/GAI del  Consiglio,  del  13  giugno  2002,
relativa al mandato d'arresto europeo e alle  procedure  di  consegna
tra Stati membri), «nella lettura imposta dalla pronuncia della Corte
costituzionale n. 227 del 2010», qualora la  procedura  sia  attivata
tra Stati membri dell'Unione  europea  e  riguardi  la  richiesta  di
estradizione di un cittadino dello  stesso  territorio,  «stabilmente
inserito in Italia». 
    1.1. - Il giudice rimettente espone che nei  confronti  di  S.A.,
cittadino rumeno,  e'  stata  attivata  una  procedura  ordinaria  di
estradizione, in ragione dell'epoca del commesso  reato,  antecedente
al 7 agosto 2002. Tale fatto impedirebbe  di  applicare  al  caso  di
specie il limite alla  consegna,  previsto  dall'art.  18,  comma  1,
lettera r), della legge n. 69 del 2005, nella lettura  imposta  dalla
pronuncia della Corte costituzionale n. 227  del  2010,  disposizione
posta a presidio della garanzia del cittadino italiano e  comunitario
di poter scontare in Italia la  sanzione  divenuta  definitiva  nello
Stato comunitario  richiedente,  ove  l'interessato  sia  stabilmente
residente in Italia e sia provata la sua integrazione nel territorio. 
    A giudizio  della  Corte  di  cassazione,  per  effetto  di  tale
«limitazione», dovuta alla vigenza della  normativa  sul  mandato  di
arresto europeo, si sarebbe venuta  a  creare,  nella  situazione  di
fatto descritta, una violazione dei diritti fondamentali, tra i quali
deve  collocarsi  il  diritto  di  stabilimento,  determinandosi  una
«difformita' di trattamento di situazioni analoghe, che appare  priva
di ragionevolezza», come sarebbe reso evidente dal caso in esame,  in
cui risulta preclusa la disposizione piu' favorevole, nonostante  che
«il decorso di un congruo periodo temporale dall'epoca  del  commesso
reato rende in fatto ancor piu' probabile la recisione dei legami con
il proprio paese d'origine e piu' radicata la presenza nel territorio
straniero intervenuta medio termine». Tale disparita' di trattamento,
poi, non potrebbe essere superata in via interpretativa,  essendo  il
giudizio limitato alla valutazione della legittimita' della richiesta
dello Stato estero, alla luce dell'art. 705 cod. proc. pen., che  non
prevede tra  i  motivi  di  rifiuto  della  consegna  la  valutazione
dell'esigenza di reinserimento del  condannato  e  quindi  la  tutela
dell'interesse di tutti gli Stati membri alla rieducazione  effettiva
del reo. 
    Il rimettente ritiene, pertanto, che la norma  violi  sia  l'art.
27,  terzo  comma,  Cost.,  sia  i  «principi  comunitari»,   ed   in
particolare quello di non discriminazione di cui all'art. 12 (ora  18
TFUE) del Trattato,  di  uniformita'  di  trattamento  dei  cittadini
europei di cui all'art. 17 del Trattato e del diritto di stabilimento
riconosciuto  dall'art.  18  (rectius:  21  TFUE),  con   conseguente
violazione dell'art. 117, primo comma, Cost. 
    1.2. - Precisato, in punto di rilevanza, che  dalle  informazioni
assunte sarebbe confermata la piena integrazione di S.A.  e  del  suo
nucleo familiare nel territorio italiano, la Corte conclude chiedendo
di dichiarare  l'illegittimita'  costituzionale  dell'art.  705  cod.
proc. pen., nella parte in cui non prevede il rifiuto di  consegna  e
la conseguente possibilita'  di  scontare  la  pena  in  Italia,  del
condannato,  cittadino  di  un  Paese  membro  dell'Unione   europea,
residente o  dimorante  nel  nostro  territorio  ed  ivi  stabilmente
inserito, del quale sia stata richiesta l'estradizione. 
    2. - Nel giudizio innanzi alla Corte e' intervenuto il Presidente
del Consiglio dei ministri, chiedendo che la questione sia dichiarata
infondata. 
