ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt.  3  e  29
del decreto legislativo  1°  settembre  2011,  n.  150  (Disposizioni
complementari al codice di procedura civile in materia di riduzione e
semplificazione dei  procedimenti  civili  di  cognizione,  ai  sensi
dell'art. 54 della legge 18 giugno 2009, n. 69), promosso dalla Corte
d'appello di Firenze nel procedimento vertente tra  Valdichiana  Tour
s.r.l. e il Comune di Sinalunga, con ordinanza  dell'8  maggio  2012,
iscritta al n. 174 del registro ordinanze  2012  e  pubblicata  nella
Gazzetta Ufficiale della Repubblica  n.  36,  prima  serie  speciale,
dell'anno 2012. 
    Visto l'atto di  intervento  del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nella camera di consiglio del 5 dicembre  2012  il  Giudice
relatore Sergio Mattarella. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.-  Con  ordinanza  dell'8  maggio  2012,  pervenuta  presso  la
cancelleria di questa Corte il 17 luglio 2012 (reg. ord. n.  174  del
2012), la Corte d'appello di Firenze  ha  sollevato,  in  riferimento
agli articoli 3, 24,  97  e  111  della  Costituzione,  questione  di
legittimita'  costituzionale  degli  articoli  3  e  29  del  decreto
legislativo 1° settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari  al
codice di procedura civile in materia di riduzione e  semplificazione
dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi  dell'art.  54  della
legge 18 giugno 2009, n. 69). 
    2.- Nell'ordinanza si riferisce  che  nel  giudizio  a  quo,  con
ricorso ex art. 702 bis, cod. proc. civ., Valdichiana Tour s.r.l.  si
e' opposta  all'indennita'  proposta  dal  Comune  di  Sinalunga  per
l'espropriazione di un terreno, e  previa  ammissione  di  consulenza
tecnica d'ufficio volta a stimarne il valore di mercato,  ha  chiesto
la determinazione giudiziale dell'indennita' dovuta. 
    Il giudice remittente sostiene  che  il  sistema  previsto  dalle
norme impugnate ha istituito una presunzione  iuris  et  de  iure  di
semplicita' delle controversie in materia di opposizione  alla  stima
dell'indennita'  di  espropriazione,  imponendo  inderogabilmente  al
giudice di trattarle secondo il rito sommario. 
    In  particolare,  l'art.   29   impugnato   stabilisce   che   le
controversie   aventi   ad   oggetto   l'opposizione    alla    stima
dell'indennita' di espropriazione, sono regolate dal rito sommario di
cognizione di cui agli artt. 702 bis e 702 ter, cod.  proc.  civ.;  e
l'art. 3  censurato,  ha  introdotto  una  deroga  alla  facolta'  di
conversione del rito, da sommario a ordinario di cognizione,  rimessa
alla discrezionalita' del giudice dall'art. 702 ter,  comma  2,  cod.
proc. civ., escludendo tassativamente la possibilita' di  conversione
per le cause previste dal capo III del decreto legislativo n. 150 del
2011, tra le quali e' compresa, all'art. 29, l'opposizione alla stima
dell'indennita' di espropriazione. 
    2.1.- Secondo lo stesso giudice  questa  scelta  del  legislatore
risulta irrazionale, in quanto determina ingiustificate disparita' di
trattamento, e  rischia  di  comprimere  il  diritto  di  difesa,  di
pregiudicare il buon andamento del processo e di menomare il corretto
esercizio del contraddittorio, in violazione del diritto di difesa  e
dei principi costituzionali di uguaglianza, di buona  amministrazione
della giustizia e del giusto processo. 
