SENTENZA 
 
nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art.  3,  comma  62,
della legge 15  luglio  2009,  n.  94  (Disposizioni  in  materia  di
sicurezza pubblica) e dell'art. 102,  terzo  comma,  della  legge  24
novembre 1981, n. 689 (Modifiche al  sistema  penale),  promosso  dal
Magistrato  di  sorveglianza   di   Catania   nel   procedimento   di
sorveglianza nei confronti di G.G. con ordinanza del 16  marzo  2011,
iscritta al n. 171 del registro ordinanze  2011  e  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  36,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2011. 
    Udito nella camera di consiglio del 14 dicembre 2011  il  Giudice
relatore Giuseppe Frigo. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    Con ordinanza depositata il  16  marzo  2011,  il  Magistrato  di
sorveglianza di Catania ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della
Costituzione, questione di legittimita' costituzionale  dell'art.  3,
comma 62, della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in  materia
di sicurezza pubblica), nella parte in cui - nell'aumentare  da  euro
38 a euro 250 il coefficiente di ragguaglio fra le pene pecuniarie  e
le pene detentive - ha omesso di operare una identica  variazione  in
aumento dell'importo sulla cui base, ai sensi  dell'art.  102,  terzo
comma, della legge 24 novembre 1981, n.  689  (Modifiche  al  sistema
penale), deve aver luogo la conversione in liberta' controllata delle
pene pecuniarie non eseguite per insolvibilita' del condannato. 
    Il giudice a quo premette di essere chiamato a  pronunciarsi,  ai
sensi dell'art.  660,  comma  2,  del  codice  di  procedura  penale,
sull'istanza di conversione di una pena pecuniaria di euro  56.622,94
(cosi' determinata a seguito di provvedimento di cumulo del 17  marzo
2006), rimasta ineseguita per insolvibilita' del condannato. 
    Al riguardo, il rimettente rileva che l'art. 3, comma  62,  della
legge n. 94 del 2009 ha modificato  l'art.  135  del  codice  penale,
stabilendo che, quando  si  deve  eseguire  un  ragguaglio  fra  pene
pecuniarie e pene detentive, il computo ha luogo calcolando euro 250,
o frazione di euro 250, di pena pecuniaria  -  anziche'  euro  38,  o
frazione di euro 38, come previsto in precedenza - per un  giorno  di
pena detentiva. 
    La novella legislativa ha lasciato, per converso, immutato l'art.
102, terzo comma, della legge n. 689 del 1981,  che,  ai  fini  della
conversione  in  liberta'  controllata  della  pena  pecuniaria   non
eseguita  per  insolvibilita'  del  condannato,  continua  quindi   a
prevedere che il ragguaglio debba essere effettuato  calcolando  euro
38, o frazione di euro 38, per un giorno di liberta' controllata. 
    Ad avviso del giudice a quo, si sarebbe in tal  modo  determinata
una ingiustificata disparita' di trattamento, lesiva del principio di
eguaglianza, a sfavore dei soggetti  che  versino  in  condizioni  di
insolvibilita'. 
    Le ipotesi disciplinate dagli artt. 135 cod. pen.  e  102,  terzo
comma,  della   legge   n.   689   del   1981   sarebbero,   infatti,
«sostanzialmente omogenee», giacche' tanto le pene detentive,  quanto
la liberta' controllata costituiscono sanzioni penali irrogabili  dal
giudice della cognizione (la seconda quale sanzione  sostitutiva,  ai
sensi dell'art. 53 della legge n. 689 del 1981), con la possibilita',
inoltre,  che  la  liberta'  controllata  venga  disposta  anche  dal
magistrato di sorveglianza, nel caso di impossibilita'  di  pagamento
della pena pecuniaria. 
    Lo stesso legislatore, d'altra parte, con l'art. 101 della  legge
n. 689 del 1981, aveva elevato a lire 25.000 il coefficiente previsto
dall'art. 135 cod. pen., parificandolo  a  quello  all'epoca  fissato
dall'art. 102, terzo comma, della medesima legge per  la  conversione
in liberta' controllata delle pene pecuniarie. 
