ha pronunciato la seguente 
 
                              SENTENZA 
 
    nel giudizio di legittimita' costituzionale degli artt. 6,  comma
1, 8, comma 2, 13 e 18 della legge della Regione autonoma Sardegna 17
dicembre 2012, n. 25 (Disposizioni urgenti in materia di enti  locali
e  settori  diversi),  promosso  dal  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri con ricorso notificato il 18-20 febbraio 2013, depositato in
cancelleria il 25 febbraio 2013 ed iscritto al  n.  25  del  registro
ricorsi 2013. 
    Visto l'atto di costituzione della Regione autonoma Sardegna; 
    udito  nell'udienza  pubblica  del  10  giugno  2014  il  Giudice
relatore Sergio Mattarella; 
    uditi l'avvocato dello Sato Cristina Gerardis per  il  Presidente
del Consiglio dei  ministri  e  l'avvocato  Massimo  Luciani  per  la
Regione autonoma Sardegna. 
 
                          Ritenuto in fatto 
 
    1.- Con ricorso spedito per la  notifica  il  18  febbraio  2013,
ricevuto dalla resistente il  successivo  20  febbraio  e  depositato
nella cancelleria di questa Corte il 25 febbraio 2013 (reg.  ric.  n.
25 del 2013), il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato
e difeso  dall'Avvocatura  generale  dello  Stato,  ha  promosso,  in
riferimento agli artt. 97, 117, primo comma, secondo  comma,  lettera
s), e terzo comma, della Costituzione, e 3 e 4,  lettere  a)  ed  e),
della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3  (Statuto  speciale
per la Sardegna), nonche' per contrasto con gli artt.  10  e  16  del
decreto legislativo 28 giugno 2012, n.  106  (Riorganizzazione  degli
enti vigilati dal Ministero della salute,  a  norma  dell'articolo  2
della legge 4 novembre 2010, n. 183), con  gli  artt.  da  20  a  28,
nonche' con gli Allegati III, lettere b), s) ed u), e  IV,  punti  2,
lettera b), 7, lettera o), 8, lettera i), del decreto  legislativo  3
aprile 2006, n. 152  (Norme  in  materia  ambientale),  questione  di
legittimita' costituzionale degli artt. 6, comma 1, ed 8, comma 2, 13
e 18 della legge Regione autonoma Sardegna 17 dicembre  2012,  n.  25
(Disposizioni urgenti in materia di enti locali e settori diversi). 
    Osserva preliminarmente l'Avvocatura  dello  Stato  che,  con  le
disposizioni  di  legge  regionale  impugnate,  la  Regione  autonoma
Sardegna interviene in una  serie  di  settori  nei  quali  e'  stata
riscontrata la necessita' di adottare disposizioni urgenti. 
    1.1.-  Deduce,  in  particolare,  il  ricorrente  Presidente  del
Consiglio dei ministri che  l'art.  6,  comma  1,  della  legge  reg.
Sardegna n. 25 del 2012, disponendo che gli enti locali  affidano  lo
svolgimento dei servizi di interesse generale non soltanto a societa'
«a  totale  partecipazione  pubblica»,  ma  anche   a   societa'   «a
partecipazione mista pubblica privata», si porrebbe in contrasto  con
il diritto dell'Unione europea, violando  in  tal  modo  l'art.  117,
primo comma, della Costituzione. 
    Il testo della disposizione impugnata e'  il  seguente:  «1.  Gli
enti  locali  affidano  lo  svolgimento  dei  servizi  di   interesse
generale, ad eccezione  del  servizio  di  distribuzione  di  energia
elettrica, del servizio  di  distribuzione  di  gas  naturale  e  dei
servizi aperti ad una effettiva concorrenza nel mercato, dei  servizi
strumentali  connessi  alla  loro  attivita'  o  all'esercizio  delle
funzioni amministrative e fondamentali ad  essi  conferite  ai  sensi
degli articoli 117, comma 2, lettera p), e  118  della  Costituzione,
nonche' di ogni altra  attivita'  d'interesse  pubblico  regionale  e
locale, mediante procedure di evidenza pubblica o, in alternativa, ad
organismi  a  partecipazione  mista  pubblica  privata  o  a   totale
partecipazione pubblica, nel rispetto della normativa comunitaria». 
    Osserva anzitutto la difesa dello Stato che la  sentenza  n.  199
del 2012 della Corte costituzionale  ha  dichiarato  l'illegittimita'
costituzionale dell'art. 4 del decreto-legge 13 agosto 2011,  n.  138
(Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo
sviluppo), convertito, con modificazioni, dall'art. 1, comma 1, della
legge  14  settembre  2011,  n.   148,   recante   disposizioni   per
l'«Adeguamento  della  disciplina  dei  servizi  pubblici  locali  al
referendum  popolare   e   alla   normativa   dall'Unione   europea».
Quest'ultimo, limitando  le  ipotesi  di  affidamento  in  house  dei
servizi pubblici locali senza gara al di sotto di 900.000  euro  alle
societa' a capitale interamente pubblico, reintroduceva la disciplina
contenuta nell'art. 23-bis del decreto-legge 25 giugno 2008,  n.  112
(Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la  semplificazione,
la competitivita', la stabilizzazione della  finanza  pubblica  e  la
perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dall'art. 1,
comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133, che  era  stato  abrogato
dal referendum del  12-13  giugno  2011,  riproducendone  i  medesimi
principi ispiratori e le medesime modalita' di  applicazione,  lesivi
delle competenze regionali in tema di servizi pubblici  locali  e  di
organizzazione degli enti locali. Da cio'  seguirebbe  l'applicazione
immediata nell'ordinamento nazionale della  normativa  europea  sulle
regole concorrenziali minime in tema di gara ad evidenza pubblica per
l'affidamento  della  gestione  di  servizi  pubblici  di   rilevanza
economica, ricompresi  nei  «servizi  di  interesse  generale»,  allo
svolgimento dei quali si riferisce la disposizione censurata. 
    L'Avvocatura dello Stato richiama i principi di diritto affermati
dalla  Corte  di  giustizia  dell'Unione   europea   che   consentono
l'affidamento diretto di un servizio, senza gara ad evidenza pubblica
volta all'attuazione dei principi di libera  concorrenza,  in  favore
delle societa' in house soltanto  a  determinate  condizioni:  a)  il
capitale sociale sia interamente  pubblico;  b)  l'ente  o  gli  enti
pubblici titolari del capitale pubblico esercitino un controllo sulle
richiamate societa' analogo a quello esercitato sui  propri  servizi;
c) dette societa' realizzino la  parte  piu'  importante  della  loro
attivita' con l'ente o gli enti pubblici che le controllano.  Secondo
la giurisprudenza comunitaria piu' recente, ad avviso del  ricorrente
il requisito  della  «totale  partecipazione  pubblica»  non  sarebbe
quindi  soddisfatto  nel  caso  di  una  societa'  al  cui   capitale
partecipino  soci  privati;  sarebbe  invece  ammesso   l'affidamento
diretto soltanto qualora non vi sia il coinvolgimento degli operatori
economici  nell'esercizio  del  servizio;  diversamente,   dovrebbero
trovare applicazione le regole della concorrenza previste dal diritto
dell'Unione europea e da quello interno da esso derivato. 
    Al riguardo, e' richiamata la sentenza 11 gennaio 2005, in  causa
C-26/03, Stadt Halle ed altri  contro  RPL  Lochau,  della  Corte  di
giustizia dell'Unione europea, con la quale e' stato affermato che la
partecipazione, anche minoritaria, di un'impresa privata al  capitale
di  una  societa'  alla  quale  partecipa   anche   l'amministrazione
aggiudicatrice,  esclude,  in  ogni  caso,  che  quest'ultima   possa
esercitare su detta societa' un controllo analogo a quello  che  essa
esercita sui propri servizi. 
    La difesa dello Stato  richiama  altresi'  l'interpretazione  dei
menzionati principi del diritto dell'Unione europea  avvalorata,  per
quanto in maniera meno rigorosa, dal Consiglio di Stato,  secondo  il
quale l'affidamento diretto puo' ritenersi  legittimo  alle  seguenti
condizioni: a) esista un'apposita norma che consenta il ricorso  alla
societa' mista; b) con la  gara  indetta  per  la  scelta  del  socio
privato sia realizzato anche l'affidamento  dell'attivita'  operativa
della societa' al privato (cosiddetta gara "a  doppio  oggetto");  c)
siano adeguatamente delimitate le finalita' della societa' mista  cui
affidare  il  servizio  senza  gara;  d)  siano  motivate,  in   modo
approfondito, le ragioni  di  questa  scelta  organizzativa;  e)  sia
stabilito un limite temporale ragionevole alla  durata  del  rapporto
sociale,  al  quale  si  accompagni  la  previsione  espressa   della
«scadenza del periodo di affidamento», evitando, in tal modo, che  il
socio divenga socio stabile  della  societa'  mista,  prevedendo  che
dagli atti di gara siano chiarite le modalita' per l'uscita del socio
stesso, nel caso in cui all'esito della successiva gara egli  risulti
non piu' aggiudicatario. 
    Da cio'  seguirebbe  che,  configurandosi  l'affidamento  diretto
sempre come eccezione di stretta  interpretazione  al  sistema  delle
gare, l'art. 6, comma 1, della legge reg. Sardegna n.  25  del  2012,
nella parte in cui esclude il  ricorso  a  procedure  competitive  di
evidenza pubblica per l'affidamento di servizi di interesse  generale
non solo «a societa' a totale partecipazione  pubblica»  ma  anche  a
«societa' a partecipazione mista pubblica  privata»  si  porrebbe  in
contrasto con il diritto dell'Unione europea che prescrive, nel  caso
di specie, una selezione  con  gara  "a  doppio  oggetto"  del  socio
privato. 
    1.2.- Con un secondo motivo di ricorso, il ricorrente  Presidente
del Consiglio dei ministri impugna l'art. 8,  comma  2,  della  legge
reg. Sardegna n. 25 del 2012 che inserisce il comma 7-bis all'art.  6
della legge della Regione Sardegna 7 agosto 2009, n. 3  (Disposizioni
urgenti nei settori economico e sociale). 
    Il testo della disposizione impugnata e' il  seguente:  «Dopo  il
comma 7 dell'articolo 6 della  legge  regionale  n.  3  del  2009  e'
introdotto il seguente: "7-bis. La realizzazione  di  nuovi  impianti
eolici o di ampliamenti di impianti esistenti e' consentita, oltre la
fascia dei 300 metri,  anche  negli  ambiti  di  paesaggio  costieri,
purche' non ricadenti in beni paesaggistici e ricompresi: 
    all'interno degli agglomerati industriali  gestiti  dai  consorzi
industriali  provinciali  di  cui  alla  tabella  A,  e  delle   aree
industriali e ZIIR di cui alla tabella B  della  legge  regionale  25
luglio 2008, n. 10  (Riordino  delle  funzioni  in  materia  di  aree
industriali),  e  successive  modifiche  ed   integrazioni,   nonche'
all'interno delle aree circoscritte da una fascia di pertinenza  pari
a 4 km dal perimetro degli stessi; 
    - nelle aree relative  a  tutti  i  piani  per  gli  insediamenti
produttivi (PIP) del territorio regionale; 
    - nelle aree PIP di superficie complessiva superiore ai 20 ettari
e la relativa fascia di pertinenza pari a  4  km,  computabile  anche
come aggregazione di singoli PIP contermini; 
    - all'interno delle aziende agricole, su strutture  appositamente
realizzate, nelle aree immediatamente prospicienti  le  strutture  al
servizio delle attivita' produttive, e aventi potenza fino a  200  kW
da parte  degli  imprenditori  di  cui  all'articolo  1  del  decreto
legislativo 29 marzo 2004, n. 99, e alla legge regionale  n.  15  del
2010"». 
    Al riguardo,  osserva  l'Avvocatura  dello  Stato  che,  in  base
all'art.  12  del  decreto  legislativo  29  dicembre  2003,  n.  387
(Attuazione  della  direttiva  2001/77/CE  relativa  alla  promozione
dell'energia elettrica prodotta da fonti energetiche rinnovabili  nel
mercato  interno  dell'elettricita'),   nonche'   al   paragrafo   17
dell'Allegato 3 del decreto del Ministero dello sviluppo economico 10
settembre 2010  (Linee  guida  per  l'autorizzazione  degli  impianti
alimentati  da  fonti  rinnovabili),  le  Regioni  possono  procedere
all'indicazione di aree e  siti  non  idonei  alla  installazione  di
specifiche  tipologie  di  impianti,  ma   non   possono   provvedere
autonomamente  alla  individuazione  dei  criteri  per  il   corretto
inserimento  degli  impianti  alimentati  da  fonti  rinnovabili  (e'
richiamata la sentenza della Corte costituzionale n. 224 del 2012). 
    Al contrario, secondo la  difesa  dello  Stato,  la  disposizione
censurata non si limiterebbe ad indicare i  siti  «non  idonei»  alla
installazione  degli  impianti,  come   previsto   dalle   richiamate
disposizioni, bensi' individuerebbe, su tutto il territorio regionale
(anche quello costiero  oltre  la  fascia  dei  300  metri),  i  siti
«idonei», con cio'  ponendosi  in  contrasto  con  le  norme  statali
evocate, eccedendo dalla competenza statutaria concorrente in materia
di «produzione e distribuzione dell'energia elettrica» della  Regione
prevista dall'art. 4, lettera e),  dello  statuto  di  autonomia,  il
quale consente l'emanazione  di  norme  legislative  nei  limiti  del
precedente art. 3 («In armonia con  la  Costituzione,  e  i  principi
dall'ordinamento giuridico della  Repubblica  e  col  rispetto  degli
obblighi internazionali e degli  interessi  nazionali  nonche'  delle
norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica»)
e dei principi stabiliti dalle leggi dello Stato. 
    Da cio' seguirebbe il contrasto con l'evocato art. 12, comma  10,
del richiamato d.lgs. n. 387 del 2003 e con l'Allegato  3,  paragrafo
17,  delle  menzionate  Linee  guida,  che  precludono  alle  Regioni
l'individuazione di aree non  idonee  all'installazione  di  impianti
alimentati da fonti non rinnovabili (e' ancora richiamata la sentenza
n. 224 del 2012). 
    1.3.- Con un terzo ordine di censure, il Presidente del Consiglio
dei ministri impugna anche l'art. 13 della legge reg. Sardegna n.  25
del 2012, per il quale: «1. Sono recepite le disposizioni di cui agli
articoli da 9 a 16 del decreto legislativo 28  giugno  2012,  n.  106
(Riorganizzazione degli enti vigilati dal Ministero della  salute,  a
norma dell'articolo 2 della legge 4  novembre  2010,  n.  183).  Sono
abrogate le disposizioni contrastanti contenute nella legge regionale
4  agosto  2008,  n.  12  (Riordino   dell'Istituto   zooprofilattico
sperimentale della Sardegna "Giuseppe Pegreffi", ai sensi del decreto
legislativo 30  giugno  1993,  n.  270,  e  abrogazione  della  legge
regionale 22 gennaio 1986, n. 15)». 