    Nell'ordinanza si osserva che  «le  controversie  in  materia  di
espropriazione coinvolgono una serie di problemi che  le  rendono  in
assoluto tra le piu' difficili e complesse»,  dal  momento  che  esse
riguardano diritti reali immobiliari, e la loro trattazione  comporta
spesso la soluzione di articolate questioni di diritto amministrativo
connesse al regime urbanistico dei suoli.  A  conferma  di  cio',  si
rileva che per  identificare  correttamente  la  natura  del  bene  e
determinare il valore dell'indennizzo, e' pressoche' generalizzato il
ricorso  allo   strumento   della   consulenza   tecnica   d'ufficio,
particolarmente impegnativo dal  punto  di  vista  degli  adempimenti
processuali, in quanto richiede l'instaurazione al proprio interno di
un'ordinata dialettica con i consulenti di parte. La rilevanza  della
materia  in  questione,  anche  sotto  il  profilo  economico,  trova
conferma   nell'attribuzione   delle   relative   controversie   alla
competenza esclusiva della  Corte  d'appello,  ovvero  a  un  giudice
teoricamente piu' qualificato, che opera normalmente in  composizione
collegiale, salva la possibilita' di delegare un membro del  collegio
al compimento di atti d'istruzione. 
    Anche nel caso oggetto del giudizio a  quo,  pur  ammettendo  che
esso presenta valori modesti, riguardando un terreno di soli mq. 490,
il cui valore e' stimato da parte attrice in € 68.600,00, il  giudice
rileva le complessita' di valutazione sopra descritte, in  quanto  e'
contestata la natura dei vincoli urbanistici che gravano sul bene,  e
in via istruttoria si  chiede,  senza  incontrare  opposizione  dalla
difesa convenuta,  che  venga  ammessa  una  consulenza  tecnica  che
accerti l'estensione del terreno, la sua destinazione  urbanistica  e
la stima del valore di mercato del bene. 
    Ad  avviso  del  giudice  remittente,  la  stessa  natura   dello
strumento istruttorio richiesto dalle parti  condurrebbe  a  ritenere
logica la conversione del rito verso la forma ordinaria. La minuziosa
disciplina  prevista  dagli  articoli  191  ss.  cod.   proc.   civ.,
riguardante la nomina del consulente e lo svolgimento delle  indagini
tecniche, conferma che tali adempimenti, rimessi  all'ausiliario  del
giudice, non possono svolgersi senza formalita' e  con  le  modalita'
liberamente ritenute piu' opportune, accantonando questioni  come  il
giuramento del professionista incaricato, la redazione  del  processo
verbale delle operazioni, o la preventiva  disamina  della  relazione
provvisoria del consulente  d'ufficio  da  parte  dei  consulenti  di
parte. 
    2.2.- Infine, nell'ordinanza si ammette che l'ordinamento conosce
altre  situazioni,  nelle  quali   pure   si   discute   di   diritti
fondamentali, come le controversie di lavoro o  quelle  di  famiglia,
rispettivamente trattate con l'apposito rito o col rito camerale,  in
cui il diritto di difesa si esplica adeguatamente  senza  bisogno  di
scritti  conclusionali,  che  si   ritengono   non   consentiti   nel
procedimento sommario di  cognizione  in  esame.  Tuttavia,  in  quei
procedimenti, vi sarebbe un secondo grado di merito, nell'ambito  del
quale e' sempre possibile  far  valere  eventuali  distorsioni  nella
valutazione delle risultanze istruttorie, mentre nella causa  che  si
svolge in un unico grado, come quella in oggetto davanti  alla  corte
d'appello, non resterebbe che sottoporre  alla  Corte  di  cassazione
quel che non e' stato possibile formalizzare  davanti  al  giudice  a
quo. 
    Sotto diverso profilo, si  contesta  anche  la  scelta  a  favore
dell'ordinanza, in luogo  della  sentenza,  quale  strumento  per  la
decisione delle controversie in questione, ribadendosi  che  la  loro
complessita' mal si concilia con un provvedimento  che  di  norma  ha
carattere interinale o ordinatorio, mentre la sentenza  consentirebbe
una piu' adeguata motivazione. 
