IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO 
 
    Ha pronunciato  la  presente  ordinanza  sul  ricorso  numero  di
registro generale  7099  del  2010,  integrato  da  motivi  aggiunti,
proposto da: Vittorio  Zambrano,  rappresentato  e  difeso  dall'Avv.
Mario Sanino, dall'Avv. Marco Di Lullo e  dall'Avv.  Fabrizio  Viola,
con domicilio eletto presso lo Studia dell'Avv. Mario Sanino sito  in
Roma, Viale Parioli n. 180; 
    Contro la Corte dei conti ed il  Consiglio  di  Presidenza  della
Corte dei conti, in persona dei legali  rappresentanti  pro  tempore,
rappresentati e  difesi  ope  legis  dall'Avvocatura  Generale  dello
Stato, domiciliata per legge in Roma, Via dei Portoghesi n. 12; 
    Nei confronti  di  Raffaele  Squitieri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avv. Domenico Paternostro e dall'Avv. Elio Vitale, con domicilio
eletto presso lo Studio dell'Avv. Domenico Paternostro sito in  Roma,
Viale Giuseppe Mazzini n. 6; 
    Per l'annullamento: 
        della deliberazione del Consiglio di Presidenza  della  Corte
dei conti, adottata nell'adunanza dell'11-12 maggio 2010 - di estremi
sconosciuti - con la quale e' stata deliberata  l'assegnazione  delle
funzioni di Presidente della Sezione Controllo Enti al Presidente  di
Sezione Dott. Raffaele Squitieri, di cui alla sintesi dei lavori  del
Consiglio n. 26/2010; 
        della deliberazione prot. Corte  dei  conti  n.  133  del  25
maggio 2010, con la quale e' stato deliberato che a decorrere dal  18
maggio 2010 il Presidente di Sezione Dott. Raffaele  Squitieri  cessa
dal posto di funzione di Presidente della Sezione Giurisdizionale per
la Regione Molise ed e' assegnato, a domanda, al posto di funzione di
Presidente della Sezione di Controllo sugli Enti; 
        di ogni altro atto connesso, presupposto e consequenziale ivi
compresi: 
          l'art. 31 della deliberazione del Consiglio  di  Presidenza
della Corte dei conti n. 121/CP/2009 del 18 marzo 2009; 
          la successiva deliberazione prot. 241 del  28  luglio  2009
con la quale il medesimo Consiglio  di  Presidenza  della  Corte  dei
conti ha modificato le disposizioni contenute nell'art. 31, comma  1,
lett. c) della  deliberazione  n.  121/CP/2009  del  18  marzo  2009,
portando il  punteggio  discrezionale,  precedentemente  fissato  per
ciascun componente nella misura di 0,80 punti, a 1,20 punti; 
          il D.P.R. del 13 maggio 2009 di costituzione del  Consiglio
di Presidenza della Corte dei conti; 
    e con ricorso per motivi aggiunti 
    Per l'annullamento: 
        della deliberazione del Consiglio di Presidenza  della  Corte
dei conti, adottata nell'adunanza dell'11-12 maggio 2010 - di estremi
sconosciuti - con la quale e' stata deliberata  l'assegnazione  delle
funzioni di Presidente della Sezione Controllo Enti al Presidente  di
Sezione Dott. Raffaele Squitieri, di cui alla «sintesi dei lavori del
Consiglio» n. 26/2010; 
        della deliberazione prot. Corte  dei  conti  n.  133  del  25
maggio 2010, con la quale e' stato deliberato che a decorrere dal  18
maggio 2010 il Presidente di Sezione Dott. Raffaele  Squitieri  cessa
dal posto di funzione di Presidente della Sezione Giurisdizionale per
la Regione Molise ed e' assegnato, a domanda, al posto di funzione di
Presidente della Sezione di Controllo sugli Enti; 
        di ogni altro atto connesso, presupposto e consequenziale ivi
compresi: 
          l'art. 31 della deliberazione del Consiglio  di  Presidenza
della Corte dei conti n. 121/CP/2009 del 18 marzo 2009; 
          la successiva deliberazione prot. n. 241 del 28 luglio 2009
con la quale il medesimo Consiglio  di  Presidenza  della  Corte  dei
conti ha modificato le disposizioni contenute nell'art. 31, comma  1,
lett. c) della  deliberazione  n.  121/CP/2009  del  18  marzo  2009,
portando il  punteggio  discrezionale,  precedentemente  fissato  per
ciascun componente nella misura di 0,80 punti, a 1,20 punti; 
          il D.P.R. del 13 maggio 2009 di costituzione del  Consiglio
di Presidenza della Corte dei conti; 
    Visti il ricorso, i motivi aggiunti e i relativi allegati; 
    Viste le memorie difensive; 
    Visti tutti gli atti della causa; 
    Visti gli atti di costituzione in giudizio della Corte dei conti,
del Consiglio di Presidenza della  Corte  dei  conti  e  di  Raffaele
Squitieri, Relatore nell'udienza pubblica del giorno 22  giugno  2011
il Consigliere Elena Stanizzi e uditi per le parti i  difensori  come
specificato nel verbale; 
 
                                Fatto 
 
    Espone in fatto l'odierno ricorrente,  Presidente  della  Sezione
Regionale di Controllo per il Lazio, di aver presentato  domanda  per
l'assegnazione del posto di funzione di Presidente della  Sezione  di
Controllo sugli Enti della Corte dei conti,  di  cui  alla  procedura
concorsuale bandita nell'adunanza del Consiglio di  Presidenza  della
Corte dei conti del 20-21 aprile 2010, comunicata  con  circolare  n.
2808 del 23 aprile 2010. 
    Con delibera assunta nell'adunanza del  Consiglio  di  Presidenza
dell'11-12 maggio 2010, il Consiglio di Presidenza  della  Corte  dei
conti ha assegnato il posto di funzione di Presidente  della  Sezione
di Controllo sugli Enti della  Corte  dei  conti  al  Dott.  Raffaele
Squitieri. 
    Con deliberazione prot. Corte dei conti  n.  133  del  25  maggio
2010, il Consiglio di Presidenza della  Corte  dei  conti  ha  quindi
disposto l'assegnazione, a domanda, del Dott. Raffaele  Squitieri  al
posto di funzione di Presidente della Sezione di Controllo sugli Enti
a decorrere dal 18 maggio 2010, con cessazione dal posto di  funzione
di Presidente della Sezione Giurisdizionale per la Regione Molise. 
    Avverso tali atti,  e  con  riserva  di  proposizione  di  motivi
aggiunti avverso gli atti del procedimento, ivi comprese le  delibere
impugnate,  di  cui  ad  apposita  istanza  di  accesso  non   ancora
soddisfatta, deduce parte ricorrente i seguenti motivi di censura: 
    I - Illegittimita' derivata  per  incostituzionalita',  dell'art.
11, comma 8, della legge 4 marzo 2009  n.  15  per  violazione  degli
artt. 3, 97, 100, 103, 104  e  108  della  Costituzione.  Eccesso  di
potere in tutte le sue figure  sintomatiche  ed  in  particolare  per
irragionevolezza,  illogicita',   perplessita',   contraddittorieta',
travisamento,  erroneita'  dei  presupposti,  ingiustizia  manifesta.
Disparita' di trattamento, difetto di motivazione e sviamento. 
    Precisa parte ricorrente come con la delibera  del  20-21  aprile
2010,  con  cui  e'  stata  bandita  la  procedura  concorsuale   per
l'assegnazione del posto di funzione di Presidente della  Sezione  di
Controllo  sugli  Enti,  e'  stato  stabilito  di  applicare  a  tale
procedura i criteri relativi all'assegnazione di posti di funzione di
Presidente  di  Sezione  di  cui  al  Titolo  IV,   Capo   I,   della
deliberazione 121/CP/2009 del 18 marzo 2009, recante il  testo  unico
della deliberazione n. 92/CP/2002, coordinato  con  le  deliberazioni
nel  tempo  intervenute  in   materia   di   nomine,   promozioni   e
assegnazioni. 
    Nel richiamare,  in  particolare,  parte  ricorrente,  i  criteri
dettati  dall'art.  31  della   citata   delibera,   significa   come
l'assegnazione del posto di  funzione  di  Presidente  della  Sezione
Controllo Enti avviene, alla luce delle disposizioni applicabili alla
procedura concorsuale, a favore del candidato che abbia  ottenuto  il
punteggio  piu'  elevato  attribuito  sulla  base   del   curriculum,
dell'anzianita' di servizio, della carriera svolta all'interno  della
Corte dei conti e delle capacita' organizzative e professionali dallo
stesso dimostrate. 
    Avuto riguardo al profilo inerente l'attribuzione del  punteggio,
precisa il ricorrente che con delibera n. 241 del 28 luglio  2009  il
Consiglio di Presidenza della  Corte  dei  conti,  in  considerazione
della riduzione del numero dei componenti del  Consiglio  intervenuta
ai sensi dell'art. 11, comma 8, della legge 4 marzo 2009 n.  15  -che
ha ridotto da 10 a 4  il  numero  dei  componenti  del  Consiglio  di
Presidenza della Corte dei conti eletti dai  magistrati  della  Corte
dei conti, in  numero  pari  ai  membri  laici  -  ha  modificato  il
punteggio distrezionale previsto dall'art.  31,  comma  1,  lett.  c)
della delibera n. 121 del 18 marzo 2009, fissato in  punti  0,80  per
ciascun componente, elevandolo a punti 1,20. 
    Deduce,   quindi,   parte   ricorrente   l'illegittimita'   della
composizione del Consiglio di Presidenza della Corte dei  conti  come
delineato dalla citata novella  legislativa  per  incostituzionalita'
della norma  che  ne  ha  modificato  la  composizione,  determinando
l'equiparazione numerica tra  i  componenti  togati  con  conseguente
illegittimita' della gravata delibera di conferimento dell'incarico. 
    Al riguardo, afferma parte ricorrente che  la  Costituzione,  pur
non prevedendo per le magistrature speciali, contrariamente a  quanto
disposto  dall'art.  104  della  Costituzione  per  la   magistratura
ordinaria, una determinata composizione dell'organo  di  autogoverno,
lasciando la liberta' di scelta al legislatore, abbia comunque inteso
garantirne l'indipendenza, ricordando come la  Corte  costituzionale,
con la sentenza n. 87 del 2009, abbia sancito la piena  equiparazione
tra il Consiglio  Superiore  della.  Magistratura  e  gli  organi  di
autogoverno delle magistrature  speciali,  costituendo  il  principio
dell'indipendenza  dei  magistrati  un  principio  generale  posto  a
garanzia del  corretto  svolgimento  della  funzione  giurisdizionale
complessivamente intesa. Ricorda in proposito parte  ricorrente  come
questo Tribunale, con ordinanza n.  503  del  23  marzo  2010,  abbia
rimesso la questione di legittimita' costituzionale  della  norma  di
cui all'art. 11, comma 8, della legge  n.  11  del  2009  alla  Corte
costituzionale, riportandosi alle considerazioni ivi espresse. 
    Afferma dunque parte ricorrente come, dalla riduzione del  numero
dei componenti elettivi togati del Consiglio di  Presidenza,  fissato
in numero pari a quello dei componenti laici, discenda un pregiudizio
per l'imparzialita' ed indipendenza dell'organo di  autogoverno,  con
conseguenti riflessi sulla contestata procedura. 
    II - Illegittimita' derivata  per  incostituzionalita'  dell'art.
31, lettera c) della  deliberazione  n.  121  del  18  marzo  2009  e
successive modificazioni per violazione e  falsa  applicazione  degli
artt. 3 e 97 della Costituzione. Eccesso di potere in  tutte  le  sue
figure  sintomatiche  ed   in   particolare   per   irragionevolezza,
illogicita',    perplessita',    contraddittorieta',    travisamento,
erroneita' dei  presupposti,  ingiustizia  manifesta.  Disparita'  di
trattamento, difetto di motivazione. 
    Afferma parte ricorrente come  per  effetto  della  modifica  del
punteggio discrezionale attribuito a ciascun componente del Consiglio
di Presidenza della Corte dei conti, elevato da  0,80  punti  a  1,20
punti con delibera n. 241 del 28 luglio 2009 in considerazione  della
riduzione del numero dei componenti togati,  senza  apportare  alcuna
contestuale  modifica  al  punteggio  relativo  all'anzianita'  nelle
qualifica e a quello relativo  alla  professionalita'  specifica,  il
peso   del   giudizio   di   ogni   componente    sarebbe    divenuto
irragionevolmente piu' consistente, ai fini  dell'individuazione  del
candidato da nominarsi, a scapito del peso degli altri  criteri,  con
conseguente compromissione della natura concorsuale della procedura. 
    La modifica del punteggio attribuibile da ciascun componente  non
risponderebbe, peraltro,  secondo  parte  ricorrente,  ad  una  reale
esigenza di garantire l'equilibrio tra i criteri  indicati  dall'art.
31 della  delibera  n.  121  del  18  marzo  2009  -  e  segnatamente
l'anzianita' nella qualifica,  la  professionalita'  specifica  e  il
punteggio discrezionale - contestando la motivazione sottesa  a  tale
modifica,  che  muove  dalla  considerazione   dell'alterazione   del
rapporto proporzionale stabilito tra i criteri  precedentemente  alla
modifica della composizione del Consiglio di Presidenza, significando
in  proposito  l'assenza   di   indicazioni   circa   tale   rapporto
proporzionale  tra  le  tipologie   di   punteggio   e   la   mancata
predeterminazione di  un  punteggio  unico  complessivo  riferito  al
criterio discrezionale. 
    III -Illegittimita'. derivata per  incostituzionalita'  dell'art.
31, lettera c) della  deliberazione  n.  121  del  18  marzo  2009  e
successive modificazioni per violazione e  falsa  applicazione  degli
artt. 3 e 97 della Costituzione. Eccesso di potere in  tutte  le  sue
figure  sintomatiche  ed   in   particolare   per   irragionevolezza,
illogicita',    perplessita',    contraddittorieta',    travisamento,
erroneita' dei  presupposti,  ingiustizia  manifesta.  Disparita'  di
trattamento,  difetto  di  motivazione   e   sviamento,   illegittima
limitazione del punteggio attribuito alla professionalita' specifica. 
    Denuncia parte ricorrente l'incostituzionalita',  per  violazione
degli artt. 3 e 97 della Costituzione, dell'art. 31, lettera b) della
deliberazione n. 121 del 18  marzo  2009  nella  parte  in  cui,  con
riferimento alla professionalita' specifica,  prevede  l'attribuzione
di un massimo di 10 punti calcolati con riferimento  agli  ultimi  20
anni di carriera, con riconoscimento di 0,80 punti per  ogni  anno  o
frazione di anno superiore  a  sei  mesi  nell'area  nella  quale  si
colloca la funzione da assegnare, sostenendo parte ricorrente come il
tetto massimo del punteggio attribuibile per tale voce azzererebbe il
valore della professionalita', specifica acquisita  dopo  il  periodo
necessario a conseguire tale punteggio. 