    In primo luogo si osserva come il diverso regime fra le procedure
di estradizione e di consegna,  a  seguito  di  mandato  di  arresto,
giustificherebbe  la  diversita'  delle  ipotesi  di  rifiuto   della
consegna. In secondo luogo, sarebbe insussistente una  diversita'  di
trattamento fra cittadino  e  straniero,  non  essendo  prevista  una
simile ipotesi neppure per il cittadino italiano.  Inoltre,  l'omessa
previsione dell'ipotesi di cui all'art.  18,  comma  1,  lettera  r),
anche  nel  caso   dell'estradizione,   discenderebbe   dalla   norma
transitoria (art.  40  della  legge  n.  69  del  2005),  -  peraltro
consentita  dall'art.  32   della   decisione   quadro   2002/584/GAI
(Decisione quadro del Consiglio relativa al mandato d'arresto europeo
e alle procedure di consegna tra gli Stati membri)  -  piuttosto  che
dall'asserita illegittimita' della  procedura  di  estradizione.  Del
resto, afferma l'Avvocatura generale dello Stato, la diversita' delle
discipline rifletterebbe la «filosofia» dei  due  differenti  regimi,
basato   il   primo,   quello    previgente,    sulla    cooperazione
intergovernativa, il secondo sul mutuo  riconoscimento,  demandato  a
procedure integralmente giurisdizionali. 
    Infine, il Presidente del Consiglio dei ministri  assume  che  il
petitum proposto dal rimettente  mirerebbe  ad  ampliare  i  casi  di
rifiuto dell'estradizione, conducendo ad una «inammissibile ortopedia
del  sistema»,  attraverso  uno  stravolgimento  della  procedura  di
esecuzione della pena in Italia, ancor prima del riconoscimento delle
sentenze di condanna straniera, la cui base  legale  deve  rinvenirsi
nella decisione quadro 2008/909/GAI. 
    3. - La Corte di cassazione, con  ordinanza  del  25  marzo  2011
(R.O. n. 147  del  2011),  ha  sollevato  questione  di  legittimita'
costituzionale  dell'art.  705  del  codice  di  procedura  penale  e
dell'art. 40 della legge 22 aprile 2005, n. 69, in  riferimento  agli
artt. 3, 27, terzo comma, e 117, primo comma, della Costituzione.  La
Corte rimettente premette di essere investita del ricorso avverso  la
sentenza della Corte di appello di Roma, resa nel procedimento per la
verifica delle condizioni per l'estradizione di B. D. alle  autorita'
rumene, e che tale verifica, in  quanto  relativa  a  reati  commessi
prima del 7 agosto 2002, e' regolata, in base a quanto prevede l'art.
40 della legge n. 69 del 2005, dalle disposizioni vigenti in  materia
di estradizione anteriormente alla data di entrata  in  vigore  della
suddetta  legge,  e  quindi  dalla  pertinente   normativa   pattizia
(Convenzione europea di estradizione del 13 dicembre  1957,  e  succ.
mod., vigente tra le Parti dal 9 dicembre  1997)  e  dalla  normativa
nazionale, integratrice  della  disciplina  convenzionale.  Premette,
altresi', che l'estradando ha chiesto di poter scontare  la  pena  in
Italia, dove ha stabilito la sua  stabile  residenza,  come  peraltro
comprovato dalla  documentazione  prodotta  (iscrizione  al  registro
delle imprese sin dal 2005, certificato di residenza a far  data  dal
2008, acquisto di un  immobile  nel  2007,  dichiarazioni  tributarie
presentate dal 2008). 
