ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di  legittimita'  costituzionale  dell'articolo  38,
comma 1, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti  per
la crescita del Paese), convertito, con modificazioni,  dall'art.  1,
comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 134,  promosso  dalla  Regione
Basilicata con ricorso notificato il 9 ottobre  2012,  depositato  in
cancelleria il 16 ottobre 2012 ed iscritto al  n.  147  del  registro
ricorsi 2012. 
    Visto l'atto di costituzione del  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del  24  settembre  2013  il  Giudice
relatore Alessandro Criscuolo; 
    uditi l'avvocato Antonio Pasquale Golia per la Regione Basilicata
e l'avvocato dello Stato Giovanni Palatiello per  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso notificato  il  9  ottobre  2012,  depositato  il
successivo 16 ottobre (r.r. n. 147 del 2012), la  Regione  Basilicata
ha promosso questioni di  legittimita'  costituzionale  dell'articolo
38, comma 1, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure  urgenti
per la crescita del Paese), convertito, con modificazioni,  dall'art.
1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 134, per  violazione  degli
articoli 114, 117, 123 della Costituzione, nonche' del  principio  di
leale collaborazione. 
    1.1.-  La  Regione,  dopo  aver  riportato  il  contenuto   della
disposizione impugnata, rileva che essa interviene sull'art. 1  della
legge 23 agosto  2004,  n.  239  (Riordino  del  settore  energetico,
nonche' delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti
in materia di energia). In  particolare,  detta  legge,  all'art.  1,
comma 7, lettera n),  stabilisce  che  le  disposizioni  inerenti  la
prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi, ivi  comprese  le
funzioni di polizia mineraria, adottate per la terraferma, sono poste
in essere dallo Stato d'intesa con le Regioni interessate. 
    La ricorrente evidenzia come la normativa  nazionale  vigente  in
materia di conferimento dei titoli  minerari  in  terraferma  preveda
sempre  tale  intesa  e  al  riguardo  menziona  vari   provvedimenti
legislativi o amministrativi. 
    Essa  afferma  che,  secondo  la   giurisprudenza   della   Corte
costituzionale, tali intese  costituiscono  la  condizione  minima  e
imprescindibile per la legittimita' costituzionale  della  disciplina
legislativa  statale  che  effettua  la   cosiddetta   «chiamata   in
sussidiarieta'» di una funzione amministrativa, in  materie  affidate
alla legislazione regionale, con la conseguenza che deve trattarsi di
vere e proprie intese «in senso forte», ossia  di  atti  a  struttura
bilaterale, come tali non superabili con decisione unilaterale di una
delle parti (e' richiamata la sentenza n. 383 del 2005). 
    La Regione sottolinea come il governo del territorio  nonche'  la
produzione, il trasporto e la distribuzione  nazionale  dell'energia,
rientrino  nelle  materie  di  legislazione  concorrente:  in  queste
materie, ai  sensi  dell'art.  117  Cost.,  spetta  alle  Regioni  la
potesta' legislativa, salvo che per la  determinazione  dei  principi
fondamentali, riservati allo Stato. 
    La ricorrente richiama anche l'art. 118 Cost., ai sensi del quale
le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo  che,  per
assicurare l'esercizio unitario, siano conferite a  Province,  Citta'
metropolitane,  Regioni  e  Stato,  sulla  base   dei   principi   di
sussidiarieta', differenziazione ed adeguatezza; e  rimarca  come  la
Corte costituzionale abbia ribadito che, nei casi  di  attrazione  in
sussidiarieta'  di  funzioni  relative  a  materie  rientranti  nella
competenza concorrente  di  Stato  e  Regioni,  sia  necessario,  per
garantire   il   coinvolgimento   delle   Regioni   interessate,   il
raggiungimento di un'intesa,  in  modo  da  contemperare  le  ragioni
dell'esercizio unitario  di  date  competenze  e  la  garanzia  delle
funzioni costituzionalmente attribuite alle Regioni (e' richiamata la
sentenza n. 165 del 2011). 