    IV - Violazione e  falsa  applicazione  della  deliberazione  del
Consiglio di Presidenza della Corte dei conti prot. n. 241 del 2009 e
successive modificazioni e integrazioni. Eccesso di potere  in  tutte
le sue figure sintomatiche ed in  particolare  per  irragionevolezza,
illogicita',    perplessita',    contraddittorieta',    travisamento,
erroneita' dei  presupposti,  ingiustizia  manifesta.  Disparita'  di
trattamento,  difetto  di  motivazione   e   sviamento,   illegittima
limitazione del punteggio attribuito alla professionalita' specifica. 
    Afferma  parte  ricorrente  che  una  corretta  applicazione  dei
criteri fissati dall'art. 31 della delibera n. 121 del  2009  avrebbe
dovuto determinare il riconoscimento  della  propria  prevalenza  sul
controinteressato, in ragione delle risultanze emergenti dal  proprio
curriculum, di cui illustra i relativi elementi. 
    Con  ricorso  per  motivi  aggiunti,   proposti   successivamente
all'acquisizione, a  seguito  di  istanza  di  accesso,  del  verbale
dell'adunanza dei Consiglio  di  Presidenza  della  Corte  dei  conti
dell'11 maggio 2010 relativa all'audizione dei candidati ed all'esito
della procedura, rappresenta parte ricorrente  di  aver  ottenuto  il
punteggio complessivo  di  22,48  punti  a  fronte  dei  28,30  punti
attribuiti al controinteressato, rispetto al quale aveva ottenuto  un
maggior punteggio sulla base dei criteri automatici. 
    Avverso tale verbale deduce parte ricorrente i seguenti motivi di
censura: 
    I - Violazione  e  falsa  applicazione  dell'art.  31,  comma  1,
lettera c), della deliberazione n. 121 del 18 marzo 2009 della  Corte
dei conti. Violazione e falsa applicazione degli artt. 3 e  97  della
legge n. 241 del 1990 e successive modificazioni. Eccesso  di  potere
in  tutte  le  sue  figure  sintomatiche  ed   in   particolare   per
irragionevolezza,  illogicita',   perplessita',   contraddittorieta',
travisamento,  erroneita'  dei  presupposti,  ingiustizia  manifesta.
Disparita'  di  trattamento,  difetto  di  motivazione  e  sviamento,
illegittima    limitazione    del    punteggio    attribuito     alla
professionalita', specifica. 
    Denuncia parte ricorrente l'intervenuta  violazione  dei  criteri
fissati dall'art. 31, comma 1, lettera c), della deliberazione n. 121
del 18 marzo 2009 della  Corte  dei  conti,  per  l'attribuzione  del
punteggio discrezionale, significando come alcuni dei componenti  del
Consiglio di Presidenza - e segnatamente  i  componenti  Trancanella,
Caravita di Torino, Ferraci e Lentini - abbiano  attribuito  il  loro
voto al controinteressato Squitieri senza fornire alcuna motivazione,
neanche per relationem, con riferimento al curriculum  del  candidato
prescelto ed  alle  capacita'  organizzative  e  professionali  dello
stesso, laddove la citata disposizione prevede che venga espresso  un
giudizio motivato. 
    Lamenta,    altresi',    parte    ricorrente    l'erroneita'    e
contraddittorieta' delle motivazioni poste a  sostegno  del  voto  di
preferenza espresso a favore del controinteressato Squitieri da parte
degli altri componenti il Consiglio di Presidenza  -  e  segnatamente
dai componenti Manzella, Pandolfo, Ristuccia,  Lazzaro  -  in  quanto
basate su elementi, quali i  risultati  dell'audizione  e  l'avvenuto
svolgimento,  da  parte  del  controinteressato,   dell'incarico   di
Segretario Generale, asseritamente  estranei  a  quelli  che  debbono
essere  presi  in  considerazione  ai  sensi  della   disciplina   di
riferimento. 
    Contesta, inoltre, parte ricorrente le valutazioni  espresse  dal
Presidente Lazzaro in ordine al maggior numero di  anni  di  servizio
garantiti dal controinteressato  Squitieri  rispetto  al  ricorrente,
significando  come  ai  fini  della  partecipazione  alla   procedura
concorsuale de qua sia richiesto unicamente  un  residuo  periodo  di
permanenza in servizio di 18 mesi. 
    II - Violazione e falsa applicazione degli artt.  3  e  97  della
legge n. 241 del 1990 e successive modificazioni. Violazione e  falsa
applicazione dell'art. 31, comma 1, lettera c),  della  deliberazione
n. 121 del 18 marzo 2009 della Corte dei conti. Eccesso di potere  in
tutte  le   sue   figure   sintomatiche   ed   in   particolare   per
irragionevolezza,  illogicita',   perplessita',   contraddittorieta',
travisamento,  erroneita'  dei  presupposti,  ingiustizia  manifesta.
Disparita'  di  trattamento,  difetto  di  motivazione  e  sviamento,
illegittima    limitazione    del    punteggio    attribuito     alla
professionalita' specifica. 
    Contesta  parte  ricorrente  la  decisione   del   Consiglio   di
Presidenza di considerare non valutabili due  titoli  del  ricorrente
tardivamente documentati, affermando l'insussistenza di un  onere  di
loro   allegazione    per    essere    essi    gia'    in    possesso
dell'Amministrazione. 
    Si  e'  costituita  in  resistenza  l'intimata.   Amministrazione
sostenendo, con  articolate  controdeduzioni  e  successiva  memoria,
l'infondatezza del ricorso con richiesta di corrispondente pronuncia. 
    La resistente Amministrazione  ha,  in  particolare,  significato
come  la  questione  di  illegittimita'  costituzionale  della  norma
dettata dall'art. 11, comma 8, della legge n. 15 del 2009, analoga  a
quella  sollevata  da  parte  ricorrente,  e'   stata   dalla   Corte
costituzionale definita con sentenza  n.  16  del  13  gennaio  2011,
dichiarandola inammissibile. 
    Si e' costituito in giudizio  anche  il  controinteressato  Dott.
Squitieri,  sostenendo,  con   articolate   controdeduzioni   e   con
successiva memoria,  l'infondatezza  del  ricorso  con  richiesta  di
corrispondente pronuncia. 
    Con  memoria  successivamente  depositata  parte  ricorrente   ha
controdedotto a quanto ex adverso sostenuto, insistendo nelle proprie
deduzioni e ulteriormente argomentando. 
    Alla pubblica udienza del 22  giugno  2011,  la  causa  e'  stata
chiamata e, sentiti  i  difensori  delle  parti,  trattenuta  per  la
decisione, come da verbale. 
 
                               Diritto 
 
    Con il  ricorso  in  esame,  integrato  da  motivi  aggiunti,  e'
proposta azione impugnatoria avverso, innanzitutto, gli atti - meglio
descritti in epigrafe nei loro estremi -  concernenti  l'esito  della
procedura concorsuale, cui ha partecipato l'odierno  ricorrente,  per
la copertura del posto di funzione di  Presidente  della  Sezione  di
Controllo  sugli  Enti  della  Corte  dei   conti,   conclusasi   con
l'assegnazione del posto al Dott. Squitieri. 
    La proposta,  azione  impugnatoria  si  estende  alla  disciplina
consiliare  che  governa  la  procedura  di  assegnazione  dei  posti
funzione,  come   in   particolare   dettata   dall'art.   31   della
deliberazione del Consiglio di Presidenza della Corte  dei  conti  n.
121/CP/2009 del 18 marzo 2009, recante i criteri di  valutazione  dei
candidati, e dalla deliberazione prot. N. 241  del  28  luglio  2009,
recante la modifica del criterio di cui al citato art. 31,  comma  1,
lett. c) della  deliberazione  n.  121/CP/2009  del  18  marzo  2009,
concernente il  punteggio  discrezionale  il  quale,  precedentemente
fissato per ciascun componente nella misura di 0,80 punti,  e'  stato
innalzato a 1,20 punti quale conseguenza della riduzione  del  numero
dei componenti del Consiglio di  Presidenza  della  Corte  dei  conti
intervenuta per effetto dell'art. 11, comma 8, della  legge  4  marzo
2009 n. 15. 
    L'impianto ricorsuale, come delineato dalle censure proposte,  si
snoda innanzitutto attraverso la  denuncia  di  illegittimita'  della
composizione del Consiglio di Presidenza della  Corte  dei  conti  in
ragione della lamentata illegittimita' costituzionale  dell'art.  11,
comma 8, della legge 4 marzo 2009 n. 15 - recante delega  al  Governo
finalizzata  all'ottimizzazione  della   produttivita'   del   lavoro
pubblico  e   alla   efficienza   e   trasparenza   delle   pubbliche
amministrazioni  nonche'  disposizioni  integrative  delle   funzioni
attribuite al Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro  e  alla
Corte dei conti - che  ha  modificato  la  composizione  dell'organo,
individuandone i relativi membri nel Presidente della Corte,  che  lo
presiede, nel  Presidente  aggiunto,  nel  Procuratore  generale,  in
quattro rappresentanti del Parlamento eletti ai  sensi  dell'articolo
7, comma 1, lettera d),  della  legge  27  aprile  1982,  n.  186,  e
successive modificazioni, e dell'articolo 18, comma 3, della legge 21
luglio 2000, n. 205, e  in  quattro  magistrati  eletti  da  tutti  i
magistrati della Corte. 
    Con riferimento a tale modifica della composizione del  Consiglio
di Presidenza della Corte dei conti, che nel fissare  in  quattro  il
numero dei componenti eletti dai magistrati della Corte dei conti, ha
ridotto il numero precedentemente fissato in dieci componenti,  cosi'
stabilendo la parita'  numerica  tra  componenti  togati  eletti  dai
magistrati e componenti laici eletti  dal  Parlamento,  deduce  parte
ricorrente l'incostituzionalita' della norma  che  tale  modifica  ha
introdotto - id est il citato art. 11, comma 8, della legge  4  marzo
2009 n. 15 - per violazione degli artt. 3, 97, 100, 103,  104  e  108
della Costituzione, censurando sotto il profilo della  illegittimita'
derivata le gravate delibere di assegnazione del posto di funzione di
Presidente della Sezione di Controllo  sugli  Enti  della  Corte  dei
conti al Dott. Raffaele Squitieri. 
    Il Collegio - anticipando le conclusioni  che,  alla  luce  delle
considerazioni che si andranno ad esporre, intende trarre  -  ritiene
non manifestamente infondata la sollevata eccezione di illegittimita'
costituzionale della citata norma con  riferimento  agli  artt.  100,
101, 103 e 108, comma 2, della Costituzione, in relazione agli  artt.
3 e  104  della  Costituzione  e,  previo  positivo  riscontro  della
rilevanza della questione, ritiene di  dover  adottare  ordinanza  di
rimessione della questione alla Corte  costituzionale,  in  tal  modo
sollecitando nuovamente  il  vaglio  della  Consulta  la  quale,  con
sentenza n. 16 del 13 gennaio 2011, ha dichiarato inammissibile,  per
inammissibilita' del petitum, analoga questione, relativa alla citata
norma, sollevata da  questo  Tribunale  -  con  parzialmente  diversa
prospettazione - con ordinanza n. 503 del 2010. 
    Cio' posto, rileva il Collegio -  avuto  riguardo  alla  verifica
della    condizione    di    ammissibilita',    dell'incidente     di
costituzionalita', rappresentata dalla rilevanza della  questione  di
illegittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 8,  della  legge  4
marzo  2009  n.  15  in  quanto   strumentalmente   necessaria   alla
definizione del giudizio - come la  denunciata  illegittimita'  della
composizione del Consiglio di Presidenza della Corte dei conti,  come
asseritamente derivata dalla incostituzionalita' della norma  che  la
disciplina, si riflette, in  via  derivata  e  consequenziale,  sulla
legittimita' delle deliberazioni adottate, gravate con il ricorso  in
esame, in base alle quali il  controinteressato  Squitieri  e'  stato
preferito all'odierno ricorrente  per  l'assegnazione  del  posto  di
funzione di Presidente della Sezione di Controllo  sugli  Enti  della
Corte dei conti, in quanto adottate dal Consiglio di Presidenza nella
composizione ritenuta illegittima. 
    La rilevanza della questione  risiede  nella  considerazione  che
l'illegittimita' della composizione del Consiglio di Presidenza della
Corte  dei  conti,  come  derivante  dalla  ritenuta   illegittimita'
costituzionale della normativa vigente che stabilisce la  nomina  dei
relativi componenti, incide  in  modo  diretto  sull'esercizio  delle
funzioni allo stesso attribuite. 
    Va, dunque, positivamente riscontrata la sussistenza di una delle
condizioni  di  ammissibilita'  dell'incidente  di  costituzionalita'
della  norma  che  disciplina  la  composizione  del   Consiglio   di
presidenza, data la rilevanza che una questione siffatta  sicuramente
riveste nel corso di qualsivoglia giudizio in cui  si  discuta  della
regolarita' degli atti adottati da tale organo. 
    Inoltre,  laddove  venisse   accertata   l'illegittimita'   della
composizione del Consiglio di Presidenza della. Corte  dei  conti  in
ragione dell'eventuale illegittimita', costituzionale della norma che
tale composizione stabilisce, ne  conseguirebbe  l'invalidita'  degli
atti  adottati  dall'organo  viziato  nella  sua  composizione,   ivi
comprese le gravate delibere. 
    Cio'  in  applicazione  delle  ordinarie   regole   secondo   cui
l'illegittima composizione dell'organo deliberante  determina,  quale
conseguenza obiettiva e senza necessita' del riscontro, in  concreto,
di ulteriori profili di  illegittimita',  l'invalidita'  dell'operato
dell'organo,  conseguendo   da   cio'   l'annullamento   degli   atti
procedimentali adottati in tale composizione. 
    Cio' non senza segnalare le problematiche  inerenti  la  concreta
individuazione dello strumento decisionale che consenta alla Corte di
censurare la composizione prevista per  il  Consiglio  di  presidenza
senza ledere il principio di continuita'  dell'ordinamento  normativo
il quale, nel bilanciamento  dei  valori,  potrebbe  essere  ritenuto
prevalente sulle censure di illegittimita' costituzionale  -  potendo
manifestarsi l'esigenza di  limitare  gli  effetti  caducatori  della
pronuncia della Corte -  in  tal  modo  confliggendo  con  la  natura
incidentale del sindacato effettuato dal Giudice delle  leggi,  senza
comunque incidere sul riscontro del requisito della rilevanza. 