    1.3.1.-  Osserva  anzitutto  l'Avvocatura  dello  Stato  che   la
disposizione di legge censurata appare, «per la sua genericita',  del
tutto inadeguata e priva di effettivo  valore  giuridico»,  a  fronte
dell'art. 10 del d.lgs. n. 106 del 2012, che imporrebbe alle  Regioni
di adottare, con disciplina specifica e di  dettaglio,  le  modalita'
gestionali, organizzative e di funzionamento degli istituti,  nonche'
l'esercizio delle funzioni di sorveglianza e i criteri di valutazione
dei costi, dei rendimenti  e  di  verifica  dell'utilizzazione  delle
risorse, dettando, nel contempo, i principi a cui le Regioni  debbono
attenersi nell'emanare le norme di dettaglio sia mediante il richiamo
ai criteri gia' previsti dal decreto legislativo 30 dicembre 1992, n.
502  (Riordino  della  disciplina  in  materia  sanitaria,  a   norma
dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421),  sia  indicando
ulteriori principi di semplificazione, razionalizzazione  e  riordino
degli uffici, del personale e delle risorse. 
    Secondo la difesa dello Stato, rispetto  ai  principi  e  criteri
posti  dal  legislatore  statale,  la  norma   regionale   censurata,
limitandosi a disporne il mero e generico recepimento  senza  dettare
la necessaria e specifica disciplina  attuativa  determinerebbe  «una
situazione di incertezza giuridica  e  di  possibile  paralisi  degli
organi   e   del   funzionamento   degli   istituti   zooprofilattici
sperimentali, con possibile pregiudizio per la tutela della salute». 
    1.3.2.- Osserva, inoltre, l'Avvocatura dello Stato che il secondo
periodo  dell'impugnato  art.   13,   facendo   decorrere   l'effetto
abrogativo delle previgenti disposizioni contrastanti contenute nella
legge  regionale  4  agosto  2008,  n.  12  (Riordino   dell'Istituto
zooprofilattico sperimentale della Sardegna "Giuseppe  Pegreffi",  ai
sensi del decreto legislativo 30 giugno 1993, n. 270,  e  abrogazione
della legge regionale 22 gennaio 1986, n. 15) a far data dall'entrata
in vigore dell'impugnata legge reg.  Sardegna  n.  25  del  2012,  si
porrebbe in contrasto con l'art. 16  del  d.lgs.  n.  106  del  2012,
facendo quest'ultimo decorrere l'abrogazione del decreto  legislativo
30 giugno 1993, n. 270 (Riordinamento degli istituti  zooprofilattici
sperimentali, a norma dell'art. 1, comma 1, lettera h, della legge 23
ottobre 1992, n. 421) - il quale reca la disciplina di detti istituti
precedente  a  quella  introdotta  dal  d.lgs.  n.  106  del  2012  -
dall'entrata in vigore dello statuto e  dei  regolamenti  di  ciascun
Istituto, da emanarsi, ai sensi dell'art. 12 dello stesso  d.lgs.  n.
106 del 2012, nel rispetto delle  leggi  regionali  chiamate  a  dare
attuazione ai summenzionati principi e criteri direttivi dettati  dal
precedente art. 10. 
    La difesa statale menziona altresi' il comma 2 dell'art.  16  del
d.lgs. n. 106 del 2012 il quale, disponendo che «Fino  alla  data  di
entrata in vigore dello statuto e dei regolamenti di cui all'articolo
12,  rimangono  in  vigore  le  attuali  norme  sul  funzionamento  e
sull'organizzazione   degli   Istituti   nei   limiti   della    loro
compatibilita' con le disposizioni del presente decreto legislativo»,
intende garantire la continuita' del funzionamento  dei  disciplinati
istituti, nelle more dell'adozione dei provvedimenti attuativi  delle
norme di riordino previste dal d.lgs. n. 106 del 2012. 
    Secondo il ricorrente Presidente del Consiglio dei ministri detta
continuita' non sarebbe invece garantita dall'impugnato art. 13 della
legge  reg.  Sardegna  n.  25  del   2012,   il   quale,   prevedendo
l'abrogazione della precedente legge regionale sull'organizzazione  e
sul  funzionamento  dell'Istituto  zooprofilattico  sperimentale,   a
decorrere  dalla  sua  entrata  in  vigore  -  a  far  data,  quindi,
antecedentemente all'adozione  dei  nuovi  statuti  e  regolamenti  -
determinerebbe  un  vuoto  normativo  suscettibile   di   paralizzare
l'attivita' dell'Istituto o, comunque, di determinare una  situazione
di pericolosa incertezza giuridica, atteso che i principi posti dagli
artt. da 9 a 16 del d.lgs. n. 106 del 2012  necessitano  di  puntuali
atti regionali attuativi. Da cio' seguirebbe che la  disposizione  di
legge regionale censurata si porrebbe in contrasto con gli artt. 10 e
16 del d.lgs. n. 106 del 2012, violando,  in  tal  modo,  i  principi
fondamentali della legislazione statale in materia di  «tutela  della
salute» e, conseguentemente, l'art. 117, terzo comma, Cost., nonche',
determinando incertezza giuridica e ostacolando il buon funzionamento
dell'Istituto zooprofilattico sperimentale,  il  principio  del  buon
andamento della pubblica amministrazione previsto dall'art. 97 Cost. 
    1.4.-  Con  un  quarto  motivo  di  ricorso,  il  Presidente  del
Consiglio dei ministri impugna infine  l'art.  18  della  legge  reg.
Sardegna n. 25 del 2012, per il  quale:  «1.  I  titoli  minerari  di
autorizzazione di  indagine,  concessione,  permesso  di  ricerca  di
minerali di I categoria e le autorizzazioni e i permessi di cava, per
i quali sia stata presentata da parte degli  esercenti,  prima  della
scadenza del titolo minerario, l'istanza tesa  alla  proroga  e/o  al
rinnovo del titolo  medesimo,  il  cui  procedimento  non  sia  stato
concluso da tutte le amministrazioni  aventi  competenza  concorrente
per motivi indipendenti dagli obblighi attribuiti agli istanti,  sono
automaticamente prorogati sino al 30 giugno 2013. 2.  La  proroga  e'
ammessa esclusivamente per la prosecuzione dei lavori precedentemente
autorizzati e non ancora conclusi, previa verifica di validita' delle
polizze di fideiussione a  garanzia  dell'esecuzione  dei  lavori  di
messa in sicurezza e ripristino ambientale, nel rispetto delle  norme
vigenti in materia di attivita' estrattive». 
    Osserva anzitutto l'Avvocatura dello Stato  che  le  disposizioni
censurate rinnoverebbero «di diritto» le autorizzazioni di  indagine,
concessione, permesso di ricerca di minerali di I categoria,  nonche'
le autorizzazioni e i permessi di cava gia' scadute  o  in  scadenza,
senza prevedere alcuna condizione, verifica  o  procedura  di  natura
ambientale, mentre  la  normativa  statale  ammetterebbe  il  rinnovo
soltanto  per  i  progetti  che  siano  gia'  stati  sottoposti  alla
procedura di valutazione dell'impatto ambientale o alla procedura  di
verifica  di  assoggettabilita'  a  VIA  entro  cinque   anni   dalla
pubblicazione  del  provvedimento  di  VIA,  ai  sensi  del   termine
stabilito, a pena di decadenza, dall'art. 26, comma 6, del d.lgs.  n.
152 del 2006, escludendolo, invece, per quei progetti che  non  siano
mai  stati  sottoposti  a  procedure  di  VIA  o   di   verifica   di
assoggettabilita' a VIA. 
    Ne  conseguirebbe  che  la  disposizione   di   legge   regionale
censurata, sottraendo detti  progetti  dalle  procedure  di  VIA,  si
porrebbe in contrasto con gli artt. da 20 a 28  e  con  gli  Allegati
III, lettere b), s) ed u), e IV, punti 2, lettera b), 7, lettera  o),
ed 8, lettera i), del richiamato d.lgs. n. 152 del 2006. 
    Osserva infatti l'Avvocatura dello Stato che la  durata  di  ogni
singola  autorizzazione  costituisce  condizione   fondamentale   del
provvedimento autorizzativo, alla  cui  scadenza  e'  necessaria  una
verifica sia dell'eventuale mutamento delle  condizioni  territoriali
ed  ambientali,  sia  degli  aggiornamenti  intervenuti  nel   quadro
normativo. Ne conseguirebbe che la modifica o la proroga del  termine
di  una  autorizzazione,  o  comunque   il   rinnovo   della   stessa
autorizzazione,  definendone  un  nuovo  termine,  costituirebbe  una
evidente modifica della  «sostanza»  della  autorizzazione  medesima,
che, in quanto tale, dovrebbe essere  sottoposta  alle  procedure  in
materia  di  VIA  stabilite  dalla  direttiva  27  giugno  1985,   n.
85/337/CEE  (Direttiva  del  Consiglio  concernente  la   valutazione
dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e  privati),
Allegato I, punto 22, ed Allegato II, punto 13, primo  trattino  (ora
direttiva 13  dicembre,  n.  2011/92/UE  -  testo  di  codificazione,
Allegato I, punto 24, ed Allegato II, punto 13.a).  Al  riguardo,  e'
richiamato anche l'orientamento della Corte di giustizia  dell'Unione
europea che avrebbe ribadito detti principi (sentenza della Corte  di
giustizia, in causa C-201/02, sentenza 7 gennaio 2004,  Delena-Wells,
punti da 44 a 47), nonche' la giurisprudenza del Consiglio  di  Stato
(sezione IV, sentenza n. 5715 del 2004) e della Corte  costituzionale
(sentenze n. 1 e n. 67 del 2010), che avrebbero affermato la facolta'
di sottrarre alla procedura di VIA i rinnovi  di  autorizzazione  per
progetti estrattivi autorizzati sulla base di una previa  valutazione
di impatto ambientale o di una verifica di  assoggettabilita'  a  VIA
(tenendo comunque presente  il  termine  di  decadenza  quinquiennale
stabilito dall'art. 26, comma 6, del d.lgs. n. 152 del 2006),  mentre
cio' non potrebbe valere per  il  rinnovo  o  la  proroga  di  quelle
autorizzazioni di progetti la cui compatibilita' ambientale  non  sia
stata previamente accertata in sede di autorizzazione. 
    Ad avviso della difesa statale, ne conseguirebbe  che  l'art.  18
della legge reg. Sardegna n. 25 del 2012, non individuando il termine
a decorrere dal quale, entrata in vigore la disciplina in materia  di
VIA  concernente  le  attivita'  relative  ai  «titoli  minerari   di
autorizzazione di  indagine,  concessione,  permesso  di  ricerca  di
minerali di I categoria e le autorizzazione e i  permessi  di  cura»,
occorra procedere, per una prima volta, all'assoggettamento alla  VIA
dell'attivita'  medesima,  eccede  dalla  competenza  statutaria   in
materia di  «industria,  commercio  ed  esercizio  industriale  delle
miniere, cave e saline», prevista  dall'art.  4,  lettera  a),  dello
statuto di autonomia, violando, in  tal  modo,  l'art.  117,  secondo
comma, lettera s), Cost., che attribuisce allo Stato la  legislazione
esclusiva in materia di «tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e  dei
beni culturali». 
    2.- Si e' costituita in giudizio la Regione autonoma Sardegna con
atto del 20 marzo 2013, depositato nella cancelleria di questa  Corte
il successivo 29 marzo,  chiedendo  che  il  ricorso  sia  dichiarato
inammissibile, o comunque, nel merito, infondato. 
    2.1.- In relazione al primo motivo di ricorso,  osserva,  in  via
preliminare, la difesa regionale che la censura mossa avverso  l'art.
6, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 25 del  2012  -  in  ragione
dell'asserito contrasto con l'ordinamento comunitario di cui all'art.
117, primo comma, Cost. e con gli  artt.  3  e  4  dello  statuto  di
autonomia - escludendo la disposizione di legge  regionale  impugnata
il  ricorso  a  procedure  competitive  di  evidenza   pubblica   per
l'affidamento di servizi di interesse generale non solo a societa' «a
totale partecipazione pubblica» ma anche a «societa' a partecipazione
mista  pubblica  privata»  -  sarebbe   inammissibile,   per   omessa
specificazione del parametro interposto, limitandosi, il  ricorrente,
ad evocare genericamente il diritto  eurounitario  per  censurare  la
violazione indiretta degli artt. 117, primo comma, Cost.,  e  3  e  4
dello  statuto  sardo  di  autonomia,  «senza  indicare  le   precise
disposizioni dei  Trattati  o  del  diritto  derivato  che  sarebbero
pretesamente violate dalla disposizione impugnata» (e' richiamata, al
riguardo, la sentenza n. 325 del 2010 della Corte costituzionale). 
    Nel merito,  ad  avviso  della  difesa  regionale,  la  questione
sarebbe comunque infondata. 
    Quanto all'esatta individuazione del  thema  decidendum,  osserva
preliminarmente la Regione autonoma Sardegna che  il  ricorrente  non
mette in questione il riparto di  competenze  tra  Stato  e  Regione,
bensi' unicamente la conformita' della censurata legge  regionale  al
diritto dell'Unione europea, richiamando unicamente  i  limiti  posti
dalla giurisprudenza della Corte  di  giustizia  circa  l'affidamento
diretto di  un  servizio  (senza  gara  ad  evidenza  pubblica  volta
all'attuazione dei principi di libera concorrenza)  in  favore  delle
societa' in house. Al riguardo, la  resistente  richiama  il  diverso
orientamento assunto dal Consiglio di Stato nel parere della  sezione
II, 18 aprile 2007, n. 456, nel quale  e'  stato  affermato  che  «in
astratto, e' configurabile un "controllo analogo" anche nel  caso  in
cui il pacchetto azionario non sia  detenuto  direttamente  dall'ente
pubblico,  ma  indirettamente  mediante  una  societa'   per   azioni
capogruppo (c.d. holding) posseduta al  100  %  dell'ente  medesimo»,
cosicche', in tale  ottica,  la  partecipazione  pubblica  indiretta,
anche  se   totalitaria,   sarebbe   compatibile   con   il   diritto
eurounitario. Lo stesso principio sarebbe stato affermato dalla Corte
di giustizia dell'Unione europea nella sentenza 11  maggio  2006,  in
causa C-340/04, Carbotermo ed altri, a testimonianza del fatto che la
totale partecipazione pubblica  della  societa'  affidataria  non  e'
elemento imprescindibile per l'affidamento cosiddette  in  house  dei
servizi  pubblici  locali,  la'  dove  la  societa'  affidataria  sia
controllata, a sua volta, da una  societa'  a  totale  partecipazione
pubblica. 