    Ribadito che, per  l'esercizio  di  una  funzione  amministrativa
«attratta  in  sussidiarieta'»  a  livello   statale,   l'ordinamento
costituzionale vigente imporrebbe il conseguimento di una intesa  «in
senso forte» tra organi statali ed organi regionali (sono  citate  le
sentenze n. 179 del 2012 e n. 383 del 2005), la Regione osserva  che,
in  queste   ipotesi,   secondo   la   giurisprudenza   della   Corte
costituzionale non potrebbe essere nemmeno applicato il secondo comma
dell'art. 120 Cost., concernente il potere  sostitutivo  del  Governo
rispetto ad organi delle Regioni, delle Citta'  metropolitane,  delle
Province e dei Comuni  nel  caso  di  mancato  rispetto  di  norme  e
trattati internazionali o della normativa dell'Unione europea  oppure
di pericolo grave per l'incolumita' e la sicurezza  pubblica,  ovvero
quando lo richiedano la tutela dell'unita'  giuridica  o  dell'unita'
economica e in particolare la tutela  dei  livelli  essenziali  delle
prestazioni concernenti i diritti civili e sociali, prescindendo  dai
confini territoriali dei governi locali. 
    La ricorrente ritiene che l'art. 38, comma 1, del d.l. n. 83  del
2012, convertito, con modificazioni,  dall'art.  1,  comma  1,  della
legge n. 134 del 2012, violi l'art. 117 Cost., nonche'  il  principio
di leale collaborazione tra Stato e Regione. 
    A  suo  avviso,  la   disposizione   impugnata   produrrebbe   un
sostanziale "declassamento" dei rapporti tra Stato e Regione,  da  un
livello d'intesa "in senso forte" ad  un'intesa  in  "senso  debole",
ovvero ad un  semplice  "parere"  della  Regione,  parere  come  tale
inidoneo  a  garantire   il   rispetto   del   principio   di   leale
collaborazione,  ritenuto  operante  nei  casi  di   «attrazione   in
sussidiarieta'»  di  funzioni  amministrative  relative   a   materie
rientranti nella competenza legislativa  regionale  (sono  citate  le
sentenze n. 179 del 2012, n. 165 del 2011 e n. 383 del 2005). 
    Infatti, il disposto della norma in questione prevede che in caso
di mancata espressione dell'intesa entro il termine di centocinquanta
giorni dalla  richiesta  del  Ministero,  scatta  automaticamente  un
"invito"  a  provvedere  entro  un  termine  di  trenta   giorni   e,
conseguentemente,  la  rimessione  degli  atti  alla  Presidenza  del
Consiglio dei ministri, la quale, entro sessanta giorni, provvede  in
merito con la partecipazione della Regione interessata. 
    Secondo la ricorrente, sarebbe pregiudicata la  possibilita'  per
la Regione di manifestare qualsiasi forma  di  motivato  dissenso  in
ordine all'intesa. 
    La  Regione  ricorda  come,  per   giurisprudenza   della   Corte
costituzionale, la previsione dell'intesa imposta  dal  principio  di
leale  collaborazione  implichi   l'illegittimita'   di   una   norma
contenente la previsione della decisivita' della volonta' di una sola
parte. In  particolare,  si  e'  affermato  che  sarebbe  violato  il
principio di leale  collaborazione,  con  conseguente  lesione  della
competenza legislativa regionale, allorquando  la  norma  preveda  un
intervento unilaterale dello Stato come mera conseguenza del  mancato
raggiungimento dell'intesa (e' citata la sentenza n. 179 del 2012). 
    Ne' sarebbe stata considerata una valida sostituzione dell'intesa
la previsione della partecipazione della  Regione,  poiche',  in  tal
caso, si trasferirebbe nell'ambito interno di un organo  dello  Stato
un  confronto  tra  Stato  e  Regione  che  dovrebbe  necessariamente
avvenire all'esterno e rispetto al quale le parti sarebbero poste  su
un piano di superiorita' (recte: parita') (e' citata la  sentenza  n.