    3.1.  -  Il  rimettente,  inoltre,   ritiene   che   nella   fase
giurisdizionale  del  procedimento  di  estradizione,   limitata   al
controllo di legalita', ovvero  alla  verifica  della  sussistenza  e
della  validita'  delle  condizioni  affinche'   l'estradizione   sia
concessa,  la  corte  di  appello  non  possa  pronunciare   sentenza
contraria all'estradizione, al fine di dare  esecuzione  nello  Stato
alla pena inflitta all'estero, analogamente  a  quanto  stabilisce  -
nelle medesime circostanze di fatto - l'art. 18,  lettera  r),  della
legge n. 69 del 2005 in tema di  mandato  di  arresto  europeo.  Tale
lacuna non potrebbe essere superata in via interpretativa,  dovendosi
il giudice attenere, nella valutazione di legittimita' della  domanda
dello Stato estero, alle disposizioni di cui agli artt.  696,  698  e
705  cod.  proc.  pen.,  che  non  consentirebbero,  nella  fase   di
delibazione  della  domanda  di   estradizione,   che,   al   rifiuto
dell'estradizione, consegua l'esecuzione nello Stato della  pena  per
la cui esecuzione e' stata domandata l'estradizione. 
    3.2. - Cio' posto, il giudice a quo,  richiamando  la  precedente
ordinanza di rimessione, sezione VI, n.  5580  del  26  gennaio  2011
(r.o. n. 71 del 2011), e le argomentazioni in essa contenute, precisa
ulteriormente che  l'irragionevolezza  della  scelta  effettuata  dal
legislatore nel regolare l'applicazione ratione temporis della  nuova
disciplina del mandato di arresto europeo sarebbe evidente, sia  alla
luce della ratio di «garanzia» della  disposizione  piu'  favorevole,
sia  alla  luce  dall'esame  dell'ipotesi  di  rifiuto,  disciplinata
dall'art. 18, comma 1, lettera r), della legge n.  69  del  2005.  La
disciplina transitoria di cui  all'art.  40  costituirebbe,  inoltre,
attuazione  interna  della  dichiarazione  presentata   dal   Governo
italiano al  Segretariato  generale  dell'Unione  europea,  ai  sensi
dell'art.  32  della  decisione  quadro  del  13  giugno   2002,   n.
2002/584/GAI  del   Consiglio,   dichiarazione   giustificata   dalla
preoccupazione di conferire all'istituto  della  consegna  natura  di
diritto sostanziale, oltre che squisitamente  processuale,  e  dunque
volta a confermare la  preoccupazione  del  legislatore  italiano  di
salvaguardare  anche  in   tale   materia   il   principio   di   non
retroattivita' delle norme  penali  o  del  trattamento  penale  piu'
sfavorevole, di cui all'art. 25 della Costituzione. La preoccupazione
del legislatore italiano  sarebbe  dunque  stata  quella  di  evitare
l'applicazione retroattiva di un regime di consegna considerato «meno
favorevole», nel mentre si  sarebbe  tradotta  in  una  irragionevole
esclusione delle garanzie previste dalla legge attuativa. 
    Alla luce di queste premesse e dopo aver riesaminato  le  ragioni
sottese  al  regime  del  rifiuto  di  consegna,   configurato   come
obbligatorio dalla legge attuativa della decisione quadro sul mandato
di  arresto,  il  rimettente  ritiene  evidente  che  la   disciplina
transitoria dettata dall'art. 40 della  legge  attuativa,  disponendo
che le domande di consegna relative a  reati  commessi  prima  del  7
agosto 2002 seguano la strada dell'estradizione, abbia riservato alla
persona richiesta dell'estradizione da uno Stato dell'Unione  europea
un trattamento irragionevolmente  deteriore  rispetto  a  coloro  che
risultano sottoposti al regime di consegna  del  mandato  di  arresto
europeo. Cio', nonostante che la relativa sentenza  di  condanna  sia
divenuta esecutiva dopo la entrata in vigore della  decisione  quadro
del 2002 e, dunque, proprio in  relazione  a  situazioni  in  cui  il
decorso di un congruo lasso temporale dall'epoca del  commesso  reato
rendeva, in fatto, ancor piu' probabile la recisione dei  legami  con
il proprio paese d'origine e piu' radicata la presenza nel territorio
straniero intervenuta medio termine. 