    Da cio', seguirebbe l'infondatezza dell'assunto da cui  muove  il
ricorrente, in base al quale, in ossequio al diritto eurounitario, la
gestione dei servizi pubblici puo' essere affidata alternativamente o
a societa' totalmente private o a societa' che rientrano nel  modello
del cosiddette  in  house  providing.  Pur  escludendo,  l'evoluzione
giurisprudenziale,  la  riconducibilita'  del  modello  organizzativo
della «societa' mista» a  quello  da  ultimo  richiamato,  stando  al
menzionato parere del Consiglio di Stato n. 456  del  2007,  «la  non
riconducibilita' alla figura dell'in house providing non implica,  di
per se', la esclusione automatica  della  compatibilita'  comunitaria
della diversa figura della societa' mista a  partecipazione  pubblica
maggioritaria in cui il socio privato sia scelto con una procedura di
evidenza pubblica», avendo il  decreto  legislativo  12  aprile  2006
(Codice dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture
in attuazione delle direttive 2004/17/CE e 2004/18/CE)  affermato  il
principio secondo il  quale  le  societa'  miste  «devono  intendersi
consentite nei soli casi gia' previsti da  una  disciplina  speciale,
nel rispetto del principio di legalita'» e che, in questi  casi,  «la
scelta del socio deve comunque avvenire  con  procedure  di  evidenza
pubblica», sicche' «la necessita' di  una  gara  per  la  scelta  del
socio», se da un parte determina «l'esclusione della riconducibilita'
alla figura dell'in house», dall'altra «ha condotto  a  ritenere  non
corretto  annoverare  tale  figura-tipo  di  affidamento  tra  quelli
"diretti"». 
    Ne conseguirebbe che,  secondo  il  richiamato  orientamento  del
Consiglio di Stato, «l'attivita' che  si  ritiene  "affidata"  (senza
gara) alla societa' mista sia, nella sostanza, da  ritenere  affidata
(con gara) al partner privato scelto con una  procedura  di  evidenza
pubblica che abbia ad oggetto, al tempo stesso, anche  l'attribuzione
dei suoi compiti operativi e quella della qualita' del socio», con la
conseguenza che sarebbe «ammissibile il  ricorso  alla  figura  della
societa' mista (quantomeno) nel caso in cui essa non costituisca,  in
sostanza,  la  beneficiaria  di  un  "affidamento  diretto",  ma   la
modalita' organizzativa  con  la  quale  l'amministrazione  controlla
l'affidamento  disposto,  con  gara,  al  "socio   operativo"   della
societa'». 
    Non sussisterebbe, pertanto, il censurato contrasto. 
    2.2.- Ad avviso della resistente, anche le censure mosse  avverso
l'art. 8, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 25 del 2012,  con  le
quali il Presidente  del  Consiglio  si  duole  della  lesione  delle
competenze statutarie, avendo il legislatore regionale  indicato,  su
tutto il territorio regionale, i  siti  «idonei»  alla  installazione
degli impianti eolici, sarebbero anzitutto inammissibili per  erronea
indicazione del parametro asseritamente violato. Secondo  la  Regione
autonoma  Sardegna,  pur  concernendo,   la   norma   impugnata,   la
pianificazione delle centrali eoliche sul territorio e la  protezione
dei beni ambientali e paesaggistici ed essendo pertanto riconducibile
all'ambito  materiale  dell'urbanistica,  sarebbe  stato  evocato   a
parametro  soltanto  l'art.  4  dello  statuto  di  autonomia,  senza
richiamare l'art. 3, comma 1, lettera f), della legge cost. n. 3  del
1948, che attribuisce al legislatore regionale  competenza  esclusiva
nelle materie «urbanistica ed edilizia»; ne'  il  ricorrente  avrebbe
richiamato gli artt. 5 e 6 del d.P.R. 22 maggio 1975, n.  480  (Nuove
norme di attuazione dello statuto  speciale  della  regione  autonoma
della Sardegna), i quali attribuiscono alla competenza della  Regione
autonoma Sardegna tra l'altro l'approvazione dei «piani  territoriali
di   coordinamento»   e   dei   «piani   territoriali    paesistici»,
imprescindibili ai fini di una corretta ricostruzione dell'ambito  di
autonomia della resistente (e' richiamata  la  sentenza  della  Corte
costituzionale  n.  51  del  2006  sul   «ruolo   interpretativo   ed
integrativo delle stesse espressioni statutarie» rispetto alle  norme
di attuazione degli statuti speciali e sulla  loro  prevalenza  sugli
atti legislativi ordinari, anche in specifico riferimento  all'ambito
materiale dell'«urbanistica ed  edilizia»  da  cui  discenderebbe  la
competenza primaria della Regione autonoma  Sardegna  in  materia  di
tutela del paesaggio). 
    Nel merito, la censura sarebbe infondata. 
    Osserva anzitutto  la  Regione  autonoma  Sardegna  che,  con  la
sentenza n.  224  del  2012,  richiamata  dal  ricorrente,  la  Corte
costituzionale, dichiarando costituzionalmente illegittimo l'art.  18
della legge della Regione Sardegna 29 maggio 2007, n. 2 (Disposizioni
per la formazione del bilancio annuale e pluriennale  della  Regione.
Legge finanziaria 2007), come sostituito dall'art. 6, comma 8,  della
legge della Regione  Sardegna  7  agosto  2009,  n.  3  (Disposizioni
urgenti  nei  settori  economico  e  sociale),  nella  parte  in  cui
consentiva la realizzazione  di  nuovi  impianti  eolici  nelle  aree
industriali, retroindustriali e limitrofe, anche se  ricadenti  negli
ambiti di paesaggio costieri o in aree gia' compromesse dal punto  di
vista ambientale, avrebbe affermato il principio in base al quale  la
Regione autonoma Sardegna,  onde  esercitare  la  propria  competenza
primaria in materia paesistica, potrebbe  «individuare  le  aree  non
idonee all'inserimento di impianti eolici», ma non potrebbe  adottare
una legislazione che si risolvesse nel «rovesciamento  del  principio
generale contenuto nell'art. 12, comma 10,  del  d.lgs.  n.  387  del
2003», che prevede la generale utilizzabilita' di tutti i terreni per
l'inserimento degli impianti di energia  eolica,  con  le  eccezioni,
stabilite dalle Regioni, ispirate  alla  tutela  di  altri  interessi
costituzionalmente protetti. 
    La norma censurata nel presente giudizio sarebbe  pero',  secondo
la  difesa  regionale,  «radicalmente  diversa»  da   quella   allora
dichiarata costituzionalmente illegittima,  poiche'  aumenterebbe  le
possibilita' di edificazione di impianti eolici restringendo l'ambito
di operativita' del divieto posto dall'art. 112 delle Norme  tecniche
di  attuazione  del  Piano   paesistico   regionale,   adottato   con
deliberazione della Giunta regionale 5 settembre 2006,  n.  36/7,  ai
sensi della legge della Regione  Sardegna  25  novembre  2004,  n.  8
(Norme urgenti di  provvisoria  salvaguardia  per  la  pianificazione
paesaggistica e  la  tutela  del  territorio  regionale),  il  quale,
riespandendosi  a   seguito   della   richiamata   dichiarazione   di
illegittimita' costituzionale dell'art. 18 della legge reg.  Sardegna
n. 2 del 2007, precluderebbe  la  realizzazione  di  impianti  eolici
negli ambiti di paesaggio costieri. 
    2.3.- Quanto  al  terzo  motivo  di  ricorso,  con  il  quale  e'
impugnato l'art. 13 della legge reg. Sardegna  n.  25  del  2012,  la
resistente eccepisce, in via  preliminare,  l'inammissibilita'  della
doglianza per carenza di interesse del  ricorrente,  atteso  che,  in
caso  di  pronuncia  ablatoria,  la  lamentata  «genericita'»   della
disciplina regionale - che si sarebbe limitata a disporre il generico
recepimento della legge statale, senza dettare  una  vera  disciplina
attuativa - si trasformerebbe addirittura in «vuoto normativo». 
    2.3.1.- Nel merito, la censura sarebbe infondata. 
    Ad avviso della difesa regionale, la norma  censurata  renderebbe
infatti  applicabile  agli  istituti  zooprofilattici  regionali   le
disposizioni recate dagli artt. da 9 a 16 del d.lgs. n. 106 del 2012,
per le  quali,  tra  l'altro,  sono:  elencate  alcune  modalita'  di
esercizio  delle  funzioni  degli  istituti   stessi   (facolta'   di
associarsi per le attivita' di produzione; immissione in commercio  e
distribuzione di specialita' veterinarie; possibilita'  di  stipulare
convenzioni e contratti; facolta' di svolgere attivita'  di  supporto
tecnico-scientifico per le  Universita')  (art.  9);  riordinati  gli
organi degli istituti e le relative attribuzioni (art.  11);  dettate
previsioni sulla  riforma  degli  statuti  e  dei  regolamenti  degli
istituti stessi, i quali dovranno essere  adottati  in  via  autonoma
dagli  organi,  senza   «alcun   bisogno   di   specifica   ulteriore
intermediazione da parte delle fonti  regionali»  (art.  12);  recate
ulteriori puntualizzazioni circa  la  disciplina  delle  funzioni  di
vigilanza e di controllo (art. 14). Ne conseguirebbe che, quanto alle
disposizioni richiamate, il legislatore statale avrebbe gia'  dettato
norme direttamente applicabili, per quanto suscettibili di  ulteriore
specificazione. 
    Quanto, invece, agli artt. 10 e 13 dell'evocato d.lgs. n. 106 del
2012, secondo  la  Regione  autonoma  Sardegna,  pur  trattandosi  di
disposizioni di non immediata  applicazione,  esse  non  imporrebbero
comunque alcun obbligo di attuazione mediante  legge  regionale:  gli
ulteriori  principi  e  criteri  direttivi  dettati  dal  legislatore
statale in punto di organizzazione  e  funzionamento  degli  istituti
zooprofilattici regionali, nonche'  di  valutazione  dei  costi,  dei
rendimenti e di verifica  dell'utilizzazione  delle  risorse  con  la
prima delle due disposizioni  evocate  a  parametro,  ben  potrebbero
trovare attuazione in via regolamentare da parte della  Regione;  ne'
il richiamato art. 13 - che prevede la costituzione di un comitato di
supporto strategico composto dai  direttori  generali  di  tutti  gli
istituti, dai direttori generali delle direzioni del Dipartimento per
la sanita' veterinaria del Ministero della salute - pur  non  essendo
suscettibile di immediata applicazione, sarebbe lesivo dei  parametri
evocati, per quanto possa essere inutiliter dato. 
    2.3.2.- Parimenti infondata sarebbe anche la censura  rivolta  al
secondo periodo dell'art. 13 della legge  reg.  Sardegna  n.  25  del
2012, che, prevedendo l'abrogazione delle «disposizioni  contrastanti
contenute nella legge regionale 4 agosto 2008, n. 12», si porrebbe  -
secondo il ricorrente - in contrasto con l'art. 16 del d.lgs. n.  106
del 2012, il quale dispone invece l'abrogazione del d.lgs. n. 270 del
1993 (recante la disciplina degli istituti zooprofilattici  regionali
antecedente  a  quella  di  riordino  dettata  dal  medesimo  decreto
legislativo), dall'entrata in vigore dello statuto e dei  regolamenti
degli istituti stessi, facendo,  in  tal  modo,  decorrere  l'effetto
abrogativo della precedente  legge  reg.  Sardegna  n.  12  del  2008
(recante il riordino dell'Istituto zooprofilattico sperimentale della
Sardegna) dall'entrata in vigore della legge regionale impugnata  (e,
quindi, a far data antecedentemente all'adozione dei nuovi statuti  e
regolamenti dell'Istituto zooprofilattico sperimentale). 
    Osserva,  infatti,  la  resistente  che  non  vi  sarebbe  alcuna
differenza sostanziale tra l'effetto abrogativo disposto dalla  legge
statale e quello prodotto dal censurato  intervento  del  legislatore
regionale. Il richiamato art. 16 del d.lgs. n. 106 del  2012  prevede
infatti che a rimanere in  vigore  siano  le  precedenti  «norme  sul
funzionamento e sull'organizzazione degli Istituti nei  limiti  della
loro  compatibilita'  con  le  disposizioni  del   presente   decreto
legislativo». Analogamente, la legge regionale prevede  l'abrogazione
delle «disposizioni contrastanti contenute nella  legge  regionale  4
agosto 2008, n. 12». Ne conseguirebbe che, in  entrambi  i  casi,  il
legislatore  (statale  e  regionale)  si  e'  limitato  ad  esplicare
l'effetto della abrogazione tacita delle norme incompatibili  con  la
nuova disciplina degli Istituti zooprofilattici sperimentali, sicche'
non sussisterebbe il censurato contrasto. 
    In secondo luogo, rileva la  Regione  autonoma  Sardegna  che  il
principio generale  di  continuita'  funzionale  dell'amministrazione
implica la prorogatio degli organi  e  degli  uffici  amministrativi,
sicche' sarebbe assolutamente  infondato  il  lamentato  pericolo  di
paralisi dell'attivita' dell'Istituto e la  conseguente  lesione  del
principio di buon andamento della pubblica amministrazione ex art. 97
Cost. 
    Osserva, infine, la resistente che non sussiste alcun dovere  del
legislatore regionale di completare, con una disciplina di dettaglio,
quella di principio stabilita dal legislatore statale. 
    2.4.- Quanto, infine, al quarto motivo di ricorso, con  il  quale
e' censurato l'art. 18 della legge reg. Sardegna n. 25 del 2012,  per
asserito contrasto con la normativa statale in punto di procedure  di
VIA relative al rinnovo delle autorizzazioni e dei permessi di  cava,
la difesa regionale eccepisce, in via preliminare, l'inammissibilita'
della doglianza per errata e incompleta prospettazione del parametro,
atteso che il ricorrente si duole unicamente della lesione  dell'art.
4, comma 1, lettera a), dello statuto di autonomia, che riserva  alla
Regione  la  competenza  concorrente   in   materia   di   «esercizio
industriale delle miniere, cave e saline». Al contrario,  secondo  la
Regione autonoma Sardegna, la norma impugnata, trattando  di  «titoli
minerari»  e  di  «permessi  di  cava»,  involverebbe  anche  la  sua
competenza esclusiva in materia di «esercizio dei diritti demaniali e
patrimoniali della Regione relativi  alle  miniere,  cave  e  saline»
prevista  dall'art.  3,  comma  1,  lettera  m),  dello  statuto   di
autonomia: il ricorrente  avrebbe  pertanto  omesso  di  motivare  in
ordine  all'esorbitanza  della  disposizione   di   legge   regionale
censurata anche dal richiamato parametro statutario. 
    Nel merito, secondo la resistente, la  censura  sarebbe  comunque
infondata, atteso  che  la  disposizione  impugnata  disporrebbe  una
proroga definita in un  brevissimo  arco  di  tempo  (dalla  data  di
entrata in vigore della legge censurata sino al 30 giugno 2013),  non
destinata a tutti gli  operatori  del  settore,  bensi'  solamente  a
quelli che  abbiano  presentato,  prima  della  scadenza  del  titolo
minerario, una «istanza tesa alla proroga e/o al rinnovo  del  titolo
medesimo, il cui procedimento non sia  stato  concluso  da  tutte  le
amministrazioni aventi competenza [...] per motivi indipendenti dagli
obblighi attribuiti agli istanti». 
    Osserva, infatti, la Regione autonoma Sardegna che detta  proroga
non comporta alcun beneficio particolare in capo  agli  esercenti  di
cave e miniere, bensi' sarebbe soltanto funzionale a regolare il mero
passaggio, in via transitoria, tra la vigenza del precedente titolo e
il suo (possibile) rinnovo,  onde  evitare  che  le  imprese  debbano
soffrire un pregiudizio nelle more di  definizione  dei  procedimenti
amministrativi di rinnovo  e  proroga.  Da  cio'  seguirebbe  che  la
disposizione censurata, ben lungi dallo stabilire  la  «procedura  di
rinnovo automatico» lamentata dal ricorrente,  disporrebbe  una  mera
proroga della concessione (al riguardo, e' richiamata la sentenza del
Consiglio di Stato, sezione V, n. 1252 del 2012, circa  gli  elementi
per cui il «rinnovo del contratto» differisce dalla «proroga»). 
