ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale  degli  articoli  53,
comma 1, lettera b), e 64, commi 1 e 2, del decreto-legge  22  giugno
2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del  Paese),  convertito,
con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 7  agosto  2012,
n. 134, promosso dalla Regione Veneto con ricorso consegnato  per  la
notificazione in data 9 ottobre 2012, depositato in cancelleria il 16
ottobre 2012 ed iscritto al n. 146 del registro ricorsi 2012. 
    Visto l'atto di costituzione  di  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri; 
    udito nell'udienza pubblica del  24  settembre  2013  il  Giudice
relatore Paolo Maria Napolitano; 
    uditi gli avvocati Luca Antonini e Luigi  Manzi  per  la  Regione
Veneto e l'avvocato dello Stato Enrico de Giovanni per il  Presidente
del Consiglio dei ministri. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso consegnato per la notificazione in data 9 ottobre
2012, la Regione Veneto,  in  persona  del  Presidente  della  Giunta
regionale, ha promosso questione di  legittimita'  costituzionale  di
diverse disposizioni facenti parte del decreto-legge 22 giugno  2012,
n. 83 (Misure urgenti per la crescita  del  Paese),  convertito,  con
modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 7  agosto  2012,
n.   134,   deducendone   il   contrasto   con   numerosi   parametri
costituzionali. 
    1.1.- Fra le disposizioni oggetto di censura  e'  l'articolo  53,
comma 1, lettera b),  del  d.l.  n.  83  del  2012,  convertito,  con
modificazioni, dalla legge n. 134 del 2012, con il quale  sono  state
apportate delle modifiche all'art.  4  del  decreto-legge  13  agosto
2011,  n.  138  (Ulteriori  misure  urgenti  per  la  stabilizzazione
finanziaria  e  per  lo  sviluppo),  convertito,  con  modificazioni,
dall'art. 1, comma 1, della legge 14 settembre 2011, n. 148,  che,  a
sua volta, era intervenuto dettando la nuova disciplina  del  servizi
pubblici  locali,  precedentemente  contenuta  nell'art.  23-bis  del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112  (Disposizioni  urgenti  per  lo
sviluppo  economico,  la  semplificazione,  la   competitivita',   la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria),
convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1,  della  legge  6
agosto 2008, n. 133, disposizione quest'ultima oggetto di  referendum
abrogativo svoltosi  nel  giugno  2011,  i  cui  effetti  sono  stati
formalizzati con il decreto del Presidente della Repubblica 18 luglio
2011,  n.  113  (Abrogazione,  a  seguito  di  referendum   popolare,
dell'articolo 23-bis del decreto-legge n. 112 del  2008,  convertito,
con  modificazioni,  dalla  legge  n.  133  del  2008,  e  successive
modificazioni, nel testo risultante a seguito  della  sentenza  della
Corte costituzionale n. 325 del 2010,  in  materia  di  modalita'  di
affidamento e gestione  dei  servizi  pubblici  locali  di  rilevanza
economica). 
    Prosegue la Regione ricorrente rammentando  che  il  legislatore,
con  l'art.  4  del  d.l.  n.  138  del  2011,  aveva,  in  sostanza,
reintrodotto  la  medesima  disciplina  oggetto   della   abrogazione
referendaria, tanto  che,  impugnata  la  disposizione  in  tal  modo
sopravvenuta da varie Regioni, la Corte costituzionale, con  sentenza
n. 199 del 2012, ne ha dichiarato la  illegittimita'  costituzionale,
ritenendo la norma, riproduttiva di una disciplina normativa abrogata
per volonta' popolare, in contrasto con l'art. 75 della Costituzione. 
    Aggiunge, a questo  punto,  la  Regione  ricorrente  che  con  la
disposizione legislativa ora  denunziata  sono  state,  tra  l'altro,
apportate numerose modifiche al ricordato art. 4 del d.l. n. 138  del
2011, le quali - prosegue la parte  ricorrente  richiamando  numerose
precedenti sentenze di questa Corte - ledono la autonomia  regionale,
comprimendone le sfere di competenza esclusiva residuale  in  materia
di servizi pubblici locali e concorrente in materia di  coordinamento
della finanza pubblica. 
    Peraltro, prosegue  la  ricorrente,  la  disposizione  censurata,
apportando modifiche all'art. 4 del d.l. n. 138  del  2011  -  a  sua
volta, come detto, riproduttivo dell'art. 23-bis del d.l. n. 112  del
2008 - reintrodurrebbe in sostanza  una  normativa  gia'  oggetto  di
referendum abrogativo,  violando  essa  stessa  l'art.  75  Cost.  La
surrettizia reiterazione di una norma dichiarata incostituzionale  da
questa Corte con la sentenza n. 199 del 2012, cioe' il ricordato art.