    In  disparte  la  questione  inerente  la  scelta  del   concreto
strumento con cui la Corte potrebbe aderire ai manifestati  dubbi  di
illegittimita' costituzionale della  norma,deve  osservarsi,  quindi,
sotto lo specifico  profilo  della  rilevanza  della  questione  deve
osservarsi che in ragione  della  portata  e  degli  effetti  di  una
eventuale  pronuncia  che  dichiari  l'illegittimita'  costituzionale
della  norma  in  questione  la  stessa  non  potrebbe  piu'  trovare
applicazione con  riferimento  ai  rapporti  pendenti  o  non  ancora
esauriti, quale quello di cui si controverte. 
    Alle    conseguenze     invalidanti     da     annettere     alla
incostituzionalita'  della  norma  che  disciplina  la   composizione
dell'organo,   che   nella   prospettazione   di   parte   ricorrente
determinerebbe l'illegittimita' delle gravate delibere,  va,  dunque,
ricondotta la  rilevanza  della  questione.  Inoltre,  nella  gradata
elaborazione logica delle  questioni  sollevate  con  il  ricorso  in
esame, riveste priorita' giuridica, oltre che logica, la  preliminare
disamina  dei  profili  inerenti  la  dedotta  illegittimita'   della
composizione  dell'organo  deliberante,  stante   l'incontrovertibile
portata   invalidante   dell'illegittima   composizione   dell'organo
collegiale rispetto agli atti da questo  adottati,  avente  carattere
assorbente rispetto ad ogni  altro  profilo  in  quanto  inerente  la
legittimita'  dello  stesso  esercizio  della   funzione   attribuita
all'organo deliberante. 
    Conduce, quindi, ad esito positivo la  verifica  in  ordine  alla
sussistenza di uno dei presupposti di ammissibilita' della  questione
incidentale della norma dettata dall'art. 11, comma 8, della legge  4
marzo 2009  n.  15  -  inerente  il  profilo  della  rilevanza  della
questione ai fini del decidere in ordine alla controversia in esame -
in quanto trattasi di norma strumentale alla definizione del giudizio
a quo, derivando dall'applicazione  di  tale  norma  la  composizione
dell'organo della cui legittimita' si discute, che si riflette in via
derivata sulle delibere impugnate, lesive dell'interesse  di  cui  il
ricorrente e' portatore. 
    Quanto all'ulteriore requisito di ammissibilita' dalla  questione
di illegittimita'  costituzionale,  costituito  dalla  non  manifesta
infondatezza della, stessa, il Collegio, come  anticipato  e  per  le
ragioni che si andranno ad esporre, nutre dubbi consistenti sulla non
conformita' della norma alla Costituzione, ritenendo conseguentemente
di  dover  sollecitare  l'intervento   della   Corte   costituzionale
affinche' risolva i  prospettati  dubbi  e  dirima  la  pregiudiziale
costituzionale. 
    Prima di procedere all'illustrazione delle  motivazioni  in  base
alle quali il Collegio ritiene la non  manifesta  infondatezza  della
questione, e' tuttavia necessario soffermarsi su talune  precisazioni
sollecitate dalla consapevolezza che analoga questione, con ordinanza
n. 503 del 23 marzo 2010, e' gia' stata sottoposta dalla  Sezione  al
vaglio della Corte costituzionale la quale, con la sentenza n. 16 del
13  gennaio  2011,  ha  dichiarato  la  questione  inammissibile  per
incertezza del petitum. 
    A fronte di una statuizione della  Corte  costituzionale  che  ha
definito con  una  pronuncia  di  rito  la  questione,  dichiarandola
inammissibile, permangono nel Collegio i dubbi in ordine  ai  profili
di  illegittimita'  costituzionale  della  norma,  il  che,  nel  non
consentire di risolvere tali dubbi in via  interpretativa  alla  luce
delle  indicazioni  recate  dalla  citata  sentenza,  costituisce  il
fondamento  della  attuale  decisione  di  rimettere  nuovamente   la
questione alla Consulta. 
    Invero, la Corte costituzionale ha affermato, nella  sentenza  n.
16 del 2011, che il rapporto numerico  tra  membri  togati  e  membri
laici del Consiglio di Presidenza della Corte dei conti  puo'  essere
variamente  fissato  dal  Legislatore  ordinario  nel  rispetto   del
principio  costituzionale   di   indipendenza   dei   giudici   delle
giurisdizioni speciali, affermando la necessita' della sussistenza di
un organo di garanzia  di  cui  facciano  necessariamente  parte  sia
componenti  eletti  dai  giudici  delle  singole  magistrature,   sia
componenti esterni di nomina parlamentare,  nel  bilanciamento  degli
interessi, costituzionalmente tutelati, in modo da evitare  tanto  la
dipendenza dei giudici dal potere politico, quanto la chiusura  degli
stessi in caste autoreferenziali, escludendo la percorribilita' delle
due soluzioni estreme al problema  delle  garanzie  istituzionali  di
indipendenza dei  giudici  delle  giurisdizioni  speciali  -  imposta
dall'art. 108  della  Costituzione  -  sintetizzabili,  l'una,  nella
integrale  estensione,  agli  organi  di  garanzia   delle   suddette
giurisdizioni, del  modello  previsto  dall'art.  104  Cost.  per  la
magistratura ordinaria e, l'altra, consistente nel ritenere del tutto
priva di vincoli finalistici la riserva di legge contenuta nel citato
art. 108, secondo comma, della Costituzione. 
    In tali statuizioni non rinviene il Collegio utili  elementi  che
consentano di delibare nel  senso  della  manifesta  infondatezza  in
ordine alla, prospettata questione di  illegittimita'  costituzionale
della norma di cui all'art. 11, comma 8, della legge 4 marzo 2009  n.
15, in base ai quali dirimere i relativi  dubbi  che  hanno  condotto
alla precedente rimessione della stessa alla Corte costituzionale. 
    Il  necessario   bilanciamento   degli   interessi   di   rilievo
costituzionale, segnalato dalla Consulta, appare invero connotato  da
profili di criticita' e di dubbia  compatibilita'  costituzionale  in
presenza della scelta legislativa di stabilire una  composizione  del
Consiglio di Presidenza numericamente uguale sia per i membri  eletti
in rappresentanza dei magistrati della Corte  dei  conti  sia  per  i
membri non togati eletti dal Parlamento. 
    Rispetto  a  tale  peculiarita'   numerica   della   composizione
dell'organo,  data,  dalla  parita'  delle  relative  componenti,  il
Collegio non riesce a trarre dalle statuizioni  rese  dalla  Consulta
indicazioni utili a dirimere i persistenti  dubbi  di  illegittimita'
costituzionale  della  norma,   avuto   particolare   riguardo   alla
compatibilita' della scelta  discrezionale  del  legislatore  con  il
principio di indipendenza  delle  magistrature  speciali,  presidiato
dall'art. 108, comma 2, della Costituzione. 
    Alle  ragioni  dianzi  illustrate  vanno  dunque  ricondotte   le
motivazioni sottese alla decisione di investire nuovamente  la  Corte
costituzionale della questione di illegittimita' costituzionale della
norma dettata dall'art. 11, comma 8, della legge 4 marzo 2009 n.  15,
emendando l'ordinanza di rimessione della questione  dai  profili  di
inammissibilita'  riscontrati   con   riferimento   alla   precedente
ordinanza della Sezione n. 503 del 2010. 
    Non  si  intende,  difatti,  con  il  riproporre  la   questione,
sollecitare da parte  della  Consulta  l'esercizio  di  una  funzione
sostitutiva del Legislatore ordinario, invadendo la  discrezionalita'
a questi riservata nell'attuazione della riserva di legge e,  quindi,
nella determinazione del numero dei  componenti  dell'organo,  ma  e'
indubbio che esista un limite di  compatibilita'  costituzionale  nel
rapporto numerico tra componenti laici e componenti togati  oltre  il
quale si determina un vulnus all'indipendenza dell'organo di garanzia
che non trova piu' giustificazione nella necessita' di  bilanciamento
dei contrapposti interessi identificati dalla Consulta nella sentenza
n. 16 del 2011. 
    E', dunque, con riferimento al rapporto numerico  tra  componenti
laici e componenti togati del Consiglio di Presidenza della Corte dei
conti, in concreto stabilito dal legislatore in pari  misura  con  la
norma di cui all'art. 11, comma 8, della legge 4 marzo  2009  n.  15,
che si profilano  i  dubbi  di  legittimita'  costituzionale  che  si
intendono sottoporre all'esame della Corte costituzionale, alla quale
si chiede di vagliare la conformita' alla Costituzione della concreta
scelta,   effettuata    dal    Legislatore    nell'esercizio    della
discrezionalita' allo stesso riconosciuta. 
    La questione sollecita, quindi, una pronuncia sulla  norma  della
cui legittimita' costituzionale si dubita, cosi' da escludere tra  le
soluzioni costituzionalmente compatibili, in caso di  positivo  esame
della questione, la soluzione adottata dal Legislatore della  parita'
numerica tra componenti togati e componenti  laici,  indirizzando  il
successivo esercizio  della  discrezionalita'  del  Legislatore  alla
stregua di affermazioni di principio, individuando,  con  riferimento
alla  prospettata  questione,  i  principi   essenziali,   cui   tale
discrezionalita' deve informarsi, senza  che  il  sollecitato  vaglio
costituzionale  si  estenda  alla  individuazione,  da  parte   della
Consulta, di un concreto rapporto numerico mediante adozione  di  una
sentenza additiva. 
    Una volta individuato il paradigma costituzionale  entro  cui  la
discrezionalita' del Legislatore puo'  legittimamente  estendersi  ed
eventualmente censurata, la concreta scelta effettuata, spettera'  al
Legislatore l'individuazione di soluzioni normative diverse, idonee a
rimuovere  il  denunciato  vizio  di   legittimita'   costituzionale,
conformi  ai  principi  dettati  dall'art.  108,   comma   2,   della
Costituzione. 
    Tanto  premesso,  ritiene  il  Collegio  che  la   questione   di
illegittimita' costituzionale della norma dettata dall'art. 11, comma
8, della legge 4 marzo 2009 n. 17 non sia  manifestamente  infondata,
apparendo in contrasto con gli artt. 100, 101, 103 e 108, comma 2, in
relazione agli artt. 3 e 104  della  Costituzione,  dovendo  pertanto
essa essere sottoposta al vaglio della. Corte Costituzionale  per  le
ragioni che si andranno ad illustrare e  sulla  base  del  quadro  di
riferimento delineato dalle norme di cui appresso. 
    L'art. 100, comma 2, della Costituzione, stabilisce che la  legge
assicura l'indipendenza della Corte dei conti e dei  suoi  componenti
di fronte al Governo. 
    L'art. 101, comma 1, della. Costituzione,  con  cui  si  apre  il
titolo IV della seconda parte  della  Costituzione,  afferma  che  la
giustizia e' amministrata in nome del popolo e  che  i  giudici  sono
soggetti soltanto alla legge. 
    L'art. 103 della Costituzione delinea il settore di giurisdizione
e le competenze del Consiglio  di  Stato  e  degli  altri  organi  di
giustizia amministrativa, della  Corte  dei  conti  e  dei  Tribunali
militari in tempo di pace. 
    L'art.  108,  comma  2,  stabilisce   che   la   legge   assicura
l'indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali. 
    L'art. 104 della  Costituzione  stabilisce  che  la  magistratura
costituisce un ordine autonomo e indipendente da ogni  altro  potere,
declinando   la   composizione   del   Consiglio   Superiore    della
Magistratura, presieduto dal Presidente della Repubblica, di cui sono
membri di diritto il primo Presidente e il Procuratore generale della
Corte di cassazione, mentre gli altri componenti sono eletti per  due
terzi da tutti i magistrati ordinari tra gli appartenenti alle  varie
categorie, e per  un  terzo  dal  Parlamento  in  seduta  comune  tra
professori ordinari di universita', in materie giuridiche ed avvocati
dopo quindici anni di esercizio. 
    Ai   fini   della   rimessione   della   questione   alla   Corte
costituzionale,   giova   preliminarmente   soffermarsi   su   alcune
riflessioni in ordine all'approdo dell'elaborazione, anche alla  luce
delle  pronunce  della  Corte  costituzionale,   della   problematica
inerente l'unitarieta' della giurisdizione quale  principio  sotteso,
ancorche' implicitamente, al dettato costituzionale,  che  nella  sua
piu' stringente accezione condurrebbe ad  una  reductio  ad  unitatem
delle diverse giurisdizioni sia da un punto di vista strutturale  che
procedimentale. 
    L'unitarieta' o unicita' della giurisdizione e' stata  variamente
declinata  quale  espressione  attinente  alla  organizzazione  degli
uffici  giurisdizionali  o  quale  concetto  relativo  alla  funzione
giurisdizionale. A tale principio di unitarieta'  si  contrappone  la
diversa concezione, ormai risalente e piuttosto isolata, che vuole la
Costituzione come informata alla pluralita' delle  giurisdizioni,  da
cui correlativamente la  conseguenza  argomentativa  secondo  cui  la
mancata previsione a livello costituzionale di istituti  di  garanzia
per le giurisdizioni speciali farebbe  si'  che  i  giudici  speciali
risultino necessariamente meno tutelati dei giudici ordinari. 
    La tematica sembra aver trovato sistemazione nel senso  di  dover
respingere una lettura «forte» del  principio  di  unitarieta'  della
giurisdizione nel senso della necessaria unificazione, strutturale  e
procedimentale,  delle  singole   giurisdizioni,   a   favore   della
configurazione di un sistema caratterizzato dalla  presenza  di  piu'
giurisdizioni, distinte fra loro  per  organizzazione,  competenze  e
poteri, ma  tutte  comunque  assistite  da  sufficienti  garanzie  di
indipendenza,  pena  il  venir  meno  dello  stesso  carattere  della
giurisdizionalita' della funzione. 
    Ne  discende   la   sostanziale   assimilazione   delle   diverse
magistrature a quella ordinaria per quel che riguarda,  innanzitutto,
lo stato giuridico e le garanzie di indipendenza, senza peraltro  che
si possa parlare di unicita' sostanziale delle giurisdizioni. 
    Giova, al riguardo, richiamare la sentenza n. 278 del  1987,  con
la quale la Corte ha espressamente riconosciuto che  «(...)  esistono
principi e valori, costituzionalmente  vincolanti,  che  attengono  a
tutte le giurisdizioni: ad esempio,  il  principio  dell'indipendenza
dei giudici vale per tutte le giurisdizioni ordinarie e speciali (per
queste ultime cfr. l'art. 108 comma 2 Cost.) (...). Tali principi non
attengono  alla  giurisdizione  ordinaria  ma  al   concetto   stesso
"generale"  di   giurisdizione:   sicche'   organi   o   procedimenti
disciplinati  in  violazione  dei  predetti  principi   non   possono
qualificarsi ne' ordinari ne' speciali in quanto,  ancor  prima,  non
costituiscono     organi     o     procedimenti      giurisdizionali.