    Tale uniformita' di trattamento  era,  peraltro,  venuta  meno  a
seguito dell'art. 1 della legge 5  ottobre  1993,  n.  402  (Modifica
dell'art. 135 del codice penale: ragguaglio  fra  pene  pecuniarie  e
pene  detentive),  che  aveva  aumentato  a  lire  75.000   l'importo
contemplato dall'art. 135 cod. pen., lasciando  inalterata  la  norma
della legge speciale. 
    Al ripristino della corrispondenza tra i due  coefficienti  aveva
provveduto, tuttavia, questa Corte, la quale, con la sentenza n.  440
del 1994, aveva dichiarato l'illegittimita' costituzionale  dell'art.
102, terzo comma, della legge n. 689 del 1981,  nella  parte  in  cui
fissava in lire 25.000 - anziche'  in  lire  75.000  -  il  tasso  di
ragguaglio per la conversione  in  liberta'  controllata  delle  pene
pecuniarie non eseguite  per  insolvibilita'  del  condannato.  Detta
pronuncia  aveva  evidenziato,  in  specie,  che  «l'identita'  degli
importi indicati nelle due norme poste a raffronto non fu  dovuta  al
caso, ma rappresento' il frutto di una precisa e coerente  scelta  di
politica criminale, al fondo della quale stava  l'avvertita  esigenza
di non aggravare  le  conseguenze  che  derivano  dalla  condanna  in
dipendenza delle condizioni economiche del reo». 
    L'art. 3, comma 62, della legge n. 94 del  2009,  modificando  di
nuovo in aumento il solo importo stabilito dall'art. 135  cod.  pen.,
avrebbe, quindi, ricreato la medesima situazione gia' censurata dalla
citata sentenza n. 440 del 1994. 
    La questione sarebbe, altresi', rilevante nel procedimento a quo.
L'esito della conversione della pena  pecuniaria  rimasta  ineseguita
nella specie risulterebbe, infatti, sensibilmente diverso  a  seconda
che l'operazione venga effettuata in base al vigente testo  dell'art.
102, terzo comma, della legge  n.  689  del  1981,  ovvero  a  quello
risultante    dall'auspicata    declaratoria    di     illegittimita'
costituzionale. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Il  Magistrato  di  sorveglianza  di  Catania   dubita,   in
riferimento  all'art.  3  della  Costituzione,   della   legittimita'
costituzionale dell'art. 3, comma 62, della legge 15 luglio 2009,  n.
94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica),  nella  parte  in
cui - nell'aumentare da  euro  38  a  euro  250  il  coefficiente  di
ragguaglio fra le pene  pecuniarie  e  le  pene  detentive  stabilito
dall'art. 135 del codice penale - ha omesso di  operare  una  omologa
variazione in aumento del tasso sulla cui base,  ai  sensi  dell'art.
102, terzo comma, della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche  al
sistema  penale),  deve  aver  luogo  la  conversione   in   liberta'
controllata delle pene pecuniarie non eseguite per insolvibilita' del
condannato. 
    Ad avviso del giudice a quo, la  norma  censurata  violerebbe  il
principio di eguaglianza, determinando una disparita' di  trattamento
fra situazioni «sostanzialmente omogenee», a sfavore dei soggetti che
versino in condizioni di insolvibilita', del tutto analoga  a  quella
gia' scrutinata da questa Corte con la sentenza n. 440 del 1994. 
    2.- In via preliminare, va rilevato che,  sebbene  il  rimettente
censuri formalmente la norma novellatrice dell'art.  135  cod.  pen.,
cio'  che  egli  in  concreto   sollecita   e'   una   pronuncia   di
"riallineamento" dell'art. 102, terzo comma, della legge n.  689  del
1981, la quale ripristini la pregressa coincidenza  dei  coefficienti
di ragguaglio previsti dalle due norme poste a raffronto (per analogo
rilievo, sentenza n. 440 del 1994). 
    3.- In tali termini, la questione e' fondata. 
    Giova  muovere,  al  riguardo,  dalla   considerazione   che   la
disciplina stabilita dagli artt. 102 e seguenti della  legge  n.  689
del 1981 costituisce la risposta  legislativa  al  problema  lasciato
aperto dalla sentenza n. 131 del 1979  di  questa  Corte,  che  aveva
dichiarato    costituzionalmente    illegittimo    il     meccanismo,
originariamente previsto dall'art.  136  cod.  pen.,  di  conversione
automatica della pena pecuniaria non eseguita per insolvibilita'  del
condannato in un corrispondente periodo di reclusione o  di  arresto.