4 del d.l. n. 138 del 2011, violerebbe peraltro anche l'art.136 Cost. 
    2.- Oggetto di  impugnazione  sono,  altresi',  i  commi  1  e  2
dell'art. 64 del d.l. n. 83 del 2012, convertito, con  modificazioni,
dalla legge n. 134 del 2012. 
    2.1.- Il comma 1 del citato art. 64 prevede l'istituzione, presso
la Presidenza del Consiglio dei ministri, di un fondo  -  avente  una
dotazione per l'anno 2012 fino a 23 milioni di euro - per lo sviluppo
e la capillare diffusione della pratica  sportiva,  finalizzato  alla
realizzazione di nuovi impianti sportivi o alla  ristrutturazione  di
quelli esistenti. 
    Il successivo comma 2 prevede, a sua volta,  che  i  criteri  per
l'erogazione delle risorse finanziarie del fondo in  questione  siano
definiti con  decreto  ministeriale,  di  natura  non  regolamentare,
emanato dal Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport,
di concerto con quello dell'economia e delle finanze, sentiti il CONI
e la Conferenza unificata Stato Regioni. 
    La ricorrente Regione, con riferimento al comma 1 del citato art.
64, si duole del fatto che sia stato istituito  un  fondo  statale  a
destinazione vincolata in  un  ambito  materiale  riconducibile  alla
competenza regionale concorrente relativa all'«ordinamento  sportivo»
ed al «governo del territorio», cosi' violando l'art. 119 Cost.  che,
nel sancire la autonomia finanziaria delle Regioni, non permette allo
Stato  di  ingerirsi  nel  finanziamento  delle  funzioni   pubbliche
connesse alle materie rimesse alle competenze normative regionali. 
    Ricorda, infatti, la Regione Veneto che la  previsione  di  fondi
vincolati diverrebbe, secondo la giurisprudenza  costituzionale,  uno
strumento di ingerenza  dello  Stato  nell'esercizio  delle  funzioni
degli enti locali, e di sovrapposizione, relativamente agli indirizzi
economico-finanziari legittimamente decisi dalle Regioni negli ambiti
di propria competenza. 
    Riguardo al comma 2 dello  stesso  art.  64  la  doglianza  della
ricorrente si appunta sul fatto che  non  sia  prevista  dalla  norma
alcuna forma di intesa con le  Regioni,  essendo  i  criteri  per  la
erogazione delle risorse di cui al fondo  in  questione  dettati  con
decreto ministeriale adottato non previa  intesa  con  la  Conferenza
Stato Regioni, ma soltanto «sentita» quest'ultima. 
    In questo modo, ad avviso della ricorrente,  sarebbe  violato  il
principio di leale collaborazione di cui all'art. 120 Cost. 
    La norma sarebbe, altresi', in contrasto con  l'art.  117,  sesto
comma, Cost. in quanto prevederebbe  la  emanazione  da  parte  dello
Stato   di   un   atto   avente,   al   di   la'   della    contraria
autoqualificazione, certamente natura regolamentare  in  una  materia
relativa alla competenza legislativa concorrente. 
    3.- Si e' costituito in giudizio, rappresentato  e  difeso  dalla
Avvocatura generale dello Stato,  il  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri osservando, riguardo alla impugnazione dell'art.  53,  comma
1, lettera b), del d.l. n. 83 del 2012, che deve ritenersi cessata la
materia  del  contendere  in  quanto  la  Corte  costituzionale,  con
sentenza n. 199  del  2012,  ha  gia'  dichiarato  la  illegittimita'
costituzionale dell'art. 4 del  d.l.  n.  138  del  2011  cosi'  come
modificato, da ultimo, per effetto della disposizione ora censurata. 
    Riguardo alla impugnazione avente ad oggetto i  primi  due  commi
dell'art 64 del d.l. n. 83 del  2012,  l'Avvocatura  dello  Stato  ne
deduce la infondatezza.  La  disposizione,  volta  a  rimediare  alle
carenze  di  infrastrutture  sportive  soprattutto  nelle  zone   del
meridione d'Italia, sarebbe, infatti, da inquadrare nella  previsione
di cui all'art. 119, quinto comma, Cost. che legittima gli interventi
finanziari statali volti  a  promuovere  lo  sviluppo  economico,  la
coesione e la solidarieta'  sociale  ed  a  rimuovere  gli  squilibri
economici e sociali onde favorire l'effettivo esercizio  dei  diritti
della persona. 