    2.3.- Il giudice remittente ritiene pertanto che  l'art.  29  del
decreto legislativo n. 150  del  2011,  nell'imporre  la  trattazione
sommaria nella materia dell'opposizione alla stima dell'indennita' di
espropriazione, e l'art. 3  dello  stesso  decreto,  nel  vietare  la
conversione del  rito  sommario  in  quello  ordinario  nella  stessa
materia, violino: 
    il principio di uguaglianza di cui all'art. 3  Cost.,  in  quanto
«impongono di trattare con rito semplificato cause complesse,  mentre
il sistema consente di trattare col rito ordinario cause semplici»; 
    il diritto  di  difesa  di  cui  all'art.  24  Cost.,  in  quanto
«rischiano di limitare l'accesso alla prova, rimettendo al giudice la
facolta' di procedere liberamente nel modo che ritiene piu' opportuno
agli atti  d'istruzione,  non  permettendo  infine  ai  difensori  di
formalizzare  compiutamente  i  propri  commenti   sulle   risultanze
istruttorie»; 
    il principio di buona  amministrazione  della  giustizia  di  cui
all'art. 97 Cost., in quanto «impongono di affrontare  con  strumenti
processuali inadeguati realta' contenziose di elevata difficolta'»; 
    il principio del giusto processo di cui all'art.  111  Cost.,  in
quanto   «costringono   ad    affrontare    adempimenti    istruttori
particolarmente  impegnativi  in  forma  libera  e  sommaria,   senza
assicurare  l'operativita'   delle   garanzie   previste   nel   rito
ordinario». 
    3.- Nel giudizio davanti alla Corte  ha  spiegato  intervento  il
Presidente  del  Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e   difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, per chiedere che  la  questione
sia dichiarata inammissibile o infondata. 
    L'Avvocatura dello Stato osserva che  l'art.  29,  comma  1,  del
decreto legislativo n. 150 del 2011, ha  ricondotto  le  controversie
aventi ad oggetto l'opposizione alla stima, ai sensi dell'art. 54 del
d.P.R.  8  giugno  2001,  n.  327  (Testo  unico  delle  disposizioni
legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica
utilita'), al rito sommario di cognizione. La disposizione  impugnata
e' stata adottata in  conformita'  al  criterio  di  delega  previsto
dall'articolo 54, comma 4, lettera b), n. 2), della legge  18  giugno
2009,  n.  69   (Disposizioni   per   lo   sviluppo   economico,   la
semplificazione, la competitivita' nonche'  in  materia  di  processo
civile), che - nell'ambito della piu' ampia delega legislativa per la
riduzione e la semplificazione dei procedimenti civili di  cognizione
che rientrano nell'ambito della giurisdizione ordinaria  e  che  sono
regolati dalla legislazione speciale - ha previsto che il Governo  si
attenesse ai seguenti principi e criteri direttivi: «i  procedimenti,
anche se in camera di consiglio, in cui sono prevalenti caratteri  di
semplificazione della trattazione o dell'istruzione della causa, sono
ricondotti al procedimento sommario di cognizione  di  cui  al  libro
quarto, titolo I, capo III-bis, del codice di procedura civile,  come
introdotto dall'articolo 51 della presente legge,  restando  tuttavia
esclusa per tali procedimenti la possibilita' di conversione nel rito
ordinario». 
    Ad avviso dell'Avvocatura dello Stato, tale scelta rientra  nella
discrezionalita' del legislatore ordinario, delegante e  delegato,  e
risulta del tutto ragionevole, dal momento  che  le  controversie  in
esame  sono  caratterizzate  da  un  thema  probandum   relativamente
semplice, che per certi versi prescinde dal  valore  economico  delle
singole cause, e  che  presenta  la  costante  caratteristica  che  a
siffatta tipologia di controversie consegue un'attivita'  istruttoria
ordinariamente breve. 
    3.1.- In secondo luogo, si afferma che lo  strumento  processuale
adottato nella specie presenta caratteristiche che confermano la  sua
natura piena di cognizione, pure perseguita  in  forme  semplificate,
rilevandosi che nella  relazione  illustrativa  e  nei  pareri  delle
commissioni parlamentari  che  si  sono  espresse  al  riguardo,  «la
qualita' della valutazione in ordine alle inferenze  probatorie  puo'
essere massima, anche quando  si  proceda  con  forme  semplificate».