    Ad   avviso   della   resistente,   sarebbero    conseguentemente
inconferenti le evocate sentenze della Corte di giustizia dell'Unione
europea, 7 gennaio 2004, in  causa  C-201/02,  Delena  Wells,  e  del
Consiglio di Stato, sezione IV, n. 5715 del 2004, avendo  ad  oggetto
provvedimenti  che  disponevano  un  effettivo  rinnovo   di   titoli
autorizzativi. Al contrario, nel  caso  di  specie,  la  disposizione
censurata si limiterebbe a rinnovare i termini di appena un semestre,
mentre  la  "sostanza"  della  concessione  non  sarebbe   certamente
alterata. 
    Analogamente, secondo la Regione autonoma Sardegna, le richiamate
sentenze n. 1 e n. 67  del  2010  e  n.  114  del  2012  della  Corte
costituzionale  avevano  ad  oggetto  atti  legislativi  di   rinnovo
pluriennale dei titoli di sfruttamento  del  suolo  che  comportavano
ricadute  automatiche  sul  piano  ambientale,  cosa   che   non   si
verificherebbe nel caso di specie, disponendo la norma impugnata  una
mera proroga dei titoli in essere. 
    3.- Con memoria depositata in data 20  maggio  2014,  la  Regione
autonoma  Sardegna  ha  ribadito   le   conclusioni   precedentemente
rassegnate chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile,  o,
nel merito, infondato. 
 
                       Considerato in diritto 
 
    1.-  Il  Presidente  del  Consiglio  dei  ministri  ha   promosso
questioni di legittimita' costituzionale degli artt. 6, comma  1,  8,
comma 2, 13 e 18 della  legge  della  Regione  autonoma  Sardegna  17
dicembre 2012, n. 25 (Disposizioni urgenti in materia di enti  locali
e settori diversi), in riferimento agli artt. 97, 117,  primo  comma,
secondo comma, lettera s), e terzo comma, della Costituzione, e  3  e
4, lettere a) ed e), della legge costituzionale 26 febbraio 1948,  n.
3 (Statuto speciale per la Sardegna), nonche' per contrasto  con  gli
artt. 10 e  16  del  decreto  legislativo  28  giugno  2012,  n.  106
(Riorganizzazione degli enti vigilati dal Ministero della  salute,  a
norma dell'articolo 2 della legge 4 novembre 2010, n. 183),  con  gli
articoli da 20 a 28, e con gli Allegati III, lettere b), s) ed u),  e
IV, punti 2, lettera b), 7, lettera o), ed 8, lettera i), del decreto
legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale). 
    2. - L'art. 6, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 25 del 2012,
e' impugnato perche', disponendo che  gli  enti  locali  affidano  lo
svolgimento dei servizi di interesse generale non soltanto a societa'
«a  totale  partecipazione  pubblica»,  ma  anche   a   societa'   «a
partecipazione mista pubblica privata», si porrebbe in contrasto  con
il diritto dell'Unione europea, violando  in  tal  modo  l'art.  117,
primo comma, Cost. 
    In via preliminare, occorre prendere in  esame  le  eccezioni  di
inammissibilita' sollevate dalla Regione autonoma Sardegna per omessa
specificazione del parametro interposto e per «errata  prospettazione
di parte ricorrente». 
    2.1.- L'eccezione non e' fondata. 
    Bisogna anzitutto osservare che, ancorche'  la  difesa  regionale
sollevi due distinti motivi d'inammissibilita' (l'uno  inerente  alla
mancata indicazione del parametro interposto asseritamente violato, e
l'altro al difetto di motivazione del gravame), l'eccezione va  presa
in esame unitariamente, in quanto entrambi i motivi sono  fondati  su
una ratio comune (ex plurimis, sentenza  n.  67  del  2014),  essendo
riconducibili alla valutazione circa l'ammissibilita'  delle  censure
mosse in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost. 
    Secondo quanto sostenuto  dalla  Regione  autonoma  Sardegna,  la
mancata indicazione delle precise disposizioni  dei  Trattati  o  del
diritto derivato dell'Unione  europea  che  sarebbero  violate  dalla
disposizione  impugnata  concreterebbe   il   preteso   «difetto   di
motivazione  del  gravame»  da  parte  del  ricorrente,  limitandosi,
quest'ultimo, ad evocare genericamente  il  diritto  dell'Unione  per
censurare la violazione  indiretta  degli  artt.  117,  primo  comma,
Cost., e 3 e 4 dello statuto di autonomia, «senza indicare le precise
disposizioni dei  Trattati  o  del  diritto  derivato  che  sarebbero
violate dalla disposizione impugnata». 
    E' ben vero, come osserva la difesa regionale, che  questa  Corte
ha dichiarato inammissibili questioni di legittimita'  costituzionale
promosse in riferimento all'art. 117, primo comma, Cost.  per  omessa
indicazione delle norme interposte del  diritto  dell'Unione  europea
asseritamente violate. Cio', pero', soltanto nei limitati casi in cui
il contrasto con  il  diritto  dell'Unione  era  evocato  in  maniera
assolutamente generica, non essendo in alcun  modo  individuabile  il
parametro integrativo del giudizio e  non  essendo  richiamato  alcun
principio dei Trattati univocamente desumibile  dalla  giurisprudenza
comunitaria idoneo a  concretare  la  lesione  delle  competenze  del
ricorrente (sentenze n. 199 del 2012, punto 4.1. del  Considerato  in
diritto; n. 325 del 2010, punto 11.1. del  Considerato  in  diritto).
Sicche', nei precedenti richiamati dalla Regione  autonoma  Sardegna,
l'ambito delle competenze in assunto violato  non  poteva  essere  in
alcun modo individuato dalle prospettazioni dei ricorrenti  (sentenze
n. 311 del 2013, n. 199 del 2012 e n. 325 del 2010). 
    Ben diverso risulta il caso in esame, in cui si deve disattendere
l'eccezione di inammissibilita'. Le norme interposte e i principi del
diritto dell'Unione europea sono infatti desumibili  dal  ricorso  in
maniera sufficientemente idonea a  concretare  l'asserita  violazione
dell'art. 117 Cost. e dei parametri statutari evocati (artt.  3  e  4
della legge cost. n. 3 del 1948), in ragione della  palese  incidenza
della disposizione impugnata sulla materia della concorrenza e  della
evidente interferenza del disposto  normativo  rispetto  ai  principi
generali stabiliti al riguardo dal diritto  dell'Unione  europea  (ex
plurimis, sentenze n. 50 del 2013 e n. 114  del  2012).  L'Avvocatura
dello Stato, nel motivare la  censura  avverso  la  norma  impugnata,
fornisce, tra l'altro, ampli richiami alla sentenza  della  Corte  di
giustizia, 11 gennaio 2005, in causa C-26/03, Stadt  Halle  ed  altri
contro RPL  Lochau,  i  quali  risultano  sufficientemente  idonei  a
prospettare la lesione dei principi generali del Trattato in  materia
di concorrenza (art. 14 del Trattato  sul  funzionamento  dell'Unione
europea), nonche' di liberta' di stabilimento e  di  prestazione  dei
servizi (artt. 49 e 56 del TFUE), rendendo «superflua ogni  ulteriore
specificazione delle singole norme di riferimento» (sentenza  n.  114
del 2012). 
    2.2.- Nel merito, la questione non e'  fondata,  nei  termini  di
seguito precisati. 
    Occorre   anzitutto   procedere   all'inquadramento   dell'ambito
materiale a cui e' riconducibile la disposizione impugnata  (art.  6,
comma 1, della legge reg. Sardegna n. 25 del 2012),  nella  parte  in
cui consente l'affidamento diretto dei servizi di rilevanza economica
dell'ente  locale  a  societa'  «a  partecipazione   mista   pubblica
privata». 
    In  relazione  a  disposizioni  analoghe   a   quella   censurata
nell'odierno  giudizio,  questa  Corte  ha   gia'   riconosciuto   la
corrispondenza  tra  l'espressione  «servizio  pubblico   locale   di
rilevanza economica» o «servizio  di  interesse  generale»  dell'ente
locale e quella di «servizio di interesse economico generale» (SIEG),
rinvenibile, in particolare, negli  artt.  14  e  106  del  TFUE  (ex
plurimis, sentenza n. 325 del 2010, punto  6.1.  del  Considerato  in
diritto). Ne consegue che la norma censurata, riferendosi ai  servizi
pubblici locali a rilevanza economica,  e'  riconducibile  all'ambito
materiale relativo alla tutela della concorrenza. 
    Prima di esaminare, nel merito, la censura  prospettata,  occorre
rilevare che la normativa vigente in  materia  e'  stata  oggetto  di
numerosi interventi del legislatore  statale  che,  negli  anni  piu'
recenti, ha espressamente recepito i criteri  enucleati  dal  diritto
dell'Unione europea in sede di modifica  dell'art.  113  del  decreto
legislativo  18  agosto  2000,  n.  267  (Testo  unico  delle   leggi
sull'ordinamento  degli  enti  locali).  La   normativa   richiamata,
incorporata nel testo unico degli  enti  locali,  per  effetto  della
clausola di salvaguardia contenuta all'art. 1, comma 2, dello  stesso
d.lgs. n. 267 del 2000 in favore delle autonomie speciali - il  quale
prevede  che  «Le  disposizioni  del  presente  testo  unico  non  si
applicano alle regioni a statuto speciale e alle province autonome di
Trento e di Bolzano se incompatibili  con  le  attribuzioni  previste
dagli statuti e dalle  relative  norme  di  attuazione»  -  consente,
secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte, l'applicazione
anche alle autonomie speciali della menzionata disciplina nei  limiti
dei parametri statutari e delle norme di attuazione  (tra  le  tante,
sentenza n. 39 del 2014). 
    Il richiamato art. 113 e' stato poi abrogato dall'art. 23-bis del
decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112  (Disposizioni  urgenti  per  lo
sviluppo  economico,  la  semplificazione,  la   competitivita',   la
stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione Tributaria),
convertito in legge, con modificazioni, dall'art. 1, comma  1,  della
legge 6 agosto 2008, n. 133, che  gia'  prevedeva  l'affidamento  dei
servizi pubblici a societa' a partecipazione mista pubblico/privata. 
    Peraltro, il richiamato  art.  23-bis  e'  stato  successivamente
abrogato a seguito dell'entrata in vigore del d.P.R. 18 luglio  2011,
n. 113 (Abrogazione, a seguito di referendum popolare,  dell'articolo
23-bis  del  decreto-legge  n.  112   del   2008,   convertito,   con
modificazioni,  dalla  legge  n.   133   del   2008,   e   successive
modificazioni, nel testo risultante a seguito  della  sentenza  della
Corte costituzionale n. 325 del 2010,  in  materia  di  modalita'  di
affidamento e gestione  dei  servizi  pubblici  locali  di  rilevanza
economica), con  il  quale,  preso  atto  dell'esito  del  referendum
ammesso da questa Corte con la sentenza n.  24  del  2011,  e'  stata
disposta l'abrogazione, a decorrere dal  21  luglio  2011,  dell'art.
23-bis, oggetto del quesito referendario. 
    Questa Corte, con la citata sentenza n. 24 del 2011 (punto 4.2.2.
del Considerato in diritto), ha escluso la reviviscenza dell'art. 113
del d.lgs. n. 267 del 2000 a  seguito  dell'abrogazione  referendaria
dell'art. 23-bis del d.l. n. 112 del 2008. 
    La  conseguenza  delle   vicende   legislative   e   referendarie
brevemente  richiamate  e'  che,  attualmente,   si   deve   ritenere
applicabile alla materia in cui si controverte nel presente  giudizio
unicamente la normativa e la giurisprudenza comunitarie, senza  alcun
riferimento a leggi interne (sentenze n. 50 del 2013  e  n.  199  del
2012). 
    Tanto premesso circa la disciplina vigente in cui si  colloca  la
disposizione censurata nell'odierno giudizio, occorre  rilevare  che,
nel raffrontare  la  normativa  interna  allora  censurata  (versione
originaria del sopra richiamato art.  23-bis)  con  quella  (tutt'ora
vigente) del  diritto  dell'Unione  europea,  questa  Corte  ha  gia'
affermato  che  «La  normativa  comunitaria  consente   l'affidamento
diretto del servizio (cioe' senza una gara ad evidenza  pubblica  per
la scelta dell'affidatario) alle societa' miste nelle  quali  si  sia
svolta una gara ad evidenza pubblica per la scelta del socio  privato
e richiede sostanzialmente che tale socio sia un socio  "industriale"
e non meramente "finanziario" (in tal senso, in particolare, il Libro
verde della Commissione del  30  aprile  2004),  senza  espressamente
richiedere alcun limite, minimo o massimo, della  partecipazione  del
socio privato», permettendo, in  particolare,  l'affidamento  diretto
della gestione del servizio «in via ordinaria» ad una societa' mista,
alla condizione che la scelta del  socio  privato  «avvenga  mediante
procedure competitive ad evidenza pubblica» e che a tale socio  siano
attribuiti «specifici compiti operativi connessi  alla  gestione  del
servizio» (sentenza n. 325 del 2010, punto 6.1.  del  Considerato  in
diritto). 
    In altre parole, questa Corte, rigettando le  impugnazioni  delle
Regioni ricorrenti avverso l'art.  23-bis  -  aventi  ad  oggetto  la
disciplina  statale  allora  vigente,  che  consentiva  l'affidamento
diretto del servizio alle societa' miste, a condizione che la  scelta
del socio privato avvenisse con  procedura  ad  evidenza  pubblica  e
contestuale attribuzione di specifici compiti operativi connessi alla
gestione del servizio  -  ha  gia'  riconosciuto  la  conformita'  al
diritto dell'Unione europea e, conseguentemente, all'art. 117,  primo
comma, Cost., delle modalita' di  affidamento  previste  anche  dalla
norma censurata nell'odierno giudizio. 
    Anche  il  diritto  dell'Unione  europea  conferma  il  principio
riconosciuto  da  questa  Corte  nella  sentenza  n.  325  del  2010,
consentendo,   purche'   ricorrano    le    richiamate    condizioni,
l'affidamento diretto del servizio di  rilevanza  economica  anche  a
societa' cosiddette miste, ed anzi esprimendo un vero e proprio favor
per il partenariato pubblico/privato e gli organismi misti  (il  gia'
richiamato  Libro  verde  della  Commissione  europea   relativo   ai
partenariati pubblico-privati ed al diritto comunitario degli appalti
pubblici e delle concessioni, COM-2004-327, 30 aprile  2004;  nonche'
la   Comunicazione   interpretativa   della    Commissione    europea
sull'applicazione del diritto comunitario degli  appalti  pubblici  e
delle     concessioni      ai      partenariati      pubblico-privati
istituzionalizzati, PPPI, 2008/C91/02). 