179 del 2012). 
    2.- Con atto depositato in data 15 novembre 2012 si e' costituito
il Presidente del Consiglio  dei  ministri,  rappresentato  e  difeso
dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che le  questioni  di
legittimita' costituzionale siano dichiarate non fondate. 
    La difesa  erariale  rileva  come  la  legge  n.  239  del  2004,
riordinando l'intero settore energetico, abbia operato una  «chiamata
in sussidiarieta'», a  favore  dello  Stato,  di  buona  parte  delle
funzioni amministrative concernenti  il  settore  della  «produzione,
trasporto e distribuzione nazionale dell'energia»,  rientrante  nella
competenza concorrente di cui all'art. 117, terzo comma, Cost. 
    In  particolare,  il  Presidente  del  Consiglio   dei   ministri
evidenzia come, se e' vero che l'esercizio concreto di  una  funzione
amministrativa  regionale,  attratta  in  sussidiarieta'  a   livello
statale, impone il conseguimento di una necessaria intesa tra  organi
statali ed organi regionali, sia indubbio che spetti allo  Stato,  ai
sensi  dell'art.  117,  terzo  comma,  Cost.,  la  definizione  delle
modalita' di esercizio  dell'intesa  e,  soprattutto,  la  previsione
«delle eventuali procedure per ulteriormente ricercarla  in  caso  di
diniego o comunque per supplire alla sua carenza»  (sentenza  n.  278
del 2010), in quanto tali  procedure  sarebbero  annoverabili  tra  i
"principi fondamentali" delle materie di competenza  concorrente,  la
cui determinazione e' riservata alla legislazione statale. 
    Il comma 8-bis dell'art. 1 della legge n. 239 del 2004, nel testo
modificato  dalla  norma  impugnata,  disciplina  quelle  fattispecie
connotate  da  inerzia  delle  Regioni,  aventi  peraltro  competenza
concorrente nel procedimento di autorizzazione  delle  infrastrutture
energetiche strategiche. 
    La difesa erariale osserva che si e' ritenuto di dover ovviare  a
quelle situazioni di stallo in cui si veniva a trovare  il  Ministero
dello  sviluppo  economico,  che,  pur  in  presenza  di  espressioni
favorevoli di V.I.A. e di pareri favorevoli dei  Comuni  interessati,
non poteva autorizzare tali opere in assenza dell'intesa regionale. 
    Come si evince dalla relazione tecnica relativa al d.l. n. 83 del
2012, tale situazione  di  "inerzia  regionale"  riguarderebbe  molti
procedimenti  di   autorizzazione   di   infrastrutture   energetiche
strategiche involgenti investimenti di  capitale  privato  per  oltre
dieci miliardi di euro; qualora tali investimenti fossero autorizzati
celermente, potrebbero contribuire alla crescita economica del Paese,
all'occupazione,  alla  riduzione  del  costo  dell'energia   per   i
consumatori domestici e per le imprese nonche', in generale,  ad  una
migliore fornitura dei relativi servizi pubblici essenziali. 
    Ad avviso della difesa erariale, la norma impugnata consentirebbe
al Ministero dello sviluppo economico,  esperiti  tutti  i  possibili
tentativi di leale collaborazione con la Regione,  di  fare  ricorso,
nel caso di persistente inerzia di quest'ultima, alla Presidenza  del
Consiglio dei  ministri  in  modo  da  pervenire  alla  chiusura  del
procedimento, sempre con il coinvolgimento della Regione  interessata
che e' chiamata a partecipare alle determinazioni della Presidenza. 
    La procedura configurata dal comma 8-bis dell'art. 1 della  legge
n.  239  del  2004  garantirebbe  la   piena   partecipazione   delle
amministrazioni regionali al procedimento mediante lo strumento della
"intesa forte". 