    3.3. - Tale  situazione  sostanzierebbe  una  lacuna  nel  regime
estradizionale  che  non  consentirebbe   all'autorita'   giudiziaria
italiana di valutare l'esigenza che «la  traditio  non  vanifichi  la
finalita'  rieducativa  e  di   risocializzazione»,   dettata   dalla
Costituzione e da molteplici strumenti internazionali, fra  i  quali:
la Raccomandazione n. R. 87/3 del Comitato dei ministri del Consiglio
d'Europa sulle regole penitenziarie europee, adottata il 12  febbraio
1987 e sostituita dalla Raccomandazione n. R. 2006/2,  adottata  1'11
gennaio 2006; la Risoluzione del Parlamento europeo sul rispetto  dei
diritti  dell'uomo  nell'Unione  europea,  A4-0468/98;   nonche'   le
Standard Minimum Rules for the Treatment of/Prisoners, adottate dalle
Nazioni Unite il 30 agosto 1955. 
    Pertanto,  la  disciplina  censurata  avrebbe   determinato   una
disparita' di trattamento fra situazioni analoghe, rilevante ai sensi
dell'art. 3 Cost., priva di ragionevole  giustificazione,  in  quanto
sarebbe  preclusa,  nonostante  la  «riconoscibilita'»   del   titolo
esecutivo, al cittadino italiano e al cittadino di uno Stato dell'UE,
la  cui  consegna  e'  regolata   dalla   normativa   estradizionale,
richiamata  dall'art.  40  cit.,  la  possibilita'  di  ottenere  una
decisione contraria alla loro estradizione, al fine  di  scontare  la
pena privativa della liberta' personale nello Stato di cittadinanza o
di residenza, e di  accrescere  pertanto  le  opportunita'  del  loro
reinserimento sociale. Siffatta disciplina,  inoltre,  impedirebbe  a
colui che ha esercitato, in quanto cittadino dell'Unione europea,  il
suo diritto alla libera circolazione  e  al  libero  soggiorno  negli
Stati membri, garantito dall'art. 18 TFUE (rectius: 21  TFUE),  e  la
cui condanna sia divenuta esecutiva in  data  21  febbraio  2007,  di
essere sottoposto ad una procedura di consegna che  gli  consenta  di
soddisfare le esigenze di risocializzazione, in violazione  non  solo
dell'art.  27,  terzo  comma,  Cost.,  ma   anche   degli   strumenti
internazionali citati e  delle  liberta'  riconosciute  dal  Trattato
dell'Unione europea e, quindi, degli artt. 11  e  117,  primo  comma,
della Costituzione. 
    4. - Anche nel giudizio relativo all'ordinanza n. 147 del 2011 e'
intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e
difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  chiedendo  che   la
questione sia dichiarata infondata. 
    Nella memoria si osserva innanzitutto che l'art. 40  della  legge
n. 69 del 2005 costituisce  l'attuazione,  nell'ordinamento  interno,
della facolta' che l'art. 32, paragrafo 1,  della  decisione  quadro,
riconosce agli Stati  membri  di  applicare  il  mandato  di  arresto
europeo  ai  reati  commessi  prima  del  7  agosto  2002,   facolta'
esercitata peraltro anche da Austria, Lussemburgo, Repubblica ceca  e
Francia. 
    In secondo  luogo,  l'applicabilita'  del  regime  estradizionale
comporterebbe alcune conseguenze anche in favore del ricercato, se si
consideri che nel sistema del MAE i motivi di rifiuto sono  tassativi
e che e' stata soppressa la verifica della doppia incriminazione come
motivo di non esecuzione del MAE, in relazione  a  un  elenco  di  32
categorie di reato contenuto nello strumento. 