Conseguentemente,   prevedere    il    superamento    delle    lacune
(eventualmente  esistenti  prima   dell'entrata   in   vigore   della
Costituzione) relative alla violazione dei principi  in  discussione,
non equivale a rendere ordinaria una magistratura speciale  bensi'  a
rendere costituzionale la medesima». 
    Analogamente, nella sentenza 1° marzo 1995 n. 71, a proposito del
divieto di istituire giudici speciali di cui all'art. 102  Cost.,  la
Corte esplicitamente ha sostenuto che la  disposizione  in  questione
«pur perseguendo il principio  di  unita'  della  giurisdizione,  che
riflette le garanzie di indipendenza proprie della magistratura e  si
combina  con  esse,   non   impone   l'unicita'   degli   organi   di
giurisdizione, ne' esclude che possano ancora permanere  giudici  non
regolati   dalle   norme   sull'ordinamento   giudiziario,   la   cui
indipendenza sia ugualmente assicurata» (art. 108)». 
    Dal sistema costituzionale emerge che la funzione giurisdizionale
e' unica, anche se ripartita tra  quattro  complessi  giurisdizionali
diversi. Il principio di unita' della giurisdizione  deve,  pertanto,
essere attuato garantendo l'unita' delle  garanzie,  sia  pure  nella
pluralita' dei complessi giurisdizionali. La  norma  di  chiusura  di
questo sistema di garanzie unitario  va  individuata  nell'art.  101,
comma 2, Cost., il quale, sancendo il principio  per  cui  i  giudici
sono  soggetti   soltanto   alla   legge,   rappresenta   il   valore
costituzionale su cui si fonda l'autonomia e indipendenza di tutti  i
soggetti chiamati ad esercitare la funzione giurisdizionale. 
    L'unita' delle garanzie va certamente  intesa  come  omologazione
dei risultati, nel  senso  della  necessita',  come  affermato  dalla
Consulta nella sentenza n. 16 del 2011, dell'esistenza di  un  organo
di garanzia che deve assicurare, qualunque sia la strutturazione  del
sistema  di  autogoverno,  l'indipendenza  delle  singole   compagini
giurisdizionali, essendo  piena  ed  assoluta  la,  loro  unita'  con
riferimento  all'indipendenza  che  da  tali  sistemi   deve   essere
assicurata. 
    In  tale  contesto,  l'autonomia  organizzativa  degli   apparati
giurisdizionali, che e' strumentale all'indipendenza  di  cui  devono
godere  coloro  che  sono  deputati  all'esercizio   della   funzione
giurisdizionale, richiede quindi necessariamente la istituzione di un
organo di autogoverno, come peraltro affermato dalla  Consulta  nella
sentenza n. 16 del 2011, con cio' affermando che  l'istituzione,  per
le diverse giurisdizioni speciali, di appositi organi di  autogoverno
o di garanzia, rappresenti una soluzione necessitata anche in assenza
di una specifica previsione costituzionale analoga a  quella  di  cui
all'art. 104 della Costituzione. 
    Ai  descritti  paradigmi  va  ricondotta  la  problematica  della
composizione dei Consigli di presidenza delle magistrature  speciali,
trattandosi di questione fondamentale non solo per la garanzia  della
autonomia delle magistrature dagli altri poteri dello Stato, ma anche
per la garanzia della indipendenza dei  singoli  giudici,  stante  la
stretta e profonda connessione tra tali aspetti, capaci  di  incidere
l'uno sull'altro sulla base di un rapporto di osmosi necessaria. 
    Ed invero, l'indipendenza della magistratura come ordine non puo'
credibilmente  essere  predicata   laddove   non   venga   assicurata
l'indipendenza dei singoli magistrati, altrimenti risolvendosi in  un
concetto astratto privo di reale  efficacia,  ancorato  a  concezioni
istituzionalistiche  della  magistratura  quale  ordine  autonomo   e
indipendente e ordinamento a se' stante, ed  inidoneo  ad  assicurare
l'esercizio imparziale della funzione giurisdizionale. 
    In ragione delle funzioni, delle attribuzioni e delle  competenze
degli organi c.d. di  autogoverno  delle  magistrature  -  ovvero  di
governo della magistratura mediante  adozione  di  atti  a  carattere
generale e astratto e di provvedimenti concreti, concernenti, tra gli
altri, l'organizzazione e la composizione degli uffici giudiziari, le
assegnazioni dei magistrati, i trasferimenti, le nomine e le sanzioni
disciplinari  -  il  funzionamento  di  tali   organi   deve   essere
disciplinato in modo da garantire sia  l'indipendenza  e  l'autonomia
dagli altri  poteri  della  magistratura  intesa  quale  ordine,  che
l'indipendenza dei singoli magistrati, potendo derivare intuitivi  ed
inevitabili condizionamenti nello svolgimento delle funzioni da parte
del singolo magistrato dalle  concrete  modalita'  di  esercizio  dei
poteri di competenza dei  Consigli  di  presidenza  (cosi'  come  dal
C.S.M.) in materia di aspettative di carriera, di trasferimenti o  di
sanzioni disciplinari (a tale ultimo proposito: Corte costituzionale,
sentenza n. 87 del  2009)  in  ragione  dei  riflessi  dell'attivita'
svolta, dagli organi di garanzia  sulle  prerogative  giudiziarie  di
ogni singolo magistrato e, dunque, sulla sua indipendenza. 
    Di particolare rilievo, ai fini  che  qui  interessano,  sono  le
considerazioni espresse dalla Consulta nella citata  sentenza  n.  87
del 2009 - con cui ha  sancito  l'illegittimita'  costituzionale  del
divieto posto ai magistrati amministrativi e contabili  di  avvalersi
di un avvocato di  fiducia  nel  procedimento  disciplinare  -  sulla
scorta dell'affermazione dell'indipendenza come carattere unitario di
tutti i giudici  ordinari  e  speciali,  configurando  l'indipendenza
della magistratura come principio unitario comune  e  indifferenziato
per tutti gli ordini giudiziari, sul fondamento giuridico individuato
nell'art. 104, che dispone che la magistratura costituisce un  ordine
autonomo e indipendente da ogni  altro  potere  »,  e  nell'art.  108
dispone che  la  legge  assicura  l'indipendenza  dei  giudici  delle
giurisdizioni speciali e che dunque reca il  precetto  costituzionale
che garantisce piena indipendenza anche ai giudici  amministrativi  e
contabili,  configurando  l'indipendenza  della   magistratura   come
principio unitario comune e  indifferenziato  per  tutti  gli  ordini
giudiziari e valore irrinunciabile. 
    Secondo  la.  Consulta,  la   Costituzione   distingue   tra   la
giurisdizione ordinaria e le giurisdizioni speciali  ma  detta  anche
norme generali sulla giurisdizione e sul processo, preoccupandosi  di
definire  le  garanzie  necessarie  al  corretto  svolgimento   della
funzione e, tra queste garanzie, vi e' quella  dell'indipendenza  dei
magistrati, che riguarda tanto la magistratura  ordinaria  quanto  le
giurisdizioni speciali. 
    Nell'omogenea  definizione  data  all'indipendenza  di  tutti   i
giudici, dunque, la Corte costituzionale, con la citata decisione  ha
affermato che l'unita' della giurisdizione rappresenta un  inequivoco
dato  insito   nell'ordinamento   pur   nella   conservazione   della
distinzione  oggettivo-funzionale  tra  giudici  ordinari  e  giudici
speciali, dovendo in tale prospettiva l'autogoverno  magistratuale  -
distintamente  regolato  all'interno  del  dettato  costituzionale  -
essere inteso non alla salvaguardia di interessi corporativi,  bensi'
alla   tutela   dell'indipendenza   del    potere    giurisdizionale,
distinguendosi tra loro, a norma della  costituzione,  i  magistrati,
tanto ordinari quanto  amministrativi,  soltanto  per  la  diversita'
delle funzioni giurisdizionali esercitate. 
    Deve, pertanto, darsi per acquisita  l'indipendenza  dei  giudici
speciali, esistenti all'interno dell'ordinamento giuridico  italiano,
in misura equivalente a quella dei giudici ordinari, come  desumibile
dal principio di indipendenza di tutta la magistratura, sulla  scorta
dell'insegnamento  della   Corte   costituzionale,   potendo   quindi
ritenersi consolidato e definitivamente chiarito l'assunto in base al
quale detta garanzia spetti  indistintamente  a  chiunque  appartenga
alla magistratura, essendo a tutti i giudici di ogni ordine  e  grado
dovuta pari indipendenza in quanto soggetti soltanto alla legge e non
ad autorita', poteri o influssi estranei. 
    Il riferito valore dell'indipendenza non puo' essere  promosso  o
compresso nel suo contenuto a seconda  della  tipologia  di  giudice,
perche' non sono configurabili diversi livelli di  indipendenza,  che
e' stata voluta dal Costituente per tutti i  magistrati,  ordinari  e
speciali, affinche' essi siano assoggettati  soltanto  alla  legge  e
lavorino affrancati dalle interferenze provenienti dagli altri poteri
e   dai   condizionamenti   derivanti   dall'interno    dell'apparato
giudiziario. 
    Nella descritta prospettiva - di garanzia dell'indipendenza della
magistratura  e  dei  singoli  magistrati  -   assume   decisivo   ed
imprescindibile rilievo la composizione dei consigli  di  presidenza,
dovendo in proposito osservarsi come, a fronte della comune  esigenza
di  garanzia  dell'indipendenza  delle  magistrature  e  dei  singoli
magistrati e del  possibile  vulnus  che  a  tale  indipendenza  puo'
derivare dalla configurazione e dal  funzionamento  degli  organi  di
autogoverno,   la   Carta    Costituzionale    abbia    espressamente
disciplinato, all'art. 104, unicamente l'organo di autogoverno  della
magistratura ordinaria, stabilendone la composizione e cosi'  ponendo
stringenti  limiti  al  Legislatore   ordinario,   laddove   per   le
magistrature speciali non ha disciplinato tale profilo,  rimettendolo
al Legislatore ordinario. 
    Se l'autonomia organizzativa degli  apparati  giurisdizionali  e'
strumentale sia alla loro indipendenza che a  quella  di  cui  devono
godere  coloro  che  sono  deputati  all'esercizio   della   funzione
giurisdizionale, la garanzia della  indipendenza  delle  magistrature
speciali e dei giudici che ne fanno parte, e' stata  affidata,  dagli
artt. 100, comma 3, e 108, comma 2, della Costituzione,  alla  legge,
la  quale  deve  «assicurare»  -  e  significativamente   la   scelta
dell'espressione «assicura», ribadita in  entrambe  le  disposizioni,
nella sua cogente valenza, richiama il  concetto  di  effettivita'  -
tale indipendenza,  ovvero  deve  predisporre  strumenti  adeguati  a
garantirla effettivamente. 
    Mentre, quindi, il  Consiglio  Superiore  della  Magistratura  e'
organo la cui composizione, durata e competenza  sono  fissate  dalla
Costituzione (articoli 104 e 105) ed  e'  presieduto  dal  Presidente
della  Repubblica,  recando  la   stessa   Costituzione   le   regole
concernenti  le  incompatibilita'  e  la  rieleggibilita'  dei   suoi
componenti, gli organi di garanzia  delle  altre  magistrature  sono,
invece, organi istituiti con legge ordinaria, in conformita' a quanto
stabilito nel secondo comma dell'art.  108  della  Costituzione,  che
vuole appunto che  l'indipendenza  dei  giudici  delle  giurisdizioni
speciali sia assicurata mediante le  previsioni  contenute  in  leggi
ordinarie. 
    La Costituzione, nel prevedere la necessita', sul piano  formale,
della fonte legislativa per  la  disciplina  dell'indipendenza  delle
magistrature speciali  e  lasciando  piena  liberta'  al  Legislatore
quanto al contenuto di  tale  disciplina,  ha  contestualmente  anche
previsto  che  la   legge   debba   effettivamente   garantire   tale
indipendenza, senza peraltro fornire un preciso modello al  quale  il
legislatore dovesse  uniformarsi,  unicamente  imponendo  il  vincolo
finalistico volto ad «assicurare» tale indipendenza. 
    La Costituzione prevede, quindi, che gli organi di garanzia delle
magistrature  siano   diversamente   disciplinati   e   distintamente
regolati, potendo  conseguentemente  l'interesse  pubblico  generale,
perseguito  dall'insieme  delle  norme  costituzionali  dettate   con
riferimento alla magistratura di  ogni  ordine  e  grado,  costituito
dall'indipendenza, essere attuato tramite differenti schemi e  moduli
organizzativi elaborati in connessione alle peculiari caratteristiche
delle singole giurisdizioni. 
    Il Legislatore puo'  quindi  articolare  diversamente  da  quanto
previsto  per  il  C.S.M.  gli  organi  di  garanzia  delle   singole
giurisdizioni,  non  trovando   l'uniformita'   organizzativa   rango
costituzionale,  ne'  costituendo  il  modello  del   C.S.M.   scelta
costituzionalmente obbligata,  non  incidendo  peraltro  la  relativa
diversita' degli  organi  di  garanzia,  di  per  se',  sul  precetto
costituzionale di indipendenza valevole  per  tutti  i  giudici,  la,
quale, per le magistrature speciali, deve essere tradotta  a  livello
di fonti primarie a condizione,  tuttavia,  che  siano  rispettati  i
principi costituzionali comuni. 
    Risulta,   quindi,   pienamente   compatibile    con    l'assetto
costituzionale il riconoscimento della, legittimita'  di  un  sistema
diversificato di garanzie a tutela  della  indipendenza  dei  giudici
speciali,  articolato  e  modulato  in  rapporto  alle   peculiarita'
ordinamentali delle diverse  giurisdizioni,  risultando  maggiormente
aderente al  dettato  costituzionale  la  lettura  del  principio  di
unitarieta'  della  giurisdizione  nel  senso  di  giurisdizioni  che
restano distinte quanto ad organizzazione degli uffici, a  competenze
e poteri. 
    L'assimilazione delle magistrature speciali  a  quella  ordinaria
riguarda le garanzie di  indipendenza  e  lo  status  giuridico,  con
conseguente assimilazione dal punto di vista funzionale, senza che da
cio'  possa  desumersi  la  necessaria   identita',   strutturale   e
l'omologazione dei rispettivi organi di  garanzia,  che  ben  possono
rispondere a distinti schemi organizzativi e ordinamentali. 