Nell'occasione, la Corte evidenzio' come tale meccanismo  presentasse
una   connotazione   fortemente   discriminatoria,   postulando   una
inammissibile fungibilita' tra liberta'  personale  e  patrimonio,  a
fronte della quale i soggetti economicamente piu' deboli si trovavano
costretti ad assolvere con il sacrificio  della  prima  (nella  forma
massima:  la  pena  detentiva)  obblighi  che  gli  altri  condannati
potevano   soddisfare   in   moneta.    L'esigenza    di    garantire
l'indefettibilita' della pena -  pure  non  disconosciuta  da  questa
Corte  -  andava,  dunque,  soddisfatta  in  forme  diverse,  che  il
legislatore del 1981 individuo'  segnatamente  nella  conversione  in
liberta' controllata (ovvero, su richiesta del condannato, in  lavoro
sostitutivo). 
    Il coefficiente di  ragguaglio  per  la  conversione  della  pena
pecuniaria ineseguita in liberta' controllata  venne  originariamente
fissato in lire 25.000: dunque, in quello  stesso  che  -  a  seguito
della modifica dell'art. 135 cod. pen.,  contemporaneamente  disposta
dall'art. 101 della medesima legge n. 689 del 1981 - valeva  ai  fini
del ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive. 
    Tale soluzione normativa - che operava, in pratica, una indiretta
equiparazione del "valore economico" della  pena  detentiva  e  della
liberta' controllata - si traduceva  in  una  scelta  di  favore  nei
confronti del condannato in condizioni di indigenza. In base all'art.
57, terzo comma, della legge n. 689 del 1981, infatti, nel ragguaglio
tra  pene  detentive  e  liberta'  controllata,  un  giorno  di  pena
detentiva equivale, non gia' a uno, ma a due giorni  di  liberta'  di
controllata. La previsione, nell'art. 102, terzo comma,  della  legge
n. 689 del 1981, di un coefficiente di conversione uguale -  anziche'
doppio - rispetto  a  quello  contemplato  dall'art.  135  cod.  pen.
veniva, quindi, a porsi quale espressione della volonta'  legislativa
di comprimere - in linea con le indicazioni della citata sentenza  n.
131 del 1979 - gli effetti negativi scaturenti dalla condanna a  pena
pecuniaria,   nell'ipotesi   in    cui    il    reo    si    trovasse
nell'impossibilita' di  adempierla.  Alla  mitigazione  "qualitativa"
della  sanzione  di  conversione  (da  pena  detentiva   a   liberta'
controllata) si accompagnava, in tale ottica, anche  una  mitigazione
"quantitativa"  (nel  senso   che   la   liberta'   controllata   "da
conversione" assumeva, rispetto alla pena pecuniaria, un valore  pari
a quello della pena detentiva, anziche' doppio). 
    4.- L'equilibrio del sistema veniva, peraltro, alterato una prima
volta dall'art. 1 della  legge  5  ottobre  1993,  n.  402  (Modifica
dell'art. 135 del codice penale: ragguaglio  fra  pene  pecuniarie  e
pene detentive). La novella legislativa,  modificando  la  norma  del
codice, elevava, infatti, il tasso di ragguaglio tra pene  pecuniarie
e pene  detentive  a  lire  75.000,  senza  operare  alcun  parallelo
adeguamento dell'altro coefficiente. 
    La situazione venutasi in tal modo a  creare  rendeva  necessario
l'intervento di questa Corte, la quale, con la sentenza  n.  440  del
1994, dichiarava costituzionalmente illegittimo,  per  contrasto  con
l'art. 3 Cost., l'art. 102, terzo comma, della legge n. 689 del 1981,
nella parte in cui continuava a prevedere che il ragguaglio, ai  fini
della  conversione   delle   pene   pecuniarie   non   eseguite   per
insolvibilita' del condannato, avesse luogo calcolando 25.000 lire, o
frazione di 25.000 lire - anziche' 75.000 lire, o frazione di  75.000
lire - di pena pecuniaria per un giorno di liberta' controllata. 