    La  Regione  cui  si  richiede  l'intesa  verrebbe  messa   nelle
condizioni di potere esprimere il  proprio  parere:  a  tal  fine  le
sarebbe concesso un ragionevole lasso di tempo  per  la  formulazione
del giudizio (centottanta giorni complessivi) e, soltanto  in  ultima
istanza, sarebbe prevista la partecipazione della Regione interessata
alla riunione del Consiglio dei ministri  a  garanzia  delle  proprie
prerogative. 
    Il  Presidente  del   Consiglio   dei   ministri   rileva   come,
nell'ipotesi di esito negativo delle procedure  miranti  all'accordo,
dovuto alla persistente inerzia della Regione,  legittimamente  possa
essere rimessa al Governo una decisione unilaterale (sentenze n.  165
e n. 33 del 2011). 
    Il principio di leale  collaborazione  andrebbe  osservato  anche
dalla   amministrazione   regionale,    che    dovrebbe    provvedere
diligentemente ad  esprimere  la  propria  valutazione  motivata  nei
termini fissati dalla legge statale (sentenza n. 33 del 2011). 
    Tale principio non  sarebbe  osservato  tutte  le  volte  in  cui
l'amministrazione regionale non  provvede  ad  esprimere  il  proprio
parere  ovvero  utilizza  lo  strumento  delle  moratorie   o   della
sospensione dei procedimenti autorizzativi in  corso,  in  attesa  di
valutare  l'opportunita'  di  fare   realizzare   le   infrastrutture
energetiche sul proprio territorio. 
    Il Presidente del Consiglio dei  ministri  sottolinea  come  tali
provvedimenti siano stati piu'  volte  dichiarati  costituzionalmente
illegittimi (e' citata la sentenza n. 192 del 2011), ma malgrado cio'
si sarebbe continuato nell'utilizzo improprio  degli  atti  indicati,
con gravi ripercussioni sui procedimenti autorizzativi in corso. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- Con ricorso notificato  il  9  ottobre  2012,  depositato  il
successivo 16 ottobre (r.r. n. 147 del 2012), la  Regione  Basilicata
ha promosso questioni di  legittimita'  costituzionale  dell'articolo
38, comma 1, del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure  urgenti
per  la  crescita  del   Paese),   convertito,   con   modificazioni,
dall'articolo 1, comma 1, della legge 7  agosto  2012,  n.  134,  per
violazione degli articoli 114, 117 e 123 della Costituzione,  nonche'
del principio di leale collaborazione. 
    Ad avviso della ricorrente, detta norma - che  all'art.  1  della
legge 23 agosto  2004,  n.  239  (Riordino  del  settore  energetico,
nonche' delega al Governo per il riassetto delle disposizioni vigenti
in materia di energia), dopo il comma 8 inserisce il comma 8-bis - si
porrebbe in violazione dell'art.  117,  terzo  comma,  Cost.,  e  del
principio di leale collaborazione. Infatti, essa stabilisce  che,  in
caso di mancata espressione da parte delle amministrazioni  regionali
degli atti di assenso o di intesa, comunque denominati, inerenti alle
funzioni previste dai commi 7 e 8 della  norma  censurata,  entro  il
termine di centocinquanta giorni dalla richiesta, nonche' nel caso di
mancata  definizione  dell'intesa  di  cui  al  comma   5   dell'art.
52-quinquies del Testo unico recato dal decreto del Presidente  della
Repubblica 8 giugno 2001, n.  327  (Testo  unico  delle  disposizioni
legislative e regolamentari in materia di espropriazione per pubblica
utilita' - Testo A), e nei casi regolati dall'art. 3,  comma  4,  del
decreto legislativo 1° giugno 2011, n. 93 (Attuazione delle direttive
2009/72/CE, 2009/73/CE e 2008/92/CE, relative a norme comuni  per  il
mercato interno dell'energia elettrica, del gas  naturale  e  ad  una
procedura comunitaria sulla trasparenza  dei  prezzi  al  consumatore
finale industriale di gas e di energia elettrica, nonche' abrogazione
delle direttive 2003/54/CE e 2003/55/CE), il Ministero dello sviluppo
economico invita le amministrazioni medesime a  provvedere  entro  un
temine non superiore a trenta giorni. In caso di ulteriore inerzia da
parte  delle  amministrazioni  regionali   interessate,   lo   stesso
Ministero  rimette  gli  atti  alla  Presidenza  del  Consiglio   dei
ministri, la quale, entro sessanta giorni dalla rimessione,  provvede
in merito con  la  partecipazione  della  Regione  interessata.  Tali
disposizioni si applicano anche  ai  procedimenti  amministrativi  in
corso e sostituiscono il comma 6 del citato art. 52-quinquies. 