    Se l'istituzione di appositi organi di  autogoverno  rappresenta,
come detto, alla luce della recente pronuncia della  Consulta  n.  16
del 2011, una soluzione necessitata, e se a  fronte  dell'assenza  di
una specifica previsione analoga a quella di cui all'art.  104  della
Costituzione e' rimessa al Legislatore la scelta,  di  quale  modello
adottare, non puo' peraltro sfuggire al sindacato del  Giudice  delle
leggi la, disciplina concernente la composizione ed il  funzionamento
degli organi di garanzia, pur in assenza - e forse a maggior  ragione
stante tale assenza - del carattere di  prescrittivita'  del  modello
adottato per il C.S.M. e di stringenti vincoli per il Legislatore  di
ricalcare tale modello. 
    Difatti, se la disciplina legislativa dei sistemi di  autogoverno
o di garanzia delle magistrature non ordinarie puo'  discostarsi  dal
modello costituzionale di riferimento delineato dall'art.  104  della
Costituzione, e'  tuttavia  necessario  che  tale  discostamento  sia
ragionevole e che le differenze dal modello ritenuto dai  Costituenti
idoneo a garantire l'indipendenza della magistratura ordinaria  siano
giustificate dalla peculiarita' della giurisdizione,  ferma  restando
la necessita' che lo strumento organizzativo adottato risulti  idoneo
a garantire in  modo  adeguato  l'indipendenza  dei  giudici  cui  si
riferisce. L'architettura costituzionale impone, quindi, il sindacato
intrinseco  e  sostanziale  della.  Corte  sulla   congruita'   degli
strumenti prescelti dal Legislatore rispetto al fine da realizzare. 
    Solo in presenza di piu' soluzioni tutte idonee  a  garantire  il
perseguimento   di   tale   fine   deve   essere   fatta   salva   la
discrezionalita' del Legislatore, ad esso non potendosi sostituire la
Corte costituzionale con il suo sindacato, cosi' come affermato dalla
stessa Corte nelle ordinanze n. 377  del  1998  e  n.  161  del  1999
proprio in relazione  a  questioni  di  legittimita'  costituzionale,
dichiarate  inammissibili,  sollevate  circa  la   composizione   del
Consiglio di Presidenza della giustizia amministrativa. 
    La posizione della Corte espressa nelle citate pronunce  consente
di  affermare  che  l'assetto  degli   organi   di   garanzia   delle
magistrature speciali  si  presta  ad  essere  disciplinato  in  modi
diversi,  con  i  consueti  limiti   della   ragionevolezza   e   non
arbitrarieta', dovendo la  scelta  trovare  adeguata  giustificazione
nella  peculiarita'  dell'ordinamento   giurisdizionale   ed   essere
comunque idonea a garantire l'indipendenza sia  dell'ordine  nel  suo
complesso, che dei singoli componenti, da affiancare all'indipendenza
funzionale  assicurata   dall'inamovibilita',   dall'irrevocabilita',
dall'assenza di vincoli gerarchici, ecc. 
    L'intervento della Consulta  va  quindi  sollecitato  laddove  la
scelta  del  Legislatore  non   appaia   in   grado   di   assicurare
l'indipendenza della magistratura speciale, dovendo  conseguentemente
tale  scelta   essere   sottoposta   al   vaglio   di   legittimita',
costituzionale,  altrimenti  traducendosi  la  discrezionalita'   del
Legislatore in liberta' assoluta ed arbitrio,  esautorando  la  Corte
costituzionale  del  sindacato  sulla  congruita'  delle  scelte  del
Legislatore rispetto al fine posto dalla Costituzione  di  assicurare
l'indipendenza dei giudici speciali. 
    La Corte peraltro, ha in passato dichiarato fondata  la  relativa
questione sia a proposito della precedente composizione del Consiglio
di presidenza della Corte dei conti che  della  mancata  costituzione
dell'organo  di  autogoverno  della  magistratura  militare  (C.cost.
sentenze n. 230 del 1987 e 266 del 1988). 
    Il sindacato di costituzionalita' sulla congruita'  delle  scelte
del Legislatore ordinario rispetto al perseguimento  del  fine  posto
dalla Costituzione  pone  dunque,  in  concreto,  il  problema  della
individuazione  dei  parametri  ai  quali  far  riferimento   e,   in
particolare, se ed entro quali limiti  la  disciplina  costituzionale
della magistratura ordinaria e del suo organo  di  autogoverno  possa
costituire un punto di riferimento a questi fini. 
    Al riguardo, riprendendo le considerazioni gia' accennate, sembra
potersi affermare che, a differenza di quanto  avviene  in  relazione
alla indipendenza funzionale (concernente l'esercizio concreto  della
giurisdizione da parte dei singoli magistrati, che si  traduce  nella
loro sottrazione a qualsiasi vincolo o prescrizione di attivita'  che
non derivi  direttamente  dalla  legge)  non  esistano,  quanto  alla
costituzione degli organi  di  garanzia  delle  magistrature,  scelte
costituzionalmente obbligate da porre a presidio  della  indipendenza
istituzionale (attinente cioe' alla organizzazione della magistratura
che risulti idonea a porre il giudice nelle condizioni di  esercitare
liberamente le proprie funzioni), a differenza di quanto avviene  per
la magistratura ordinaria. 
    Come affermato dalla Corte costituzionale nella sentenza  n.  266
del 1988, la  Costituzione,  mentre  per  la  magistratura  ordinaria
prevede espressamente il  Consiglio  superiore,  disciplinandone,  in
maniera specifica (art. 104) la  composizione,  rimette,  invece,  al
Legislatore  ordinario  (art.  108)  l'assicurazione  delle  garanzie
d'indipendenza   dei   magistrati   delle   giurisdizioni   speciali,
spettando, pertanto, alla legge di provvedere in ordine alle predette
garanzie,  segnalando  come  «ove  la  Costituzione   avesse   inteso
"rimettere" al  Consiglio  superiore  previsto  dall'art.  104  anche
l'autogoverno dei magistrati delle giurisdizioni speciali,  l'avrebbe
espressamente dichiarato» ed osservando altresi' che il secondo comma
dell'art. 108 Cost. impone alla legge d'assicurare  l'indipendenza  a
tutti i magistrati delle giurisdizioni speciali senza  sottoporre  ad
alcuna condizione l'assicurazione delle predette, oggettive  garanzie
d'indipendenza. 
    Segnalando, tuttavia, che «quali che siano i riflessi,  "in  foro
interno", nel giudicante, della carenza di reali, oggettive  garanzie
d'indipendenza, le medesime, appunto perche'  "garanzie",  valgono  a
prevenire attacchi all'autonomia ed indipendenza dell'esercizio delle
funzioni giudiziarie e, comunque, non sono condizionate,  nella  loro
attuazione, alla concreta esistenza di  specifiche  aggressioni  alle
predette autonomia ed  indipendenza»  essendo  l'indipendenza  «forma
mentale, costume, coscienza d'un'entita' professionale,  non  e'  men
vero che, in mancanza di adeguate, sostanziali garanzie,  essa,  come
e' stato rilevato, degrada a velleitaria aspirazione.» 
    Tra le garanzie assicurate dalla Costituzione alle  magistrature,
necessarie al corretto  svolgimento  della  funzione,  vi  e'  quello
dell'indipendenza dei magistrati,  declinata  dall'art.  104  per  la
magistratura ordinaria e dall'art. 108 per le magistrature speciali. 
    Ferma la non vincolativita' del modello delineato  dall'art.  104
ai fini della istituzione e conformazione degli  organi  di  garanzia
delle magistrature speciali - in quanto non  evincibile  dal  dettato
costituzionale  ed  in  potenziale  conflitto  con  il  solo  vincolo
finalistico imposto dall'art. 108 della Costituzione,  il  quale  non
reca indicazioni ordinamentali e organizzative,  con  la  conseguenza
che annettere carattere prescrittivo  al  modello  delineato  per  il
C.S.M. si tradurrebbe altresi'  in  una  non  consentita  limitazione
della discrezionalita' attribuita da tale disposizione al Legislatore
- e richiamata la  necessita'  del  vaglio  di  costituzionalita'  in
ordine alla  congruita'  delle  scelte  in  concreto  effettuate  dal
Legislatore,  l'individuazione  dei  parametri  di  riferimento   cui
ricondurre il  vaglio  di  legittimita'  costituzionale  della  norma
dettata dall'art. 11, comma 8, della legge  n.  15  del  2009,  avuto
riguardo alla  prevista  composizione  paritaria  tra  la  componente
togata e quella, laica, deve prendere  le  mosse  dalla  ricognizione
delle ragioni sottese alla presenza di membri laici negli  organi  di
garanzia.  In  tale  direzione   deve   osservarsi   come   in   seno
all'Assemblea costituente, a  proposito  della  composizione  che  si
andava delineando per il Consiglio superiore della  magistratura,  fu
rilevato  che  l'istituzione  di  un  organo  di  autogoverno   della
magistratura  ordinaria  aveva  lo  scopo  di  sganciare  il   potere
giudiziario dagli altri poteri dello  Stato,  per  evitare  qualsiasi
ingerenza, ma anche e nello stesso tempo di impedire  il  crearsi  di
una casta chiusa della magistratura, cioe' di un  ordine  insensibile
alle esigenze sociali o di un corpo chiuso ad  ogni  influenza  della
volonta' popolare, con cio' manifestando  il  timore  che  un  organo
formato unicamente da magistrati potesse determinare la degenerazione
della magistratura da ordine autonomo ed indipendente ad  ordinamento
chiuso e corporativo  che  ha  rappresentato  uno  dei  motivi  della
configurazione del Consiglio superiore  della  magistratura  come  un
organo a struttura mista o composita, giungendo a  prevedere  che  un
terzo della componente  elettiva  del  collegio  venisse  scelta  dal
Parlamento  in  seduta  comune  nell'ambito   di   alcune   categorie
professionali   di   cittadini,   espressamente   e    tassativamente
individuate nell'art. 104, comma 4, della Costituzione. 
    Tale composizione mista  si  raccorda  con  una  delle  possibili
letture dell'art. 101, comma 1, della Costituzione, con cui  si  apre
il titolo IV della seconda parte della Costituzione -  ai  sensi  del
quale «la giustizia  e'  amministrata  in  nome  del  popolo»  -  che
suggerisce una stretta connessione tra sovranita' popolare e funzione
giurisdizionale, cosicche' uno dei tanti coronari che possono  essere
desunti  dal  principio  enunciato  nell'art.  101,  comma  1,  della
Costituzione si identifica con l'esigenza, precisa ed irrinunciabile,
di evitare che gli organi di autogoverno delle  diverse  magistrature
possano assumere un ruolo di rappresentanza meramente corporativa del
rispettivo ordine giudiziario determinandone il  relativo  isolamento
in assenza di un  legame,  sia  pure  indiretto,  con  la  sovranita'
popolare. 
    La composizione del Consiglio superiore della magistratura, cosi'
come  delineata  dall'art.  104,   comma   4,   della   Costituzione,
rappresenta  quindi  il  punto  di  equilibrio  tra  i  due  principi
(potenzialmente in tensione) che sono sanciti dagli artt. 101,  comma
1, e 104, comma 1, della Costituzione. 
    Se, pertanto, nel disegno elaborato dall'Assemblea costituente il
principio di autonomia e  di  indipendenza  della  magistratura  deve
raccordarsi con il principio di sovranita' popolare, tale momento  di
raccordo tra i due principi in questione viene poi individuato -  per
quel che concerne la composizione dell'organo  di  autogoverno  della
magistratura ordinaria - in un assetto di tale collegio che, se da un
lato tiene conto  delle  istanze  ricollegabili  alla  necessita'  di
assicurare   l'autonomia    dell'ordine    giudiziario    e    quindi
l'indipendenza  del  singolo  giudice,  dall'altro,   tuttavia,   non
trascura - ma anzi sottolinea - un'altra esigenza, che e'  quella  di
realizzare gli opportuni collegamenti tra la magistratura e gli altri
poteri  dello  Stato,  allo  scopo  precipuo  ed  imprescindibile  di
impedire che l'autonomia dell'ordine si  trasformi  in  isolamento  o
separatezza. 
    La presenza dei laici designati dal Parlamento assicura una  voce
alla sensibilita' della societa' civile, e  rappresenta,  quindi,  in
quest'ottica, una presenza irrinunciabile, in quanto  garantisce  una
significativa  continuita'   tra   governo   della   magistratura   e
istituzioni rappresentative della sovranita' popolare. 
    Poste tali precisazioni  in  ordine  alle  ragioni  sottese  alla
presenza  di  componenti  laici   nel   Consiglio   Superiore   della
Magistratura,   e   precisato   come   tale   soluzione    non    sia
costituzionalmente  obbligatoria  per  le  altre  magistrature,   non
essendovi  per   esse   analoghe   espresse   previsioni,   l'opzione
legislativa  per  la  composizione  mista  deve  tuttavia   ritenersi
aderente  allo  spirito  costituzionale,  e  pur  avendo   la   Corte
costituzionale, con le ricordate ordinanze n. 161 del 1999 e  n.  377
del  1998  dichiarato  l'inammissibilita'  delle  relative  questioni
sollevate con riferimento al Consiglio di presidenza della  Giustizia
Amministrativa, ricordando che i problemi  di  struttura  dell'organo
vanno apprezzati nell'ambito dell'intero  sistema,  quale  risultante
dei  diversi  elementi  che  in  esso  intervengono  e  fra  loro  si
combinano, nella sentenza  n.  16  del  2011  la  Corte  ha  altresi'
affermato che, ferma la necessita' della sussistenza di un organo  di
garanzia  per  le  giurisdizioni  speciali,  di  tali  organi  devono
necessariamente far parte sia componenti  eletti  dai  giudici  delle
singole magistrature, sia componenti esterni di nomina  parlamentare,
nel bilanciamento degli interessi,  costituzionalmente  tutelati,  al
fine di «evitare tanto la dipendenza dei giudici dal potere politico,
quanto la chiusura degli stessi in "caste autoreferenziali",  potendo
il rapporto numerico tra membri "togati" e membri "laici", di  nomina
parlamentare, essere variamente fissato dal Legislatore». Ricostruite
le ragioni della presenza di membri laici all'interno degli organi di
garanzia e la valenza, sotto il profilo costituzionale, da annettersi
a  tale  presenza,   l'indagine   deve   quindi   indirizzarsi   alla
ricognizione delle ragioni sottese  alla  presenza  della  componente
togata elettiva, la quale va posta  in  diretta  connessione  con  la
natura  di  tali  organi,  cui  e'  immanente  il   carattere   della
rappresentativita', dei magistrati appartenenti al  relativo  ordine,
coerentemente con la natura, anche di autogoverno, insita, nel  fatto
di essere anche chiamati ad adottare provvedimenti amministrativi sia
generali  che  particolari  nei  confronti  degli  appartenenti  alla
giurisdizione. 
    A tali organi, che assicurano l'indipendenza  della  magistratura
attraverso la garanzia della sua autonomia ed  indipendenza  da  ogni
altro   potere,   sono   difatti   naturalmente   devolute   funzioni
riconducibili nella nozione di  autogoverno,  che  si  traducono  nel
potere di adottare atti di organizzazione e composizione degli uffici
giudiziari, di indirizzo della  politica  giudiziaria,  di  decisione
sullo   status   dei   magistrati   quali    assegnazioni,    nomine,
trasferimenti. 