Viene  infatti  attribuita  al  giudice  procedente  la  facolta'  di
accedere a tutti gli  atti  di  istruzione,  sia  indispensabili  che
rilevanti (articolo 702 ter, comma 5, cod. proc.  civ.),  consentendo
una tutela piena del bene della vita oggetto di cognizione e per  cui
e' causa. 
    Questa convinzione e' confermata dall'art. 54, comma  4,  lettera
b), n.  2),  della  legge  n.  69  del  2009,  che  opera  un  chiaro
riferimento alla sola semplificazione delle forme e  non  anche  alla
sommarieta'  della  cognizione.  Pertanto,  secondo  l'interveniente,
l'introduzione  della  forma  processuale   "flessibile"   in   esame
garantisce  una  cognizione  esauriente,  favorendo,   al   contempo,
l'osservanza del principio di ragionevole durata dei processi di  cui
all'articolo 111 Cost.. 
    3.2.- Sotto diverso profilo, si osserva che  le  norme  impugnate
non  violano  il  principio  di  uguaglianza,  dal  momento  che   il
legislatore ben puo' predisporre regole processuali differenziate  al
variare delle  caratteristiche  proprie  delle  posizioni  giuridiche
oggetto di tutela giudiziale. E in  effetti,  e'  lo  stesso  giudice
remittente che sostanzialmente riconosce - proprio in relazione  alla
reputata "inevitabilita'" dell'utilizzo del mezzo  istruttorio  della
consulenza tecnica d'ufficio  estimativo-contabile  -  come  siffatti
procedimenti  giurisdizionali  siano,  in  qualche  misura,  omogenei
quanto al loro percorso processuale. 
    Inoltre, in riferimento  alle  osservazioni  del  giudice  a  quo
concernenti lo  strumento  della  consulenza  tecnica  d'ufficio,  si
rileva che - nella giurisprudenza di merito -  e'  stata  piu'  volte
affermata la struttura "deformalizzata" dell'istruttoria  svolta  nei
procedimenti in esame. 
    3.3.- Infine, nell'atto di costituzione si  richiama  l'ordinanza
n. 170 del 2009, nella quale la Corte costituzionale ha ribadito  «la
piena compatibilita' costituzionale  della  opzione  del  legislatore
processuale, giustificata da comprensibili esigenze di  speditezza  e
semplificazione, per il rito camerale (ex multis: sentenza n. 103 del
1985, ordinanza n. 35 del 2002), anche in  relazione  a  controversie
coinvolgenti la titolarita' di  diritti  soggettivi;  (...)  che,  in
particolare, come gia' in passato  osservato,  la  giurisprudenza  di
questa Corte e' costante nell'affermare che la  previsione  del  rito
camerale per la  composizione  di  conflitti  di  interesse  mediante
provvedimenti decisori non e' di per se' suscettiva di  frustrare  il
diritto di difesa, in quanto l'esercizio di quest'ultimo puo'  essere
modulato dalla legge in relazione alle peculiari  esigenze  dei  vari
procedimenti purche' ne vangano assicurati lo scopo e la funzione». 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con l'ordinanza in epigrafe, la Corte d'appello di Firenze ha
sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 97 e 111 Cost., questione
di legittimita'  costituzionale  degli  artt.  3  e  29  del  decreto
legislativo 1° settembre 2011, n. 150 (Disposizioni complementari  al
codice di procedura civile in materia di riduzione e  semplificazione
dei procedimenti civili di cognizione, ai sensi  dell'art.  54  della
legge 18 giugno 2009, n. 69). 
    2.- Al fine di  chiarire  il  contesto  normativo  nel  quale  si
inseriscono le disposizioni impugnate, giova premettere che l'art. 29
del  decreto  legislativo  n.  150  del  2011   stabilisce   che   le
controversie   aventi   ad   oggetto   l'opposizione    alla    stima
dell'indennita' di espropriazione, sono regolate dal rito sommario di
cognizione di cui agli artt. 702 bis e 702 ter cod. proc. civ.. 