    La norma censurata determinerebbe un sostanziale  "declassamento"
dei rapporti tra lo Stato  e  la  Regione,  passando  da  un  livello
d'intesa "in senso forte" ad una intesa "in senso debole", come  tale
non  idonea  a  garantire  il  rispetto  del   principio   di   leale
collaborazione nella materia (sono richiamate le sentenze  di  questa
Corte n. 179 del 2012, n. 165 del 2011 e n. 383  del  2005).  Sarebbe
pregiudicata, dunque, la possibilita' per la Regione  di  manifestare
qualsiasi forma di motivato dissenso. 
    Del resto, questa Corte  avrebbe  piu'  volte  affermato  che  la
previsione   dell'intesa,   imposta   dal    principio    di    leale
collaborazione, implica l'illegittimita' di una norma  contenente  la
drastica previsione del carattere decisivo della volonta' di una sola
parte.  Il  detto  principio  in  tal  caso  sarebbe   violato,   con
conseguente sacrificio delle sfere di competenza regionale in materie
rientranti nella potesta' legislativa concorrente di Stato e  Regioni
(come nella specie, in cui  verrebbero  in  rilievo  il  governo  del
territorio, nonche' la produzione, il trasporto  e  la  distribuzione
nazionale dell'energia). 
    Ne' la prevista  partecipazione  della  Regione  potrebbe  essere
considerata una valida sostituzione dell'intesa, perche' in tal  modo
«si trasferisce nell'ambito interno  di  un  organo  dello  Stato  un
confronto tra Stato  e  Regione  che  deve  necessariamente  avvenire
all'esterno e rispetto al quale le parti siano poste su un  piano  di
superiorita'» (recte: di parita': sentenza n. 165 del 2011,  punto  8
del Considerato in diritto). 
    2.- Il ricorso della Regione Basilicata, nella parte  conclusiva,
richiama come  parametri  costituzionali,  ai  fini  della  questione
promossa, anche gli artt. 114 e 123 Cost. Tuttavia, la delibera della
Giunta regionale, che autorizzo' la  presentazione  dell'impugnazione
in  via  principale  presso  questa  Corte,   non   conteneva   alcun
riferimento a tali parametri, in ordine ai quali peraltro nel ricorso
manca ogni argomentazione. 
    Ne   deriva   che,   con   riferimento   alle   suddette    norme
costituzionali, la questione deve essere dichiarata inammissibile (ex
plurimis: sentenze n. 220, n. 20 e n. 8 del 2013; n. 212 del 2012). 
    3.- Con  riferimento  all'art.  117  (terzo  comma)  Cost.  e  al
principio di leale collaborazione (art. 118 Cost.), la questione  non
e' fondata, nei termini di seguito precisati. 