    4.1. - Ad avviso della Presidenza  del  Consiglio  dei  ministri,
inoltre, le scelte del legislatore italiano (e di altri Stati membri)
in  tema  di  disciplina   transitoria   non   potrebbero   ritenersi
«irragionevoli», laddove si consideri che l'assenza della garanzia di
poter scontare la pena nel  Paese  ove  si  e'  radicati  (nel  senso
chiarito dalla giurisprudenza europea - Corte giust. 17 luglio  2008,
causa C-66/08, Kozlowski) risulta assai  ridimensionata  dalla  nuova
disciplina sul trasferimento dei condannati  di  cui  alla  decisione
quadro 2008/909/GAI del 27 novembre 2008 (Decisione  quadro  relativa
all'applicazione del  principio  del  reciproco  riconoscimento  alle
sentenze penali che irrogano pene detentive o misure privative  della
liberta'  personale,  ai  fini  della  loro  esecuzione   nell'Unione
europea), attuata nel nostro  Paese  con  il  decreto  legislativo  7
settembre 2010,  n.  161  (Disposizioni  per  conformare  il  diritto
interno alla Decisione quadro 2008/909/GAI relativa  all'applicazione
del principio del reciproco riconoscimento alle sentenze  penali  che
irrogano pene detentive o misure privative della liberta'  personale,
ai fini della loro esecuzione nell'Unione europea). 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1. - Vengono all'esame della Corte due  ordinanze  di  rimessione
pronunciate dalla Corte di cassazione (R.O. nn. 71 e 147 del 2011). 
    1.1. - La prima ordinanza (R.O. n. 71 del  2011)  censura  l'art.
705 del codice di procedura penale, nella parte in  cui  non  prevede
una riserva analoga  a  quella  richiamata  dall'art.  18,  comma  1,
lettera r), della legge 22  aprile  2005,  n.  69  (Disposizioni  per
conformare il diritto interno alla decisione quadro 2002/584/GAI  del
Consiglio, del 13 giugno 2002, relativa al mandato d'arresto  europeo
e alle procedure  di  consegna  tra  Stati  membri),  «nella  lettura
imposta dalla pronuncia della Corte costituzionale n. 227 del  2010»,
qualora la  procedura  sia  attivata  tra  Stati  membri  dell'Unione
europea e riguardi la richiesta di estradizione di un cittadino dello
stesso territorio, «stabilmente inserito in Italia». 
    1.2. - La seconda ordinanza (R.O. n. 147 del 2011), oltre che del
citato  art.  705,  cod.  proc.  pen.,  dubita   della   legittimita'
costituzionale dell'art. 40 della legge n. 69 del 2005,  nella  parte
in cui non prevedono, in una situazione analoga a  quella  richiamata
dall'art. 18, lettera r), della  medesima  legge,  che  la  Corte  di
appello - in relazione ad una domanda di estradizione presentata dopo
il 14 maggio 2005 da uno Stato membro dell'Unione europea, sulla base
di una sentenza di condanna, divenuta esecutiva dopo  il  1°  gennaio
2004, ad una pena privativa della liberta' personale,  per  un  reato
commesso prima del 7 agosto 2002 - pronunci sentenza  contraria  alla
estradizione di un cittadino di un Stato membro dell'Unione  europea,
che legittimamente ed effettivamente abbia la residenza o  la  dimora
nel territorio italiano, quando ritenga che tale pena sia eseguita in
Italia conformemente al diritto interno. 
    2. - In virtu' dell'identita' delle  questioni  sollevate,  della
parziale identita'  dell'oggetto  e  degli  argomenti  utilizzati  va
disposta la riunione dei giudizi, ai fini di un'unica  trattazione  e
di un'unica pronuncia. 
    3.  -  Preliminarmente,  in  relazione   al   giudizio   relativo
all'ordinanza iscritta al R.O. n. 71 del 2011,  va  rilevato  che  la
comunicazione, trasmessa dalla Corte di cassazione, con nota  del  21
settembre 2011, relativa all'intervenuta prescrizione del  reato  per
il quale l'autorita' straniera procedeva, non puo' esplicare  effetti
sul giudizio di legittimita' costituzionale, in quanto  questo,  «una
volta  iniziato  in  seguito  ad  ordinanza  di  rinvio  del  giudice
rimettente non e' suscettibile di essere  influenzato  da  successive
vicende di fatto concernenti il rapporto dedotto nel processo che  lo
ha occasionato», come previsto dall'art. 18 delle  Norme  integrative
per i giudizi davanti alla Corte costituzionale, nel testo  approvato
il 7 ottobre 2008  (sentenza  n.  227  del  2010  e,  in  riferimento
all'identica norma contenuta in precedenza nell'art. 22: sentenza  n.