    In particolare, l'art. 702 ter, comma 2, cod. proc. civ.  prevede
in via generale che il giudice,  se  le  difese  svolte  dalle  parti
richiedono un'istruttoria non sommaria, con ordinanza non impugnabile
dispone procedersi secondo il rito ordinario, fissando  l'udienza  di
cui all'art. 183 cod. proc. civ.. 
    Pertanto, di norma, l'apprezzamento delle esigenze sostanziali  o
processuali che possono  giustificare  la  conversione  del  rito  da
sommario ad ordinario e' rimessa alla valutazione  insindacabile  del
giudice. 
    L'art. 3 censurato ha  introdotto  una  deroga  a  tale  criterio
discrezionale,  escludendo  tassativamente  dalla   possibilita'   di
conversione le cause previste dal capo III  del  decreto  legislativo
medesimo, tra le quali e' compresa, all'art. 29 citato, l'opposizione
alla stima dell'indennita' di espropriazione. 
    Piu'  in  generale,  si  osserva  che  le  norme  impugnate  sono
contenute nel  decreto  legislativo  n.  150  del  2011,  emanato  in
attuazione  della   delega   al   Governo   «per   la   riduzione   e
semplificazione dei procedimenti civili» prevista dall'art. 54  della
legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo  economico,
la semplificazione, la competitivita' nonche' in materia di  processo
civile). 
    Come reso esplicito dalla relazione illustrativa,  il  richiamato
decreto legislativo, «realizza, conformemente ai  criteri  di  delega
(...) la riduzione  e  semplificazione  dei  procedimenti  civili  di
cognizione che rientrano nell'ambito della giurisdizione ordinaria  e
che sono regolati dalla legislazione speciale, riconducendoli ai  tre
modelli  previsti  dal  codice  di  procedura  civile,   individuati,
rispettivamente, nel rito  ordinario  di  cognizione,  nel  rito  che
disciplina le controversie in materia di rapporti di  lavoro,  e  nel
rito sommario di cognizione (introdotto dalla medesima  legge  n.  69
del 2009)». 
    3.- La questione sollevata  e'  inammissibile,  sotto  molteplici
profili. 
    Innanzitutto, il richiamo operato nell'ordinanza di rimessione al
principio di buon andamento dell'amministrazione, di cui all'art.  97
Cost.,  risulta  inconferente,  dal  momento  che  questa  Corte   ha
costantemente affermato l'estraneita' di tale principio all'esercizio
della funzione giurisdizionale (ex multis, ordinanze n. 174 del 2012,
e n.  421  del  2008,  e  sentenza  n.  272  del  2008),  alla  quale
evidentemente attengono le norme processuali impugnate. 
    3.1.-  In  riferimento  agli   altri   parametri   costituzionali
invocati, deve preliminarmente ribadirsi che nella  disciplina  degli
istituti processuali  vige  il  principio  della  discrezionalita'  e
insindacabilita' delle scelte operate  dal  legislatore,  nel  limite
della loro non manifesta irragionevolezza (ex  multis,  ordinanze  n.
174 del 2012, n. 141 del 2011, e n. 164 del 2010). 
    Anche nel caso in  esame,  in  linea  di  principio,  esiste  una
pluralita' di possibili  soluzioni,  quanto  al  rito  con  il  quale
trattare  le  controversie  relative  alla  opposizione  alla   stima
dell'indennita' di espropriazione, come nello specifico  testimoniano
anche le vicende che  hanno  condotto  all'approvazione  del  decreto
legislativo n. 150 del 2011. 