    L'art. 38, comma 1, del d.l. n.  83  del  2012,  convertito,  con
modificazioni,  dalla  legge  n.  134  del   2012,   cosi'   dispone:
«All'articolo 1 della legge 23 agosto 2004, n. 239, dopo il  comma  8
e' inserito il seguente:  "8-bis.  Fatte  salve  le  disposizioni  in
materia di valutazione di impatto ambientale,  nel  caso  di  mancata
espressione da parte delle amministrazioni regionali  degli  atti  di
assenso o di intesa, comunque denominati, inerenti alle  funzioni  di
cui ai commi 7 e  8  del  presente  articolo,  entro  il  termine  di
centocinquanta giorni dalla richiesta nonche'  nel  caso  di  mancata
definizione dell'intesa di cui al comma 5 dell'articolo  52-quinquies
del testo unico di cui al decreto del Presidente della  Repubblica  8
giugno 2001, n. 327, e nei casi di cui all'articolo 3, comma  4,  del
decreto legislativo  1°  giugno  2011,  n.  93,  il  Ministero  dello
sviluppo economico invita le medesime a provvedere entro  un  termine
non superiore a trenta giorni. In caso di ulteriore inerzia da  parte
delle amministrazioni  regionali  interessate,  lo  stesso  Ministero
rimette gli atti alla  Presidenza  del  Consiglio  dei  Ministri,  la
quale, entro sessanta giorni dalla rimessione, provvede in merito con
la partecipazione della  regione  interessata.  Le  disposizioni  del
presente comma si applicano anche ai procedimenti  amministrativi  in
corso e sostituiscono il comma 6 del citato articolo 52-quinquies del
testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica n.  327
del 2001"». 
    Come il testuale dettato  della  norma  pone  in  luce,  essa  si
riferisce a tre ipotesi: la prima riguarda la mancata espressione, da
parte delle amministrazioni regionali, degli atti  di  assenso  o  di
intesa in ordine alle funzioni di cui ai commi 7  e  8  del  medesimo
articolo entro il termine di centocinquanta giorni dalla richiesta (i
citati commi 7 e 8 affidano allo Stato, in  forza  del  principio  di
sussidiarieta',  l'esercizio   di   numerosi   compiti   e   funzioni
amministrativi nel settore energetico, con  previsione  dell'intesa);
la seconda regola il caso di mancata definizione dell'intesa  di  cui
all'art. 52-quinquies, comma 5, del d.P.R.  n.  327  del  2001,  alla
stregua del quale «Per le infrastrutture lineari energetiche  di  cui
al comma 2, l'atto conclusivo del procedimento di cui al comma  2  e'
adottato d'intesa con le regioni interessate» (il successivo comma 6,
sostituito dalla norma in esame, disciplina il procedimento  in  caso
di mancata definizione dell'intesa  nel  termine  prescritto  per  il
rilascio dell'autorizzazione); la terza concerne «il mancato rispetto
da parte delle amministrazioni regionali competenti dei  termini  per
l'espressione dei pareri o per l'emanazione  degli  atti  di  propria
competenza». 
    Cio' posto, si  deve  osservare  che,  con  giurisprudenza  ormai
costante, questa  Corte  ha  affermato  che  «nei  casi  in  cui  sia
prescritta una intesa "in senso forte"  tra  Stato  e  Regioni  -  ad
esempio,  per  l'esercizio  unitario  statale,  in  applicazione  del
principio di sussidiarieta', di funzioni attribuite  alla  competenza
regionale - il mancato raggiungimento dell'accordo non legittima,  di
per se', l'assunzione unilaterale di  un  provvedimento.  Si  tratta,
infatti,  di  "atti  a  struttura  necessariamente  bilaterale",  non
sostituibili da una determinazione del solo Stato  (sentenza  n.  383
del 2005). Non e' sufficiente, in ogni caso, il  formale  riferimento
alla necessaria osservanza del  principio  di  leale  collaborazione.
Devono essere previste procedure di  reiterazione  delle  trattative,
con l'impiego di specifici strumenti di mediazione  (ad  esempio,  la
designazione di commissioni paritetiche o di  soggetti  "terzi"),  ai
quali possono aggiungersi  ulteriori  garanzie  della  bilateralita',
come,  ad  esempio,  la  partecipazione  della  Regione   alle   fasi
preparatorie del provvedimento statale (sentenze n. 165 e n.  33  del
2011). 
    L'assunzione unilaterale dell'atto  non  puo',  pertanto,  essere
prevista come "mera conseguenza automatica del mancato raggiungimento
dell'intesa",   con   sacrificio   della    sfera    di    competenza
costituzionalmente  attribuita  alla  Regione   e   violazione,   per
l'effetto, del principio di leale collaborazione (sentenza n. 179 del
2012)». (sentenza n. 39 del 2013). 