    4.- In prossimita' della data  fissata  per  la  discussione  del
presente  ricorso  la  Regione  Veneto  ha  depositato  una   memoria
illustrativa nella quale, con riferimento alla impugnazione dell'art.
53, comma 1, lettera b), del d.l. n. 83 del 2012,  ha  rilevato  che,
essendo stata la  disposizione  espressamente  abrogata  per  effetto
della entrata in vigore dell'art. 34, comma 24, del decreto-legge  18
ottobre 2012, n. 179 (Ulteriori misure urgenti per  la  crescita  del
Paese), convertito, con modificazioni, dall'art. 1,  comma  1,  della
legge 17 dicembre 2012, n. 221,  la  questione  avrebbe  cessato  «di
avere rilievo». 
    Con riferimento, invece, alla impugnazione dell'art. 64, commi  1
e 2, del d.l. n. 83 del 2012,  la  Regione  ricorrente  ha  insistito
nella  richiesta  di  accoglimento  della  prospettata  questione  di
legittimita' costituzionale. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.- La Regione  Veneto  ha  promosso  questione  di  legittimita'
costituzionale di  diverse  disposizioni  legislative  contenute  nel
decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per  la  crescita
del Paese); fra queste, ha, in particolare,  censurato  gli  articoli
53, comma 1, lettera b), e 64, commi 1 e 2. 
    Riservata  ad  altra  pronunzia  la  decisione  in  ordine   alla
impugnazione delle restanti disposizioni censurate, e' ora oggetto di
esame la prospettata questione di legittimita'  costituzionale  delle
norme teste' richiamate. 
    1.1.- La Regione Veneto contesta la  legittimita'  costituzionale
dell'art. 53, comma 1, lettera b), del d.l. n. 83 del  2012  -  nella
parte in cui esso introduce delle modifiche nel preesistente  art.  4
del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138  (Ulteriori  misure  urgenti
per la stabilizzazione finanziaria e per  lo  sviluppo)  -  sotto  un
duplice profilo. 
    1.1.1.- Per un verso, rilevato che la norma censurata e' andata a
modificare una precedente disposizione legislativa, vale  a  dire  il
ricordato  art.  4   del   d.l.   n.   138   del   2011,   dichiarata
costituzionalmente illegittima con sentenza di questa  Corte  n.  199
del 2012, la Regione ricorrente ritiene che  essa  violi  l'art.  136
Cost.,  dando  nuovo  vigore  ad  una  disposizione  gia'  cancellata
dall'ordinamento per effetto della ricordata sentenza. 
    1.1.2.- Per altro verso,  prosegue  la  ricorrente,  la  medesima
norma, sempre in ragione del fatto che essa ha inciso, modificandolo,
sull'art. 4 del d.l. n. 138 del  2011,  disposizione  sostanzialmente
riproduttiva dell'art. 23-bis del decreto-legge 25 gennaio  2008,  n.
112   (Disposizioni   urgenti   per   lo   sviluppo   economico,   la
semplificazione, la competitivita', la stabilizzazione della  finanza
pubblica   e   la   perequazione   tributaria),    convertito,    con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 6  agosto  2008,  n.
133, che, a sua volta, a seguito dell'esito di  referendum  popolare,
e' stato abrogato con decreto  del  Presidente  della  Repubblica  18
luglio 2011, n. 113 (Abrogazione, a seguito di  referendum  popolare,
dell'articolo 23-bis del decreto-legge n. 112 del  2008,  convertito,
con  modificazioni,  dalla  legge  n.  133  del  2008,  e  successive
modificazioni, nel testo risultante a seguito  della  sentenza  della
Corte costituzionale n. 325 del 2010,  in  materia  di  modalita'  di
affidamento e gestione  dei  servizi  pubblici  locali  di  rilevanza
economica), violerebbe il dettato dell'art. 75  Cost.,  ripristinando
una disposizione gia' oggetto di referendum abrogativo. 
    2.-  Ai  fini  della  soluzione  della  presente   questione   di
legittimita'  costituzionale  svolge   una   funzione   decisiva   la
circostanza che, successivamente alla  proposizione  da  parte  della
Regione Veneto del presente ricorso, sia intervenuto  il  legislatore
nazionale il quale, come riscontrato anche dalla ricorrente nella sua
memoria illustrativa  depositata  in  prossimita'  dell'udienza,  con
l'art. 34, comma 24,  del  decreto-legge  18  ottobre  2012,  n.  179
(Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese), convertito, con
modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della legge 17 dicembre 2012, n.