    Nella circostanza, la Corte rilevava come, alla luce  dei  lavori
parlamentari che avevano preceduto l'approvazione della legge n.  402
del 1993, l'unico scopo perseguito con la novella fosse stato  quello
di  «ampliare  la  possibilita'  di  fruire   del   beneficio   della
sospensione condizionale della pena  nei  casi  di  condanna  a  pena
congiunta o anche soltanto a pena pecuniaria ma di ammontare elevato,
avuto riguardo, in particolare, al diminuito valore della moneta».  A
fronte di tale circoscritto obiettivo, il legislatore aveva,  quindi,
assunto  «una  posizione  per  cosi'  dire  amorfa»   rispetto   agli
«inevitabili riverberi» scaturenti dalla modifica normativa, sia  sul
piano generale delle sanzioni sostitutive, sia - e in  particolare  -
«sull'ormai squilibrato valore» stabilito dall'art. 102, terzo comma,
della legge n. 689 del 1981. Da cio' conseguiva, per un verso, che lo
squilibrio indotto dalla riforma non poteva essere  ritenuto  «frutto
di una scelta discrezionale»; per altro verso, che  non  era  neppure
possibile pervenire «ad una ragionevole ricostruzione  del  sistema»,
risultando  la  norma  sottoposta  a  scrutinio   «ormai   fortemente
compromessa da  un  sostanziale  e  sopravvenuto  "vuoto  di  fini"».
L'originaria  identita'  del  coefficiente  di  ragguaglio  tra  pene
pecuniarie e pene detentive, da un lato,  e  tra  pene  pecuniarie  e
liberta' controllata,  dall'altro,  non  era,  infatti,  casuale,  ma
costituiva, al contrario - come gia' dianzi rimarcato - «il frutto di
una precisa e coerente scelta di politica criminale, al  fondo  della
quale stava l'avvertita esigenza - piu' volte posta in risalto da [la
stessa] Corte - di non aggravare le conseguenze  che  derivano  dalla
condanna  in  dipendenza  delle  condizioni  economiche   del   reo».
Mantenendo inalterato il tasso di conversione della  pena  pecuniaria
ineseguita,  nonostante  il  coefficiente  di   ragguaglio   previsto
dall'art. 135 cod. pen.  fosse  stato  triplicato,  si  era,  quindi,
determinato «uno svuotamento delle finalita' tipiche  che  l'istituto
della   conversione   deve   soddisfare,   con   conseguente    grave
compromissione del principio di uguaglianza che qui assume  tutto  il
suo risalto per le intuibili conseguenze  che  quell'istituto  e'  in
grado di determinare sul piano delle liberta' della persona». 
    Pur non potendosi escludere, in astratto - concludeva, quindi, la
Corte -  che  il  legislatore  potesse  ragionevolmente  operare  una
differenziazione dei criteri  di  ragguaglio  per  materie  fra  loro
eterogenee, rimaneva assorbente il rilievo che,  in  assenza  di  una
chiara scelta innovativa sotto  tale  profilo,  spettava  alla  Corte
stessa il compito di «riadeguare il sistema - ormai incrinato - negli
stessi termini e con le  medesime  proporzioni  che  il  legislatore,
facendo corretto uso del proprio potere discrezionale, aveva previsto
prima della [...] novella». 
    5.- A distanza di oltre quindici anni, l'equilibrio  del  sistema
e' stato, peraltro, nuovamente alterato, in termini affatto similari,
dall'art. 3, comma 62, della legge n. 94 del 2009. Detta disposizione
ha, infatti, elevato da 38 a 250 euro il coefficiente  di  ragguaglio
indicato dall'art. 135 cod.  pen.,  lasciando,  anche  questa  volta,
immutato quello fissato dall'art. 102, terzo comma,  della  legge  n.
689 del 1981. La sperequazione in tal modo introdotta risulta persino
piu' marcata di quella originata dalla legge del 1993: se, infatti, a
seguito  di  detta  legge,  il  valore  monetario  di  un  giorno  di
detenzione era divenuto pari al  triplo  del  valore  della  liberta'
controllata ai fini della  conversione,  per  effetto  della  novella
legislativa del 2009 il primo dei due valori viene oggi a superare il
secondo di oltre sei volte. 