    Gli organi di garanzia o di autogoverno rispondono allo scopo  di
assicurare l'indipendenza riconosciuta a tutte le  giurisdizioni,  in
virtu' del legame di stretta  connessione  tra  la  disciplina  delle
garanzie assicurate ai giudici e gli organi  istituiti  per  la  loro
applicazione,  delineandosi  al   riguardo,   nell'ampia   concezione
dell'indipendenza   del   potere   giurisdizionale,    due    aspetti
fondamentali, l'uno funzionale, che  esclude  la  subordinazione  del
giudice ad altri poteri e ne  limita  la  soggezione  alla  legge,  e
l'altro organizzativo, che e' senza dubbio  strumentale  rispetto  al
primo. 
    Alla garanzia di indipendenza che tali organi  devono  assolvere,
accede  la  presenza  al  loro  interno  dei   rappresentanti   degli
appartenenti al relativo ordine. 
    Tale presenza, come evidenziato dalla Corte costituzionale  nella
sentenza  n.  16  del  2011,  risponde  all'esigenza  di  evitare  la
dipendenza dei giudici dal potere politico. 
    Dalle precedenti considerazioni  possono,  dunque,  trarsi  delle
prime riflessioni in ordine al fondamento  costituzionale  delle  due
diverse componenti degli organi di garanzia, dovendo  affermarsi  che
mentre la presenza della componente  togata  elettiva  trova  diretto
fondamento  nel  principio  di   indipendenza   delle   magistrature,
espressamente affermato dalla Costituzione all'art. 108, comma 2,  la
presenza della componente laica trova un fondamento piu'  mediato  ed
indiretto, di cui sopra si e' dato atto. 
    Ne discende che  la  diretta  connessione  della  presenza  della
componente togata elettiva negli organi di garanzia con il  principio
dell'indipendenza delle magistrature - essendo tale presenza  diretta
derivazione di tale  principio  -  rende  la  tematica  del  relativo
rapporto numerico  rispetto  alla  componente  laica  di  particolare
rilievo  e  delicatezza,  posto  che   un   rapporto   numerico   che
oltrepassasse il limite di ragionevolezza vulnerando il principio  di
indipendenza della magistratura si porrebbe in  insanabile  contrasto
con l'architettura costituzionale. 
    Sulla base degli indicati fondamenti costituzionali sottesi  alla
presenza della componente togata e della componente laica, mentre non
sembrano potersi ravvisare profili di illegittimita' costituzionale a
fronte della eventuale previsione di una  ridotta  componente  laica,
trovando le istanze cui  tale  presenza  risponde  adeguata  risposta
nella mera previsione di tale  componente,  indifferente  essendo  la
relativa  consistenza  numerica,  non  altrettanto  e'  a  dirsi  con
riferimento alla componente elettiva togata,  cui  va  ricondotta  la
stessa rappresentativita' dell'organo di garanzia nonche' la garanzia
dell'autonomia e dell'indipendenza della magistratura. 
    E' invero indubbio che una forte presenza della componente laica,
posta in relazione alla consistenza numerica della componente togata,
risulterebbe   esorbitante   rispetto   all'esigenza    di    evitare
l'isolamento della magistratura  e  garantirne  il  raccordo  con  il
principio di sovranita' popolare, intaccandone e  pregiudicandone  la
relativa indipendenza. 
    Tale carattere esorbitante rispetto allo scopo e' ravvisabile con
riferimento  alla  previsione  della   composizione   paritaria   tra
componenti  elettivi  togati  e  componenti  eletti  dal   Parlamento
all'interno del  Consiglio  di  Presidenza  della  Corte  dei  Conti,
prevista dall'art. 11, comma 8, della legge n. 15 del 2009. 
    Attraverso tale composizione paritaria, viene  difatti  tributato
analogo  peso  -   con   cio'   compromettendolo   -   al   principio
costituzionale di indipendenza della magistratura, come assicurato in
modo  privilegiato  dall'organo  di  garanzia   attraverso   la   sua
componente togata, e  a  quello  di  apertura  della  magistratura  a
istanza esterne evitandone la chiusura in una  casta  autorefenziale,
traducendo  il  bilanciamento  degli   interessi   costituzionalmente
tutelati - seppur, come accennato, in misura diversa -  a  favore  di
quello che risulta essere il  piu'  mediato  e  debole,  per  la  cui
soddisfazione e' sufficiente la mera previsione della presenza  della
componente  laica,  laddove  il  principio  di   indipendenza   della
magistratura  richiede  che  la  stessa  sia  sottratta  a  possibili
influenze derivanti dall'esterno, attraverso un sistema organizzativo
- che si pone in rapporto di necessaria strumentalita' rispetto  alla
garanzia di indipendenza - che  assuma  il  ruolo  di  rappresentanza
degli appartenenti all'ordine giurisdizionale.  Ed  infatti  discende
dal principio dell'indipendenza ed autonomia  della  magistratura  la
necessita' che  l'organo  di  garanzia  sia  prioritaria  espressione
dell'ordine di appartenenza, il quale trova la propria rappresentanza
nell'organo di  autogoverno  attraverso  i  componenti  dallo  stesso
eletti. 
    Cio' sulla base del passaggio logico sistematico secondo  cui  la
soggezione dei giudici soltanto alla  legge,  di  cui  all'art.  101,
comma 2,  della  Costituzione  implica  la  loro  autonomia,  che  e'
presupposto tipico ed imprescindibile della  loro  indipendenza,  che
costituisce  a  suo  volta  il  referente   normativo   centrale   di
un'interpretazione sistematica dell'assetto che deve essere assegnato
all'organo di garanzia, rispetto  al  quale  il  ruolo  assegnato  ai
componenti elettivi togati riveste ruolo indefettibile  nella  misura
in  cui  garantisce  la  reale  autonomia  dell'organo  e  l'adeguata
rappresentativita' dell'ordine di riferimento, rispetto al  quale  la
norma della cui legittimita' costituzionale si  dubita  si  discosta,
apparendo  rispondere  ad  una  logica  non  aderente  agli  indicati
paradigmi di riferimento. 
    La soluzione legislativa favorevole  alla  parita'  numerica  tra
componenti laici e componenti togati risulta invero essere, oltre che
eccedente  rispetto  alle  finalita'  sottese   alla   presenza   dei
componenti laici nell'organo di garanzia,  senza  che  cio'  risponda
ragionevolmente  ad  alcuna  ulteriore  esigenza  -  non   risultando
giustificata dalle peculiarita' della giurisdizione  in  questione  -
idonea  altresi'  a   creare   un   vulnus   all'indipendenza   della
magistratura, non garantendo in modo adeguato la sua  sottrazione  ad
influenze esterne. 
    Il modello delineato dalla  norma  sospettata  di  illegittimita'
costituzionale, oltre a  porsi  in  contrasto  con  il  principio  di
indipendenza della magistratura, non appare  inoltre  rispettoso  del
canone   di   ragionevolezza,   non   sussistendo   valide   ragioni,
costituzionalmente compatibili, che a fronte dell'immanente principio
dell'indipendenza della magistratura e dei singoli giudici releghi la
rappresentativita' di questi ad una consistenza numerica  identica  a
quella accordata ai membri laici, oltrepassando quei requisiti minimi
di indipendenza dei giudici speciali che la Costituzione  garantisce,
che  non  possono  essere  disattesi  in   ragione   della   generica
affermazione di indipendenza contenuta nell'art. 108,  che  opera  un
totale rinvio alla discrezionalita' del  Legislatore  in  materia  di
indipendenza dei giudici diversi dall'ordinario, dovendo in proposito
rilevarsi che, sulla base dell'analisi lessicale dell'art. 108, comma
2, della. Costituzione, il Legislatore e' chiamato ad «assicurare»  -
e non, semplicemente, a regolare o disciplinare - l'indipendenza  dei
giudici delle giurisdizioni speciali. 
    La   terminologia   utilizzata   dal   Costituente,   nella   sua
perentorieta'  inconsueta,   segna   quindi   precisi   limiti   alla
discrezionalita' del Legislatore, per  cui,  seppur  allo  stesso  e'
rimessa la fissazione del  rapporto  numerico  tra  membri  togati  e
membri laici di nomina parlamentare (sentenza n. 16 del 2011 citata),
tale discrezionalita' deve muoversi entro confini  ben  precisi,  nel
rispetto dei requisiti minimi  ed  imprescindibili  dell'indipendenza
dei giudici speciali, con la conseguenza che l'attuazione legislativa
del  canone   dell'indipendenza   dei   giudici   non   ordinari   e'
sostanzialmente libera nella individuazione dei moduli  realizzativi,
ma vincolata nei suoi  contenuti  ad  alcuni  fondamentali  parametri
costituzionali, tra cui il carattere necessariamente prevalente della
componente  elettiva  togata,  in  quanto  unica  misura  idonea   ad
assicurare il precetto dell'indipendenza  della  magistratura  ed  il
carattere  di  rappresentativita'  dell'organo  di  garanzia   e   di
autogoverno. 
    Se, difatti, dalla Costituzione non puo' evincersi la  necessaria
identita' strutturale tra il C.S.M. e gli organi  di  garanzia  delle
altre giurisdizioni, dovendo riconoscersi l'ammissibilita' di sistemi
organizzativi diversificati di garanzia  a  tutela  dell'indipendenza
dei  giudici  speciali,  articolato  e  delineato  in  rapporto  alle
peculiarita' ordinamentali delle diverse giurisdizioni, possono dalla
Costituzione evincersi precisi vincoli all'esercizio  della  prevista
riserva di legge in ragione della predeterminazione dei  criteri  che
risultano,   secondo   il   Costituente,   idonei    ad    assicurare
l'indipendenza della magistratura. Non  vi  e'  dubbio  che  uno  dei
principali problemi interpretativi  cui  ha  dato  luogo  la  lettura
dell'art. 108, comma 2, della  Costituzione  consiste  proprio  nello
stabilire quale sia il grado  di  discrezionalita'  che  deve  essere
attribuito al Legislatore ordinario nell'attuazione della riserva  di
legge  ivi  prevista,  in  base  alla  quale   l'individuazione   dei
meccanismi concreti volti  a  garantire  l'indipendenza  dei  giudici
delle giurisdizioni speciali e' operazione  che  viene  semplicemente
rinviata, dalla Costituzione, alla legge ordinaria, secondo un'ottica
complessiva in  cui  il  potere  di  scelta  dell'organo  legislativo
incontra  l'unico  limite   di   preservare   requisiti   minimi   di
indipendenza dei giudici speciali. 
    Il compito rimesso al  giudice  a  quo,  e  di  conseguenza  alla
Consulta, e' dunque quello  di  individuare  tali  requisiti  minimi,
anche attraverso la verifica della  possibilita'  di  enucleare,  dal
modello tratteggiato per il C.S.M.,  degli  elementi  essenziali  dai
quali gli organi di garanzia delle magistrature speciali non  possono
prescindere, quale  alternativa  all'opzione  interpretativa  di  una
assoluta  liberta'  di  scelta  del  Legislatore   in   ordine   alla
composizione dell'organo di garanzia, segnatamente con riferimento al
rapporto numerico tra i suoi membri,  che  involge  il  modo  in  cui
vengono tradotti nella composizione  dei  consigli  di  presidenza  i
principi di  indipendenza  della  magistratura,  da  un  lato,  e  di
necessario coordinamento di  tali  organi  con  la  societa'  civile,
dall'altro. 
    Occorre, quindi, stabilire un punto di equilibrio oltre il  quale
non si ha piu' quel corretto bilanciamento  degli  interessi  che  la
Consulta ha affermato come necessario nella sentenza n. 16 del  1011,
ma l'espansione di uno di tali interessi a danno dell'altro,  dovendo
individuarsi il limite oltre il quale il principio  di  indipendenza,
come tradotto dalla consistenza della componente elettiva togata, non
puo' essere piu' ulteriormente «negoziato» a favore dell'esigenza  di
evitare la chiusura in caste autorefenziali dei giudici. 
    In  proposito,  occorre  rilevare  che  nel   bilanciamento   dei
contrapposti interessi non puo' difatti prescindersi dal  considerare
che il  principio  di  indipendenza  della  magistratura  costituisce
principio costituzionale espresso, di natura non cedevole  di  fronte
ad un principio implicito  o  non  espresso  e  di  indubbia  portata
precettiva. 
    Escluso, come dianzi accennato, che il  modello  dettato  per  il
C.S.M.  costituisca  una  soluzione   costituzionalmente   obbligata,
dovendo in proposito riconoscersi  un  margine  di  discrezionalita',
costituzionalmente  accordato,  del  Legislatore,   la   scelta   del
Costituente di rinviare al legislatore ordinario la  previsione  piu'
specifica delle garanzie di indipendenza  dei  giudici  speciali  non
contiene in se', come sopra illustrato e come affermato dalla  stessa
Consulta, anche la scelta di accordare a  tali  giudici  garanzie  di
indipendenza  inferiori   rispetto   a   quelle   riconosciute   alla
magistratura ordinaria. 
    Ne discende, quale prima conseguenza, che non  puo'  riconoscersi
al Legislatore l'assoluta liberta' nel riempire di contenuti concreti
il rinvio operato dal comma 2 dell'art. 108 della  Costituzione,  non
potendo il Legislatore, stilla base di una  corretta  interpretazione
storica del disposto costituzionale,  nell'assicurare  l'indipendenza
dei giudici speciali, non tener conto dei principi generali che  sono
posti, in tema di indipendenza dei giudici ordinari,  nel  titolo  IV
della seconda parte della Costituzione, dovendo il  discostamento  da
tali principi trovare adeguata e  ragionevole  giustificazione  nelle
peculiarita' della giurisdizione che si intende disciplinare. 
    Particolare peso va tributato alla norma di chiusura  dell'intero
sistema   costituzionale   delle   garanzie   previste    a    tutela
dell'indipendenza dell'attivita' giurisdizionale, coincidente con  il
principio,  di  generale  applicazione,  per  cui  i  giudici  (senza
distinzioni) sono soggetti soltanto alla legge, da, cui,  sulla  base
di una lettura sistematica  della  Carta  costituzionale,  si  evince
l'esistenza  di   un   indirizzo   di   omogeneita',   voluta   dalla
Costituzione, degli status e delle garanzie di indipendenza,  interna
ed  esterna,  di   tutti   i   soggetti   che   esercitano   funzioni
giurisdizionali. 