244 del 2005; ordinanze n. 270 del 2003 e n. 383 del 2002). 
    4. - Con tale ordinanza di rimessione, iscritta al n. R.O. n.  71
del 2011, la Corte di cassazione assume che l'art. 705 del codice  di
procedura penale  si  porrebbe  in  contrasto  con  l'art.  3,  della
Costituzione,  in   quanto   determinerebbe   una   «difformita'   di
trattamento   di   situazioni   analoghe,   che   appare   priva   di
ragionevolezza», poiche' precluderebbe, per i  reati  commessi  prima
del 7 agosto 2002, l'applicazione della piu' favorevole  disposizione
di cui al citato art. 18, lettera r), della legge  n.  69  del  2005,
nonostante che «il decorso di un congruo periodo temporale dall'epoca
del commesso reato rende in fatto ancor piu' probabile  la  recisione
dei legami con il proprio paese d'origine e piu' radicata la presenza
nel  territorio  straniero  intervenuta  medio   termine».   Inoltre,
impedendo per  tali  reati  di  rifiutare  l'estradizione,  la  norma
violerebbe  anche  l'art.  117,  primo  comma,  Cost.,  ponendosi  in
contrasto con i principi comunitari, ed in particolare quello di  non
discriminazione di cui all'art. 12 del Trattato,  di  uniformita'  di
trattamento dei cittadini europei di cui all'art.  17  del  Trattato,
del diritto di stabilimento riconosciuto  dall'art.  18.  Infine,  la
disciplina dell'estradizione e, segnatamente l'art. 705,  cod.  proc.
pen.,  impedendo  al  condannato,  cittadino  di  un   Paese   membro
dell'Unione europea, residente o dimorante nel nostro  territorio  ed
ivi stabilmente inserito, la possibilita'  di  scontare  la  pena  in
Italia si porrebbe in contrasto con l'art. 27, terzo comma, Cost. 
    4.1. - La questione e' manifestamente inammissibile. 
    4.2. -  Il  giudice  rimettente,  pur  invocando  nella  sostanza
l'applicabilita' all'estradizione dello speciale motivo di rifiuto di
cui all'art. 18, comma 1, lettera r), della legge n. 69 del 2005, che
ha  dato  attuazione  alla  decisione  quadro  13  giugno  2002,   n.
2002/584/GAI del Consiglio, omette del tutto sia  di  specificare  la
data della decisione definitiva  dell'autorita'  giudiziaria  rumena,
che irrogava la pena per l'esecuzione della quale e'  stata  proposta
domanda di estradizione, sia quella della richiesta di  estradizione,
limitandosi ad indicare il tempus commissi  delicti  (nel  corso  del
1999) e la data della sentenza della Corte di appello impugnata. Tale
carenza determina  la  manifesta  inammissibilita'  della  questione,
giacche', come piu' volte precisato dalla  giurisprudenza  di  questa
Corte, l'omessa o insufficiente  descrizione  della  fattispecie,  in
violazione del principio di autosufficienza dell'atto di  rimessione,
preclude il necessario controllo in punto di rilevanza (ex  plurimis:
ordinanze nn. 6 e 3 del 2011; nn. 343, 318 e 85 del  2010;  nn.  211,
201 e 191 del 2009). 