    Anche nell'odierno frangente, d'altra parte, non  consta  che  la
creazione di uno scarto  cosi'  pronunciato  risponda  a  un  preciso
disegno legislativo, sorretto da una specifica ratio. 
    La recente modifica dell'art. 135 cod. pen. si colloca,  infatti,
nell'ambito del piu' ampio intervento di adeguamento al mutato quadro
economico del sistema  delle  sanzioni  pecuniarie,  sia  penali  che
amministrative, operato dalla legge n. 94 del 2009, in  coerenza  con
il suo obiettivo generale di  potenziamento  del  sistema  repressivo
penale.  In  questa  prospettiva,  il  legislatore  ha  ritenuto,  in
particolare, necessario assicurare  una  maggiore  incisivita'  della
pena pecuniaria,  tenuto  conto  anche  della  notevole  svalutazione
monetaria intervenuta rispetto all'ultimo adeguamento, risalente alla
legge n. 689 del 1981. 
    L'obiettivo  e'  stato  perseguito   mediante   tre   ordini   di
interventi: il sensibile innalzamento dei  limiti  minimi  e  massimi
della multa e dell'ammenda, stabiliti dagli artt. 24 e 26  cod.  pen.
(art. 3, commi 60 e 61, della legge n. 94 del 2009);  l'aggiornamento
- appunto - del parametro di ragguaglio tra pene  pecuniarie  e  pene
detentive, previsto dall'art. 135  cod.  pen.  (art.  3,  comma  62);
infine,  la  delega  al  Governo  ad  adottare  uno  o  piu'  decreti
legislativi, diretti a  rivalutare  l'ammontare  delle  multe,  delle
ammende e delle sanzioni amministrative originariamente previste come
sanzioni penali (art. 3, comma 65). 
    I lavori parlamentari relativi alla legge  n.  94  del  2009  non
evidenziano, per contro, che l'esigenza di  un  parallelo  intervento
sull'istituto della conversione della pena  pecuniaria  non  eseguita
per insolvibilita' del condannato abbia formato oggetto di  dibattito
e di specifica riflessione. 
    Ne consegue che le considerazioni poste a base della sentenza  n.
440 del 1994, dianzi ricordate, restano valide, nella loro interezza,
anche in rapporto alla novella legislativa  su  cui  verte  l'odierno
scrutinio. Oggi come allora, lo squilibrio indotto  dalla  riforma  -
non ascrivibile a una scelta discrezionale del legislatore, munita di
adeguata  base  giustificativa  -  impedisce  di  pervenire   a   una
ragionevole ricostruzione del sistema, determinando  uno  svuotamento
delle  finalita'  che  l'istituto  della   conversione   e'   diretto
tipicamente a soddisfare, con conseguente violazione del principio di
eguaglianza. 
    6.-  A  dimostrazione  di  cio',  e'  agevole,   d'altro   canto,
riscontrare come la macroscopica sperequazione attualmente  esistente
tra i coefficienti posti a raffronto - interferendo con la disciplina
della sostituzione delle pene detentive brevi -  risulti  foriera  di
palesi incongruenze. 
    A mente degli artt. 53 e 57, terzo comma, della legge n. 689  del
1981, un giorno di pena detentiva e' infatti  suscettibile  di  venir
sostituito,  come  gia'  ricordato,  con  due  giorni   di   liberta'
controllata. Per converso, 250 euro di pena pecuniaria -  attualmente
equivalenti, in base al novellato art. 135 cod. pen., ad un giorno di
pena detentiva - nel caso di indigenza del condannato, si  convertono
in sette giorni di liberta' controllata. Non essendo, d'altra  parte,
contestabile che  la  condanna  alla  reclusione  o  all'arresto  sia
comunque  piu'  grave  della  condanna  alla  multa   o   all'ammenda
"equivalente", si assiste al paradosso per cui  la  fattispecie  meno
grave riceve un trattamento nettamente  piu'  sfavorevole  di  quella
connotata da maggior disvalore. Si tratta di un paradosso chiaramente
lesivo  del  principio  di  eguaglianza,  anche  perche'  ribalta  la
prospettiva    di    contenimento    delle    conseguenze    negative
dell'incapacita' di provvedere al pagamento delle pene pecuniarie, in
cui versano i soggetti economicamente piu' deboli, conformemente alle
indicazioni della sentenza n. 131 del 1979 di questa Corte. 