    La  giurisprudenza  comunitaria  conferma  questi   assunti.   La
sentenza della Corte di giustizia, sezione terza, 15 ottobre 2009, in
causa C-196/08, Acoset Spa, ha ribadito la  legittimita'  comunitaria
dell'affidamento diretto a societa' miste, purche' sia rispettata  la
condizione della gara cosiddetta "a doppio oggetto". Afferma  infatti
la Corte europea che  «Sebbene  la  mancanza  di  gara  nel  contesto
dell'aggiudicazione dei servizi risulti inconciliabile con gli  artt.
43 CE e 49 CE e con i principi di parita' di  trattamento  e  di  non
discriminazione, la scelta  del  socio  privato  nel  rispetto  degli
obblighi [comunitari] e l'individuazione dei criteri  di  scelta  del
socio privato consentono di ovviare a detta situazione,  dal  momento
che i candidati devono provare, oltre  alla  capacita'  di  diventare
azionisti, anzitutto la loro perizia tecnica nel fornire il  servizio
nonche' i vantaggi economici e di altro tipo derivanti dalla  propria
offerta» (punto 59). Ne consegue che, «Dato che i criteri  di  scelta
del socio privato si riferiscono non solo al capitale da quest'ultimo
conferito, ma altresi' alle capacita' tecniche di tale socio  e  alle
caratteristiche della sua offerta in considerazione delle prestazioni
specifiche da fornire, e dal momento che al socio in questione  viene
affidata, come  nella  fattispecie  di  cui  alla  causa  principale,
l'attivita' operativa del servizio di cui trattasi  e,  pertanto,  la
gestione  di  quest'ultimo,  si  puo'  ritenere  che  la  scelta  del
concessionario risulti indirettamente da quella  del  socio  medesimo
effettuata al termine di una procedura che rispetta  i  principi  del
diritto comunitario, cosicche' non si  giustificherebbe  una  seconda
procedura di gara ai fini della  scelta  del  concessionario»  (punto
60). 
    Nel caso in esame, il ricorrente  Presidente  del  Consiglio  dei
ministri, nell'impugnare l'art. 6, comma 1, della legge reg. Sardegna
n. 25  del  2012,  nella  parte  in  cui  prevede  l'affidamento  «ad
organismi a partecipazione  mista  pubblico  privata»,  per  asserito
contrasto con il diritto dell'Unione europea, si  limita  ad  evocare
soltanto la summenzionata sentenza della Corte di giustizia, in causa
C-26/03 Stadt Halle  ed  altri  contro  RPL  Lochau,  con  cui  viene
censurato l'affidamento diretto a societa' miste, ma,  nella  specie,
non vi era stata procedura ad evidenza pubblica  per  la  scelta  del
socio della societa' mista affidataria del servizio. 
    Ne consegue che anche il precedente, richiamato  dal  ricorrente,
conferma  che  la  giurisprudenza  comunitaria  non  esclude  che  il
legislatore, come nel caso in  esame,  possa  disporre  l'affidamento
diretto  del  servizio  pubblico  a  societa'  miste,   purche'   sia
rispettata la condizione della  gara  ad  evidenza  pubblica  per  la
scelta del socio, con contestuale affidamento del servizio. 
    L'art. 6, comma 1, della legge  reg.  Sardegna  n.  25  del  2012
prevede anzitutto, ponendo una  regola  generale,  l'affidamento  dei
servizi pubblici di  interesse  generale  dell'ente  locale  mediante
procedure ad  evidenza  pubblica.  In  alternativa,  la  disposizione
censurata consente l'affidamento diretto del servizio ad organismi «a
partecipazione mista pubblica privata»  o  «a  totale  partecipazione
pubblica», nel «rispetto della normativa comunitaria». 
    Il rinvio ai principi del diritto dell'Unione europea e' ribadito
anche dal comma 2 dello stesso art. 6 della legge reg. Sardegna n. 25
del 2012 - non impugnato nel presente giudizio - il quale afferma che
«Gli enti locali motivano sulle ragioni della scelta della  forma  di
affidamento adottata ai sensi del comma  1  e  sulla  sussistenza  al
riguardo dei requisiti previsti dall'ordinamento comunitario». 
    Da quanto detto segue che la norma  censurata  non  soltanto  non
esclude che la concessione dei servizi venga affidata ad una societa'
mista, il cui socio privato sia individuato attraverso  una  gara  "a
doppio oggetto", ma, in ragione del  rinvio  al  diritto  dell'Unione
europea, impone l'obbligatorieta' di tale procedura. 
    Non sussiste, pertanto, il  censurato  contrasto  tra  l'art.  6,
comma 1, della legge reg. Sardegna n. 25 del 2012, da un lato, e  gli
evocati  principi  dei  Trattati  e  la   richiamata   giurisprudenza
comunitaria,   dall'altro.   La   norma   impugnata,    correttamente
interpretata  nel  senso  suindicato,  nella  parte  in  cui  prevede
l'affidamento diretto dei servizi  pubblici  locali  ad  organismi  a
partecipazione mista pubblico/privata, presupponendo infatti  che  il
socio privato della societa' mista  venga  scelto  con  procedura  ad
evidenza pubblica e con gara cosiddetta  "a  doppio  oggetto",  nella
quale siano contestualmente definite le caratteristiche del servizio,
esaurisce, in tal modo, la fase concorrenziale e ottempera a tutti  i
requisiti richiesti dal diritto dell'Unione europea. 
    3.- Il Presidente del Consiglio dei ministri  impugna  l'art.  8,
comma 2, della legge reg. Sardegna n. 25 del 2012 che,  inserendo  il
comma 7-bis all'art. 6 della legge della Regione  Sardegna  7  agosto
2009, n. 3 (Disposizioni urgenti nei settori  economico  e  sociale),
consente la realizzazione di nuovi impianti eolici o  ampliamenti  di
impianti esistenti, oltre la fascia dei 300 metri, anche negli ambiti
di paesaggio costieri, purche' non ricadenti in beni paesaggistici  e
ricompresi in determinate aree del territorio. 
    Secondo l'Avvocatura dello  Stato,  la  norma  impugnata  non  si
limiterebbe ad indicare i siti «non idonei» alla installazione  degli
impianti, come previsto  dall'art.  12  del  decreto  legislativo  29
dicembre 2003, n. 387 (Attuazione della direttiva 2001/77/CE relativa
alla promozione dell'energia elettrica prodotta da fonti  energetiche
rinnovabili  nel  mercato  interno  dell'elettricita'),  nonche'  dal
paragrafo 17 dell'Allegato 3 del decreto del Ministero dello sviluppo
economico 10 settembre 2010 (Linee guida per  l'autorizzazione  degli
impianti alimentati da fonti rinnovabili), bensi' individuerebbe,  su
tutto il territorio regionale, i siti  «idonei»,  ponendosi,  in  tal
modo, in contrasto con gli evocati parametri interposti. 
    Ad avviso della difesa regionale, le censure mosse avverso l'art.
8, comma 2, della legge  reg.  Sardegna  n.  25  del  2012  sarebbero
inammissibili sia per erronea indicazione del parametro asseritamente
violato, sia per carenza di interesse ad agire.  Pur  involvendo,  la
norma  impugnata,  titoli  di  competenza  esclusiva  della   Regione
autonoma Sardegna quali  l'urbanistica,  l'edilizia  e  la  specifica
competenza primaria paesaggistica, il Presidente  del  Consiglio  dei
ministri avrebbe infatti omesso di evocare a parametro  nel  presente
giudizio l'art. 3, comma 1, lettera f), della legge cost.  n.  3  del
1948, nonche' gli artt. 5 e 6 del  d.P.R.  22  maggio  1975,  n.  480
(Nuove norme di  attuazione  dello  statuto  speciale  della  regione
autonoma  della  Sardegna),  i  quali  attribuiscono  al  legislatore
regionale competenza primaria nelle suddette materie. 
    3.1.- Le eccezioni vanno respinte. 
    Secondo  il  consolidato  orientamento  della  giurisprudenza  di
questa Corte, nei giudizi in via principale e' onere del ricorrente -
pena l'inammissibilita' della questione -  «identificare  esattamente
la  questione  nei  suoi  termini  normativi»,  indicando  «le  norme
costituzionali e  ordinarie,  la  definizione  del  cui  rapporto  di
compatibilita'  o  incompatibilita'   costituisce   l'oggetto   della
questione  di  costituzionalita'»,  nonche'  «una  seppur   sintetica
argomentazione di merito a sostegno della richiesta  declaratoria  di
incostituzionalita' della legge» (ex plurimis,  sentenze  n.  39  del
2014, n. 114 del 2013, n. 114 del 2011, n. 40 del 2007,  n.  139  del
2006, n. 450 e n. 360 del 2005, n. 213 del 2003; nonche' ordinanza n.
123 del 2012). 
    Pertanto,  una  volta  che  il   ricorrente   abbia   chiaramente
prospettato l'oggetto e i parametri asseritamente violati, secondo la
richiamata    giurisprudenza    di    questa    Corte,    ai     fini
dell'ammissibilita' della questione, questi non e' tenuto  a  fornire
ulteriore motivazione circa l'omessa indicazione di parametri  a  cui
sarebbe riconducibile il titolo di competenza in virtu' del quale  e'
stata  posta  in  essere  la  disposizione  censurata,   risolvendosi
l'eccezione  in  un  profilo  che  attiene   non   gia'   all'aspetto
preliminare della questione, bensi' a quello successivo del merito. 
    Nel caso di specie, dalla lettura complessiva del ricorso  e,  in
particolare, dalle argomentazioni addotte a sostegno  della  censura,
risulta che il ricorrente Presidente del Consiglio dei ministri abbia
esattamente evocato a parametro le norme statutarie, nella  parte  in
cui  attribuiscono  alla  Regione  la  competenza  concorrente,   tra
l'altro, in  materia  di  «produzione  e  distribuzione  dell'energia
elettrica»,  con  contestuale  previsione   dei   limiti   alla   sua
esplicazione (art. 4 dello  statuto  di  autonomia).  Da  cio'  segue
l'ammissibilita'  della  questione,  atteso  che   l'evocazione   dei
parametri statutari richiamati consente  di  prospettare  in  maniera
sufficientemente  idonea  e  motivata  la   lesione   del   principio
fondamentale espresso dall'art. 12 del d.lgs. n. 387 del  2003  nella
materia «produzione, trasporto e distribuzione dell'energia»  in  cui
si controverte nel presente giudizio (sentenze n. 165 del 2011  e  n.
383 del 2005). 
    3.2.- Sempre in via preliminare, va  infine  disatteso  anche  il
secondo motivo di inammissibilita'  della  questione  eccepito  dalla
resistente Regione autonoma Sardegna,  che  si  duole  dell'«evidente
carenza di interesse ad agire», atteso che «l'accoglimento del motivo
di ricorso [...] avrebbe l'effetto di  limitare  le  possibilita'  di
edificazione degli impianti eolici, ponendosi in evidente opposizione
con lo spirito delle Linee guida governative approvate  con  d.m.  10
settembre 2010». 
    Al riguardo, occorre ribadire che questa Corte  ha  costantemente
affermato  che  «il  ricorso  da  parte  dello  Stato  avverso  leggi
regionali   e'   rivolto    a    tutelare    l'interesse    obiettivo
all'eliminazione delle leggi incostituzionali,  a  prescindere  dagli
effetti che,  sul  piano  dell'ordinamento  generale,  possano  anche
indirettamente conseguirne» (sentenza n. 437 del 1994, punto  3.  del
Considerato in diritto; nonche', tra le  tante,  sentenza  n.  8  del
1967). 
    3.3.- Nel merito, la questione e' fondata, nei termini di seguito
precisati. 
    Quanto all'ambito materiale cui e' riconducibile la  disposizione
impugnata,  bisogna  ricordare  che  questa  Corte  ha  costantemente
ricondotto disposizioni  di  leggi  regionali  che  intervenivano  in
materia di fonti di energia rinnovabili - analoghe a quella censurata
nell'odierno giudizio - ad un tempo sia all'ambito materiale relativo
alla «tutela dell'ambiente», di  competenza  esclusiva  dello  Stato,
giusto il disposto dell'art. 117, secondo comma, lettera  s),  Cost.,
sia a quello relativo alla  «produzione,  trasporto  e  distribuzione
nazionale dell'energia», ai sensi dell'art. 117, terzo comma,  Cost.,
di potesta' legislativa concorrente, in cui spetta allo Stato fissare
i  principi  fondamentali,  affermando  altresi'  che   i   parametri
menzionati esprimono obiettivi convergenti, in quanto  la  produzione
da fonti rinnovabili, non fossili  e',  per  definizione,  protettiva
dell'ambiente (ex plurimis, sentenze n. 308, n. 192, n. 107, n. 67  e
n. 44 del 2011, n. 366 e n. 119 del 2010 e n. 282 del 2009). 
    Sul versante opposto, la tutela del territorio, nella  dimensione
paesaggistica, storico-culturale, di  biodiversita',  di  particolari
produzioni agroalimentari, rappresenta  un  interesse  costituzionale
potenzialmente confliggente,  essendo  evidente  che  l'installazione
degli impianti - con particolare riferimento a quelli eolici  -  puo'
alterare  l'assetto  territoriale.  Al  riguardo,  questa  Corte   ha
ritenuto che «la conservazione ambientale e paesaggistica» spetti, in
base all'art. 117,  secondo  comma,  lettera  s),  Cost.,  alla  cura
esclusiva dello Stato (sentenze n. 226 del 2009 e n. 367  del  2007),
tenendo pero' conto, nel  caso  degli  enti  territoriali  dotati  di
autonomia particolare, di  quanto  previsto  dagli  statuti  speciali
(sentenze n. 226 del 2009 e n. 378 del 2007). 
    Bisogna altresi' rammentare che il legislatore statale ha trovato
un punto  di  equilibrio  tra  i  richiamati  valori  costituzionali,
potenzialmente antagonistici, nell'art. 12  del  d.lgs.  n.  387  del
2003,   che   disciplina   il   procedimento   volto   al    rilascio
dell'autorizzazione unica per  la  costruzione  e  l'esercizio  degli
impianti di produzione  di  energia  elettrica  alimentati  da  fonti
rinnovabili. Secondo la costante giurisprudenza di questa  Corte,  la
norma richiamata e' volta, da un lato,  a  realizzare  le  condizioni
affinche' tutto  il  territorio  nazionale  contribuisca  all'aumento
della produzione energetica da fonti rinnovabili,  inclusa  l'energia
eolica, sicche' non possono essere tollerate esclusioni pregiudiziali
di  determinate  aree;  e,  dall'altro  lato,  a  evitare   che   una
installazione massiva  degli  impianti  possa  vanificare  gli  altri
valori   coinvolti,   tutti   afferenti   la   tutela,    soprattutto
paesaggistica, del territorio (ex plurimis, sentenze n. 224 del 2012,
n. 308, n. 275, n. 192, n. 107, n. 67 e n. 44 del 2011,  n.  366,  n.
168 e n. 124 del 2010, n. 282 del 2009). 