221, ha espressamente abrogato la lettera b) dell'art. 53,  comma  1,
del d.l. n. 83 del 2012. 
    Ad oggi, pertanto, al netto dell'evidente anomalia  riscontrabile
nell'operato  del  legislatore  statale  che,  con  la   disposizione
impugnata, ha novellato una norma gia' dichiarata  costituzionalmente
illegittima con precedente sentenza di questa Corte (al  riguardo  e'
significativo rilevare che la disposizione ora censurata,  nella  sua
versione risultante a seguito  di  modifiche  apportate  in  sede  di
conversione in legge del d.l. n. 83 del  2012,  e'  stata  pubblicata
nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica dell'11 agosto 2012, mentre
la sentenza con  la  quale  e'  stata  dichiarata  la  illegittimita'
costituzionale dell'art. 4 del d.l. n. 138 del 2011, depositata nella
cancelleria di questa Corte in data 20 luglio 2012,  era  stata  gia'
pubblicata nella Gazzetta  Ufficiale  della  Repubblica  in  data  25
luglio 2012), la presente questione di  legittimita'  costituzionale,
divenuta, successivamente alla proposizione  del  ricorso,  priva  di
oggetto, stante l'abrogazione della  norma  censurata  (della  quale,
dato  il  suo  contenuto,  puo'  escludersi  qualsivoglia  forma   di
applicazione durante  l'effimera  vigenza),  deve  essere  dichiarata
inammissibile. 
    3.-  La  Regione  Veneto  contesta,  altresi',  la   legittimita'
costituzionale dei commi 1 e 2 dell'art. 64 del d.l. n. 83 del  2012,
nella parte in cui, al comma 1, e' prevista l'istituzione, presso  la
Presidenza del Consiglio dei ministri, di un Fondo per lo sviluppo  e
la capillare diffusione  della  pratica  sportiva,  finalizzato  alla
realizzazione di nuovi impianti o  alla  ristrutturazione  di  quelli
gia' esistenti, e,  al  comma  2,  e'  previsto  che  i  criteri  per
l'erogazione delle risorse in questione siano definiti attraverso  un
decreto, avente dichiarata natura  non  regolamentare,  adottato  dal
Ministro per gli affari regionali, il turismo e lo sport, di concerto
con quello dell'economia e  delle  finanze,  sentiti  il  CONI  e  la
Conferenza unificata Stato Regioni. 
    3.1.-  In  particolare,  secondo  la  ricorrente,  le   descritte
disposizioni si pongono in contrasto, la prima, con l'art. 119 Cost.,
essendo inibito  allo  Stato  di  prevedere  l'istituzione  di  fondi
vincolati nelle materie di competenza regionale,  individuate,  nella
specie,  in  quella  del  «governo  del  territorio»  e   in   quella
dell'«ordinamento sportivo», la seconda  con  gli  artt.  117,  sesto
comma, e 120 Cost. poiche' essa prevede la adozione  da  parte  dello
Stato di atti aventi - al di la' dell'ingannevole  autoqualificazione
- contenuto sostanzialmente regolamentare in ambiti materiali rimessi
alla competenza concorrente regionale  e  viola  il  principio  della
leale collaborazione fra Stato e Regioni,  non  essendo  previsto  un
reale coinvolgimento di queste nella definizione dei criteri  per  la
erogazione delle risorse di cui al fondo in questione. 
    4.- La questione di  legittimita'  costituzionale  dell'art.  64,
comma 1, del d.l. n. 83 del 2012 e' fondata. 
    4.1.-  Deve,  preliminarmente,  rilevarsi   che   questa   Corte,
nell'occuparsi  in  passato  della   collocazione   materiale   della
disciplina afferente alla edilizia sportiva ebbe a  chiarire,  in  un
primo tempo - anche anteriormente cioe' alle «Modifiche al  titolo  V
della  parte  seconda  della  Costituzione»  apportate  dalla   legge
costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, - che  «la  ripartizione  delle
competenze sugli impianti e sulle attrezzature  e'  [...]  nel  senso
che, mentre lo Stato e' pienamente  legittimato  a  programmare  e  a
decidere gli interventi sugli impianti e sulle attrezzature necessari
per l'organizzazione delle attivita' sportive agonistiche, le regioni
vantano   invece   la   corrispondente   competenza   in    relazione
all'organizzazione  delle   attivita'   sportive   non   agonistiche»
(sentenza n. 517 del 1987), precisando, successivamente, che «non  e'
dubitabile che la disciplina  degli  impianti  e  delle  attrezzature
sportive rientri nella materia dell'ordinamento  sportivo  e  che  in
merito alla stessa operi il riparto  di  competenze  legislative  tra
Stato  e  Regioni  sancito  dall'art.   117,   terzo   comma,   della
Costituzione» (sentenza n. 424 del 2004). 