    5. - Con l'ordinanza di rimessione, iscritta al n.  R.O.  n.  147
del 2011, la Corte di cassazione assume che l'art.  705,  cod.  proc.
pen. e l'art. 40 della legge n. 69 del 2005,  violerebbero  l'art.  3
Cost., riservando alla persona  richiesta  dell'estradizione  da  uno
Stato dell'Unione europea, per un reato commesso prima del  7  agosto
2002, un trattamento irragionevolmente deteriore  rispetto  a  coloro
che risultano sottoposti al regime di consegna del mandato di arresto
europeo, e cio' nonostante che la relativa sentenza di  condanna  sia
divenuta esecutiva dopo l'entrata in vigore  della  decisione  quadro
del 2002. La disciplina normativa in questione si porrebbe,  inoltre,
in contrasto con gli artt. 11 e  117,  primo  comma,  Cost.,  perche'
impedirebbe  a  colui  che  ha  esercitato,   in   quanto   cittadino
dell'Unione europea, il suo diritto alla  libera  circolazione  e  al
libero soggiorno negli Stati membri, garantito dall'art. 18 TFUE,  la
propria «risocializzazione» in  violazione  di  molteplici  strumenti
internazionali, fra  i  quali  la  Raccomandazione  n.  R.  87/3  del
Comitato  dei  ministri   del   Consiglio   d'Europa   sulle   regole
penitenziarie europee, adottata il  12  febbraio  1987  e  sostituita
dalla Raccomandazione n. R. 2006/2, adottata 1'11  gennaio  2006;  la
Risoluzione del Parlamento europeo sul rispetto dei diritti dell'uomo
nell'Unione europea, A4-0468/98; le Standard Minimum  Rules  for  the
Treatment of Prisoners, adottate dalle Nazioni  Unite  il  30  agosto
1955. Infine, viene denunciata  la  violazione  dell'art.  27,  terzo
comma, Cost., in quanto le norme censurate impedirebbero a colui  per
il quale la condanna sia divenuta esecutiva in data 21 febbraio 2007,
di essere sottoposto ad una procedura che gli consenta di  soddisfare
le esigenze di risocializzazione. 
    Sulla base di queste considerazioni la Corte rimettente chiede di
pronunciare l'illegittimita' costituzionale  delle  norme  in  esame,
«nella parte in cui non prevedono, in relazione  ad  una  domanda  di
estradizione presentata da uno Stato membro dell'Unione  europea,  il
rifiuto di consegna del condannato, cittadino  di  uno  Stato  membro
dell'Unione europea, residente o dimorante nel nostro  territorio  ed
ivi stabilmente inserito, quando ritenga che la pena per la quale  e'
chiesta  l'estradizione  sia  eseguita  in  Italia  conformemente  al
diritto interno». 
    5.1. - La questione e' inammissibile. 
    5.2. - La giurisprudenza di questa  Corte  ha  sottolineato  come
l'introduzione del MAE ha configurato un nuovo  sistema  semplificato
di consegna delle persone condannate o imputate, al fine di eliminare
la complessita' e  i  potenziali  ritardi  inerenti  alla  disciplina
dell'estradizione.  Il   nuovo   regime,   infatti,   «a   differenza
dell'estradizione non postula alcun rapporto intergovernativo, ma  si
fonda sui rapporti diretti tra le varie autorita' giurisdizionali dei
Paesi membri, con l'introduzione di un nuovo sistema semplificato  di
consegna delle persone condannate o sospettate» (sentenza n. 227  del
2010 e n. 143 del 2008). 
    5.3. - La decisione quadro 2002/584/GAI prevedeva,  all'art.  32,
che le richieste di estradizione ricevute anteriormente al 1° gennaio
2004 continuassero ad essere disciplinate dagli  strumenti  esistenti
in materia di estradizione  e  che  ogni  Stato  membro  potesse,  al
momento  del  recepimento  della  decisione   quadro,   rendere   una
dichiarazione secondo cui in qualita' di Stato  dell'esecuzione  esso
avrebbe continuato a trattare le richieste relative a reati  commessi
prima di una data da esso precisata, data comunque non posteriore  al
7 agosto 2002. Dal 1° gennaio  2004,  la  decisione  quadro,  quindi,
doveva sostituirsi ai testi anche convenzionali esistenti in materia.
La gradualita' del  passaggio  al  nuovo  sistema,  consentita  dalla
citata norma, lasciava, dunque, aperta la possibilita' per gli  Stati
membri di approntare tutti gli strumenti normativi ed  amministrativi
necessari per garantire la funzionalita' del nuovo regime. 