    In particolare, il comma 10  del  citato  art.  12  -  evocato  a
parametro interposto nel presente giudizio - dispone  che  le  "Linee
guida" devono essere approvate in Conferenza unificata,  su  proposta
del  Ministro  delle  attivita'  produttive  (oggi  Ministro  per  lo
sviluppo economico), di concerto  con  il  Ministro  dell'ambiente  e
della tutela del territorio e del mare e del Ministro per i beni e le
attivita' culturali, al fine di «assicurare un  corretto  inserimento
degli impianti, con specifico  riguardo  agli  impianti  eolici,  nel
paesaggio». 
    La norma richiamata prevede  che  le  Regioni  possano  procedere
soltanto alla individuazione dei siti non idonei all'installazione di
specifiche  tipologie  di  impianti  in  attuazione  della  normativa
summenzionata, atteso che la  ratio  del  criterio  «residuale»  deve
essere individuata nel «principio di massima diffusione  delle  fonti
di energia rinnovabili, derivante dalla normativa europea»  (sentenza
n. 224 del 2012). 
    Le predette "Linee guida" sono state adottate con  il  richiamato
d.m. 10 settembre 2010, il quale, all'allegato  3  (paragrafo  17)  -
parimenti evocato a parametro  interposto  nel  presente  giudizio  -
indica i  criteri  che  le  Regioni  devono  rispettare  al  fine  di
individuare le zone nelle  quali  non  e'  possibile  realizzare  gli
impianti alimentati da fonti di energia alternativa. 
    Tanto premesso, alla stregua dei  richiamati  orientamenti  della
giurisprudenza di questa Corte, occorre ora procedere allo  scrutinio
dell'art. 8, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 25 del 2012. 
    L'esame della disposizione censurata induce all'osservazione  che
la  stessa  si  pone  in  contrasto  con  il  principio  fondamentale
contenuto nell'art. 12, comma 10, del d.lgs. n. 387 del 2003, secondo
quanto di seguito precisato. 
    Va preliminarmente precisato che, contrariamente a quanto dedotto
dall'Avvocatura dello Stato, la norma impugnata detta una  disciplina
riferibile soltanto agli «ambiti di paesaggio costieri»,  atteso  che
l'utilizzo della congiunzione «anche» presuppone che la realizzazione
degli  impianti  sia  consentita,  in  linea  generale,  nella  parte
restante del territorio regionale, peraltro in  linea  con  il  favor
circa la disponibilita' ad  ospitare  gli  impianti  eolici  prevista
dalle summenzionate norme evocate a parametro interposto. 
    Cio' posto, occorre osservare che, dalla disamina delle ulteriori
disposizioni statutarie e delle relative norme di attuazione  evocate
dalla difesa regionale (art. 3, comma 1, lettera f, della legge cost.
n. 3 del 1948 e artt. 5 e 6 del d.P.R. n. 480 del  1975),  si  desume
chiaramente  come  nessuno  degli  ambiti  materiali   indicati   sia
strettamente inerente alla  «produzione  dell'energia»,  trattandosi,
piuttosto, di campi di incidenza indiretta degli interventi  in  tale
materia. 
    A questo riguardo, occorre  ribadire  quanto  gia'  affermato  da
questa Corte sin dalla sentenza n.  383  del  2005,  secondo  cui  le
competenze statutarie delle autonomie speciali in materia di  energia
sono sicuramente meno  ampie  rispetto  a  quelle  riconosciute  alle
Regioni ordinarie, nello stesso ambito, dall'art. 117,  terzo  comma,
Cost., sicche' va ad esse applicato, in base al cosiddetta  «clausola
di maggior favore» prevista dall'art. 10 della  legge  costituzionale
18 ottobre 2003, n. 1 (Modifiche al  titolo  V  della  parte  seconda
della Costituzione), il parametro costituzionale  corrispondente  (le
gia' richiamate sentenze n. 165 del 2011 e n. 383 del 2005). 
    Contrariamente a  quanto  eccepito  dalla  difesa  regionale,  la
puntuale applicazione delle  "Linee  guida"  statali,  anche  per  la
Regione autonoma Sardegna,  incontra  l'unico  limite  di  competenza
inerente ai profili di tutela  del  paesaggio,  non  assumendo  alcun
rilievo - per  la  costante  giurisprudenza  di  questa  Corte  -  la
competenza regionale in materia «urbanistica ed  edilizia»  (sentenze
n. 224 del 2012; n. 275 e n. 165 del 2011). 
    Che  le  "Linee  guida"  siano,  con  i  limiti  ora   precisati,
applicabili anche alla Regione autonoma Sardegna lo ha  ribadito,  da
ultimo,  la  sentenza  n.  224  del  2012,  la  quale  ha  dichiarato
l'illegittimita'  costituzionale  di  una   disposizione   di   legge
regionale, che  individuava  i  siti  idonei  alla  localizzazione  e
realizzazione degli impianti eolici. 
    La  norma  impugnata  nel  presente  giudizio,   consentendo   la
localizzazione  degli  impianti  eolici,  nell'ambito  dei   paesaggi
costieri, solo se ricompresi in determinate aree, si pone pertanto in
contrasto con le piu' volte richiamate "Linee  guida"  statali.  Come
questa Corte ha  ripetutamente  affermato,  queste  ultime  indicano,
infatti, i criteri e i principi che le Regioni devono  rispettare  al
fine di individuare le zone nelle quali non e'  possibile  realizzare
gli impianti alimentati da fonti di energia  alternativa,  limitando,
pertanto, l'intervento del legislatore  regionale  all'individuazione
di  puntuali  aree  non  idonee  alla  installazione  di   specifiche
tipologie di impianti secondo le  modalita'  di  cui  all'allegato  3
(paragrafo 17) del d.m. del 2010. 
    Al contrario, la disposizione censurata, nell'individuare i  siti
idonei alla realizzazione degli impianti, si pone in contrasto con le
richiamate "Linee guida" statali,  escludendo  ogni  altra  area  non
espressamente richiamata nell'ambito dei vasti  ambiti  di  paesaggio
costieri, e produce, quindi, l'effetto di circoscrivere e limitare le
aree disponibili alla realizzazione di impianti eolici, senza  alcuna
ragione giustificatrice rispetto alla specifica  competenza  primaria
in materia paesaggistica della Regione autonoma Sardegna. 
    Come affermato da questa Corte nella sentenza n.  224  del  2012,
anche nel caso in esame il legislatore sardo  eccede  pertanto  dalla
propria competenza, sovrapponendosi ai criteri  dettati  dallo  Stato
circa la localizzazione dei siti non idonei  all'installazione  degli
impianti, estensibili, pur  con  i  limiti  precisati,  alla  Regione
autonoma Sardegna. Anche la norma  impugnata  nell'odierno  giudizio,
come quella oggetto della questione decisa con la sentenza da  ultimo
menzionata,  determina  infatti  il  «rovesciamento»  del   principio
generale contenuto nell'art. 12, comma 10,  del  d.lgs.  n.  387  del
2003, inserendo eccezioni al principio di  massima  diffusione  delle
fonti di energia rinnovabili che non  sono  sorrette  da  adeguate  e
concrete ragioni di tutela paesaggistica. A nulla rileva, ai fini del
presente  giudizio,  che  detto  «rovesciamento»  sia  effettuato  in
relazione  all'intero  territorio  sardo,  come  era  previsto  nella
fattispecie delineata dall'art. 18 della legge della Regione Sardegna
29 maggio 2007, n. 2 (Disposizioni per  la  formazione  del  bilancio
annuale  e  pluriennale  della  Regione,  Legge   finanziaria   2007)
dichiarato costituzionalmente illegittimo con la sentenza n. 224  del
2012, o in relazione agli ambiti di paesaggio costieri, come nel caso
della norma oggetto del presente giudizio. Infatti,  in  entrambe  le
fattispecie, il legislatore sardo  procede  alla  localizzazione  dei
siti idonei all'installazione degli impianti, con  impliciti  effetti
escludenti  su  tutte  le  aree  non  richiamate   da   entrambe   le
disposizioni censurate. Da cio' segue il contrasto con il piu'  volte
menzionato principio fondamentale espresso dall'art.  12,  comma  10,
del d.lgs. n. 387 del 2003, nonche' con l'allegato 3  (paragrafo  17)
delle "Linee guida" statali. 
    Ne' puo' sostenersi, come dedotto dalla Regione Sardegna, che  la
disposizione impugnata consentirebbe di estendere le aree disponibili
alla realizzazione degli impianti anche  agli  «ambiti  di  paesaggio
costieri», rimuovendo un previgente divieto. Al riguardo, osserva  la
difesa regionale che la declaratoria di illegittimita' costituzionale
dell'art. 18 della legge reg. Sardegna n. 2 del 2007, come sostituito
dall'art. 6, comma 8, della legge reg. Sardegna n. 3 del  2009  -  il
quale consentiva la realizzazione di nuovi impianti eolici nelle aree
industriali, retroindustriali e limitrofe, anche se  ricadenti  negli
ambiti di paesaggio costieri o in aree gia' compromesse dal punto  di
vista ambientale - avrebbe determinato la «riespansione» del  divieto
generalizzato alla realizzazione di impianti eolici, posto  dall'art.
8, comma 3, della legge della Regione Sardegna 25 novembre 2004, n. 8
(Norme urgenti di  provvisoria  salvaguardia  per  la  pianificazione
paesaggistica e la tutela del territorio regionale) e dall'art.  112,
comma 2, delle Norme tecniche di attuazione del  Piano  paesaggistico
regionale,  adottato  con  deliberazione  della  Giunta  regionale  5
settembre 2006, n. 36/7. 
    La prospettazione della resistente Regione autonoma Sardegna  non
puo' essere condivisa. 
    Al  riguardo,  occorre  anzitutto  osservare   che   il   divieto
generalizzato di installazione degli impianti su tutto il  territorio
sardo, previsto dall'art. 8, comma 3, della legge reg. Sardegna n.  8
del   2004,   risultava   sottoposto   alla   condizione   risolutiva
dell'emanazione del Piano paesaggistico  regionale.  Quest'ultimo  e'
stato adottato con la richiamata delibera della Giunta  regionale  n.
36/7 del 2006. Da cio' segue che, a  tutt'oggi,  non  deve  ritenersi
vigente alcun divieto sul territorio  sardo  circa  la  realizzazione
degli impianti e che, contrariamente a quanto  dedotto  dalla  difesa
regionale, la disposizione oggetto dell'odierno giudizio non  rimuove
ne' esplicitamente, ne'  implicitamente  alcun  divieto  previsto  da
fonte di rango primario regionale. 
    Quanto, invece, al divieto previsto dal citato art. 112, comma 2,
delle richiamate Norme tecniche di attuazione del Piano paesaggistico
regionale, bisogna sottolineare che trattasi di  previsione  allegata
alla menzionata delibera di Giunta regionale  n.  36/7  del  2006,  e
dunque di fonte secondaria, che non e' in alcun modo richiamata dalla
disposizione di legge  regionale  censurata  nel  presente  giudizio.
Contrariamente a quanto presupposto dalla difesa regionale, la  norma
impugnata  non  puo'  pertanto  essere  interpretata  alla  luce  dei
mutevoli  orientamenti  delle  delibere  di   Giunta   regionale   di
approvazione dei piani paesaggistici, subordinate alle fonti di rango
primario. 
    In secondo luogo,  il  preteso  effetto  perdurante  del  divieto
introdotto con semplice delibera  di  Giunta  regionale  a  far  data
dall'adozione del Piano paesaggistico regionale del 2006  (art.  112,
comma  2,  delle  summenzionate  Norme  tecniche  di  attuazione)  si
porrebbe comunque in contrasto con  la  successiva  emanazione  delle
"Linee guida" statali contenute nel d.m. del 2010. 
    Dalla richiamata  giurisprudenza  di  questa  Corte  che  ritiene
applicabili le "Linee guida" statali anche  alle  Regioni  a  statuto
speciale (sentenza n. 168 del  2010)  -  sia  pure,  per  la  Regione
autonoma Sardegna, nei limiti della competenza paesaggistica primaria
(sentenza n. 224 del  2012)  -  e  da  quella  che  non  consente  al
legislatore regionale  di  adottare  misure  volte  a  precludere  in
maniera generalizzata  la  realizzazione  degli  impianti  eolici  in
assenza delle richiamate Linee guida statali (tra le tante,  sentenze
n. 44 del 2011, n. 119 e n. 344 del 2010, n. 166 del 2009, n. 364 del
2006), discende che il prospettato contrasto tra la  disposizione  di
legge  regionale  impugnata  e  il  principio  fondamentale  espresso
dall'art. 12 del d.lgs. n. 387 del 2003 va scrutinato alla  luce  dei
criteri per l'individuazione delle aree non idonee alla realizzazione
degli impianti contenuti nell'Allegato 3 (paragrafo 17) del  d.m.  10
settembre 2010, senza tenere conto  del  divieto  previsto  dall'art.
112,  comma  2,  delle  Norme  tecniche  di  attuazione   del   Piano
paesaggistico. Quest'ultimo, previsto, inoltre, come si e'  rilevato,
da una fonte regionale  di  rango  secondario,  risulta  comunque  in
contrasto - in quanto introdotto  a  far  data  dal  2006  -  con  la
richiamata giurisprudenza  di  questa  Corte  formatasi  sulle  norme
regionali in tema  di  localizzazione  degli  impianti  "antecedenti"
all'approvazione delle "Linee guida" nazionali, valevole anche per le
autonomie speciali (sentenza n. 168 del 2010). 
    Da cio' segue che la norma impugnata non puo' essere interpretata
come eccezione a un divieto, avente l'effetto di  estendere  le  aree
del territorio sardo suscettibili di ospitare gli impianti eolici. Al
contrario,   la   disposizione   censurata   nell'odierno   giudizio,
nell'individuare  esclusivamente  le  aree  ove  e'   consentita   la
realizzazione di impianti eolici, produce l'effetto di legificare  il
divieto di  posizionare  detti  impianti  nelle  zone  non  indicate,
apprestando implicitamente una tutela di tipo "paesaggistico" a vaste
aree - gli «ambiti di paesaggio costieri» - che non e'  coerente  con
la nozione di «paesaggio», quale risulta dalla normativa di principio
statale (art. 131 e seguenti del decreto legislativo 22 gennaio 2004,
n. 42, recante «Codice dei beni culturali e del paesaggio,  ai  sensi
dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002,  n.  137»),  dalle  altre
previsioni contenute negli artt. 14 e 15 delle stesse Norme  tecniche
di attuazione del Piano paesaggistico  regionale  del  2006,  nonche'
dalle   previsioni   contenute   negli   strumenti    regionali    di
pianificazione   e   programmazione   del   territorio,    i    quali
necessariamente a tale nozione si ispirano. 
    Pertanto, nel caso  in  esame,  ben  avrebbe  potuto  la  Regione
autonoma Sardegna, nell'esercizio della propria  competenza  primaria
in  materia,  individuare  le  aree  non  idonee  all'inserimento  di
impianti eolici, apprestando  una  tutela  di  tipo  paesaggistico  a
determinate zone localizzabili negli ambiti di paesaggio costieri, in
conformita' ai criteri posti dalle richiamate "Linee guida" statali. 
    Non appartiene, invece, alla competenza legislativa della Regione
invertire il rapporto regola-eccezione, imposto dall'art.  12,  comma
10,  del  d.lgs.  n.  387  del  2003,  che  determina   la   generale
disponibilita',  anche  degli  ambiti  di  paesaggio  costieri,  alla
installazione degli impianti.  Da  cio'  segue  il  contrasto  con  i
parametri interposti evocati e la  violazione  dell'art.  117,  terzo
comma, Cost. 