    Dall'esame   degli   atti   parlamentari,   e   dalla   relazione
illustrativa,  emerge  infatti  che  la   scelta   di   inserire   le
controversie in questione fra quelle per  le  quali  e'  preclusa  al
giudice la facolta' di conversione nel rito ordinario di  cognizione,
e' avvenuta solo a seguito dei pareri in  tal  senso  espressi  dalle
competenti  commissioni   parlamentari,   motivati   dalla   relativa
semplicita' degli adempimenti istruttori richiesti in questo tipo  di
cause,  mentre  non   era   prevista   nel   testo   originario   del
provvedimento. In particolare, le Commissioni giustizia della  Camera
dei deputati e del Senato della Repubblica, nei pareri  sullo  schema
di decreto legislativo in questione, hanno espresso l'avviso  secondo
il quale «relativamente alle cause di opposizione alla stima  di  cui
all'art. 54 del decreto legislativo 8 giugno 2001, n.  327,  parrebbe
piu' coerente con la natura istruttoria del relativo procedimento  la
riconduzione al rito sommario in luogo di quello ordinario». 
    La  decisione  richiesta  alla  Corte  avrebbe  pertanto   natura
creativa e non sarebbe costituzionalmente  obbligata,  versandosi  in
materia nella quale sussiste  la  discrezionalita'  del  legislatore:
anche se esaminata  sotto  questo  profilo  la  questione  e'  quindi
inammissibile (ex multis, ordinanze n. 77 e n. 59 del 2010, e n.  243
del 2009). In tal senso, la Corte ha affermato che non puo' ritenersi
«che  sia  coperto  da   garanzia   costituzionale,   quale   modello
tendenzialmente vincolante per il legislatore, il processo  ordinario
di cognizione, i cui singoli istituti dovrebbero  essere  rinvenibili
anche nei procedimenti di cognizione  diversamente  articolati  dalla
legge» (ordinanza n. 389 del 2005). 
    Con riferimento alla possibilita' di  prevedere  altri  riti,  da
parte del legislatore, accanto a quello ordinario, la Corte  ha  piu'
volte ribadito che «la Costituzione non impone un modello  vincolante
di processo» (sentenza n. 341 del 2006, ordinanze n. 386 del  2004  e
n.   389   del   2005),   riaffermando   «la   piena   compatibilita'
costituzionale   della   opzione   del    legislatore    processuale,
giustificata   da   comprensibili   esigenze    di    speditezza    e
semplificazione,  per  il  rito  camerale,  anche  in   relazione   a
controversie coinvolgenti la titolarita' di  diritti  soggettivi;  in
particolare, come gia' in passato  osservato,  la  giurisprudenza  di
questa Corte e' costante nell'affermare che la  previsione  del  rito
camerale per la  composizione  di  conflitti  di  interesse  mediante
provvedimenti decisori non e' di per se' suscettiva di  frustrare  il
diritto di difesa, in quanto l'esercizio di quest'ultimo puo'  essere
modulato dalla legge in relazione alle peculiari  esigenze  dei  vari
procedimenti purche' ne vengano assicurati lo scopo  e  la  funzione»
(ex multis, sentenze n. 170 del 2009, n. 221 del 2008, e n.  194  del
2005). 
    Nel caso in esame, la scelta  di  trattare  con  il  procedimento
sommario di cognizione di cui agli artt. 702 bis ss., cod. proc. civ.
le  controversie  richiamate,  e'  stata  motivata,  nella  relazione
illustrativa al decreto impugnato, dalla «accentuata  semplificazione
della trattazione o dell'istruzione  della  causa,  rivelata,  spesso
nella maggior parte dei casi, dal richiamo della  procedura  camerale
prevista e disciplinata dagli artt. 737  ss.,  cod.  proc.  civ..  Il
presupposto della semplificazione della trattazione e' stato altresi'
rinvenuto in quei procedimenti che,  nel  loro  pratico  svolgimento,
sono  caratterizzati  dal  thema  probandum  semplice,  cui  consegue
ordinariamente un'attivita' istruttoria breve,  a  prescindere  dalla
natura delle  situazioni  giuridiche  soggettive  coinvolte  o  delle
questioni giuridiche da trattare o  decidere.  Tale  impostazione  si
evince anche dai  pareri  resi  dalle  competenti  commissioni  della
Camera  dei  deputati  e  del  Senato  della  Repubblica,  che  hanno
concordemente suggerito di ricondurre al rito sommario di  cognizione
anche i procedimenti in  materia  di  opposizione  alla  stima  nelle
espropriazioni   per   pubblica   utilita'   (...)   i   quali   sono
caratterizzati, nell'esperienza pratica, da un'attivita'  istruttoria
ridotta, a fronte di  questioni  giuridiche  spesso  non  altrettanto
semplici». 