    Se e' innegabile, pertanto, che ad una regolamentazione  espressa
degli istituti che  assicurano  l'autonomia  e  l'indipendenza  della
magistratura ordinaria (art. 104  ss.:  autogoverno,  assunzione  per
concorso, inamovibilita', ecc.) corrisponde poi, in Costituzione,  un
semplice rinvio alla legge del  compito  di  prevedere  le  modalita'
concrete  che  dovranno  presiedere  all'indipendenza   dei   giudici
speciali (art. 108 comma 2), e' altrettanto evidente,  tuttavia,  che
la Costituzione - se considerata nel suo complesso  -  delinea  gia',
per quel che concerne le condizioni di autonomia  e  di  indipendenza
di' tutti i giudici delle diverse  magistrature,  un  unico  modo  di
essere generale dei  soggetti‑giudici  cui  e'  affidato  l'esercizio
della giurisdizione. 
    In tale ottica, la disposizione prevista dal  comma  2  dell'art.
101 della Costituzione, nello  statuire  la  soggezione  di  tutti  i
giudici soltanto  alla  legge  -  e  riconoscendo,  quindi,  ad  ogni
magistratura   quell'autonomia   che   e'   presupposto   tipico   ed
imprescindibile dell'indipendenza -rappresenta il referente normativo
centrale  dell'interpretazione   sistematica   che   discende   dalla
Costituzione,  la  quale,  nel  delineare   la   soluzione   per   la
magistratura ordinaria, ha individuato condizioni  strumentalmente  -
anche se non  vincolanti  per  le  altre  magistrature  -  idonee  ad
assicurare l'indipendenza della magistratura. 
    Inoltre, in accordo con  lo  stringente  tenore  letterale  della
norma di cui all'art. 108, il legislatore, come  visto,  e'  chiamato
«assicurare» l'indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali. 
    Pur  non  potendo  trarsi  dalla  terminologia   utilizzata   dal
Costituente la necessita' della legge di conformarsi  ad  un  modello
concreto e predefinito di indipendenza,  ovvero  quello  puntualmente
articolato dalla Costituzione  agli  artt.  104  e  seguenti,  sembra
tuttavia che la prevista riserva di legge  contenuta  nell'art.  108,
comma 2, della  Costituzione,  consente  di  guardare  all'attuazione
legislativa del canone dell'indipendenza dei giudici non ordinari  in
una chiave di discrezionalita' libera nella individuazione dei moduli
realizzativi che risultano tuttavia vincolati al rispetto  di  alcuni
fondamentali parametri costituzionali. 
    Pertanto, escluso che la conformazione organizzativa e funzionale
degli organi di garanzia o di autogoverno delle magistrature speciali
debba  necessariamente  ricalcare  il  modello   tratteggiato   dalla
Costituzione per il C.S.M., le deviazioni  rispetto  a  tale  modelle
vanno raccordate con la consapevolezza che la ragione principale  che
ha indotto il Costituente a mantenere le  giurisdizioni  speciali  di
cui all'art. 103 della  Costituzione  consiste  proprio  nella  presa
d'atto delle peculiarita' che contraddistinguono tali  giurisdizioni,
con la conseguenza  che  la  previsione  di  una  disciplina  diversa
rispetto al «modello» delineato dagli  artt.  104  e  seguenti  della
Costituzione deve rispondere all'esigenza imprescindibile di adattare
tale normativa, in modo difforme da quanto previsto  per  il  C.S.M.,
alle caratteristiche  proprie  di  ciascuna  giurisdizione  speciale,
tenendo conto, tra  l'altro;  della  collocazione  istituzionale  dei
magistrati che la compongono dei tratti peculiari del  sindacato  che
questi sono chiamati ad esprimere. 
    Si  tratta  quindi  -  una  volta  ammessa  la  possibilita'   di
variazione rispetto allo schema delineato dagli artt. 104 e  seguenti
della  Costituzione  -  di  verificare,  di  volta   in   volta,   la
ragionevolezza delle modifiche apportate dal  Legislatore  ordinario,
cosi' da valutare se siffatte modifiche, da un lato, risultino idonee
a garantire un'efficace  tutela  dell'indipendenza  dei  giudici  non
ordinari (come richieste dall'art. 108, comma 2, della Costituzione),
e dall'altro, possano ritenersi giustificate  in  rapporto  a  quelle
specifiche peculiarita' che contraddistinguono ciascuna giurisdizione
speciale. 
    Ne consegue che in applicazione di siffatto criterio di giudizio,
il problema  della  legittimita'  costituzionale  della  composizione
prevista per il Consiglio di presidenza della Corte dei conti - ferme
le precedenti considerazioni - puo' essere sintetizzato  nel  quesito
se, al fine di garantire l'indipendenza dei giudici della  Corte  dei
conti,   siano   rinvenibili   ragioni   specifiche,   attinenti    a
caratteristiche proprie di tale giurisdizione,  da  cui  discenda  la
necessita'  -  o  quanto  meno  l'opportunita'  -  di  prevedere  una
composizione numerica paritaria  tra  componenti  elettivi  togati  e
componenti elettivi laici. 
    Le   indicazioni   che   dalla   disamina   delle    disposizioni
costituzionali possono trarsi, come sopra indicate, depongono per  la
risposta  negativa,  non  essendo  rinvenibili   valide   ragioni   e
giustificazioni che, in relazione  alle  funzioni  assegnate  a  tale
ordine giurisdizionale, consentano un sacrificio di quelle  modalita'
organizzative  -  che  la  Costituzione  ha  riconosciuto  idonee   e
necessarie  per  la  magistratura  ordinaria   -   che   maggiormente
garantiscono l'indipendenza dell'ordine e dei suoi appartenenti e  la
rappresentativita' dell'organo di garanzia,  da  identificarsi  nella
maggioranza numerica  dei  componenti  togati  elettivi  rispetto  ai
componenti  laici,  con  riferimento  ai  quali  ultimi  non  possono
predicarsi i principi di indipendenza e  di  autonomia,  valendo  la,
loro presenza unicamente a mantenere un collegamento  dell'organo  di
garanzia con istanze esterne all'ordine. 
    Con la conseguenza che la consistenza numerica di tale componente
laica, in relazione  a  quella  assegnata  alla  componente  elettiva
togata, e' idonea - se paritaria o prevalente rispetto a quest'ultima
- ad intaccare i principi di autonomia ed  indipendenza  dell'organo,
esistendo  indubitabilmente  un  punto,   nel   rispettivo   rapporto
numerico, oltre il quale le  relative  previsioni  non  costituiscono
espressione di un equilibrato bilanciamento degli  interessi  di  cui
sono  espressione,  ma  si  risolvono  nella  prevalenza  di   quello
costituzionalmente meno  stringente  a  danno  del  cogente  precetto
costituzionale dell'indipendenza delle magistrature speciali. 
    Tale indipendenza puo' invero subire un vulnus in ragione  di  un
rapporto  numerico  tra  la  componente  laica  e  componente  togata
elettiva  che  non  costituisca   espressione   di   un   equilibrato
bilanciamento dei contrapposti interessi, come  avviene,  a  giudizio
del   Collegio,   con   riferimento   alla   norma   sospettata    di
incostituzionalita'. 
    Non si intende, in tal modo, sminuire l'importanza della presenza
di componenti laici all'interno del  Consiglio  di  Presidenza  della
Corte dei conti, dovendo in proposito osservarsi che con  riferimento
all'aspetto esterno o istituzionale dell'indipendenza che deve essere
garantita ai magistrati della Corte dei Conti, un organo di  garanzia
a composizione mista,  quale  quello  previsto  per  la  magistratura
ordinaria, sembra dover valere a fortiori per il  governo  di  ordini
magistratuali di connotazione diversa, che siano, piu'  ancora  della
magistratura ordinaria, connessi nelle loro  funzioni  e  in  qualche
modo sovrapposti all'amministrazione. 
    Ed  infatti,  tanto  piu'  rileva  il  legame   organizzativo   e
funzionale con  il  potere  politico-amministrativo,  tanto  piu'  e'
importante  connettere  la  funzione   di   autogoverno   di   quella
magistratura con la funzione di controllo politico  esercitata  dalle
Assemblee elettive, introducendo quindi, a  tal  fine  -  all'interno
dell'organo  -  un  congegno  in  qualche  modo   codecisionale   fra
componenti di diversa  derivazione,  onde  evitare  il  cortocircuito
istituzione-corporazione, non risultando  il  grado  di  indipendenza
esterna  che  e'  garantito  a  ciascuna  categoria   di   magistrati
direttamente proporzionale  al  grado  di  isolamento  che  la  legge
assicura  al  rispettivo  ordine  giudiziario,  rendendo  l'eventuale
assenza di membri esterni alla magistratura  contabile  l'autogoverno
della stessa eccessivamente corporativo. 
    Tuttavia,  un  rapporto  non  equilibrato,  rispetto  ai   valori
costituzionali di riferimento,  tra  componente  laica  e  componente
togata, esporrebbe l'organo al formarsi di maggioranze  o  gruppi  di
pressione  esterni  alla  magistratura  suscettibili   di   intaccare
l'indipendenza   dei   giudici   anche   nella   loro   liberta'   di
autodeterminazione, condizionandone l'operato agli interessi  di  cui
sono portatori i componenti laici, le cui  determinazioni  concorrono
alla  formazione  della   volonta'   dell'organo,   assegnando   alla
componente  laica  un  peso  ultroneo  rispetto  alla  finalita'   di
consentire, attraverso la stessa, un collegamento esterno, intaccando
l'indipendenza funzionale dei giudici contabili. 
    Ne'  la  parita'  numerica  tra  componenti  laici  e  componenti
elettivi togati, come accennato,  puo'  ritenersi  giustificata  -  e
quindi ragionevole - in  rapporto  a  specifiche  peculiarita'  della
giurisdizione contabile, alla quale e' garantita  dalla  Costituzione
lo stesso  grado  di  indipendenza  riconosciuto  a  tutte  le  altre
giurisdizioni speciali. 
    Al  fine  di  vagliare  il  corretto  esercizio  da   parte   del
Legislatore ordinario della propria discrezionalita'  nell'attuazione
della riserva di  legge  prevista,  dall'art.  108,  comma  2,  della
Costituzione, interviene, inoltre, a dare consistenza ai  manifestati
dubbi di costituzionalita' della previsione normativa  della  parita'
numerica della componente consiliare eletta dai magistrati  contabili
a quella rappresentativa del Parlamento, l'approdo cui e' di  recente
giunta la giurisprudenza costituzionale, che ha nitidamente disegnato
i rapporti tra l'art. 108 e  104  Cost.  in  particolare  nella  gia'
citata sentenza n. 87 del 2009, con la quale e' stata  ammessa  anche
nel procedimento disciplinare dei magistrati amministrativi la difesa
da parte di avvocati  del  libero  foro.  La  decisione  della  Corte
costituzionale poggia sulla  considerazione,  che  costituisce  punto
fermo   ai   fini   del   vaglio   di   qualsivoglia   incidente   di
costituzionalita'  involgente  il  profilo  dell'indipendenza   delle
giurisdizioni  speciali,  che,  pur  essendo   l'indipendenza   della
magistratura ordinaria e quella delle magistrature speciali  regolate
da norme costituzionali diverse - rispettivamente l'art. 104 e l'art.
108 Costituzione - il principio dell'indipendenza dei magistrati  sia
ordinari che speciali e' un  principio  generale  e  costituisce  una
delle   garanzie   del   corretto    svolgimento    della    funzione
giurisdizionale complessivamente intesa, come esercitata,  sia  dalla
magistratura  ordinaria  che  dalle  magistrature  amministrativa   e
contabile. 
    Di  particolare  rilievo  e'  la  precisazione,  contenuta  nella
sentenza in esame, secondo cui, pur potendo il Legislatore articolare
diversamente  l'ordinamento  delle  singole   giurisdizioni,   devono
tuttavia essere rispettati i «principi costituzionali comuni» posti a
presidio  dell'indipendenza  delle  varie  magistrature.   Per   tale
ragione,  la  Corte  ha  ritenuto  che,  nonostante  il  procedimento
disciplinare   dei    magistrati    amministrativi    abbia    natura
amministrativa  e  non  giurisdizionale,  dovesse   essere   comunque
garantita anche ai  magistrati  amministrativi  la  possibilita',  di
avvalersi, nel procedimento disciplinare, di un avvocato  del  libero
foro, al fine di assicurare loro una piena indipendenza attraverso il
ricorso ad un'efficace difesa. 
    Pur non avendo la sentenza n. 87  del  2009  affermato  la  piena
equiparazione sotto il profilo organizzativo tra C.S.M. e i  Consigli
di Presidenza della Giustizia Amministrativa e della Corte dei conti,
occupandosi di altri  profili,  ha  tuttavia  affermato  l'importante
principio della necessita' di assicurare, al di la' delle  differenze
organizzative e ordinamentali, lo stesso grado di indipendenza sia ai
magistrati  ordinari  che  a  quelli  amministrativi  (quindi   anche
contabili),  e  a  tal  fine  ha  fatto   riferimento   a   «principi
costituzionali comuni» cui il legislatore deve uniformarsi,  pena  la
violazione dell'art. 108 della Costituzione. 
    Le statuizioni contenute  nella  citata  sentenza  consentono  di
rinvenire  nelle  norme  costituzionali  dedicate  alla  magistratura
ordinaria, ed in particolare nell'art.  104  della.  Costituzione,  i
«principi costituzionali comuni», posti a presidio  dell'indipendenza
della  magistratura  ordinaria  che  risultano   mutuabili   per   le
magistrature speciali,  riconosciuti  dal  Costituente  come  formule
idonee  a  garantirne  l'indipendenza  sia   interna   che   esterna,
costituenti un paradigma di riferimento per il Legislatore, pur senza
rappresentare un assetto statutario  vincolante  e  che,  come  tali,
rilevano quale limite per l'esercizio della riserva di legge che,  in
tal senso, puo' assumere carattere rinforzato, e  come  parametro  di
ragionevolezza delle scelte del Legislatore. 
    Peraltro, in questa linea sembra  essersi  posto  di  recente  il
Consiglio di Stato, il quale, in sede consultiva, ha affermato che il
principio della non rieleggibilita' dei membri elettivi  del  C.S.M.,
di cui all'art. 104 della Costituzione, ultimo  comma,  debba  valere
anche per le  magistrature  speciali,  trattandosi  di  un  principio
generale dell'autogoverno della  magistratura  (Consiglio  di  Stato,
Sez. I, 1° aprile 2009, n. 954). 
    Richiamate tali coordinate interpretative, al fine di  verificare
quali elementi degli organi di garanzia siano  coessenziali  rispetto
al  fine  costituzionale  dell'indipendenza,  occorre  analizzare  se
dall'art. 104 della Costituzione possa  trarsi  un  principio  comune
concernente anche la composizione degli organi di  autogoverno  delle
magistrature speciali che possa fungere da parametro di  legittimita'
costituzionale delle scelte del Legislatore in questo ambito. 