    Alla luce di tali precedenti si puo', pertanto,  tranquillamente,
ascrivere la destinazione del fondo in questione - finalizzato non  a
favorire l'attivita' sportiva agonistica ma destinato allo  «sviluppo
ed alla capillare diffusione della pratica sportiva a tutte le eta' e
tra tutti gli strati della popolazione»  -  all'ambito  materiale  di
competenza concorrente regionale dell'«ordinamento sportivo»  di  cui
all'art. 117, terzo comma, Cost. 
    4.2.-   Cio'   premesso,   va   considerato   che,   secondo   la
giurisprudenza  di  questa  Corte,  «l'art.  119   Cost.   vieta   al
legislatore  statale  di  prevedere,   in   materie   di   competenza
legislativa regionale residuale o concorrente, nuovi finanziamenti  a
destinazione vincolata, anche a  favore  di  soggetti  privati.  Tali
misure, infatti, possono divenire strumenti indiretti, ma  pervasivi,
di ingerenza dello Stato nell'esercizio delle funzioni delle  Regioni
e degli enti locali, nonche' di sovrapposizione  di  politiche  e  di
indirizzi governati centralmente a quelli legittimamente decisi dalle
Regioni negli ambiti materiali di propria  competenza»  (sentenza  n.
168 del 2008, nonche', in  termini  sostanzialmente  coincidenti,  ex
plurimis, sentenze n. 50 del 2008, n. 201  del  2007  e  n.  118  del
2006). Cio', in particolare, quando la  finalizzazione  e',  come  in
questo caso, specifica e puntuale. 
    4.3.- Ne' puo' valere  quale  argomento  idoneo  a  far  ritenere
inapplicabile al caso di specie il  ricordato  radicato  orientamento
giurisprudenziale l'affermazione della  difesa  erariale  secondo  la
quale l'intervento finanziario previsto dalla norma censurata sarebbe
da attribuire al novero di  quelli  previsti  dall'art.  119,  quinto
comma,  Cost.,  secondo  il  quale  e'  consentita  allo   Stato   la
destinazione   di   risorse   aggiuntive   agli   enti   locali   per
l'effettuazione di  interventi  speciali  volti,  fra  l'altro,  alla
rimozione degli esistenti squilibri economici e sociali. 
    Infatti  la  circostanza,  allegata  dalla  difesa  dello  Stato,
secondo la quale il fondo previsto dalla normativa censurata  avrebbe
la funzione di strumento di  riequilibrio  di  situazioni  altrimenti
svantaggiate,  in  quanto  destinato  a  rimediare  alle  carenze  di
infrastrutture sportive  riscontrabili  soprattutto  nelle  zone  del
meridione d'Italia, non trova nel testo dell'art. 64 del d.l.  n.  83
del 2012, secondo una esegesi normativa svolta in base agli  ordinari
canoni ermeneutici, alcun effettivo riscontro. 
    Cio', in particolare, tenuto  conto  del  dato,  emergente  dalla
analisi testuale della disposizione censurata, che in essa non vi  e'
alcun indice da cui desumere l'esistenza sia di uno specifico  ambito
territoriale di localizzazione dell'intervento,  sia  di  particolari
categorie svantaggiate destinatarie di esso, essendo, anzi,  prevista
la  attribuzione  delle  risorse   in   favore   di   una   ampia   e
tendenzialmente indifferenziata platea di soggetti beneficiari. 
    5.- L'evidente subordinazione del disposto del comma 2  dell'art.
64 del d.l. n. 83 del 2012  alla  perdurante  vigenza  del  contenuto
normativo del precedente comma 1 fa si' che, accolta la questione  di
legittimita' costituzionale concernente il comma  1,  debba  -  anche
prescindendo dalle specifiche censure fatte valere  dalla  ricorrente
Regione  -  essere  estesa   la   dichiarazione   di   illegittimita'
costituzionale anche al successivo comma 2, in quanto, trattandosi di
disposizione destinata ad operare esclusivamente  in  funzione  della
precedente, venuta meno questa,  non  trova  giustificazione  la  sua
permanenza nell'ordinamento.