    4.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato  l'art.
13 della legge reg. Sardegna n. 25 del 2012 concernente l'adeguamento
della legge della Regione Sardegna 4 agosto  2008,  n.  12  (Riordino
dell'Istituto zooprofilattico sperimentale della  Sardegna  "Giuseppe
Pegreffi", ai sensi del decreto legislativo 30 giugno 1993, n. 270, e
abrogazione della legge regionale 22 gennaio 1986, n. 15) - che  reca
la   disciplina   dell'esercizio   delle    funzioni    dell'Istituto
zooprofilattico sperimentale della Sardegna "Giuseppe Pegreffi" -  al
decreto legislativo 28 giugno 2012, n.  106  (Riorganizzazione  degli
enti vigilati dal Ministero della salute,  a  norma  dell'articolo  2
della legge 4 novembre 2010, n. 183),  il  quale,  nell'ambito  della
riorganizzazione degli enti vigilati dal Ministero della  salute,  da
esso operata in virtu' della delega conferita al Governo dall'art.  2
della legge 4 novembre 2010, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di
lavori usuranti, di riorganizzazione di enti, di congedi, aspettative
e permessi, di ammortizzatori sociali, di servizi per  l'impiego,  di
incentivi   all'occupazione,   di   apprendistato,   di   occupazione
femminile, nonche' misure contro il lavoro sommerso e disposizioni in
tema di lavoro pubblico e di controversie  di  lavoro),  ha  previsto
anche,  agli  articoli  da  9  a  16,  il  riordino  degli   Istituti
zooprofilattici  sperimentali  (d'ora  in  avanti,  anche   «IZS»   o
«Istituti»). Sono censurati entrambi i  periodi  di  cui  si  compone
l'unico comma dell'impugnato art. 13  -  a  norma  del  quale:  «Sono
recepite le disposizioni di cui agli articoli da 9 a 16  del  decreto
legislativo 28 giugno  2012,  n.  106  (Riorganizzazione  degli  enti
vigilati dal Ministero della salute, a norma  dell'articolo  2  della
legge 4  novembre  2010,  n.  183).  Sono  abrogate  le  disposizioni
contrastanti contenute nella legge regionale 4  agosto  2008,  n.  12
(Riordino dell'Istituto zooprofilattico sperimentale  della  Sardegna
"Giuseppe Pegreffi", ai sensi del decreto legislativo 30 giugno 1993,
n. 270, e abrogazione della legge regionale 22 gennaio 1986, n.  15)»
- denunciandone il contrasto con l'art. 117, terzo comma,  Cost.,  in
relazione ai principi fondamentali  della  legislazione  dello  Stato
nella materia della «tutela della salute», e con l'art. 97 Cost.,  in
relazione al principio del buon andamento dell'amministrazione. 
    4.1.- Ad avviso del ricorrente, il primo di detti  periodi  viola
l'art. 117, terzo comma, Cost., perche', limitandosi a  prevedere  il
mero recepimento degli articoli da 9 a 16 del d.lgs. n. 106 del 2012,
si pone in contrasto, in particolare, con l'art. 10 di tale  decreto,
il quale, col disporre che  «Le  regioni  disciplinano  le  modalita'
gestionali, organizzative e di funzionamento degli Istituti,  nonche'
l'esercizio  delle  funzioni  di  sorveglianza   amministrativa,   di
indirizzo e verifica sugli Istituti  [...]  ed  adottano  criteri  di
valutazione   dei   costi,   dei    rendimenti    e    di    verifica
dell'utilizzazione delle risorse, nel rispetto dei principi di cui al
decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502», nonche'  dei  principi
fondamentali determinati dallo stesso articolo, imponeva alle Regioni
di adottare la disciplina di dettaglio necessaria al fine di  attuare
i suddetti principi. La violazione  dell'art.  97  Cost.  e'  dedotta
sotto il profilo che la mancanza di  detta  disciplina  di  dettaglio
causa «incertezza giuridica [...] nonche' il rischio di ostacolare la
continuita' del funzionamento dell'IZS». 
    4.2.- La difesa  della  Regione  autonoma  Sardegna  ha  eccepito
l'inammissibilita' della questione in quanto «una pronuncia ablatoria
non sarebbe certamente utile  all'interesse  vantato  dal  ricorrente
[...]. Ne' sarebbe possibile  un  intervento  additivo  [della  Corte
costituzionale],    che    impingerebbe    inammissibilmente    nella
discrezionalita'  confidata  al  legislatore  regionale»  (cosi'   la
memoria depositata dalla difesa regionale in prossimita' dell'udienza
pubblica). 
    L'eccezione e' fondata. 
    Il ricorrente Presidente del Consiglio dei  ministri  lamenta  la
lesione della competenza legislativa dello Stato nella materia  della
«tutela della salute»,  nonche'  del  principio  del  buon  andamento
dell'amministrazione,    derivanti    dalla    mancata    previsione,
nell'impugnato art. 13, della disciplina di dettaglio  necessaria  al
fine di attuare i principi dettati dall'art. 10 del d.lgs. n. 106 del
2012. A proposito di tali censure, deve rilevarsi che la declaratoria
dell'illegittimita'  costituzionale  dell'impugnato   primo   periodo
dell'unico comma dell'art. 13 della legge reg.  Sardegna  n.  25  del
2012 richiesta dal ricorrente non potrebbe  recare  alcuna  effettiva
utilita' al fine  della  difesa  delle  posizioni  sostanziali  dallo
stesso fatte valere, atteso che una tale pronuncia,  avendo  il  solo
effetto di  privare  di  efficacia  la  disposizione  impugnata,  non
potrebbe certamente assicurare quella disciplina di  dettaglio  dalla
cui mancata adozione deriva, secondo lo stesso ricorrente, la lesione
di dette posizioni. Ne', a  prescindere  dal  petitum  formulato  nel
ricorso,  una  siffatta  disciplina  di  dettaglio  potrebbe   essere
introdotta con una pronuncia  di  questa  Corte,  non  potendo  essa,
evidentemente, sostituirsi al  legislatore  regionale  nell'esercizio
della funzione legislativa allo stesso spettante in  una  materia  di
legislazione concorrente. 
    Poiche', per le indicate ragioni,  il  ricorso  proposto  risulta
inidoneo ad assicurare la difesa delle posizioni sostanziali che  con
esso  si  intendono  tutelare,  la  questione  promossa  deve  essere
dichiarata inammissibile per carenza di interesse all'impugnazione. 
    4.3.- Secondo il ricorrente, il secondo periodo dell'unico  comma
dell'art. 13 della legge reg. Sardegna n. 25 del  2012  viola  l'art.
117, terzo comma, Cost.,  perche',  «prevedendo  l'abrogazione  della
precedente legge regionale sull'organizzazione  e  sul  funzionamento
dell'IZS [della Sardegna], a  decorrere  dalla  data  di  entrata  in
vigore della nuova legge» regionale, si pone in contrasto con  l'art.
16 del d.lgs. n. 106 del 2012 «che invece fa decorrere  l'abrogazione
del d.lgs. n. 270/1993 (decreto che  reca  la  disciplina  degli  IZS
precedente a quella  di  riordino  dettata  dal  medesimo  d.lgs.  n.
106/2012), dall'entrata in vigore dello  statuto  e  dei  regolamenti
degli istituti zooprofilattici sperimentali» che, a  norma  dell'art.
12 del d.lgs.  n.  106,  devono  essere  adottati  dal  consiglio  di
amministrazione di ciascun Istituto entro novanta giorni dall'entrata
in vigore della legge regionale prevista dal  citato  art.  10  dello
stesso decreto legislativo. L'art. 97 Cost. sarebbe  violato  perche'
l'abrogazione «della precedente legge regionale sull'organizzazione e
sul funzionamento dell'IZS» della Sardegna «da un momento antecedente
all'adozione dei nuovi statuti e  regolamenti  dell'IZS»  causerebbe,
anch'essa,  «incertezza  giuridica  [...]  nonche'  il   rischio   di
ostacolare la continuita' del funzionamento dell'IZS». 
    4.4.- La difesa  della  Regione  autonoma  Sardegna  ha  eccepito
l'inammissibilita' della questione promossa in quanto, atteso che «il
legislatore (statale e  regionale)  si  e'  limitato  ad  esplicitare
l'effetto della abrogazione tacita delle norme incompatibili  con  la
nuova disciplina degli Istituti zooprofilattici  sperimentali,  [...]
l'effetto abrogativo si manifesterebbe comunque, anche se [la  Corte]
ritenesse di accogliere il gravame». 
    L'eccezione non e' fondata. 
    La difesa regionale deduce, in effetti, la carenza,  in  capo  al
ricorrente, dell'interesse  a  proporre  l'impugnazione,  in  quanto,
anche nel caso in cui la questione promossa fosse  ritenuta  fondata,
il lamentato immediato  effetto  abrogativo  delle  disposizioni  sul
funzionamento e sull'organizzazione dell'IZS della Sardegna contenute
nella legge reg. Sardegna n. 12  del  2008  e  contrastanti  con  gli
articoli da 9 a  16  del  d.lgs.  n.  106  del  2012  si  produrrebbe
comunque, ricorrendo gli estremi dell'abrogazione  cosiddetta  tacita
per incompatibilita' di dette precedenti disposizioni  con  le  nuove
contenute nel d.lgs. n. 106 del 2012 e  recepite  dal  primo  periodo
dell'unico  comma  dell'impugnato  art.  13.   In   proposito,   deve
osservarsi  che   l'interesse   all'impugnazione   scaturisce   dalla
possibilita' che questa Corte adotti non  una  decisione  caducatoria
della disposizione impugnata ma una decisione che - in armonia con la
sostanziale esigenza di tutela manifestata dal ricorrente -  dichiari
l'illegittimita' costituzionale  della  stessa  nella  parte  in  cui
prevede  l'abrogazione  delle  disposizioni   sul   funzionamento   e
sull'organizzazione dell'IZS della  Sardegna  contenute  nella  legge
reg. Sardegna n. 12 del 2008 e contrastanti con gli articoli da  9  a
16 del d.lgs. n. 106 del 2012 a decorrere dalla data  di  entrata  in
vigore della legge reg. Sardegna n. 25 del 2012, anziche' a decorrere
dalla data di entrata in vigore dello statuto e  dei  regolamenti  di
cui all'art. 12 del d.lgs. n. 106 del 2012.  Da  cio'  l'infondatezza
dell'eccezione  sollevata  dalla  difesa   della   Regione   autonoma
Sardegna. 
    4.5.- Nel merito, la questione non e' fondata. 
    Contrariamente a quanto  sostenuto  dal  ricorrente,  non  vi  e'
alcuna  differenza  sostanziale  tra   la   decorrenza   dell'effetto
abrogativo delle disposizioni sul funzionamento e sull'organizzazione
dell'IZS della Sardegna, contenute nella legge reg.  Sardegna  n.  12
del 2008 e contrastanti con gli articoli da 9 a 16 del d.lgs. n.  106
del 2012, previsto dall'impugnato secondo  periodo  dell'unico  comma
dell'art. 13  della  legge  reg.  Sardegna  n.  25  del  2012,  e  la
decorrenza   dell'effetto   abrogativo   delle    disposizioni    sul
funzionamento e sull'organizzazione degli  IZS  contrastanti  con  lo
stesso d.lgs. n. 106 del 2012 prevista, in generale, dall'art. 16 del
medesimo decreto legislativo (invocato quale parametro interposto). 
    L'art. 16 del d.lgs. n. 106 del 2012 stabilisce, al comma 2,  che
«Fino alla data di entrata in vigore dello statuto e dei  regolamenti
di cui all'articolo 12, rimangono in  vigore  le  attuali  norme  sul
funzionamento e sull'organizzazione degli Istituti nei  limiti  della
loro  compatibilita'  con  le  disposizioni  del   presente   decreto
legislativo». Pertanto, in base a tale disposizione statale, le norme
sul funzionamento e sull'organizzazione degli Istituti  rimangono  in
vigore solo se compatibili con le disposizioni del d.lgs. n. 106  del
2012; cio' significa che quelle incompatibili con  lo  stesso  devono
considerarsi immediatamente abrogate. Da tale art. 16,  correttamente
interpretato, non si discosta, nella sostanza - come si e' anticipato
- l'impugnato secondo periodo dell'unico  comma  dell'art.  13  della
legge reg. Sardegna n. 25 del 2012 che, come risulta dal  suo  chiaro
tenore letterale, prevede, analogamente, l'abrogazione,  con  effetto
immediato (a decorrere dall'entrata  in  vigore  della  stessa  legge
regionale), delle disposizioni della legge reg. Sardegna  n.  12  del
2008 contrastanti con gli articoli da 9 a 16 del d.lgs.  n.  106  del
2012 che hanno previsto il riordino  degli  Istituti  zooprofilattici
sperimentali. 
    Dalla  sostanziale  identita'  dell'effetto  abrogativo  previsto
dalla disposizione impugnata rispetto a quello stabilito dall'art. 16
del d.lgs. n. 106 del 2012 e, quindi, dall'assenza di  contrasto  tra
tali  due  disposizioni  consegue  l'infondatezza   della   questione
promossa con riferimento sia all'art. 117,  terzo  comma,  Cost.,  in
relazione al parametro interposto costituito da detto  art.  16,  sia
all'art. 97 Cost., atteso che anche  tale  censura  e'  avanzata  dal
ricorrente sul presupposto del lamentato, insussistente, contrasto. 
    5.- Il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato  l'art.
18  della  legge  reg.  Sardegna  n.  25  del  2012  il  quale,   nel
disciplinare la proroga di titoli minerari e  di  permessi  di  cava,
dispone che:  «I  titoli  minerari  di  autorizzazione  di  indagine,
concessione, permesso di ricerca di minerali  di  I  categoria  e  le
autorizzazioni e i permessi di cava, per i quali sia stata presentata
da parte degli esercenti, prima della scadenza del titolo  minerario,
l'istanza tesa alla proroga e/o al rinnovo del  titolo  medesimo,  il
cui procedimento non sia stato concluso da tutte  le  amministrazioni
aventi competenza concorrente per motivi indipendenti dagli  obblighi
attribuiti agli istanti, sono automaticamente prorogati  sino  al  30
giugno 2013 [comma 1]. La proroga e' ammessa  esclusivamente  per  la
prosecuzione dei lavori  precedentemente  autorizzati  e  non  ancora
conclusi, previa verifica di validita' delle polizze di  fideiussione
a garanzia  dell'esecuzione  dei  lavori  di  messa  in  sicurezza  e
ripristino ambientale, nel rispetto delle norme vigenti in materia di
attivita' estrattive [comma 2]». 