    Lo Stato italiano, dopo aver deciso di sfruttare tutto  il  tempo
ad esso concesso dalla decisione quadro per il passaggio  al  sistema
del MAE, con l'art. 40 della  citata  legge  n.  69  del  2005,  oggi
impugnato, ha disposto che le nuove norme si dovessero applicare alle
richieste  di  esecuzione  di  mandati  d'arresto  europei  emessi  e
ricevuti dopo la data della sua  entrata  in  vigore,  ma  che  «alle
richieste di esecuzione relative a reati commessi prima del 7  agosto
2002, salvo per quanto previsto dal comma 3, restano  applicabili  le
disposizioni vigenti anteriormente alla data  di  entrata  in  vigore
della presente legge in materia di estradizione». 
    5.4. - E' sulla base di tale dettato normativo che il  giudice  a
quo, censurando le disposizioni transitorie dell'art. 40 della  legge
n. 69 del 2005 e l'art. 705 cod. proc. pen., in  tema  di  condizioni
per la decisione sull'estradizione,  ha  sollevato  la  questione  di
legittimita'  costituzionale,  formulando,   tuttavia,   un   petitum
inammissibile. 
    L'intervento  richiesto  alla  Corte  consisterebbe,  secondo  la
prospettazione del rimettente, nell'inserire nel complesso  normativo
dell'estradizione un nuovo caso  di  rifiuto,  evidentemente  mutuato
dalla disciplina del MAE. 
    Il rimettente, infatti, subordina espressamente  la  possibilita'
di pronunciare anche in questo  caso  il  rifiuto  dell'estradizione,
alla possibilita' che la pena sia eseguita in  Italia,  conformemente
al  diritto  interno.  L'intervento  della  Corte,  quindi,  dovrebbe
consentire,  nel  procedimento   di   estradizione,   non   solo   la
possibilita' di impedire, nella fase giurisdizionale,  la  «traditio»
cui mira l'estradizione, ma anche di  eseguire  la  pena  nel  nostro
ordinamento,  conformemente  al  diritto   interno,   inserendo   nel
procedimento di estradizione,  un'anticipazione  di  quanto  previsto
dalle norme sul MAE, intervenendo anche  sull'art.  40  della  citata
legge n. 69 del 2005. 
    Il risultato prefigurato dalla Corte rimettente, imposto  proprio
dalla   ricordata   diversita'   delle   discipline   a    confronto,
determinerebbe,  non  piu'  una  normativa  intertemporale,   ma   un
singolare innovativo meccanismo, diverso tanto dal precedente  quanto
da quello «a regime», creando un sistema «spurio» anche rispetto alla
stessa norma transitoria. 
    Viene  inoltre  in  rilievo  il  fatto  che  il  procedimento  di
estradizione  e'  costituito  da  due  fasi,  in  cui   alla   prima,
giurisdizionale   di   garanzia   dei   diritti,   segue   una   fase
amministrativa, di competenza  del  Ministro  della  giustizia,  fase
questa  a  sua  volta  assoggettabile   a   controllo   del   giudice
amministrativo, trattandosi di determinazione che coinvolge  in  modo
diretto   e   immediato   interessi    essenzialmente    individuali.
Conseguentemente, alla prospettazione del giudice  a  quo  potrebbero
seguire piu'  soluzioni,  parimenti  praticabili  perche'  tutte  non
obbligate   costituzionalmente,   a   seconda   della   sorte    che,
all'eventuale pronuncia di rifiuto con esecuzione della  pena,  debba
essere riservata alla fase amministrativa di cui si discorre. 
    Pertanto, alla luce della costante  giurisprudenza  della  Corte,
alla questione  che  invochi  un  risultato  di  diritto  transitorio
«spurio» (ordinanza  n.  355  del  2003)  o  comunque  una  pronuncia
manipolativa non costituzionalmente obbligata, in  materia  riservata
alla discrezionalita' del legislatore, non  puo'  che  conseguire  la
inammissibilita' (ex multis ordinanza n. 193 del 2009).