    Nel  quadro  descritto,   deve   pertanto   escludersi   che   le
disposizioni impugnate siano manifestamente irragionevoli,  ponendosi
invece nell'ambito di un chiaro disegno riformatore,  orientato  alla
semplificazione dei procedimenti civili in esame. 
    3.2.-  Inoltre,  la  questione  risulta  inammissibile  anche  se
esaminata sotto un ulteriore profilo,  dal  momento  che  il  giudice
remittente non si  e'  fatto  carico  di  individuare  una  possibile
interpretazione delle norme censurate idonea a superare  i  dubbi  di
costituzionalita', in ossequio al principio, costantemente  affermato
dalla Corte, secondo il quale una disposizione di legge  puo'  essere
dichiarata  costituzionalmente  illegittima  solo  quando   non   sia
possibile  attribuirle  un  significato  che  la  renda  conforme   a
Costituzione. 
    In particolare,  il  giudice  remittente  non  sperimenta  alcuna
possibilita' di interpretare la norma nel senso che essa consenta  al
giudice   di    assicurare,    pur    nell'ambito    dell'istruttoria
deformalizzata, propria del procedimento sommario di  cognizione,  le
garanzie che  egli  ritiene  necessarie  ai  fini  del  rispetto  dei
parametri costituzionali invocati. Lo stesso  giudice  non  esplicita
infatti  le  ragioni  alla  base  della  pretesa  impossibilita'   di
applicare le disposizioni,  ritenute  indispensabili,  che  nel  rito
ordinario regolano l'espletamento della consulenza tecnica d'ufficio,
e di consentire alle parti la facolta' di argomentare, per  mezzo  di
scritti conclusionali, le risultanze istruttorie acquisite. 
    Il giudice a quo non considera gli orientamenti finora  espressi,
nella  prima  fase  di  attuazione  delle  norme   impugnate,   dalla
giurisprudenza di merito  che,  in  conformita'  ai  richiamati  atti
parlamentari, qualifica il rito  in  esame  come  un  procedimento  a
cognizione piena, e ad istruttoria semplificata (ordinanze  Tribunale
di Piacenza, 26 maggio 2011; Tribunale di Varese, 18  novembre  2009;
Tribunale di Viterbo, 12 luglio 2010). Omettendo tale valutazione, il
giudice non motiva neppure sulle ragioni alla  base  della  lamentata
impossibilita'  di  consentire,  pure  nell'ambito   dell'istruttoria
deformalizzata, sia l'interlocuzione del consulente di parte  con  il
consulente  d'ufficio,  in  ordine  alle  sue  conclusioni,  sia   la
presentazione di scritti difensivi conclusionali aventi ad oggetto le
risultanze istruttorie. 
    Pertanto  la  questione,   anche   sotto   questo   profilo,   e'
inammissibile, in coerenza con la costante giurisprudenza  di  questa
Corte che ha  ritenuto  che  «la  mancata  utilizzazione  dei  poteri
interpretativi, che la legge riconosce al giudice  remittente,  e  la
mancata esplorazione di diverse soluzioni ermeneutiche,  al  fine  di
far fronte  al  dubbio  di  costituzionalita'  ipotizzato,  integrano
omissioni tali da rendere manifestamente inammissibile  la  sollevata
questione di legittimita' costituzionale» (ex  multis,  ordinanze  n.
212 del 2011, n. 44, n. 102 e n. 184 del 2012).