    A tale incongruenza si aggiunge quella riscontrabile nei casi  di
cosiddetta "conversione di secondo grado".  Nell'ipotesi  in  cui  il
giudice ritenga di dover applicare la pena pecuniaria in sostituzione
di quella detentiva, la quantificazione della pena pecuniaria  dovra'
essere, infatti, operata sulla base del nuovo importo  di  ragguaglio
stabilito dall'art. 135 cod. pen. (costituente il  parametro  per  la
determinazione del «valore  giornaliero»  di  sostituzione,  a  mente
dell'art. 53, secondo comma, della legge n. 689 del 1981); di contro,
ove il condannato risulti  successivamente  insolvibile,  detta  pena
sostitutiva dovra' essere convertita  in  liberta'  controllata  alla
stregua dell'assai piu' basso coefficiente tuttora previsto dall'art.
102, terzo comma, della legge n.  689  del  1981.  Ne  consegue  che,
qualora il condannato violasse sin dal primo giorno  le  prescrizioni
inerenti alla liberta' controllata applicata in sede di  conversione,
egli si troverebbe a dover espiare,  a  norma  dell'art.  108,  primo
comma, della legge n. 689 del 1981, un periodo di pena detentiva pari
- anche nella migliore delle  ipotesi  (salvi  i  limiti  massimi  di
durata delle sanzioni "da  conversione")  -  a  oltre  sei  volte  il
periodo di pena detentiva originariamente preso a  base  dal  giudice
nella sentenza di condanna. In altre parole, nelle ipotesi in cui  si
renda necessario convertire la liberta' controllata in pena detentiva
per violazione delle prescrizioni, le conseguenze risultano diverse a
seconda che tale sanzione sia stata applicata in sostituzione di pene
detentive (nel qual  caso  la  violazione  determinera'  il  semplice
ripristino della pena detentiva sostituita,  ai  sensi  dell'art.  66
della legge n. 689 del 1981), ovvero in sede di conversione  di  pene
pecuniarie per insolvibilita' del condannato, evenienza  nella  quale
gli  effetti   risultano,   sotto   il   profilo   dianzi   indicato,
paradossalmente piu' afflittivi. 
    7.-  In  conclusione,  va  ribadito  che  non  e'   precluso   al
legislatore  introdurre  eventuali   differenziazioni   tra   i   due
coefficienti  di  cui  si  discute,  purche'  si  tratti  di   scelta
rispondente  a  criteri  di  ragionevolezza,  avuto   riguardo   alle
conseguenze  del  suo  innesto  nella  complessiva  disciplina  della
materia. 
    Non essendo una tale evenienza riscontrabile  nel  caso  oggi  in
esame, questa Corte non puo', dunque, che ripristinare nuovamente  la
parificazione   tra    i    coefficienti    stessi,    corrispondente
all'originaria opzione effettuata dallo stesso legislatore  all'esito
di un corretto uso del proprio potere discrezionale. 
    L'art.  102,  terzo  comma,  della  legge  n.  689  del  1981  va
dichiarato, pertanto, costituzionalmente illegittimo, nella parte  in
cui, con riferimento al periodo successivo all'8 agosto 2009 (data di
entrata in vigore della legge n. 94 del 2009, che ha  determinato  il
disallineamento lesivo del parametro evocato), stabilisce  che,  agli
effetti della conversione delle  pene  pecuniarie  non  eseguite  per
insolvibilita' del condannato, il ragguaglio ha luogo calcolando euro
38, o frazione di euro 38, anziche' euro 250, o frazione di euro 250,
di pena pecuniaria per un giorno di liberta' controllata. 
    Resta  impregiudicata,  in  quanto  estranea  all'odierno   thema
decidendum, la questione relativa al tasso di conversione delle  pene
pecuniarie in lavoro sostitutivo, rimasto fermo a euro 25  (questione
che, in riferimento all'assetto derivante dalla citata legge  n.  402
del 1993, e' stata oggetto di esame, da parte di questa Corte, con la
sentenza n. 30 del 2001).