    Ad avviso del ricorrente, l'articolo denunciato viola l'art. 117,
secondo comma, lettera s),  Cost.,  che  attribuisce  allo  Stato  la
potesta' legislativa  nella  materia  della  «tutela  dell'ambiente»,
eccedendo i limiti della potesta' legislativa concorrente  attribuita
alla Regione autonoma Sardegna dall'art. 4, unico comma, lettera  a),
del suo statuto speciale, di cui alla legge cost. n. 3 del  1948,  in
materia di  «industria,  commercio  ed  esercizio  industriale  delle
miniere, cave e saline», perche', disponendo la  proroga  automatica,
sino al 30 giugno 2013, dei titoli minerari e dei permessi di cava in
esso indicati, proroga automaticamente anche i titoli  e  i  permessi
relativi a progetti il cui impatto ambientale non e'  stato  valutato
in sede di autorizzazione, cosi' sottraendo gli stessi alle procedure
di valutazione d'impatto ambientale previste dagli articoli da  20  a
28 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152  (Norme  in  materia
ambientale) e dagli Allegati III, lettere b), s) ed u), e  IV,  punti
2, lettere b) e h), 7, lettera o), e 8, lettera i). 
    5.1.- La difesa  della  Regione  autonoma  Sardegna  ha  eccepito
l'inammissibilita' della questione promossa perche' «il ricorrente ha
trascurato di tenere in debito conto tutte le  fonti  della  speciale
autonomia della Sardegna»,  atteso  che  lo  stesso  «richiama  [...]
solamente l'art. 4, comma 1, lett.  a),  dello  Statuto»,  mentre  e'
«evidente [...] che nel caso di specie  viene  in  oggetto  anche  la
competenza esclusiva della  Regione  in  materia  di  "esercizio  dei
diritti demaniali e patrimoniali della Regione relativi alle miniere,
cave e saline", ai sensi  dell'art.  3,  comma  1,  lett.  m),  dello
[stesso] Statuto», di talche'  «era  onere  del  ricorrente  vagliare
anche l'applicabilita'» di tale disposizione statutaria  «e  motivare
circa il fatto che la Regione  avrebbe  esorbitato  anche  dalla  sua
competenza legislativa esclusiva». 
    L'eccezione non e' fondata. 
    Il ricorrente Presidente del Consiglio dei ministri non  solo  ha
identificato compiutamente la questione  promossa  nei  suoi  termini
normativi, indicando le norme  della  Costituzione  e  dello  Statuto
speciale  per  la  Sardegna  e  la  norma  ordinaria  regionale,   la
definizione del cui rapporto  di  compatibilita'  o  incompatibilita'
costituisce l'oggetto della questione stessa, ma ha anche  ampiamente
argomentato  in  ordine  alle  ragioni  del  dedotto  contrasto   tra
l'impugnato art. 18 della legge reg. Sardegna n. 25 del  2012  e  gli
artt. 117, secondo comma,  lettera  s),  Cost.,  e  4,  unico  comma,
lettera a), dello Statuto speciale per la Sardegna. Verificato che il
ricorso consente certamente di individuare il contenuto e la  portata
delle censure con esso proposte, deve escludersi  che  il  ricorrente
avesse  l'onere  di  prendere  in  considerazione   altri   parametri
statutari, diversi da quelli invocati, che attribuiscono alla Regione
potesta' legislativa in una materia alla quale andrebbe, in  ipotesi,
ricondotta la disciplina regionale denunciata e di motivare in ordine
al fatto che  la  stessa  esorbita  dai  limiti  di  detta  potesta'.
L'eccezione sollevata dalla difesa regionale attiene, in realta', non
al preliminare profilo dell'ammissibilita' della questione  promossa,
ma a quello, successivo, del merito della  stessa,  risolvendosi,  in
effetti, nell'indicazione di un titolo competenziale ad  adottare  la
disciplina  impugnata  (titolo  che,  peraltro,  la  stessa   Regione
resistente ha trascurato di invocare nelle proprie difese inerenti al
merito). Da cio' l'infondatezza dell'eccezione. 
    5.2.- Nel merito, la questione e' fondata, nei limiti di  seguito
precisati. 
    5.2.1.- Va premesso, anzitutto, che le discipline  relative  alla
valutazione  di  impatto  ambientale  debbono  essere  ascritte  alla
materia della «tutela dell'ambiente» (non contemplata  dallo  Statuto
della Regione autonoma Sardegna), in ordine alla quale  lo  Stato  ha
competenza legislativa esclusiva, ai  sensi  dell'art.  117,  secondo
comma, lettera s), Cost. (sentenze n. 67 e n. 1 del 2010, n. 234 e n.
225 del 2009). 
    Deve, inoltre, ribadirsi che la disciplina statale nella  materia
della tutela dell'ambiente «"viene a funzionare come un  limite  alla
disciplina che le Regioni e le Province  autonome  dettano  in  altre
materie di loro competenza", salva la facolta' di  queste  ultime  di
adottare norme di tutela ambientale piu'  elevata  nell'esercizio  di
competenze, previste dalla Costituzione, che  concorrano  con  quella
dell'ambiente (sentenza n. 104 del 2008, con rinvio alla sentenza  n.
378 del 2007)» (sentenza n. 67 del 2010; nello stesso senso, anche le
sentenze n. 246 e n. 145 del 2013). 
    5.2.2.- Cio' posto, questa Corte, nello  scrutinare  disposizioni
di leggi regionali che prevedevano  la  proroga  ex  lege  di  titoli
minerari, ha chiarito che contrasta con l'art.  117,  secondo  comma,
lettera s), Cost., una disciplina regionale che, in modo «sicuramente
"contrario all'effetto utile"» della direttiva  27  giugno  1985,  n.
85/337/CEE  (Direttiva  del  Consiglio  concernente  la   valutazione
dell'impatto ambientale di determinati progetti pubblici e  privati),
«"prorogasse" automaticamente autorizzazioni rilasciate in assenza di
procedure di VIA (o, comunque, eventualmente,  in  assenza  di  VIA)»
(sentenza n. 67 del 2010, richiamata anche dalla sentenza n. 145  del
2013,   che   ne   individua   il   fondamento   nella   «riscontrata
illegittimita'  di  normative  regionali,  le  quali  [...]   avevano
introdotto eccezionali  ed  automatiche  "proroghe  di  diritto"  per
l'autorizzazione all'esercizio di  cave,  rilasciate  in  assenza  di
procedure di VIA (o, comunque, eventualmente, in  assenza  di  VIA)».
Cio' in quanto una siffatta disciplina potrebbe «mantenere inalterato
lo status quo, sostanzialmente sine die, superando qualsiasi esigenza
di "rimodulare"  i  provvedimenti  autorizzatori  in  funzione  delle
modifiche  subite,  nel  tempo,  dal  territorio   e   dall'ambiente»
(sentenza n. 67 del 2010, in un passaggio citato anche dalla sentenza
n. 145 del 2013) e sarebbe, quindi,  «atta  ad  eludere  l'osservanza
nell'esercizio  dell'attivita'  di  cava  della  normativa  di   VIA»
(sentenza n. 246 del 2013) dettata dallo Stato in un ambito materiale
riservato alla sua competenza legislativa esclusiva. 
    5.2.3.-  Al  fine  di  vagliare  la  fondatezza  della  questione
promossa, e' percio' necessario  verificare  se  la  normativa  della
Regione  autonoma  Sardegna  in  tema  di  valutazione   dell'impatto
ambientale e di attivita'  mineraria  sia  tale  da  garantire,  come
sostenuto dalla  difesa  regionale  (in  particolare,  nella  memoria
depositata  in  prossimita'  dell'udienza  pubblica),  che  i  titoli
minerari ed i permessi di cava prorogati  dall'impugnato  art.  18  -
all'evidente  scopo  di  consentire  la   prosecuzione   dei   lavori
autorizzati e non ancora conclusi durante il  tempo  necessario  alla
definizione dei procedimenti amministrativi di proroga o  di  rinnovo
tempestivamente avviati dagli esercenti e non definiti per  cause  ad
essi non imputabili - fossero stati, ab  origine  o  successivamente,
assoggettati alle procedure di valutazione dell'impatto ambientale. 
    A tale proposito, va anzitutto rilevato che la  Regione  autonoma
Sardegna non ha ancora adottato una  legge  organica  in  materia  di
valutazione dell'impatto ambientale. Solo con la legge reg. 7  agosto
2009, n. 3 (Disposizioni urgenti nei settori economico e sociale)  e'
stato previsto, all'art. 5, comma 23, primo periodo, che  «In  attesa
dell'approvazione di una  legge  regionale  organica  in  materia  di
valutazione  ambientale  strategica  e  di  valutazione  di   impatto
ambientale sono adottate integralmente le  disposizioni  del  decreto
legislativo n. 152 del 2006, come modificato dal decreto  legislativo
16  gennaio  2008,  n.  4  (Ulteriori  disposizioni   correttive   ed
integrative del D.Lgs. 3  aprile  2006,  n.  152,  recante  norme  in
materia  ambientale)».  Tuttavia,  in  base  alle   regole   generali
sull'efficacia della legge nel tempo (art. 11 disp. prel. cod. civ.),
tale disposizione ha potuto  trovare  applicazione,  per  quanto  qui
interessa,  solo  con  riguardo   ai   titoli   minerari   rilasciati
successivamente  alla  sua  entrata  in  vigore  (avvenuta,  a  norma
dell'art. 15 della legge reg. n. 3  del  2009,  il  18  agosto  2009,
giorno della pubblicazione di tale  legge  nel  Bollettino  Ufficiale
della Regione Sardegna). 
    Quanto alla normativa della Regione  autonoma  Sardegna  relativa
allo specifico settore dell'attivita' mineraria e di cava,  viene  in
rilievo l'art. 8, comma 2, della legge reg. 9  agosto  2002,  n.  15,
recante «Integrazioni e modifiche  alla  legge  regionale  22  aprile
2002, n. 7 (legge finanziaria 2002), alla legge regionale  22  aprile
2002, n. 8 (legge di bilancio) e alla legge regionale 24 aprile 2001,
n. 6 (legge  finanziaria  2001)»  -  anch'esso  richiamato,  al  pari
dell'art. 5, comma 23, primo periodo, della legge reg. n. 3 del 2009,
dalla difesa regionale - il quale ha  disposto  che  «Le  concessioni
minerarie    e    le    autorizzazioni    di     cava,     rilasciate
dall'Amministrazione regionale dopo l'entrata in vigore del  D.P.C.M.
3 settembre 1999 e della legge regionale 18 gennaio 1999,  n.  1,  in
assenza di VIA o di verifica di cui al D.P.R. 12 aprile 1996,  devono
essere  assoggettate  alla  VIA  o   alla   verifica.   Il   relativo
procedimento deve essere avviato entro e non  oltre  tre  mesi  dalla
data di  pubblicazione  della  presente  legge  e  concluso  entro  i
successivi tre mesi. Le relative autorizzazioni  o  concessioni  sono
sospese in caso di inerzia da parte del  soggetto  proponente  e  nel
caso in  cui  il  procedimento  non  si  concluda  positivamente».  A
proposito dell'efficacia nel tempo di tale disposizione, va osservato
che  essa  prevede  espressamente   che   siano   assoggettate   alla
valutazione    di    impatto    ambientale    (o    alla     verifica
dell'assoggettabilita' alla valutazione dell'impatto  ambientale)  le
concessioni minerarie e le autorizzazioni di cava  «rilasciate  [...]
dopo l'entrata in vigore del D.P.C.M. 3 settembre 1999 e della  legge
regionale 18 gennaio 1999, n. 1». 
    Sempre a  proposito  della  normativa  regionale  in  materia  di
attivita' mineraria e  di  cava,  va  ancora  rilevato,  sotto  altro
aspetto, che la legislazione della Regione autonoma Sardegna  prevede
una durata anche ventennale dei titoli per l'esercizio della  stessa.
Dispongono in tale senso: a) l'art. 22, commi 1 e 2, della legge reg.
7 giugno 1989, n. 30 (Disciplina delle attivita'  di  cava),  secondo
cui «L'autorizzazione [di coltivazione delle cave e  delle  torbiere]
ha la durata massima di anni venti e puo'  essere  rinnovata»  (comma
1), durata suscettibile anche di estensione (comma  2,  con  riguardo
alle ipotesi in esso indicate), e l'art. 24, comma  2,  della  stessa
legge regionale (che prevede la medesima durata per la concessione di
coltivazione  dei  giacimenti  che   fanno   parte   del   patrimonio
indisponibile della Regione); b) l'art. 14, primo comma, della  legge
reg. 19 dicembre 1959, n. 20  (Disciplina  dell'indagine,  ricerca  e
coltivazione  degli  idrocarburi),  secondo  cui  «La  durata   della
concessione [di coltivazione degli idrocarburi] e' di 20 anni». 
    Alla luce dell'indicata  normativa  regionale,  deve  concludersi
che, a fronte di una proroga automatica, prevista dalla  disposizione
impugnata, che riguarda tutti i titoli minerari ed i permessi di cava
in essa indicati, a prescindere dalla  data  del  loro  rilascio,  la
garanzia  che  gli  stessi  siano  stati  sottoposti  a   valutazione
dell'impatto ambientale (o alla verifica dell'assoggettabilita'  alla
valutazione dell'impatto ambientale)  sussiste  soltanto  per  quelli
rilasciati «dopo l'entrata in vigore del D.P.C.M. 3 settembre 1999  e
della legge regionale 18 gennaio 1999, n. 1» (art. 8, comma 2,  della
legge reg. n. 15 del 2002), ma non  per  quelli  che,  come  pure  e'
possibile che sia - tenuto conto della durata anche ventennale  degli
stessi - siano stati rilasciati prima dell'entrata in vigore di  tali
atti. 
    Ne', con riguardo ai titoli ed ai permessi  da  ultimo  indicati,
puo' ritenersi costituire  una  garanzia  della  sottoposizione  alle
procedure di valutazione dell'impatto ambientale l'approvazione,  con
delibera del Consiglio regionale della Sardegna del 30  giugno  1993,
del  Piano  regionale  stralcio  delle  attivita'  estrattive,   pure
invocato  dalla  difesa  regionale  nella   memoria   depositata   in
prossimita'  dell'udienza  pubblica.  Con  tale  Piano,  infatti,  la
Regione  aveva  circoscritto,  a  fini  di   tutela   delle   risorse
paesaggistiche e  ambientali  regionali,  le  aree  utilizzabili  per
l'attivita' mineraria, ma non aveva  previsto  che  il  rilascio  dei
titoli minerari e dei permessi di cava fosse sottoposto a valutazione
dell'impatto ambientale. 
    5.2.4.- La proroga automatica (anche) di  titoli  minerari  e  di
permessi di cava che non sono  mai  stati  sottoposti  a  valutazione
dell'impatto ambientale (o alla verifica dell'assoggettabilita'  alla
valutazione dell'impatto  ambientale)  comporta  che,  per  essi,  la
disposizione  impugnata,  mantenendo  inalterato  tale  status   quo,
integra un'elusione della normativa in  tema  di  VIA  dettata  dallo
Stato nell'esercizio della potesta'  legislativa  esclusiva  ad  esso
spettante ai sensi dell'art. 117, secondo comma, lettera s), Cost. 
    L'impugnato art. 18 della legge reg.  Sardegna  n.  25  del  2012
deve, percio', essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella
parte in cui, nel disporre la proroga automatica dei titoli  minerari
e dei permessi di cava in esso indicati, proroga anche i titoli ed  i
permessi  che  non  sono  mai  stati   assoggettati   a   valutazione
dell'impatto ambientale (o alla verifica dell'assoggettabilita'  alla
valutazione dell'impatto ambientale).