    Giova, a tal fine, procedere alla disamina della composizione del
Consiglio Superiore della magistratura, come descritta dai commi 3  e
4 dell'art. 104 della Costituzione. 
    La  composizione  del  Consiglio  Superiore  della   magistratura
prevede la presenza di membri di diritto  e  componenti  elettivi,  i
quali sono per i due terzi eletti dai magistrati mentre per un  terzo
sono eletti dal Parlamento in seduta comune. 
    Dei tre membri di diritto (tra cui il Presidente della Repubblica
che presiede il Consiglio) due sono togati, e segnatamente  il  Primo
Presidente ed il Procuratore  generale  della  Corte  di  Cassazione,
cosi' come lo sono i componenti eletti dalla  magistratura,  tuttavia
la  distinzione  tra  componenti  togati  e  laici   non   e'   presa
espressamente  in  considerazione  dalla  norma,  la   quale   invece
distingue i consiglieri  in  base  alle  forme  di  designazione  (di
diritto o elettiva) e, all'interno della componente elettiva, tra gli
eletti da parte dei magistrati e gli eletti dal Parlamento in  seduta
comune. Tale distinzione e' ulteriormente marcata dal  fatto  che  il
limite   minimo   di   rappresentanza   elettiva   della   componente
magistratuale  (i  due  terzi)  e'  calcolato  non  sul  totale   dei
componenti del Consiglio (comprensiva di quelli di  diritto)  ma  sul
totale dei soli componenti elettivi. Il comma  quarto  dell'art.  104
della. Costituzione, infatti, espressamente stabilisce che «gli altri
componenti», oltre a quelli di diritto, «sono eletti per due terzi da
tutti i magistrati (..) e per un terzo dal Parlamento (...)». 
    E' possibile dunque desumere che l'art.  104  della  Costituzione
intende garantire l'indipendenza della  magistratura  assicurando  la
prevalenza  in  seno  al  Consiglio  non  della   componente   togata
complessivamente intesa, comprensiva dei membri togati di diritto, ma
della componente togata eletta dai magistrati. Ad essa solo, infatti,
si riferisce il limite dei due terzi. 
    Tale conclusione appare peraltro in linea con la diversa funzione
della  componente  togata  di  diritto  e  quella  elettiva  in  seno
all'organo di autogoverno. 
    Infatti, mentre la presenza  dei  membri  di  diritto  assolve  a
diverse  funzioni  (ad  esempio,  la  rappresentazione  in  seno   al
Consiglio delle istanze della magistratura  giudicante  e  requirente
attraverso  la  presenza   dei   rispettivi   organi   di   vertice),
prevalentemente istituzionali, solo la componente elettiva puo' dirsi
effettivamente rappresentativa del  corpo  elettorale  costituito  da
tutti i magistrati. 
    Tale profilo appare di particolare rilievo posto  che  la  stessa
nozione di «autogoverno», ancorche' utilizzato in senso atecnico  nel
caso del Consiglio Superiore della magistratura  e  dei  Consigli  di
Presidenza delle magistrature speciali,  per  la  presenza  anche  di
membri laici, evoca comunque, anche etimologicamente, l'esistenza  di
una relazione di rappresentativita' tra governanti e governati. 
    Alla luce di tutte queste considerazioni, puo'  dunque  ritenersi
che dall'art. 104, commi 3 e 4, della Costituzione  possa  trarsi  il
principio  della  necessaria  prevalenza  numerica  della  componente
eletta dai magistrati rispetto alla  componente  eletta  dalle  forze
politiche, prevalenza numerica che puo' esprimersi in varie modalita'
e con la previsione di diverse percentuali tra le  varie  componenti,
con il limite  comunque  del  riconoscimento  della  maggioranza  dei
componenti eletti dai magistrati. 
    Tale principio, per la sua rilevanza al  fine  di  effettivamente
garantire la rappresentativita' dell'organo e  dunque  l'indipendenza
dei magistrati, deve essere  ritenuto,  secondo  l'espressione  usata
dalla sentenza n. 87 del 2009, un «principio  costituzionale  comune»
applicabile anche al Consiglio di Presidenza della magistratura della
Corte dei conti. 
    Infatti, sia nel caso del C.S.M. che dei consigli  di  Presidenza
della  magistrature  speciali,  l'esistenza  di  una   relazione   di
rappresentativita', quantomeno  con  la  maggioranza  dei  componenti
elettivi dei detti organi, appare un elemento imprescindibile perche'
essi possano effettivamente  «assicurare»  -  per  usare  la,  stessa
espressione degli artt. 100 e 108 della Costituzione,  l'autonomia  e
l'indipendenza delle varie magistrature. 
    Pertanto,  escluso  che  possa  affermarsi  la   necessita'   del
rispetto, per gli organi di  garanzia  delle  magistrature  speciali,
dell'identica distribuzione, in termini  percentuali,  tra  le  varie
componenti consiliari, prevista dall'art. 104 della Costituzione,  il
che priverebbe il Legislatore della sua discrezionalita' nella scelta
sui modi per assicurare l'indipendenza delle  magistrature  speciali,
conferita dall'art. 108 della  Costituzione,  e'  possibile  tuttavia
ricavare dall'art. 104 della Costituzione, un principio  di  garanzia
minimale secondo il quale deve essere comunque  garantita  almeno  la
maggioranza dei componenti togati eletti dai magistrati, nel caso  di
specie della Corte dei Conti, in seno al Consiglio. 
    Dunque,  sotto  questo  profilo,  l'art.  108,  comma  3,   della
Costituzione, da leggersi in combinato disposto con l'art. 104, commi
2 e 3, della Costituzione, individua un parametro sostanziale per  la
valutazione delle scelte del Legislatore quanto a garanzie minime  di
tutela della indipendenza delle magistrature speciali, assegnando  la
prevalenza numerica dei componenti eletti dai magistrati rispetto  ai
rappresentanti del Parlamento. 
    A diversamente ritenere, le ricadute discendenti dalla previsione
della parita' numerica - e ovviamente,  a  maggior  ragione,  di  una
maggioranza  dei  rappresentanti  del  Parlamento   -   come   dianzi
illustrato,  si  risolverebbero  nella  vanificazione  della   stessa
funzione  dell'organo  di  garanzia,  intaccandone  l'indipendenza  e
l'autonomia, facendone venir meno il carattere di  rappresentativita'
attraverso cui i richiamati principi necessariamente transitano. 
    Sottesa  alla  scelta  legislativa  della  parita'  numerica  tra
componenti elettivi togati e laici, vi e'  difatti  l'equiordinazione
tra il principio di indipendenza della magistrature speciale e quello
di apertura dell'organo di autogoverno alle istanze esterne  in  modo
da evitarne  la  chiusura  in  una  casta  autoreferenziale,  il  che
contrasta con la gerarchia dei valori  costituzionali  che  non  puo'
vedere come recessivo, ne' equiordinato, il valore  dell'indipendenza
rispetto a quello del collegamento tra la magistratura  e  gli  altri
poteri  dello  Stato,  quest'ultimo  attuato  per  il  tramite  della
presenza dei membri laici nell'organo di garanzia. 
    Al  riguardo,  inoltre,  non  sembra  potersi  dubitare  che   ai
componenti laici, per il loro essere espressione di  una  qualificata
maggioranza politica delle Camere, non puo'  essere  riconosciuto  un
idoneo ruolo di  garanzia  dell'autonomia,  e  dell'indipendenza  dei
giudici. 
    Alla luce di tale quadro costituzionale di riferimento, non  puo'
non dubitarsi della legittimita' costituzionale dell'art. 11, comma 8
della legge  n.  15  del  2009  che,  nel  prevedere  il  numero  dei
componenti eletti da tutti i magistrati della Corte dei conti  uguale
a quello dei rappresentanti del Parlamento, non rispetta  i  principi
cui l'attuazione  della  riserva  di  legge  deve  conformarsi,  come
enucleabili dagli artt. 100, 103,  108  e  104,  della  Costituzione,
letti alla luce della sopracitata giurisprudenza costituzionale. 
    Ne' i manifestati dubbi di illegittimita' costituzionale  possono
ritenersi superabili alla luce della circostanza  che  la  componente
togata nel suo complesso (formata anche dai membri  di  diritto)  del
Consiglio di Presidenza della Corte dei conti raggiunga  comunque  la
maggioranza  assoluta,  stante  la  ricordata  diversa   valenza   da
assegnarsi alla presenza dei membri di diritto e le diverse  funzioni
dagli stessi svolte rispetto  a  quelli  togati  elettivi,  ai  quali
soltanto e' possibile riconoscere una  funzione  rappresentativa  dei
magistrati  elettori,  conformemente  alle  indicazioni  che  possono
trarsi dalla scelta sottesa alle previsioni contenute  nell'art.  104
della Costituzione. 
    Ne' risulta revocabile in  dubbio  che  sia  solo  la  componente
togata elettiva ad essere rappresentativa dei magistrati della  Corte
dei  conti,  come  peraltro  incidentalmente  affermato   anche   dal
Consiglio  di  Stato  nel  parere  sopra  menzionato,  laddove,   con
riferimento alla riduzione da  10  a  4  dei  componenti  eletti  dai
magistrati  della  Corte  dei  conti,  e'   stato   evidenziato   che
l'innovazione impone di ritenere che la  rappresentanza  dei  quattro
componenti elettivi  sia  promiscua,  ovvero  unitaria,  e  non  piu'
ripartita per qualifica, come avveniva in precedenza. 
    In proposito, occorre altresi' segnalare che il Presidente  della
Corte dei conti e' nominato, ai sensi della legge 21 luglio  2000  n.
202, su proposta del Presidente del Consiglio dei  Ministri,  previa,
deliberazione del Consiglio  dei  Ministri,  sentito  il  parere  del
Consiglio di Presidenza, mentre gli  altri  due  dei  tre  membri  di
diritto (Procuratore generale e Presidente aggiunto) sono nominati su
designazione del Consiglio di Presidenza  con  provvedimento  formale
dell'Autorita' politica, cosicche' con riguardo ai membri di  diritto
non puo' parlarsi di elezione, neanche indiretta, da parte della base
elettorale. 
    Non puo', dunque, affermarsi che sulla  base  della  composizione
del Consiglio di  Presidenza  della  Corte  dei  conti  sia  comunque
assicurata  la  prevalenza  della  componente   togata,   stanti   le
modalita',  di  individuazione  dei  componenti   di   diritto,   con
conseguente discostamento  dai  criteri  minimi  idonei  a  garantire
l'indipendenza  del  plesso   giurisdizionale   attraverso   l'idonea
strutturazione del relativo  organo  di  autonomia,  assistito  dalle
medesime  guarentigie  costituzionali  pur   a   fronte   della   non
necessita', costituzionalmente  imposta,  di  adozione  di  un  unico
modello organizzativo per tutte le magistrature, potendo la soluzione
adottata dalla norma dettata dall'art. 11, comma 8, della legge n. 15
del 2009, tradursi nel piegare l'azione dell'organo alla ricerca  del
consenso delle componente esterna, che verrebbe ad esercitare un peso
ed un'influenza in contrasto con  la  riconosciuta  indipendenza  sia
dell'ordine che dei singoli appartenenti ad esso. 
    In conclusione, sulla base di tutte  le  considerazioni  sin  qui
illustrate, il Collegio dubita della legittimita'  costituzionale  di
una scelta legislativa che propone per la magistratura  contabile  un
modello  dell'organo  di  garanzia  che,  nel   contemperamento   dei
contrapposti interessi, non opera  un  corretto  bilanciamento  degli
stessi,  senza  che  cio'  trovi  ragionevole  giustificazione  nelle
peculiarita' dell'ordine giurisdizionale di riferimento,  recando  un
pregiudizio  ai  principi   di   autonomia   e   indipendenza   della
magistratura - essendo il primo presupposto indefettibile del secondo
- in quanto non garantisce in modo  adeguato  l'indipendenza  che  la
Costituzione  assicura  a  tutte  le  magistrature  speciali,   cosi'
determinando  un  vulnus  all'autonomia  organizzativa  dell'apparato
giurisdizionale che e' strumentale all'indipendenza sia  interna  che
esterna della giurisdizione speciale contabile, ponendo sullo  stesso
piano valori e principi aventi invece diversa cogenza  costituzionale
- costituendo quello dell'indipendenza  della  magistratura  una  dei
piu'  rilevanti  beni  costituzionalmente  protetti   -   cosi'   non
rispettando,  nella  determinazione  della  composizione  dell'organo
anche di autotutela  della  magistratura,  assistito  da  particolari
guarentigie di indipendenza, le finalita' e gli interessi che tramite
lo stesso vengono perseguite e garantite. 
    Conseguentemente,  ritiene  il  Collegio  che  la  questione   di
illegittimita' della norma dettata dall'art. 11, comma 8, della legge
n. 15 del 2009 debba essere sottoposta al vaglio  del  Giudice  delle
leggi al fine di verificare la  ragionevolezza  dell'esercizio  della
discrezionalita'  accordata  dalla.   Costituzione   al   Legislatore
ordinario nell'attuazione della riserva di legge, come  vincolata  al
rispetto del principio di indipendenza della  magistratura  speciale,
imposta al legislatore come finalita'  indefettibile  dall'art.  108,
secondo comma, della Costituzione,  e  dei  «principi  costituzionali
comuni» richiamati dalla stessa Consulta. 
    Non pare, inoltre, infondata, la questione  di  costituzionalita'
della norma in esame per contrasto con l'art. 3  della  Costituzione,
poiche' introduce una  irragionevole  disparita',  di  trattamento  a
discapito della magistratura contabile  rispetto  a  tutte  le  altre
magistrature, cosi' introducendo un vulnus della sua indipendenza. 
    Peraltro, e' la stessa Corte costituzionale che  nella,  sentenza
n. 16 del 2011, nell'affermare il carattere necessario della presenza
di organi di garanzia per tutte le magistrature, fa riferimento  alle
scelte effettuate dal Legislatore ordinario  che  ha  istituito  tali
organi per tutte le giurisdizioni speciali, cosi'  rintracciando  nel
dato fattuale legislativo un parametro a sostegno dei propri assunti. 
    Sotto questo profilo e per tutte le ragioni  sopra  svolte,  deve
essere  rimessa  alla   Corte   costituzionale   la,   questione   di
costituzionalita' dell'art. 11, comma 8 della legge 4 marzo  2009  n.
15, per contrasto con gli artt. 100, 101, 103 e 108, comma  2,  della
Costituzione, in relazione agli artt. 3  e  104  della  Costituzione,
nella parte in cui prevede che la componente  consiliare  eletta  dai
magistrati   contabili   sia   numericamente    uguale    a    quella
rappresentativa del Parlamento. 
    Si rende conseguentemente necessaria la sospensione del  giudizio
e la rimessione degli atti alla  Corte  costituzionale  affinche'  si
pronunci sulla questione.