    Come si vede, la giurisprudenza ora citata si basa su  un  chiaro
principio, desumibile dal richiamo alle intese come «atti a struttura
necessariamente bilaterale»; dalla previsione di idonee procedure  di
reiterazione delle trattative, volte a superare  le  divergenze,  con
l'impiego di specifici strumenti di mediazione (ex plurimis: sentenze
n.  121  del  2010;  n.  24  del  2007;  n.  339  del  2005);   dalla
partecipazione della Regione alle fasi preparatorie del provvedimento
statale. Il principio si traduce nell'onere per le parti di sostenere
un dialogo, e quindi di tenere un  comportamento  collaborativo,  che
consenta di pervenire in termini  ragionevoli  alla  definizione  del
procedimento. 
    Invece - ferma restando la liberta' dello Stato e  della  Regione
di esprimere senza alcun vincolo i propri punti di vista e le proprie
determinazioni favorevoli o contrarie a certe scelte - l'adozione, da
parte della Regione,  di  una  condotta  meramente  passiva,  che  si
traduca nell'assenza di ogni forma di collaborazione, si  risolve  in
una inerzia idonea a creare un vero e proprio  blocco  procedimentale
con indubbio pregiudizio per il principio di leale  collaborazione  e
per il buon andamento dell'azione amministrativa. 
    Ebbene, la norma qui censurata mira per l'appunto a superare tali
forme di  inerzia,  che  diano  luogo  ad  ingiustificate  stasi  del
procedimento. 
    Infatti, essa fa riferimento al caso di «mancata  espressione  da
parte delle amministrazioni regionali degli  atti  di  assenso  o  di
intesa  comunque  denominati»,  al  caso  «di   mancata   definizione
dell'intesa»  e  ai  casi  «di  mancato  rispetto  da   parte   delle
amministrazioni regionali dei termini per l'espressione dei pareri  o
per l'emanazione degli atti di propria competenza». Dinanzi a  queste
fattispecie, gia' concretanti di  per  se'  forme  di  inerzia  delle
amministrazioni regionali, il legislatore statale, solo  in  caso  di
«ulteriore  inerzia»  delle   amministrazioni   stesse,   a   seguito
dell'invito rivolto alle medesime di provvedere entro un termine  non
superiore a trenta giorni, prevede  la  rimessione  degli  atti  alla
Presidenza del Consiglio dei ministri, la quale decide in merito  con
la partecipazione della Regione interessata. 
    Nel  caso  di  specie,  dunque,   non   ricorre   l'ipotesi   del
superamento, con decisione unilaterale di una delle parti, di atti  a
struttura necessariamente bilaterale (cosiddette  intese  forti),  in
quanto «le idonee procedure per consentire reiterate trattative» sono
necessarie perche' volte a superare le  «divergenze»  (e'  citata  la
sentenza n.  179  del  2012).  Invece,  nella  norma  in  esame  sono
contemplate  condotte   meramente   passive   delle   amministrazioni
regionali, concretanti esse stesse ipotesi di mancata collaborazione. 
    L'intenzione  del  legislatore  di  superare  con  la  norma   in
questione le situazioni di "stallo" nel settore energetico si  evince
anche  dai  lavori  parlamentari,   segnatamente,   dalla   relazione
illustrativa, la quale «evidenzia come  molti  procedimenti  relativi
alla  realizzazione   di   infrastrutture   energetiche   strategiche
risultino fortemente rallentati o sospesi, anche per  anni,  a  causa
dell'inerzia  delle  amministrazioni  regionali   aventi   competenza
concorrente nell'autorizzazione o concessione relativa alle opere  da
realizzare». 
    La disposizione, dunque, e' finalizzata a superare le dette forme
di inerzia e, pertanto, in tali  sensi  interpretata,  non  viola  le
competenze costituzionali della Regione, ne' si pone in contrasto con
il principio di leale collaborazione, che anzi tende ad attuare.